ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 54, comma
 primo, della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
 penitenziario  e  sulla  esecuzione delle misure privative e limitative
 della liberta'), promosso con ordinanza emessa il 24 agosto 1976  dalla
 Sezione di sorveglianza di Roma, nel procedimento per riduzione di pena
 relativo  a  Ben  Saad Salah, iscritta al n. 709 del registro ordinanze
 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del  5
 gennaio 1977.
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
     udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1983 il  Giudice  relatore
 Giovanni Conso;
    udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Ben  Saad  Salah,  detenuto  nella  casa circondariale di Velletri,
 rivolgeva istanza alla Sezione di sorveglianza di Roma per ottenere  il
 beneficio  della  liberazione anticipata ai sensi dell'art. 54 legge 26
 luglio 1975, n. 354, in relazione a due condanne, entrambe  inflittegli
 dal  Tribunale  di  Roma,  la  prima,  l'11  aprile 1973, a sei mesi di
 reclusione per un furto commesso il giorno 6 dello stesso  mese,  e  la
 seconda,  il  18  giugno  1973,  ad  un anno di reclusione per un furto
 commesso il 13 giugno dello stesso anno.
      La Sezione - premesso che per la  seconda  condanna  la  richiesta
 riduzione  di  pena  non  avrebbe  potuto essere concessa a causa della
 preclusione di cui al combinato disposto degli artt. 47, secondo comma,
 e 54, ultimo comma, mentre per la prima, pur non trovando  applicazione
 le  indicate  disposizioni  limitative (il detenuto Ben Saad Salah era,
 infatti, al momento in cui gli fu inflitta la condanna a  sei  mesi  di
 reclusione  ancora  incensurato),  ostava  alla  liberazione anticipata
 dell'istante la prescrizione contenuta nell'art. 54, primo comma, della
 legge n.   354 del 1975, secondo cui  in  tanto  si  puo'  ottenere  la
 riduzione  di  giorni  venti  di  pena  detentiva in quanto si sia gia'
 espiato un intero semestre della pena medesima - ha sollevato questione
 di legittimita' di tale disposizione della legge n. 354  del  1975,  in
 riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  nella  parte in cui non
 prevede che la riduzione di giorni venti  per  ogni  semestre  di  pena
 detentiva  espiata sia frazionabile proporzionalmente all'espiazione di
 pene detentive di entita' inferiore al semestre.
     Rileva il giudice a quo che la norma impugnata, con il sancire  che
 la  riduzione  di  giorni venti si applica per ciascun semestre di pena
 detentiva "espiata", qualifica il rapporto "giorni  venti  -  semestre"
 come  un'unita'  di  misura  indivisibile: pertanto, "dalla conseguente
 impossibilita'   di   frazionare   la   riduzione   di   giorni   venti
 proporzionalmente  a pene detentive di durata inferiore al semestre (ad
 esempio: dieci giorni per ogni trimestre)" deriverebbe "una  disparita'
 di  trattamento  fra i detenuti a seconda che l'entita' della pena loro
 inflitta coincida o meno con l'unita' di misura del semestre (aumentato
 di giorni venti) o dei suoi  multipli".  Ne  conseguirebbe  allora  che
 colui  che  e' stato, come nella specie, condannato alla pena detentiva
 di sei mesi "non puo' beneficiare di nemmeno un  giorno  di  riduzione,
 laddove  chi  abbia  subito una condanna a sei mesi e venti giorni puo'
 interamente usufruire dei venti giorni di liberazione anticipata".
    Tale disparita' di trattamento, che non si verificherebbe  nel  caso
 in cui la riduzione di venti giorni fosse proporzionalmente riducibile,
 contrasterebbe  con  il  principio di eguaglianza e non potrebbe essere
 ricollegata nemmeno alla "discriminazione" di cui al combinato disposto
 degli artt. 47, secondo comma, e 54, ultimo comma, della legge  n.  354
 del 1975.
     L'ordinanza,   ritualmente   comunicata   e  notificata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1977.
     E'  intervenuta  la   Presidenza   del   Consiglio   dei   ministri
 rappresentata  e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo
 che la questione  venga  dichiarata  non  rilevante  o,  comunque,  non
 fondata.
     L'irrilevanza deriverebbe dal fatto che, non risultando il Ben Saad
 Salah, al momento della presentazione dell'istanza volta ad ottenere la
 liberazione  anticipata, detenuto per cause diverse da quelle derivanti
 dalle due sentenze di condanna, "potrebbe  presumersi  che,  quando  la
 questione  di  costituzionalita' sara' decisa, l'interessato avra' gia'
 espiato anche i venti giorni di pena, in  relazione  ai  quali  avrebbe
 potuto,  in  denegata  ipotesi,  fruire del beneficio della liberazione
 anticipata".
