ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del d.l. 30
 gennaio  1979,  n.  26  (Provvedimenti  urgenti  per  l'amministrazione
 straordinaria  delle  grandi imprese in crisi), conv. in legge 3 aprile
 1979, n. 95 promosso con ordinanza emessa i''8 marzo 1982 dal Tribunale
 di Torino sul ricorso proposto da  Drago  Bianca  ed  altri  contro  il
 fallimento  della  s.a.s.  SICMU,  iscritta  al  n.    339 del registro
 ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 n. 269 del 29 settembre 1982.
     Visti l'atto di costituzione di Drago Bianca e del fallimento Sicmu
 e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica  del    1  dicembre  1982  il Giudice
 relatore Virgilio Andrioli;
     uditi l'avv. Antonio Sansone per  Drago  Bianca,  l'avv.    Alberto
 Jorio  per il fallimento SICMU e l'avvocato dello Stato Dante Corti per
 il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con sentenza, pronunciata a seguito delle  istanze  presentate
 da  diciannove  creditori (Micromeccanica Irpinia s.n.c., Pinato Bruno,
 F.I.S. s.p.a., R.D.N.    Lodiflex  s.r.l.,  Chiara  Giuseppe,  Cernotto
 s.n.c.,  Rasfer  s.r.l.,  Empis  s.r.l.. FIM Legno s.n.c., Leoni Luigi,
 C.L.N. Coils Lamiere  e  Nastri  s.p.a.,  Maxnovo  Italia  s.p.a.,  TAV
 s.r.l.,  La  Bello  e Feira Costruzioni Edili s.n.c., Torre dei Corsari
 s.r.l., Banco di S. Spirito, Friulgraf s.n.c., ICO  s.p.a.  di  Pujardi
 Prata,  Eurovini  s.r.l.) nonche' a seguito di rapporto 2 novembre 1981
 del Pretore di Torino, e depositata il 10 dicembre  1981  (sentenza  di
 cui  non  e'  agli  atti  copia),  il  Tribunale  di Torino dichiaro' i
 fallimenti  della  SICMU  s.a.s.  di  Gianfranco  Maiocco  e  C.  e  di
 Gianfranco Maiocco socio illimitatamente responsabile della s.a.s.
     2.1.  -  Con ricorso 10 novembre 1981, cui la Drago si riferiva nel
 successivo ricorso depositato il 6 febbraio 1982, era stato chiesto, ai
 fini dell'ammissione alla procedura  di  amministrazione  straordinaria
 delle   grandi   imprese,   che  il  Tribunale  di  Torino  dichiarasse
 l'insolvenza della  Centrofin  s.p.a.  e  della  SICMU  deducendo,  con
 specifico riferimento a quest'ultima, che la SICMU possedeva in proprio
 tutti  i  requisiti richiesti dall'art. 1 l. 3 aprile 1979, n. 95 e che
 tra le due societa' sussistevano i  criteri  di  collegamento  previsti
 dall'art.  3 a), b), c) della menzionata legge a motivo del rapporto di
 controllo corrente tra le due societa'  e  per  la  sussistenza  di  un
 rapporto di direzione unitaria.
     2.2.  -  Il  decreto  10 dicembre 1981, con cui il Tribunale ebbe a
 respingere il ricorso  10  novembre  1981,  per  quanto  concerneva  le
 domande  di  ammissione  alla  procedura di a.s. delle due societa' e a
 dichiararlo inammissibile per quanto concerne l'ammissione della  SICMU
 ai  sensi  dell'art.  3  l.    95/1979 sul riflesso che tale ammissione
 potesse avvenire solo a  seguito  della  pubblicazione  sulla  Gazzetta
 Ufficiale  del  decreto  ministeriale  che disponeva l'a.s. di societa'
 collegate a sensi dell'art. 1  l.  95/1979,  su  reclamo  della  s.p.a.
 Centrofin,  veniva  parzialmente riformato dalla locale Corte d'appello
 con decreto 10 gennaio 1982 con cui restitui' gli atti al Tribunale per
 la dichiarazione d'insolvenza della s.p.a.  Centrofin.
