ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282 (sul gratuito patrocinio) promosso con ordinanza emessa il 10 febbraio 1976 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra Saldarini Ugo e il Consiglio degli Orfanotrofi e Pio Albergo Trivulzio di Milano, iscritta al n. 469 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976. Visti l'atto di costituzione del Consiglio degli Orfanotrofi e Pio Albergo Trivulzio di Milano e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1982 il Giudice relatore Alberto Malagugini; udito l'avvocato dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto: 1. - Con atto notificato il 4 maggio 1965 Saldarini Ugo, ammesso al gratuito patrocinio, citava davanti al Tribunale di Milano i beneficiari delle disposizioni testamentarie della sua defunta sorella Giuseppina Vittoria, deducendone l'invalidita' per incapacita' d'intendere e di volere di costei. Ai fini del relativo accertamento, veniva tra l'altro disposta, in istruttoria, una consulenza tecnica; ed in relazione a questa il Saldarini eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282 (legge sul gratuito patrocinio) in relazione agli artt. 61, 87, 194 e 201 c.p.c., per contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto non prevede "la possibilita' di prenotazione a debito della spesa occorrente per il consulente di parte e, di conseguenza, menoma il diritto di difesa del non abbiente". Tale eccezione veniva dichiarata manifestamente infondata sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello di Milano, i quali, nel merito, rigettavano la domanda. La Corte di Cassazione invece, cui la questione veniva riproposta nei motivi di ricorso, la riteneva rilevante e non manifestamente infondata. Piu' precisamente, con l'ordinanza di rimessione pronunciata il 10 febbraio 1976 la Corte dubitava, in riferimento agli artt. 24 e 3 Cost., della costituzionalita' del citato art. 11 R.D. n. 3282/1923, "per la parte in cui, nel disciplinare gli effetti dell'ammissione al gratuito patrocinio, non prevede la possibilita' di nomina di un consulente di parte che, al pari del consulente d'ufficio, presti la sua opera gratuitamente (tenuto conto del concreto sistema attuato col R.D. in esame), con possibilita', per le spese effettivamente sostenute dal consulente, di anticipazione da parte dello Stato". La rilevanza della questione, ad avviso della Corte rimettente, discendeva dall'ammissione (e valorizzazione delle risultanze) della consulenza tecnica d'ufficio ai fini dell'affermazione della capacita' d'intendere e di volere della testatrice; nonche' dalla deduzione, da parte dell'attore, della nullita' di tale mezzo istruttorio, per la violazione del principio del contraddittorio conseguente al non essersi egli potuto avvalere, a differenza dei convenuti, della opera di un consulente di parte. Nel merito, la Corte - rilevato che il consulente di parte e' figura non contemplata dall'ordinamento processuale vigente al tempo dell'emanazione del R.D. del 1923, e che nell'attuale ordinamento la sua nomina e' rimessa alla libera determinazione della parte (art. 201 c.p.c.) - escludeva innanzitutto che tale nomina, in mancanza di una norma espressa, possa costituire titolo sia per la imposizione a terzi, estranei al processo, dell'obbligo di prestazione gratuita della propria opera, sia per l'anticipazione da parte dello Stato delle spese occorrenti per l'esecuzione dell'incarico. Nel sistema del R.D. del 1923, infatti, le prestazioni gratuite e le anticipazioni di spese ivi previste presuppongono, tutte, il carattere pubblico della funzione esercitata nel processo: carattere "che, nei riguardi dei difensori e dei periti (corrispondenti, nell'odierno processo civile, ai consulenti tecnici d'ufficio) si collega all'esistenza di un formale atto di nomina da parte di un organo pubblico (le apposite commissioni, per i difensori, e il giudice per i consulenti tecnici)". Alla nomina del consulente di parte non potrebbero d'altra parte provvedere - ad