     La non  fondatezza  della  questione  sarebbe  evidente  stante  la
 diversita'  delle  situazioni  poste  a confronto (quella "di chi abbia
 espiato almeno un semestre di pena" e quella  "di  chi  ha  espiato  un
 periodo  inferiore").  Infatti,  la  fissazione di un periodo minimo di
 espiazione della pena, come requisito discrezionalmente  stabilito  dal
 legislatore,   ai   fini   della  concedibilita'  del  beneficio  della
 liberazione anticipata,  non  apparirebbe  arbitraria  e  irragionevole
 perche' si armonizzerebbe con la "necessita' di valutare in concreto se
 il   condannato   abbia   effettivamente   dato  prova  di  quella  sua
 partecipazione all'opera di rieducazione"  prevista  dalla  legge  come
 presupposto  per la concessione del beneficio: per una tale valutazione
 occorre poter fare riferimento ad un certo  periodo  di  tempo  la  cui
 misura sarebbe stata discrezionalmente determinata dal legislatore. Non
 corrisponderebbe, invece, alla ratio legis l'adozione di un criterio di
 proporzionalita'  che escludesse - come vuole l'ordinanza di rimessione
 - tale concreta valutazione, introducendo, nel sistema, un criterio  di
 sostanziale automaticita' nella concessione del beneficio.
                         Considerato in diritto:
     1.   -   L'ordinanza   di   rimessione  dubita  della  legittimita'
 costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art.  54,  primo
 comma,  legge  26  luglio 1975, n. 354, "nella parte in cui non prevede
 che la riduzione di giorni venti per ogni semestre  di  pena  detentiva
 espiata  sia  frazionabile  proporzionalmente  all'espiazione  di  pene
 detentive di entita' inferiore (rectius, non superiore)  al  semestre".
 Ed  invero,  il  comma  in  esame, consentendo una riduzione di pena di
 venti giorni "per ciascun semestre di pena  detentiva  scontata",  pone
 come  unita'  di misura indivisibile e, quindi, come termine minimo per
 la concedibilita' del beneficio denominato dal legislatore "liberazione
 anticipata" i  sei  mesi  di  pena  detentiva.  Nessuna  riduzione  e',
 pertanto,  consentita nell'ipotesi di condanna ad una pena detentiva di
 mesi sei, quale, appunto, in discussione nel caso di specie.
    2. - Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, la questione dedotta non
 sarebbe rilevante, dovendo "presumersi" che,  data  la  brevita'  della
 pena  residua  a  carico  del  detenuto Ben Saad Salah, la decisione di
 questa Corte potrebbe comunque intervenire soltanto  dopo  la  completa
 espiazione della pena.
    L'eccezione  e'  infondata. Anche a prescindere dalla considerazione
 che una semplice presunzione non e' sufficiente  a  precludere  l'esame
 del   merito  (tanto  piu'  che,  pur  quando  non  risulti  agli  atti
 l'esistenza di  un'altra  causa  di  detenzione  in  capo  allo  stesso
 detenuto, non puo' mai escludersi l'eventualita' che una nuova causa di
 detenzione  sopravvenga  entro  l'ultimo  giorno  della carcerazione in
 corso), appare decisivo il principio,  gia'  piu'  volte  applicato  da
 questa   Corte,  secondo  cui  "la  pregiudizialita'  necessaria  della
 questione di costituzionalita' rispetto alla decisione del  giudizio  a
 quo  va  intesa  considerando  tale  decisione  come  conclusiva  di un
 itinerario logico ciascuno dei cui passaggi necessari puo' dar luogo ad
 un incidente di costituzionalita', ogni  qualvolta  il  giudice  dubita
 della  legittimita' costituzionale delle disposizioni normative che, in
 quel momento, e' chiamato ad  applicare  per  la  prosecuzione  e/o  la
 definizione  del  giudizio.  La  prospettata  "irrilevanza  di  fatto e
 sopravvenuta" della questione di legittimita' costituzionale, anche  se
 conoscibile a priori, non implica, pertanto, che la questione non debba
 essere  presa  in  esame" (v. sent. n. 53 del 1982, nonche' sent. n. 16
 del 1982 e, sia pur implicitamente ma non meno chiaramente, sent. n. 25
 del 1979, quest'ultima con riguardo ad una  situazione  contingente  in
 materia di carcerazione preventiva).
     Piuttosto,  le  esigenze  sottostanti  alla  rilevanza impongono di
 prendere  in  considerazione  la   norma   denunciata   con   specifico
 riferimento all'impossibilita' di concedere la liberazione anticipata a
 chi  sia  stato  condannato  ad  una pena detentiva non superiore a sei
 mesi.
