ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  137,  commi
 primo e terzo, cod. proc. pen. (Uso della lingua italiana) promosso con
 ordinanza   emessa  l'8  marzo  1977  dal  Tribunale  di  Trieste,  nel
 procedimento penale a carico di Pahor Samo,  iscritta  al  n.  260  del
 registro  ordinanze  1977  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 183 del 6 luglio 1977.
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
     udito nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore
 Michele Rossano;
     udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Con  sentenza  in  data  13  dicembre  1974  il  Pretore di Trieste
 condanno' Pahor Samo,  nato  a  Trbovlye  (Jugoslavia)  e  residente  a
 Trieste,  quale colpevole del reato punito dall'articolo 651 del codice
 penale, per aver rifiutato di dare indicazioni sulla propria  identita'
 personale a due vigili urbani.
     Avverso   la  sentenza  il  Pahor  propose  appello,  invocando  la
 sussistenza della causa di giustificazione dell'esercizio del  diritto,
 fondato  sull'articolo  5 dello Statuto speciale allegato al Memorandum
 del 5 ottobre 1954 tra Italia e Jugoslavia.    Egli  deduceva  di  aver
 titolo  ad  esigere che il vigile urbano gli formulasse la richiesta di
 indicazioni  sulla  sua  identita'   personale   in   lingua   slovena,
 direttamente  o per il tramite di un interprete, e che lo stesso vigile
 rispondesse in lingua slovena, direttamente o  per  il  tramite  di  un
 interprete, alle richieste di chiarimento sulla intimazione espressa in
 lingua italiana.
     Durante il dibattimento di appello davanti al Tribunale di Trieste,
 all'udienza  del  28  ottobre  1976, venne nominato un interprete della
 Corte d'appello di Trieste, sul presupposto che il Pahor non conoscesse
 la lingua italiana. All'udienza dell'8 marzo 1977 il Pahor, invitato ad
 indicare le proprie  discolpe  a  mezzo  di  interprete,  contesto'  la
 validita'  del  procedimento, poiche' la citazione a giudizio era stata
 formulata in lingua italiana, senza la traduzione in lingua slovena.
     Il  pubblico   ministero   chiese   al   Tribunale   di   procedere
 all'immediato  giudizio del Pahor per il reato di cui all'articolo 137,
 terzo comma, del codice di procedura penale, per essersi  rifiutato  di
 esprimersi in lingua italiana, pur conoscendola.
     Con  ordinanza  pronunciata nella stessa udienza dell'8 marzo 1977,
 il  Tribunale  di  Trieste  ha  sollevato  d'ufficio  le  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  dell'articolo  137, prima e ultima parte,
 del codice di procedura penale, in riferimento  agli  articoli  3  e  6
 della Costituzione e alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.
     Il primo comma dell'articolo impugnato prescrive che tutti gli atti
 del  procedimento  penale  devono  essere compiuti in lingua italiana a
 pena di nullita'; il secondo comma punisce il rifiuto di esprimersi  in
 lingua  italiana  da  parte di persona che la conosca, nonche' la falsa
 attestazione di ignorarla. Ad avviso del tribunale, tali norme sono  in
 contrasto  con  l'articolo  3 della Costituzione, in quanto determinano
 una ingiustificata disparita' di trattamento tra gli appartenenti  alla
 minoranza  di  lingua slovena nella Regione Friuli-Venezia Giulia e gli
 appartenenti  alla  minoranza   di   lingua   tedesca   nella   Regione
 Trentino-Alto Adige, ai quali e' consentito da specifiche previsioni di
 usare  la propria lingua nel processo penale. Le stesse norme sarebbero
 in contrasto altresi' con l'articolo 6 della Costituzione, in relazione
 all'articolo 3  della  legge  costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1
 (Statuto  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia),  perche'  violano il
 principio di tutela della minoranza di  lingua  slovena  nella  Regione
 Friuli- Venezia Giulia.
     Nel  giudizio  davanti a questa Corte non si e' costituita la parte
 privata.  E'  intervenuto  invece  il  Presidente  del  Consiglio   dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocato Generale dello Stato,
 con atto depositato il 22 luglio 1977, chiedendo che  le  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  vengano  dichiarate infondate, sulla base
 dei motivi di seguito esposti. Il Tribunale di Trieste  ha  esattamente
 premesso  che  il  Memorandum  d'intesa di Londra del 1954 non e' stato
 recepito nella sua integralita'  e  con  i  suoi  allegati  nel  nostro
 ordinamento  giuridico.  Peraltro sono state adottate numerose misure a
 favore della minoranza slovena del Friuli-Venezia Giulia,  anche  prima
 del Memorandum, con atti legislativi statali, con ordinanze del Governo
 Militare  Alleato,  rimaste  poi in vigore, con decreti del Commissario
 Generale del Governo per il Territorio di Trieste,  con  semplici  atti
 amministrativi, con le varie norme emanate dalla Regione Friuli-Venezia
 Giulia.