avviso della Corte - ne' le attuali commissioni per il gratuito patrocinio ne' il giudice della causa. Non le prime, giacche' esse in tanto nominano il difensore in quanto ad avvocati e procuratori incombe l'obbligo del patrocinio gratuito (art. 1 R.D. cit.); e d'altra parte la loro composizione - che comprende, oltre a magistrati, solo un rappresentante dell'ordine forense - le rende inidonee sia ad imporre l'obbligo di prestazione gratuita ad estranei a tale ordine, sia a conferire gli incarichi con la necessaria competenza tecnica. Non il secondo, essendo il potere di nomina razionalmente attribuito alla parte in funzione di salvaguardia di una reale dialettica di posizioni. Cio' premesso, la Corte osservava che la garanzia dei mezzi di azione e di difesa apprestata per i non abbienti dall'art. 24, terzo comma, Cost. costituisce applicazione nel campo particolare del processo - in cui vige la regola dell'inviolabilita' della difesa (art. 24, secondo comma) - del generale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; e che l'assoluta uguaglianza delle parti, in relazione alle facolta' processuali esercitabili per la tutela dei propri interessi, e' l'essenza del contraddittorio, cardine del processo moderno. I suddetti principi costituzionali sarebbero percio' violati dalla mancata previsione della possibilita' di nomina di un consulente di parte, in quanto essa costituisce una grave menomazione del diritto di difesa del non abbiente rispetto alla controparte. A conforto di tali considerazioni, la Corte richiamava infine le modifiche apportate all'istituto del gratuito patrocinio, per le sole controversie di lavoro, con la legge 11 agosto 1973, n. 533: osservando, in particolare, che l'innovazione consistente nel porre a carico dell'erario le spese non solo dei difensori, ma anche dei consulenti di parte appare suggerita dall'intento di colmare una lacuna di ordine costituzionale della preesistente normativa. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 239 dell'8 settembre 1976. 2. - Intervenendo nel giudizio cosi' instaurato, l'Avvocatura dello Stato chiedeva che la questione fosse dichiarata infondata alla stregua di quanto ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo con le sentenze n. 35 e n. 58 del 1973) secondo cui ""le norme in esame non violano l'art. 24 in relazione all'art. 3 Cost. dal momento che l'istituto del gratuito patrocinio ed il complesso delle norme vigenti dirette ad assicurare la difesa dei non abbienti, costituiscono "mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione ", compresi nella espressione " appositi istituti " adoperata dal costituente", e che "l'opinione che un diverso ordinamento del servizio potrebbe corrispondere meglio alle finalita' previste dall'art. 24 Cost. non puo' portare alla conseguenza della incostituzionalita' dei mezzi ora esistenti e che a quella finalita' sono ugualmente diretti"". E' poi da escludere, secondo l'Avvocatura, che il trattamento provvisoriamente differenziato previsto rispetto ai consulenti di parte per le sole controversie di lavoro (art. 14 l. 533/1973) costituisca violazione del principio d'uguaglianza. "Esso trova difatti piena giustificazione, da un lato, nella particolarita' della materia relativa alle controversie di lavoro, la quale costituisce un ordinamento speciale che comporta ben piu' incisive eccezioni alla disciplina dell'ordinario contenzioso civile, e, da un altro lato, nel rilievo che, se la estensione delle antiche norme sul gratuito patrocinio nelle sole controversie di lavoro comporta per lo stato un onere finanziario di 1.000 milioni l'anno (art. 16 della legge n. 533 del 1973), del tutto giustificato e' che ogni ulteriore e generale estensione dei benefici in parola sia attuata gradualmente e in relazione alle effettive disponibilita' finanziarie del bilancio dello Stato". 