     3. - Nel merito la questione non e' fondata.
     La lamentata differenza di trattamento che discende dall'art.   54,
 primo  comma, della legge n. 354 del 1975, nel senso che "chi ha subito
 una condanna a mesi sei di  pena  detentiva  non  puo'  beneficiare  di
 neanche un giorno di riduzione, laddove chi abbia subito una condanna a
 sei  mesi e venti giorni puo' interamente usufruire dei venti giorni di
 liberazione anticipata", non e' contestabile  (sempreche',  ovviamente,
 nel  secondo  caso  si possa decidere alla scadenza del sesto mese), ma
 cio'  non  basta  a  far  ritenere  violato l'art. 3 Cost. A tale scopo
 occorre  che  la  disparita'  di  trattamento  si   riveli   priva   di
 razionalita'  e coerenza, cosi' da comportare un addebito in termini di
 arbitrarieta' alla sottostante scelta legislativa.
     Per il giudice a quo  l'irrazionalita'  e  l'incoerenza,  e  quindi
 l'arbitrarieta',  sarebbero  insite  nel  fatto  che, stando al dettato
 originario dell'art. 54 della legge n. 354 del 1975, la  disparita'  in
 discussione   non   poteva  "essere  ricollegata  alla  discriminazione
 prevista dal combinato disposto degli artt. 47, secondo comma,  e  54",
 quinto   comma,   di   tale  legge,  in  quanto  "la  preclusione  alla
 concedibilita'  del beneficio della riduzione della pena nei  confronti
 dei  recidivi  specifici  e  dei responsabili di delitti di particolare
 gravita'" trovava "fondamento in particolari  esigenze  di  prevenzione
 generale  e  di  difesa  sociale  che non sono invece rinvenibili nella
 ratio ispiratrice  di  cui  al  primo  comma  dell  'art.  54  che,  al
 contrario,  prevede  un  trattamento  piu'  sfavorevole  proprio  per i
 condannati a pene piu' brevi". Ma tale fatto non implica  di  per  se',
 l'irrazionalita'  e l'incoerenza, ne' quindi l'arbitrarieta', di questo
 "trattamento piu' sfavorevole per i condannati a pene piu' brevi",  non
 solo  e  non  tanto  perche'  la preclusione nei confronti dei recidivi
 specifici e dei responsabili di  delitti  di  particolare  gravita'  e'
 venuta meno in forza dell'art. 5 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, che
 ha  abrogato  il  quinto  comma  dell'art.  54,  ma anche e soprattutto
 perche' la ratio dell'esclusione dei condannati a  pene  detentive  non
 superiori  a  sei mesi dal beneficio della liberazione anticipata, data
 la sua fisonomia, andava, e va, ricercata e valutata autonomamente, non
 certo in parallelo con altre eventuali cause di esclusione.
    Come bene osserva l'Avvocatura dello  Stato,  la  fissazione  di  un
 periodo   minimo  di  espiazione  della  pena  e,  in  particolare,  la
 fissazione di tale periodo nella misura  di  sei  mesi  ai  fini  della
 concedibilita'  del  beneficio  della liberazione anticipata non appare
 priva di razionalita' e di coerenza, cosi' da risultare non arbitraria,
 sol che la si ponga in  correlazione  alla  ratio  ispiratrice  che  ha
 portato  all'introduzione  nel  nostro  sistema dell'istituto di cui si
 discute.  Contribuisce,   anzi,   a   rafforzare   tale   convincimento
 l'ulteriore,   non   meno   necessaria,   considerazione  dei  rapporti
 intercorrenti  tra  la  liberazione  anticipata  e  le   altre   misure
 alternative  alla detenzione (in special modo, la semiliberta'), per la
 prima volta previste dalla stessa legge n. 354 del 1975, in un  sistema
 dai cui intenti di organicita' non si puo' ovviamente prescindere.
    4.  -  La  ratio  ispiratrice  della  liberazione  anticipata emerge
 direttamente dal dettato stesso dell'art. 54, primo comma, della  legge
 n.  354  del 1975, nella parte che individua i criteri per la riduzione
 della pena. Si tratta di un beneficio  che,  nel  perseguire  "un  piu'
 efficace   reinserimento"   del  condannato  a  pena  detentiva  "nella
 societa'", richiede quale presupposto per la  sua  concessione  che  il
 condannato   "abbia   dato   prova   di   partecipazione  all'opera  di
 rieducazione". Perche' si possa valutare in concreto se  il  condannato
 abbia  effettivamente dato prova di tale partecipazione, il legislatore
 ritiene indispensabile il riferimento ad un periodo di tempo avente una
 certa consistenza: periodo determinato, appunto, nella misura di almeno
 un semestre.