     3. - Il Tribunale di Torino, con sentenza pronunciata il 13 gennaio
 1982 a seguito di rimessione degli atti disposta dalla Corte  d'appello
 di  Torino  con  il  decreto 12 gennaio 1982 (supra 2.2.), dichiaro' lo
 stato  di  insolvenza  ai  fini  dell'ammissione  alla   procedura   di
 amministrazione  straordinaria  della  s.p.a.  Centrofin;  sentenza cui
 segui' il decreto 4 febbraio 1982 (G. U. n.  37 dell'8 febbraio  1982),
 con   il   quale   il   Ministro   dell'Industria,   del   Commercio  e
 dell'Artigianato, di concerto con il Ministro del Tesoro, visti il d.l.
 26/1979 conv. in l. 95/1979 e la l. 13 agosto 1980 n.  445  concernente
 l'interpretazione  autentica  del  d.l.  e  ritenuta la sussistenza dei
 requisiti e dei motivi di pubblico interesse, pose  in  amministrazione
 straordinaria   la   s.p.a.   Centrofin   e  dispose  la  continuazione
 dell'esercizio dell'impresa per due anni nominando commissario il dott.
 Roberto Elefante.
     4. - Con atti, notificati il  24  dicembre  1981  al  curatore  dei
 fallimenti  SICMU  s.a.s.  e  Maiocco  Gianfranco  in  proprio  e ai 19
 creditori istanti, i due falliti spiegarono opposizione  alla  sentenza
 19  dicembre  1981 (supra 1.)  e chiesero revocarsi le dichiarazioni di
 fallimento assumendo che la SICMU,  per  essere  impresa  ad  un  tempo
 industriale e commerciale, doveva essere assoggettata alla procedura di
 amministrazione  straordinaria alla quale erano comunque soggette anche
 le  imprese  commerciali,  e  che  di  tale  procedura  sussistevano  i
 presupposti  obiettivi.  Si  costituirono  la  curatela e le creditrici
 Maxnovo Italia s.p.a. e FIM Legno s.n.c. instando per il rigetto  della
 opposizione,  mentre  la  Micromeccanica  Irpinia  s.n.c. dichiaro' non
 opporsi allo stato degli atti alla richiesta  di  assoggettamento  alla
 procedura  di  amministrazione  straordinaria  avanzata dalla debitrice
 societa'. Alla prima udienza tenutasi il 10 marzo 1982, si costituirono
 i  creditori  Empis  s.r.l.  e  Basfer  s.r.l.,  venne  dichiarata   la
 contumacia  dei  non  comparsi  e rinviata la causa alla udienza del 21
 aprile 1982 per la precisazione delle conclusioni.
     5.1.  -  Con ricorso depositato il 6 febbraio 1982, Bianca Drago in
 Maiocco, socia accomodante  della  s.a.s.  SICMU,  chiese  che,  previa
 convocazione  in  camera  di consiglio del legale rappresentante, fosse
 disposta la conversione del fallimento della societa' in  procedura  di
 amministrazione  straordinaria.  Richiesta  cui  si  associo' spiegando
 intervento Gianfranco Maiocco soggiungendo  che  fosse  di  conseguenza
 dichiarato il venir meno dei presupposti del suo fallimento in proprio.
     5.2.  - Il Tribunale provvide a convocare per l'audizione in camera
 di consiglio la Drago, Gianfranco Maiocco  che,  per  essere  detenuto,
 dichiarava  nelle  forme di legge di non voler presenziare, il curatore
 del fallimento della SICMU e il commissario della s.p.a.  Centrofin  in
 amministrazione straordinaria; intervenne il Pubblico Ministero.
     5.3.   -  Con  ordinanza  emessa  l'8  marzo  1982,  notificata  il
 successivo 29 e comunicata il 22 aprile 1982, pubblicata nella G. U. n.