3. - Nel giudizio interveniva anche il Consiglio degli Orfanotrofi e Pio Albergo Trivulzio di Milano, convenuto nel procedimento a quo quale rappresentante dell'Orfanotrofio Maschile detto dei Martinitt, cui era stato dalla testatrice legato ogni suo diritto su un appartamento di cui era assegnataria quale socio di una cooperativa edilizia. Nell'atto di intervento veniva innanzitutto contestata la rilevanza della questione di costituzionalita', sul rilievo che nel giudizio di merito, tanto in primo grado che in appello, la capacita' d'intendere e di volere della testatrice era stata ritenuta sussistente essenzialmente sulla base di prove documentali e testimoniali, mentre la consulenza tecnico - medica aveva avuto in proposito valore "di mero contorno e di semplice conferma". Nel merito, poi, lo interveniente richiamava integralmente la motivazione dell'ordinanza con cui il Tribunale di Milano, in esito al giudizio di primo grado, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione, ritenendo che, in base ad una corretta interpretazione della normativa di cui al R.D. n. 3282/1923, "ben avrebbe potuto l'attore ammesso al gratuito patrocinio richiedere ed ottenere la nomina di un consulente di parte officioso". Il Tribunale aveva al riguardo rilevato che "all'epoca di emanazione della legge sul gratuito patrocinio (1923) e secondo il sistema processuale allora vigente (di cui al Codice di rito approvato con R.D. 25 giugno 1865 n. 2376) non era previsto il consulente di parte per le ipotesi in cui nel giudizio si ricorresse al parere di uno o piu' periti (art. 252/270); d'altro canto, pero', il perito o i periti potevano essere concordemente nominati dalle parti e, soltanto quando le parti stesse non si fossero, in proposito, accordate, essi erano nominati dal Giudice (art. 253). Viceversa, con il nuovo ordinamento instaurato con il Codice di rito del 1940, il consulente tecnico e' sempre nominato dal Giudice e le parti hanno, in tal caso, la facolta' di "farsi assistere da un loro consulente tecnico" (art. 61/87 e 201). In particolare, il disposto del richiamato art. 87 del vigente c.p.c., disponendo testualmente (nel Capo intitolato "dei Difensori") che "la parte puo' farsi assistere da uno o piu' avvocati ed anche da un consulente tecnico nei casi e nei modi stabiliti dal presente codice", ha inequivocabilmente esteso l'ambito del diritto di difesa processuale della parte (fino allora limitato alla difesa legale) anche alla difesa tecnica (consulente tecnico di parte)". Ora - aveva proseguito il Tribunale - la chiara dizione dell'art. 11 R.D. n. 3282/1923 e' che all'ammesso al gratuito patrocinio debba essere assicurata la "difesa gratuita"; e se oggi (a differenza che nel 1923) la "difesa" non e' piu' soltanto "legale" ma anche (entro certi limiti) "tecnica", "appare senz'altro rispondente alla intenzione legislativa una interpretazione della norma che ricomprenda, nella affermata gratuita' della difesa, tutte le estrinsecazioni dei diritti relativi che l'ordinamento vigente attribuisce alle parti (ivi compresa, quindi, la difesa cosi' detta tecnica introdotta dal Codice del 1940)". A tale interpretazione, secondo il Tribunale, non osta ne' la lettera della disposizione - che e' tale da ricomprendere tutte le manifestazioni consentite dal diritto di difesa - ; ne' il fatto che all'epoca della sua emanazione la difesa tecnica non esisteva, data la naturale capacita' delle norme di adeguarsi ai mutamenti ordinamentali automaticamente recependo nel contenuto del comando le variazioni che siano compatibili con la loro ratio. La circostanza, poi, che l'art. 1 ed altre disposizioni del R.D. del 1923 pongano solo a carico dei "difensori" (o, ancora piu' specificamente, degli "avvocati, procuratori e patrocinatori") il dovere di prestare gratuitamente la propria opera non vale ad escludere un analogo dovere dei difensori tecnici. Da un lato, infatti, l'art. 11 n. 3 prevede espressamente tale dovere per i "periti": e per le ragioni ermeneutiche gia' enunciate tale locuzione puo' e deve intendersi come riferita, nell'attuale ordinamento, a tutti i periti (oggi, consulenti) e quindi anche ai consulenti di