     Tutte   queste   misure   -   sostiene   l'Avvocatura   -  tutelano
 adeguatamente la minoranza slovena e possono ritenersi applicative  del
 suddetto  Memorandum  o  adottate  proprio  in  relazione  agli impegni
 assunti con il Memorandum  stesso.    Le  medesime  misure,  in  quanto
 riferibili  al  citato  atto  internazionale,  sono  state mantenute in
 vigore anche dopo la ratifica degli accordi  italo-jugoslavi  di  Osimo
 (legge  14  marzo  1977, n. 73) in base al disposto dell'articolo 3 del
 trattato.
     Non  e'  fondato  quindi  -  si  aggiunge  -  l'addotto   contrasto
 dell'articolo 137 del codice di procedura penale con gli articoli 3 e 6
 della  Costituzione  e  con  l'articolo  3  dello Statuto della Regione
 Friuli-Venezia Giulia. Tale contrasto viene posto in relazione  con  le
 norme  emanate per gli appartenenti al gruppo tedesco del Trentino-Alto
 Adige, il quale presenta caratteristiche sostanziali che non  ricorrono
 per  la  minoranza  slovena.  La  prima ha infatti consistenza numerica
 assai superiore,  con  larghi  addensamenti  in  alcune  localita'.  Il
 secondo  ha  per contro una consistenza globale molto ridotta e risulta
 disperso sul territorio della Regione.  La differenza tra i due  gruppi
 giustifica  un  diverso  regime  di  tutela,  anche per quanto concerne
 l'equo rapporto che deve esistere tra  funzionamento  e  organizzazione
 dei pubblici uffici locali (amministrativi e giudiziari) e le effettive
 esigenze delle minoranze nel rapporto con gli uffici stessi.
     Inoltre  -  si  conclude - l'appartenente al gruppo sloveno risulta
 sufficientemente tutelato agli effetti della difesa  in  giudizio  dato
 che  puo' esprimersi nella propria lingua, qualora non abbia conoscenza
 della lingua italiana. Va sottolineato che, in applicazione della legge
 19 luglio 1967, n. 568 sul  conferimento  dell'incarico  di  traduttore
 interprete  presso  gli  uffici  giudiziari,  sono  stati  nominati sei
 interpreti e traduttori per il distretto di Corte d'appello di Trieste,
 di cui cinque per la lingua slovena e uno per la lingua serbo- croata.
                         Considerato in diritto:
     1. - Il Tribunale di  Trieste  solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dei commi primo e terzo dell'articolo 137 del codice di
 procedura penale per contrasto con l'articolo 3 della  Costituzione  in
 quanto  determinano  ingiustificata  disparita'  di trattamento tra gli
 appartenenti  alle  minoranze   di   lingua   slovena   nella   Regione
 Friuli-Venezia  Giulia e gli appartenenti alle minoranze alloglotte del
 Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta, ai quali e'  consentito,  in
 base  a  specifiche  normative  l'uso  della  lingua madre nel processo
 penale. Le disposizioni citate  contrasterebbero  inoltre,  secondo  il
 Tribunale  di  Trieste, anche con l'articolo 6 della Costituzione e con
 l'articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1  (Statuto
 della Regione Friuli-Venezia Giulia).
     Le  questioni  non sono superate per il sopravvenire della legge 14
 marzo 1977, n. 73, che autorizza la ratifica  e  da'  piena  ed  intera
 esecuzione al trattato tra l'Italia e la Jugoslavia firmato ad Osimo il
 10  novembre  1975, in quanto manca a tutt'oggi una normativa, che, sia
 pure  limitatamente  all'uso  della  lingua  slovena,   dia   specifica
 attuazione  al  contenuto  dell'articolo  8  di quel trattato.   Questa
 situazione  di  carenza,  di  cui e' doveroso sottolineare la gravita',
 rende dunque necessaria la pronuncia di questa Corte.
     Peraltro, in termini di rilevanza, le questioni vanno  circoscritte
 all'ambito  spaziale  in cui sono state sollevate e cioe' al territorio
 di Trieste, prescindendosi dalle soluzioni adottabili per le  minoranze
 slovene  insediate  nelle  altre  parti  della  Regione  Friuli-Venezia
 Giulia.
     2.  -  Le  questioni  proposte  debbono  entrambe  dichiararsi  non
 fondate.