 269 del 29 settembre 1982 e iscritta al n. 339 R.O. 1982, ha  giudicato
 rilevante  e,  in riferimento all'art. 24, non manifestamente infondata
 la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 d.l. 30 gennaio
 1979, n. 26, conv. in l. 3 aprile 1979, n. 95, nella parte in  cui  non
 prevede   che  nel  giudizio  per  la  conversione  del  fallimento  in
 amministrazione straordinaria vengano sentiti dal tribunale  in  camera
 di   consiglio  i  creditori  gia'  istanti  per  la  dichiarazione  di
 fallimento.  Ha il Tribunale argomentato che a) mentre il fallimento e'
 procedura liquidatoria preordinata alla soddisfazione dei creditori  in
 cui  l'autorizzazione  alla  continuazione  dell'esercizio dell'impresa
 rappresenta una mera  eventualita',  la  procedura  di  amministrazione
 straordinaria persegue finalita' essenzialmente conservative, b) mentre
 nel   fallimento  l'interesse  dei  creditori  e'  salvaguardato  dalla
 spettanza,  al  comitato  dei  creditori,  del  parere  vincolante   se
 contrario  all'esercizio  provvisorio, e, per il periodo anteriore alla
 esecutivita' dello stato passivo, dalla limitazione della continuazione
 ai soli casi in cui  "dall'interruzione  improvvisa  puo'  derivare  un
 danno  grave  e  irreparabile"  (art.  90 l. fall.), nella procedura di
 amministrazione straordinaria il comitato di sorveglianza (peraltro sol
 in parte necessariamente composto da creditori) e' abilitato unicamente
 a proporre la revoca della continuazione, che spetta al  solo  ministro
 competente  disporre,  c)  il  comma  secondo dell'art. 2 d.l. 26/1979,
 cosi' come sostituito nella l. 95/1979 di  conversione,  con  prevedere
 che  la  continuazione  e' disposta "tenendo anche conto dell'interesse
 dei creditori", mostra chiaramente che interessi diversi  (come  quello
 occupazionale  o  quelli piu' generali dell'economia nazionale) possono
 essere in linea priore considerati anche a costo che  la  continuazione
 dell'impresa,   con   i   debiti   per   essa   contratti,  si  risolva
 nell'assorbimento  anche  totale  dell'attivo   e   nella   conseguente
 frustrazione  delle  aspettative  dei  creditori concorrenti, d) mentre
 l'art. 110 l. fall. fa obbligo al curatore di presentare ogni due anni,
 a far tempo dall'approvazione dello stato passivo, un  prospetto  delle
 somme  disponibili  ed  un  progetto  di  ripartizione delle spese, per
 l'amministrazione straordinaria il richiamo all'art.  212  l.    fall.,
 operato   dal   quarto   comma  del  menzionato  art.  2,  riguarda  la
 distribuzione di acconti come una facolta', e)  anche  ad  interpretare
 l'art.  2  comma  quarto  nel  senso  che contempli una deroga soltanto
 temporale all'ordine dei crediti  stabilito  dall'art.  111  l.  fall.,
 lavoratori dipendenti e imprese artigiane e industriali con non piu' di
 cento  dipendenti  finiscono  con ricevere un trattamento differenziato
 rispetto  ai  lavoratori  autonomi  e  alle   imprese   commerciali   e
 industriali  con  piu'  di  cento  dipendenti, f) mentre nel fallimento
 l'accertamento del passivo, pur nella prima fase di natura sommaria, e'
 affidato ad un organo giurisdizionale quale il giudice delegato, l'art.
 109  l.  fall.,  richiamato  dall'art.  1  d.l.  26/1979,  demanda   al
 commissario  l'accertamento  del passivo senza fissazione di un termine
 perentorio  e,  dunque,  con  possibilita'  di  sospensione   a   tempo
 indeterminato   (donde  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata, in riferimento all'art. 24 Cost., dal Pretore di Bologna con
 ordinanza 24 maggio 1980).
     Cio' premesso, il Tribunale ha considerato che il creditore istante
 per la  dichiarazione  di  fallimento  e'  titolare  di  una  posizione
 giuridica  subiettiva,  che - quale che ne sia la definizione teorica -
 e' oggetto di tutela nella procedura fallimentare e che,  pertanto,  la
 mancata audizione dei creditori in sede di procedura di conversione del
 fallimento,  su loro istanza dichiarato, si risolve in lesione del loro
 diritto di difesa, che l'art.   24 Cost. garantisce "in  ogni  stato  e
 grado  del  procedimento"  (posizione  dei  creditori  che  -  sempre a
 giudizio del Tribunale - non sarebbe tutelata mediante l'audizione  del
 curatore  in  camera di consiglio perche' da un lato tale audizione non
 parrebbe implicare l'assunzione della  qualita'  di  parte,  dall'altro
 lato l'art.  18 l. fall., riconoscendo al creditore istante la qualita'
 di  litisconsorte  necessario nel giudizio di opposizione alla sentenza
 dichiarativa di fallimento, indurrebbe a spogliare  il  curatore  della
 veste  di  rappresentante  generale  dei  creditori),  a  nulla  infine
 rilevando che l'art. 4, richiamando l'art. 195 l. fall., attribuisca ai
 creditori istanti  la  legittimazione  ad  opporsi  alla  pronuncia  di
 conversione, dappodiche' il diritto di difesa vuole dall'art. 24 essere
 garantito in ogni stato e grado del giudizio e tale ampiezza tanto piu'
 va  assicurata  a  causa della esecutivita' della pronuncia pur opposta
 che riduce l'effettivita' dei risultati conseguibili.