parte. Dall'altra, se - come gia' detto - la "difesa gratuita" comprende sia quella legale che quella tecnica, analogamente estesa deve ritenersi la qualifica di "difensore" adottata dalla legge. La suesposta interpretazione del Tribunale di Milano, secondo la parte privata, risponde meglio di quella "meramente formalistica" della Corte di Cassazione allo scopo perseguito dal legislatore del 1923. Ma, anche ammesso che l'art. 11 citato davvero non permetta la prenotazione a debito delle spese delle consulenze tecniche di parte, non percio' esso potrebbe essere ritenuto incostituzionale. Secondo quanto precisato da questa stessa Corte Costituzionale, ci si troverebbe infatti di fronte, in tal caso, ad una semplice inadeguatezza della disciplina rispetto ai fini garantiti dalla Costituzione, e quindi all'apprestamento di mezzi insufficenti ad attuarli. Da cio', pero', non potrebbe dedursi un vizio d'incostituzionalita', ma solo "il dovere politico del legislatore di promulgare nuove norme integrative o sostitutive di quelle esistenti" (sentenza 114/64). La caducazione di quelle esistenti che si fondano sulla parzialita' della disciplina, invero, "avrebbe soltanto la conseguenza di togliere di mezzo anche la vigente forma di assistenza" e quindi "rischierebbe intanto di condurre ad un regresso della situazione normativa, riaprendo un vuoto che non sarebbe colmabile in sede di interpretazione" (sentenza n. 1/69). Considerato in diritto: 1. - La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, portante approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio. La disposizione normativa in esame viene censurata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella "parte in cui, nel disciplinare gli effetti della ammissione al gratuito patrocinio, non prevede la possibilita' di nomina di un consulente di parte". La questione, specificata come sopra si e' trascritto nella motivazione dell'ordinanza di rimessione (ivi, n. 3, comma primo), nel dispositivo viene, invece, proposta nei termini seguenti: "questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3282, in relazione agli artt. 24 e 3 Cost.". 2. - Preliminarmente, va disattesa l'eccezione della parte privata costituita nel presente giudizio incidentale, che assume la irrilevanza - e, quindi, l'inammissibilita' - della sollevata questione in base al rilievo che le risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata nel giudizio a quo - pur senza la nomina e la partecipazione del consulente della parte ammessa al gratuito patrocinio - avrebbero avuto un valore non determinante, ma di "mero contorno" rispetto alle risultanze delle prove testimoniali e documentali. Un tale assunto, in quanto attinente al merito della causa e precisamente alla valutazione del materiale probatorio in essa raccolto, non ha pregio nel presente giudizio di costituzionalita', nel quale e' dedotta questione concernente il diritto di difesa, costituzionalmente garantito anche ai non abbienti, che si dubita vulnerato dalla disposizione di legge denunziata, con conseguente "violazione del principio del contraddittorio". 3. - Questa Corte ha ripetutamente sottolineato "la portata generale della categorica affermazione - nell'art. 24 Cost. - del diritto "inviolabile di difesa" ed ha rilevato che, pur se spetta "al legislatore, considerate le peculiarita' strutturali e funzionali ed i diversi interessi in gioco nei vari stadi e gradi del procedimento, dettare le concrete modalita' per l'esercizio del diritto di difesa", esso deve "nelle diverse situazioni processuali" essere "garantito a tutti su un piano di uguaglianza ed in forme idonee" (sent. n. 125 del 1979 cfr. da ultimo sent. n. 188 del 1980). In termini piu' specifici, la Corte ha ritenuto che "il diritto della difesa deve essere inteso come possibilita' effettiva dell'assistenza tecnica e professionale, nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti" (sent. n. 46 del 1957 e n. 59 del 1959). Ora, e' proprio per il carattere "inviolabile" del diritto di difesa, posto anche a garanzia del contraddittorio, che il medesimo art. 24 Cost., al terzo comma, statuisce che "sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione": con cio' intendendo "rimuovere le difficolta' di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa" stesso (sent. n. 46 del 1957 cit.) e cosi' instaurare tra le parti quella, almeno tendenziale, "parita' delle armi" che del contraddittorio medesimo e' connotato essenziale. 