     Diversi  tuttavia  sono i motivi della duplice dichiarazione di non
 fondatezza. Infatti, a proposito del primo comma dell'articolo 137  del
 codice  di  procedura  penale  si  deve  ricordare  che la Costituzione
 conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano  come
 unica  lingua  ufficiale,  da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe
 disposte a tutela dei  gruppi  linguistici  minoritari,  da  parte  dei
 pubblici   uffici  nell'esercizio  delle  loro  attribuzioni.  Cio'  e'
 confermato testualmente dell'articolo 84 dello  Statuto  della  Regione
 Trentino-Alto  Adige  (ora  99  del Testo unico approvato con d.P.R. 31
 agosto 1972, n. 670) e dall'articolo 38 dello Statuto speciale  per  la
 Valle  d'Aosta. Pertanto, nessun contrasto puo' ravvisarsi tra il primo
 comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale ed  i  parametri
 costituzionali invocati.
     Per   la   seconda   questione   di   legittimita'  costituzionale,
 concernente il terzo comma dell'articolo 137 del  codice  di  procedura
 penale  precisato,  e'  da dire che, di per se stessi, ne' l'articolo 3
 ne' l'articolo 6 della Costituzione  possono  garantire  una  specifica
 tutela  agli  appartenenti  a  singole minoranze linguistiche. Anzi, e'
 chiara nell'ordinamento la  tendenza  a  dare  attuazione  ai  principi
 dell'articolo   6   della  Costituzione  secondo  regimi  articolati  e
 peculiari,  dettati  in   relazione   alle   differenziate   situazioni
 ambientali.  Percio',  anche  per  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,
 malgrado l'esplicito riferimento della X Disposizione transitoria della
 Costituzione alla tutela delle minoranze linguistiche e dell'articolo 3
 dello  Statuto  speciale  della  Regione   alla   "salvaguardia   delle
 rispettive  caratteristiche  etniche  e  culturali"  dei diversi gruppi
 linguistici  di  appartenenza,  resta  fermo  che  le  norme  di  grado
 costituzionale,  richiamate  come  parametro,  hanno  natura  di  norma
 direttiva e dall'applicazione differita. D'altra  parte  al  Memorandum
 d'intesa  fra  i Governi d'Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e
 della Jugoslavia, concernente il territorio libero di Trieste  (siglato
 a  Londra  il  5 ottobre 1954), che pure conteneva all'articolo 5 dello
 Statuto speciale (allegato secondo) ampie garanzie in tema di uso della
 lingua materna per le minoranze etniche italiana e slovena, non fu  mai
 data  piena  ed  intera  esecuzione all'interno del nostro ordinamento,
 risultando tale Memorandum attuato in modo parziale e  prevalentemente,
 se non esclusivamente, a mezzo di provvedimenti amministrativi.
     Ma   cio'   non  esime  l'interprete  dall'accertare  se  le  norme
 legislative   vigenti   bastino   comunque   a   conferire    immediata
 operativita',  in  tema  di uso della lingua nel territorio di Trieste,
 alle norme costituzionali evocate ed in  particolare  agli  articoli  6
 della  Costituzione e 3 dello Statuto regionale.  E' sufficiente, a tal
 fine, ricordare le leggi statali 19 luglio 1961, n. 1012, e 22 dicembre
 1973, n. 932, contenenti la disciplina per la istituzione di scuole con
 lingua di insegnamento slovena nelle province  di  Trieste  e  Gorizia;
 nonche'  l'articolo  34  del  d.P.R.  31  maggio  1974,  n. 416 (con la
 significativa rubrica "tutela delle minoranze...") e l'articolo 8 della
 legge 14 gennaio 1975, n. 1, sull'ordinamento dei  consigli  scolastici
 nelle  province  di  Trieste e di Gorizia in ordine alle scuole statali
 con lingua di insegnamento slovena. Vanno pure menzionate la  legge  31
 ottobre  1966, n. 935, che ha abrogato il divieto di dare nomi slavi ai
 bambini; la legge 14 aprile 1956, n.  308,  che  ha  approvato  e  reso
 esecutiva  la  convenzione  fra  Presidenza  del Consiglio e RAI-TV per
 l'estensione al territorio triestino del servizio radiotelevisivo,  con
 l'esplicita  previsione  di  trasmissione  di  notiziari e programmi in
 lingua slovena  per  mezzo  della  stazione  triestina.  (L'impegno  e'
 ripetuto  nella  legge  di riforma 14 aprile 1975, n. 103, prevedendosi
 anzi la stipulazione  di  una  apposita  convenzione  per  trasmissioni
 televisive  in  lingua  slovena).  Un  preciso  riferimento a partiti o
 gruppi politici  "espressi"  dalla  minoranza  di  lingua  slovena  del
 Friuli-Venezia  Giulia e' poi contenuto nell'art.  2, comma nono, della
 legge 24  gennaio  1979,  n.  18,  per  l'elezione  dei  rappresentanti
 dell'Italia  al  Parlamento  europeo.  Ne' mancano specifici ordini del
 Governo Militare Alleato mai abrogati, provvedimenti del  Commissariato
 generale  del  Governo  italiano per il territorio di Trieste e recenti
 leggi regionali che valorizzano particolari aspetti  della  vita  della
 minoranza slovena.