     In tal guisa motivata la non manifesta infondatezza della  proposta
 questione,  il  Tribunale  ne  ha desunto la rilevanza da cio' che, ove
 fosse dichiarato illegittimo l'art. 4 nella parte in  cui  non  prevede
 l'audizione  dei  creditori,  non potrebbe pronunciarsi sull'istanza di
 conversione senza aver  previamente  sentito  i  soggetti  che  avevano
 richiesto la dichiarazione di fallimento della SICMU il cui interesse a
 contraddire,  lungi  dall'essere  posto  in  dubbio  dal  loro  mancato
 intervento nella procedura di conversione della quale, allo stato della
 legislazione, non viene ai medesimi data notizia non  essendo  prevista
 la loro partecipazione, e' invece rivelato dall'atteggiamento da alcuni
 di  essi  assunto e dalle conclusioni prese nel giudizio di opposizione
 promosso dalla SICMU e dal Maiocco contro la sentenza  dichiarativa  di
 fallimento.
     6.1.  -  Avanti  la  Corte  si sono costituiti 1) nell'interesse di
 Bianca Drago gli  avv.ti  Angelo  Bonsignori,  Vincenzo  Fanelli,  Enzo
 Gaito,  Gilberto  Lozzi, Mario Mustilli e Augusto Treves giusta procura
 in calce alla memoria depositata il 12 maggio 1982  nella  quale  hanno
 concluso  per  la  manifesta  infondatezza  della proposta questione di
 costituzionalita' argomentando da cio' che a)  la  conversione  e'  una
 fase interna al sistema dei procedimenti concorsuali e, di conseguenza,
 i  creditori  vi  sono  unitariamente rappresentati dal curatore, b) il
 fallimento ha una struttura variabile soltanto nella  fase  iniziale  e
 nell'accertamento  del  passivo,  c)  la  conversione del fallimento in
 amministrazione  straordinaria,  lungi  dal   recare   pregiudizio   ai
 creditori    concorsuali,   "serve   per   effettuare   un   pagamento,
 tendenzialmente  al  100%,  a  seguito  del  risanamento   dell'impresa
 insolvente,  mentre  i  nuovi  indebitamenti  non  incidono affatto sui
 vecchi creditori, perche' per questi v'e' la garanzia dello  Stato",  e
 Il) nell'interesse della curatela del fallimento della s.a.s. SICMU gli
 avv.ti  Alberto Jorio e Gustavo Romanelli giusta delega in margine alla
 memoria depositata il 19 ottobre 1982, nella  quale  han  concluso  per
 l'accoglimento  della proposta questione di legittimita' costituzionale
 facendo proprie le argomentazioni del Tribunale di Torino.