4. - I complessi normativi che definiscono gli "appositi istituti" intesi ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio, sono stati ripetutamente sottoposti al vaglio di questa Corte in riferimento a vari parametri costituzionali, tra i quali, ricorrente, quello di cui all'art. 24 Cost.. E la Corte medesima si e' pronunciata per la non fondatezza delle questioni allora dedotte, tutte incentrate sulla ritenuta insufficienza o non efficienza dei mezzi a quel fine apprestati con le disposizioni di legge denunziate, affermando, al proposito, che "la insufficienza o scarsa efficienza di una norma di legge rispetto agli scopi voluti dalla Costituzione, non puo' condurre a riconoscerla senz'altro contraria alla Costituzione, col risultato di far venir meno il poco gia' attuato (sent. n. 97 del 1970, che richiama la sent. n. 114 del 1964; sentt. n. 149 del 1972, n. 35 del 1973 e n. 58 del 1973). La Corte non e' ora chiamata a riconsiderare questa sua precedente affermazione, riferita a censure aventi oggetto e prospettazione diversi rispetto a quella oggi in esame, anche se non puo' esimersi dal rilevare che la constatazione del "poco attuato" assume ad anni di distanza un sapore ancora piu' amaro. 5. - Vero e' che la questione oggi decidenda non ha per oggetto il grado maggiore o minore di sufficienza o di efficienza di uno dei mezzi pur assicurati dalla legge ai non abbienti perche' possano agire o difendersi in giudizio. Al contrario, cio' che si denunzia e' la mancata predisposizione legislativa di un mezzo di assistenza tecnica, che, verificandosi determinati presupposti, appare indispensabile a quel medesimo fine. La Corte di cassazione, cioe', sulla base dell'interpretazione della norma denunziata da essa stessa fornita, ritiene che non sia possibile nominare un consulente della parte ammessa al gratuito patrocinio, ovviamente senza oneri per la parte stessa, e in cio' ravvisa una violazione del diritto di difesa nonche' del principio di uguaglianza di cui l'art. 24, comma terzo, Cost. "costituisce applicazione". "Infatti" prosegue il giudice a quo "l'assoluta uguaglianza delle parti, in relazione alle facolta' processuali che possono essere esercitate per la tutela dei propri diritti costituisce la essenza del contraddittorio, senza del quale cade la stessa nozione di processo in senso moderno". Le argomentazioni svolte a sostegno di una tale esegesi - contrastanti con quelle che, nel medesimo giudizio, hanno indotto il Tribunale, prima, e la Corte di Appello di Milano, dopo, a dichiarare manifestamente infondata la medesima questione di costituzionalita' - sono state richiamate nella premessa narrativa di fatto. La conclusione raggiunta dal giudice a quo - al quale l'ordinamento affida funzioni nomofilattiche - nel senso di escludere che la disposizione di legge denunziata preveda, e quindi consenta, la possibilita' di nomina di un consulente della parte ammessa al patrocinio gratuito, nei casi in cui il giudice disponga un accertamento tecnico, costituisce il presupposto della decisione demandata a questa Corte. 