    Prima ancora di qualsiasi considerazione sulla coerenza o meno di un
 tale  limite,  sarebbe  facile dedurre dall'esigenza appena evidenziata
 l'incoerenza  del  criterio  di   mera   proporzionalita'   prospettato
 dall'ordinanza di rimessione:  infatti, di fronte a pene brevissime (la
 reclusione  parte  da  un  minimo  di  quindici giorni, l'arresto da un
 minimo di cinque), questa proporzionalita', frazionando la riduzione di
 venti giorni per semestre secondo il parametro di un giorno  ogni  nove
 di  detenzione,  finirebbe  con il prescindere da un'effettiva verifica
 della partecipazione del condannato all'opera di rieducazione.
    Quanto al limite di sei mesi, si potrebbero richiamare  le  numerose
 sentenze  della  Corte di cassazione che dalla necessita' di un congruo
 termine di osservazione hanno tratto  l'ulteriore  conseguenza  che  il
 giudizio  sulla partecipazione del condannato all'opera di rieducazione
 dovrebbe  essere  unitario  proprio  per   usufruire   della   maggiore
 estensione  di  tempo  possibile  ai  fini  di un'appropriata decisione
 sull'istanza di liberazione anticipata. Ma il fatto che tale tesi abbia
 suscitato  e  susciti  forti  dissensi  e  che,  comunque,  essa  venga
 enunciata  con  riferimento  a  periodi  di detenzione plurisemestrali,
 lontani, quindi, dalla situazione in oggetto,  induce  questa  Corte  a
 soffermarsi,  piuttosto,  sul  non  contestabile rilievo che un periodo
 minimo di sei mesi trascorso in detenzione e' di  consistenza  tale  da
 dare credibilita' al comportamento avuto dal condannato nel corso della
 detenzione stessa.
     5.  -  A scongiurare l'impressione che, pur a tutto concedere sotto
 il profilo  dei  presupposti  e  delle  condizioni  per  l'applicazione
 dell'istituto,  il trattamento riservato ai condannati a pene detentive
 non superiori a sei mesi sarebbe comunque deteriore rispetto  a  quello
 dei  condannati  a  pene  piu' gravi, consentendosi ai secondi e non ai
 primi di usufruire di un beneficio di tangibile portata (non per  nulla
 il  giudice  a  quo  si  sofferma  sulla  virtuale equiparazione che si
 verrebbe a determinare tra un condannato a sei mesi ed un condannato  a
 sei  mesi  piu'  venti  giorni  cui  sia  stata concessa la liberazione
 anticipata), contribuisce in modo decisivo una visione non  settoriale,
 ma  globale,  del capitolo dedicato dall'ordinamento penitenziario alle
 misure alternative alla detenzione.
     Contrario a qualsiasi forma di generalizzazione, anche per coerenza
 alla logica del trattamento  individualizzato,  scelto  come  base  del
 sistema,  il  legislatore  del 1975, nel regolare le misure alternative
 alla detenzione, opera non una,  ma  parecchie  distinzioni  a  seconda
 dell'entita'  delle  pene inflitte.   I condannati a pene detentive non
 superiori a sei mesi, esclusi  dalla  liberazione  anticipata,  trovano
 specifica,  apposita  considerazione,  cosi'  da veder controbilanciata
 quell'esclusione, nell'art. 50, primo comma, della  legge  n.  354  del
 1975,   che  prevede  l'ammissione  facoltativa  alla  semiliberta'  in
 relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento,  sempreche',
 non   sia   disposto   per   essi   l'ancor   piu'   favorevole  regime
 dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,   peraltro   sempre
 possibile  quando la pena non superi i due anni e sei mesi ovvero i tre
 anni per i minori degli anni ventuno e gli ultrasettantenni.
     In un'ottica similare, le pene detentive brevi  fruiscono ora anche
 della possibilita' che al loro posto il giudice applichi  una  sanzione
 sostitutiva,  ai  sensi  della  legge  24  novembre  1981, n. 689. Piu'
 specificamente, una pena detentiva che rientri "entro il limite di  sei
 mesi"  puo' essere sostituita con la semidetenzione; una pena detentiva
 che rientri "entro il limite di tre mesi" puo' essere sostituita  anche
 con  la  liberta' controllata; una pena detentiva che rientri "entro il
 limite di un mese"    puo'  essere  altresi'  sostituita  con  la  pena
 pecuniaria della specie corrispondente.
     Se   ne  puo'  concludere  che,  prima  ancora  e  piu'  ancora  di
 prospettarsi   la   possibilita'   di   una   liberazione   anticipata,
 l'ordinamento  tende  a sottrarre alla detenzione in senso tradizionale
 chi sia stato condannato ad una pena detentiva che  non  superi  i  sei
 mesi.