     Ha spiegato intervento il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
 mediante  atto  depositato  il  19 ottobre 1982, nel quale l'Avvocatura
 generale dello Stato ha concluso per  la  infondatezza  della  proposta
 questione ravvisando incongruenza della ordinanza di rimessione in cio'
 che  del  pregiudizio, provocato dalla conversione a tutti i creditori,
 finirebbe con tenersi conto nei confronti dei soli creditori istanti e,
 pertanto, o si ritiene che l'amministrazione straordinaria incida sugli
 interessi del ceto creditorio, genericamente considerato, ed allora non
 si comprenderebbe - sempre ad avviso della difesa  erariale  -  perche'
 l'audizione  si  limiterebbe  ai  soli  creditori che videro accolte le
 istanze di dichiarazione di fallimento, o, per  conferire  specificita'
 all'interesse  (e  quindi giustificare la legittimazione) dei creditori
 istanti, occorrerebbe configurare un vero e proprio rapporto oppositivo
 (di contraddizione-incompatibilita') fra  il  dichiarato  fallimento  e
 l'ipotizzata    sussistenza    degli    estremi    dell'amministrazione
 straordinaria, ma cio' - sempre ad avviso dell'Avvocatura generale - e'
 contrario a realta' perche' l'esigenza di  convertire  nasce  da  fatti
 sopravvenuti  (assoggettamento  di  altra  impresa  all'amministrazione
 straordinaria e rilevazione di  un  collegamento  fra  tale  impresa  e
 quella  fallita),  che si innestano su precedenti senza contraddirli ma
 al contrario assumendoli come presupposto.
     6.2. - Nella memoria depositata il 18 novembre 1982  la  difesa  di
 Bianca Drago ha, in linea preliminare, eccepito il difetto di rilevanza
 della   questione   in   quanto   il   sospetto  d'incostituzionalita',
 evidenziato   dal   giudice   a   quo,   non   atterrebbe   all'oggetto
 dell'accertamento  demandato  al  tribunale  stesso  con il ricorso per
 conversione, nel merito ha osservato che la rapidita' del  procedimento
 camerale  giustificherebbe  il temporaneo affievolimento del diritto di
 difesa dei  creditori,  che  peraltro  si  riespanderebbe  in  sede  di
 conversione,  e  che  la  possibilita'  di  emanazione di provvedimenti
 adottati  inaudita  altera  parte,  con  successiva   possibilita'   di
 opposizione,  e' ben nota all'ordinamento processuale civile (artt. 633
 ss. c.p.c.)  e penale (artt. 506 ss. c.p.p.).
     Dal suo canto, la difesa della curatela del fallimento s.a.s. SICMU
 ha  ribadito  l'incidenza  negativa  sui  creditori  concorsuali  della
 procedura    straordinaria   e   l'inidoneita'   della   legittimazione
 all'opposizione a ripianare il difetto di  contraddittorio  nella  fase
 camerale a motivo della esecutorieta' della sentenza di conversione; ha
 obiettato  all'argomentazione  del  Presidente  del Consiglio, intesa a
 negare rilevante contrasto  giuridico  fra  l'accertamento  finalizzato
 alla  conversione  e quello gia' effettuato ai fini della dichiarazione
 di fallimento, che nello svolgerla non si terrebbe conto del fatto  che
 la  conversione non e' una "vicenda neutra" per i creditori anteriori e
 che, d'altra parte, i creditori hanno interesse a far sentire  la  loro
 voce   su   circostanze  "nuove  e  diverse",  che  non  vi  e'  alcuna
 contraddizione  tra la rilevanza dell'interesse dei creditori in quanto
 tali e la ipotizzata partecipazione dei  soli  creditori  istanti  alla
 preventiva  audizione  perche' in tanto ai creditori e' riconosciuto un
 diritto alla difesa in quanto siansi essi attivati per la dichiarazione
 di fallimento; ha replicato alla difesa di Bianca Drago che non sarebbe
 corretto riguardare  la  conversione  come  una  vicenda  interna  alla
 procedura  fallimentare  perche' trattasi non gia' di gestire interessi
 nell'ambito della procedura per la quale  la  nomina  del  curatore  e'
 avvenuta, bensi' di decidere se sussistano le premesse per il passaggio
 ad  un'altra procedura impostata su di un diverso assetto d'interessi e
 che la conversione non e'  provvedimento  automatico  implicando  nella
 specie  l'accertamento  del requisito della c.d. direzione unitaria tra
 la s.a.s. SICMU e la s.p.a. Centrofin, che e' ipotesi da  verificare  e
 sulla   quale  i  creditori  potranno  apportare  un  non  indifferente
 contributo.
     7. - Alla pubblica udienza del 1  dicembre  1982,  nella  quale  il
 giudice  Andrioli  ha svolto la relazione, gli avv.ti Alberto Jorio per
 la curatela del fallimento  della  s.a.s.  SICMU  e  Antonino  Sansone,
 costituitosi mediante procura con firma autenticata il 18 novembre 1982
 per  not.  Vicario di Torino (rep. n.  131747), per la Drago e l'avv.to
 dello Stato Dante Corti per l'interveniente  Presidente  del  Consiglio
 dei ministri hanno ampiamente illustrato le argomentazioni svolte negli
 scritti.