6. - Su questo presupposto e nei termini prospettati la questione e' fondata. E' invero da "ricordare che, secondo un principio affermato dalla Corte fin dalla sentenza n. 46 del 1957 e poi fermamente e costantemente ribadito in numerose, successive occasioni, il diritto di difesa e', in primo luogo, garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico - professionale. Il che e' quanto dire che quel diritto, di regola, e' assicurato nella misura in cui si dara' all'interessato la possibilita' di partecipare ad una effettiva dialettica processuale" (sent. n. 190 del 1970). Queste affermazioni, riferite al difensore, vanno estese al consulente tecnico di parte, il quale - quando si tratti di risolvere nel giudizio problemi di natura tecnica e si faccia percio' luogo alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio - svolge funzioni che, secondo la comune opinione di dottrina e giurisprudenza, sono paragonabili a quelle dell'avvocato, limitatamente al piano tecnico. Cio' del resto, risulta gia' dalle norme processuali che prevedono tale figura e ne disciplinano la facolta' (artt. 87 e 201 c.p.c.; artt. 323 e 324 c.p.p.) ed e' stato riconosciuto da questa medesima Corte quando ha affermato che "l'accertamento tecnico sia nel procedimento civile sia in quello penale ha giuridica rilevanza di difesa, nei limiti segnati dalle regole tecniche che ne costituiscono l'oggetto" (sent. n. 128 del 1979): affermazione, questa, che discende direttamente dall'essere la nomina del consulente tecnico di parte prevista a maggior garanzia della regolarita' del contraddittorio. Ora, che il testo di legge sul gratuito patrocinio approvato col R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282 non contemplasse la nomina del consulente di parte e' facilmente comprensibile, dato che la nomina stessa non era prevista nel sistema processuale allora vigente (di cui al codice di rito approvato con R.D. 25 giugno 1865, n. 2366) per le ipotesi in cui nel giudizio si ricorresse al parere di uno o piu' "periti" (secondo la terminologia allora vigente). In tale sistema, peraltro, la regola era che il perito o i periti fossero concordemente nominati dalle parti, e vi dovesse provvedere il giudice solo quando queste non si fossero in proposito accordate (art. 253). Ben diverso e', invece, il sistema instaurato con il codice processuale del 1940, nel quale il consulente tecnico d'ufficio e' sempre nominato dal giudice ed e' data facolta' alle parti, in tal caso, di "farsi assistere... da un consulente tecnico" (artt. 61, 87 e 201). Nell'ambito di tale sistema, la mancata previsione della facolta' di nomina di un proprio consulente tecnico da parte del soggetto ammesso al gratuito patrocinio - ovviamente, nel caso in cui si faccia luogo nel giudizio alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio - non e' piu' giustificabile. Essa, infatti, costituisce un'evidente limitazione del diritto di difesa del non abbiente, che ne menoma la possibilita' di efficacemente contraddire quando nel giudizio si controverta su questioni di natura tecnica. Del resto, che nel vigente ordinamento sia in generale riconosciuto, anche alla parte ammessa al gratuito patrocinio, il diritto di avvalersi dell'opera del consulente tecnico di parte, quando ne e' consentita la presenza, risulta positivamente dalle specifiche norme dettate in altri settori dell'ordinamento medesimo. Cosi', riconosciuta dal codice di procedura penale del 1930 (art. 323) la facolta' delle parti private di nominare consulenti tecnici, con le facolta' ivi previste (artt. 324 e 325 c.p.p.) apposita disposizione di attuazione del codice medesimo (art. 3, comma secondo, del R. D. 28 maggio 1931, n. 602) ha esteso il beneficio del gratuito patrocinio alla facolta' per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici (cfr. anche artt. 4-6 R. D. 24 luglio 1931, n. 1071 - norme di coordinamento delle tariffe in materia penale con quelle dei due nuovi codice penale e di procedura penale). Ed allo stesso modo ha disposto - all'art. 14, secondo comma - la legge sul processo del lavoro (l. 11 agosto 1973, n. 533) nel dettare, per tale settore, la nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato. La questione e' dunque fondata, in riferimento all'art. 24 Cost.. La dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11 del R. D. n. 3282 del 1923 non puo', pero', che essere parziale, in quanto riferibile soltanto a quella parte della norma denunziata che ha rilevanza nel giudizio a quo.