     Questo complesso di atti ha un contenuto normativo che corrisponde,
 sia  pure  per  parti,  a  quello che avrebbero potuto avere uno o piu'
 provvedimenti formalmente diretti a dare attuazione agli articoli dello
 Statuto speciale allegato  al  Memorandum  d'intesa;  anzi,  ad  avviso
 dell'Avvocatura   dello   Stato,   tali  misure  "possono  o  ritenersi
 applicative del suddetto Memorandum" o adottate "proprio  in  relazione
 agli  impegni"con  esso  assunti.  Ma  cio' che conta e' che tali norme
 danno riconoscimento alla minoranza slovena  o  meglio  qualificano  la
 popolazione di lingua slovena nel territorio di Trieste come "minoranza
 riconosciuta",  il  che  concretizza l'ulteriore operativita' normativa
 dell'articolo 6 della Costituzione  e  dell'articolo  3  dello  Statuto
 regionale,  quanto  meno per il territorio triestino. Se ormai si e' in
 presenza, al di la' di ogni dubbio, di  una  "minoranza  riconosciuta",
 con  tale  situazione  e'  incompatibile,  prima ancora logicamente che
 giuridicamente, qualsiasi sanzione  che  colpisca  l'uso  della  lingua
 materna  da  parte  degli appartenenti alla minoranza stessa. E' questa
 infatti l'operativita'  minima,  che,  in  tema  di  trattamento  delle
 minoranze  linguistiche,  deriva  dal  fatto ricognitivo di una singola
 minoranza. E cio' a  prescindere  dalla  circostanza,  che  perde  ogni
 rilievo,  della  conoscenza  o  meno  della  lingua  ufficiale da parte
 dell'appartenente alla  minoranza,  sicche'  questi,  ove  lo  volesse,
 potrebbe   servirsi,   "nell'uso   pubblico",  della  lingua  italiana:
 altrimenti nessun  trattamento  particolare  riceverebbe  sotto  questo
 aspetto  lo  sloveno,  pretendendosi  da  lui  lo  stesso comportamento
 richiesto a tutte le  persone,  cittadine  e  straniere,  che  sappiano
 esprimersi  in  lingua  italiana  (art. 137, secondo comma, cod.  proc.
 pen.). Questa  tutela  "minima",  anche  nei  rapporti  con  le  locali
 autorita'  giurisdizionali,  consente  gia'  ora agli appartenenti alla
 minoranza slovena di usare la lingua materna  e  di  ricevere  risposte
 dalle   autorita'   in  tale  lingua:    nelle  comunicazioni  verbali,
 direttamente o per il tramite di un interprete;  nella  corrispondenza,
 con  il testo italiano accompagnato da traduzione in lingua slovena. Si
 puo'  del  resto  ricordare  l'applicazione  fornita nel Friuli-Venezia
 Giulia alla  legge  19  luglio  1967,  n.  568,  contenente  norme  sul
 conferimento  dell'incarico  di  traduttore  e di interprete presso gli
 uffici giudiziari.
     Peraltro  l'osservanza   dei   precetti   dell'articolo   6   della
 Costituzione  e  dell'articolo 3 dello Statuto regionale - in relazione
 all'articolo 3 della Costituzione  -  non  richiede  affatto  che  alla
 minoranza  slovena  della  Provincia  di  Trieste debba necessariamente
 applicarsi una normativa simile a quella adottata per il  Trentino-Aldo
 Adige o per la Valle d'Aosta: restando rimesso al legislatore italiano,
 nella  propria  discrezionalita',  di scegliere i modi e le forme della
 tutela da garantire alla minoranza linguistica slovena.
     Circa il terzo comma dell'articolo  137  del  codice  di  procedura
 penale  si  deve  dunque  concludere per la sua non applicabilita' agli
 appartenenti alla minoranza slovena nel territorio di Trieste in quanto
 minoranza riconosciuta: sia che si voglia ravvisare in cio' un caso  di
 esclusione  della  punibilita'  da  esercizio del diritto (art. 51 cod.
 pen.), sia che si propenda per una delimitazione ex ante,  nella  sfera
 soggettiva, della operativita' della norma penale.
     Pertanto,  cosi'  interpretata,  la  disposizione  del  terzo comma
 dell'articolo 137 del  codice  di  procedura  penale  si  sottrae  alle
 proposte censure di costituzionalita'.