                         Considerato in diritto:
     8.  - La questione, pur essendo - nei limiti in cui il Tribunale se
 l'e' prospettata - rilevante, e' da giudicare infondata.
     Che l'amministrazione straordinaria dell'impresa  produca  rispetto
 ai  creditori  concorrenti  dell'imprenditore  gia'  dichiarato fallito
 effetti diversi da quelli consecutivi alla dichiarazione di fallimento,
 non puo' disconoscersi, sebbene non poco discors sia la concordia degli
 scrittori   sugli   effetti   dell'ammissione   alla    procedura    di
 amministrazione straordinaria, e sebbene sulla posizione sistematica di
 questa  l'ufficio  giudiziario,  cui  e'  riservato  il  compito  della
 nomofilachia, sia stato chiamato soltanto una volta  a  statuire  sulla
 relazione corrente tra l'autorita' giudiziaria e il ministro competente
 a  disporre  la  collocazione  in  amministrazione  straordinaria della
 grande impresa in crisi.
     Senonche' - e' stato  avvertito  dalla  accomandante  della  s.a.s.
 SICMU  e  dalla  difesa  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri -
 diversi sono gli obietti,  da  un  lato,  degli  accertamenti,  che  il
 tribunale,  chiamato  a constatare i presupposti della dichiarazione di
 fallimento   (qualita'   d'imprenditore   commerciale   non    piccolo,
 inadempimenti  o  altri  fatti  esteriori  i  quali  dimostrino  che il
 debitore piu' non e' in grado  di  adempiere  regolarmente  le  proprie
 obbligazioni)  e'  tenuto  ad  effettuare,  e,  dall'altro  lato, degli
 accertamenti, che il tribunale chiamato a provvedere sulla  conversione
 del fallimento in amministrazione straordinaria e' tenuto ad effettuare
 (situazioni  descritte  nell'art.  3 d.l. 26/1979 alcune attinenti alla
 individualita' della societa'  od  impresa  ed  altre  alla  entita'  e
 qualita'  delle  obbligazioni  assunte).  Inoltre,  diversi sono per un
 verso i presupposti dell'acquisizione della legittimazione a  provocare
 la   dichiarazione  di  fallimento  e  la  conversione  del  fallimento
 dichiarato e a resistere a siffatte iniziative nei  successivi  giudizi
 di  opposizione  all'una  e all'altra sentenza dichiarativa e per altro
 verso  i  presupposti  della  acquisizione  della qualita' di creditore
 concorrente sia nella procedura fallimentare  sia  nella  procedura  di
 amministrazione  straordinaria,  che' la veste di creditore concorsuale
 non puo' identificarsi con la qualita' di creditore concorrente.
     Mentre la diversa oggettivita' degli accertamenti che il tribunale,
 a seconda che sia chiamato ad applicare l'art. 5 l. fall. ovvero l'art.
 4 d.l. 26/1979, e' chiamato ad effettuare, non ha bisogno  di  commento
 per   risultare  dalla  lettera  delle  due  disposizioni,  la  diversa
 soggettivita' per un verso di coloro che possono assumere  la  qualita'
 di parte nelle due procedure camerali e nei due consecutivi processi di
 opposizione  e  per altro verso dei creditori destinatari degli effetti
 delle due sentenze dichiarative una volta rese in camera di  consiglio,
 emerge  dagli  artt. 6 l. fall. e 4 d.l.  26/1979 e dalle normative che
 nell'una  e  nell'altra   procedura   (fallimento   e   amministrazione
 straordinaria) attribuiscono la qualita' di creditori concorrenti.
     Invero,  gli  artt.  6 e 4 hanno in comune la iniziativa ufficiosa,
 ma, mentre l'art. 6 le affianca la richiesta del debitore,  il  ricorso
 di uno o piu' creditori e l'istanza del pubblico ministero, l'art. 4 fa
 verbo di "qualunque interessato"; correlativamente, mentre l'art. 18 l.
 fall.      attribuisce   al  debitore  e  a  qualsiasi  interessato  la
 legittimazione attiva all'opposizione alla sentenza di fallimento e  la
 legittimazione   passiva  a  resistere  alla  proposta  opposizione  al
 curatore e al creditore richiedente, l'art. 195 comma quarto l.  fall.,
 richiamato  dall'art.  4,  riserva la legittimazione attiva a qualunque
 interessato e la legittimazione passiva al solo commissario liquidatore
 o straordinario. Orbene la ragione della specifica  considerazione  dei
 creditori  nel  quadro  della  iniziativa  intesa alla dichiarazione di
 fallimento e non anche dell'iniziativa  diretta  alla  conversione  del
 gia'    dichiarato   fallimento   in   procedura   di   amministrazione
 straordinaria e del creditore che  presento'  istanza  dichiarativa  di
 fallimento poi accolta, quale passivamente legittimato a resistere alla
 opposizione alla sentenza di fallimento, e non anche di quel creditore,
 che,  emergendo  dalla  anonima  folla  degli interessati, presento' la
 istanza di conversione, e' da ricercare in cio' che ne' l'art.  4  d.l.
 26/1979  ne'  l'art.   195 l. fall. richiamano l'art. 21 comma terzo l.
 fall. che pone le spese della procedura e  il  compenso  del  curatore,
 nell'ipotesi  di  revoca  della  sentenza  di  fallimento, a carico del
 creditore istante condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione
 di fallimento con colpa.
     9. - V'e'  di  piu':  se  e'  da  reputare,  come  in  effetti  e',
 elementare   la  distinzione  tra  creditore  concorsuale  e  creditore
 concorrente, e' sin troppo palese che la maggiore  pericolosita'  della
 procedura  di  amministrazione straordinaria rispetto al fallimento per
 la soddisfazione delle ragioni dei creditori, studiosamente evidenziata
 nella ordinanza di  rimessione  -  dato  e  non  concesso  che  rivesta
 carattere  di  assoluta generalita' - coinvolge i creditori concorrenti
 (e cioe' ammessi al passivo) e non quei creditori concorsuali che,  per
 assumere  l'iniziativa  della  dichiarazione di fallimento del debitore
 ovvero della conversione  del  fallimento  gia'  dichiarato,  non  sono
 illico et immediate ammessi al passivo ne' quindi indossano le vesti di
 creditori concorrenti.
     Ne'  a contraria conclusione conduce la rubrica dell'art. 4 perche'
 il vocabolo "conversione" non vi e' utilizzato nel senso,  che  gli  e'
 proprio   negli   artt.   607,  1424  e  2701  c.c.  e  nella  dottrina
 amministrativistica, di operazione intesa ad utilizzare, in virtu'  del
 principio di conservazione, requisiti che, sufficienti a dar vita ad un
 atto,  sono  inidonei  a  conferire  validita'  ad  altro  atto  di cui
 difettano in concreto  gli  altri  requisiti  (il  testamento  olografo
 rispetto  al testamento segreto, la scrittura privata rispetto all'atto
 pubblico, ecc.); difettano invero, nella  relazione  tra  fallimento  e
 amministrazione  straordinaria,  la  parziale  identita' di elementi e,
 soprattutto,  il  minor  numero  di  requisiti   nella   procedura   di
 amministrazione  straordinaria rispetto al fallimento che consentano di
 ravvisare nella prima il contenuto e nel secondo il contenente.
     10. - In sintesi, le diverse  obiettivita'  e  subiettivita'  degli
 elementi  propri  del  fallimento e della conversione non consentono di
 fonderli in un unico giudizio e di ravvisarvi stati e, in ancor  minore
 misura,  gradi  di  questo,  e  pertanto  manca  la  base  di razionale
 applicabilita' dell'art. 24 comma  secondo  Cost.,  per  il  quale  "la
 difesa  e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".
 La  veste  di  creditori  istanti  nella  procedura   dichiarativa   di
 fallimento non giustifica una sorta di perpetuatio legitimationis nella
 fase  consiliare  della  procedura  di  conversione del gia' dichiarato
 fallimento  in   amministrazione   straordinaria   e,   pertanto,   non
 costituisce utile precedente la sent.  141/1970 della Corte.