ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11  del  r.d.
 30  dicembre  1923,  n.  3282  (sul  gratuito  patrocinio) promosso con
 ordinanza emessa il 10 febbraio 1976  dalla  Corte  di  cassazione  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Saldarini Ugo e il Consiglio degli
 Orfanotrofi  e  Pio Albergo Trivulzio di Milano, iscritta al n. 469 del
 registro ordinanze 1976 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976.
     Visti  l'atto di costituzione del Consiglio degli Orfanotrofi e Pio
 Albergo Trivulzio di Milano e l'atto di intervento del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
     udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1982 il Giudice relatore
 Alberto Malagugini;
     udito  l'avvocato  dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con atto notificato il 4 maggio 1965 Saldarini Ugo, ammesso al
 gratuito  patrocinio,  citava  davanti  al  Tribunale   di   Milano   i
 beneficiari  delle disposizioni testamentarie della sua defunta sorella
 Giuseppina  Vittoria,   deducendone   l'invalidita'   per   incapacita'
 d'intendere e di volere di costei.
      Ai fini del relativo accertamento, veniva tra l'altro disposta, in
 istruttoria,  una  consulenza  tecnica;  ed  in  relazione  a questa il
 Saldarini eccepiva l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  11  del
 R.D.  30  dicembre  1923,  n.  3282  (legge sul gratuito patrocinio) in
 relazione agli artt. 61, 87, 194 e 201 c.p.c., per contrasto con l'art.
 24 Cost., in quanto non prevede  "la  possibilita'  di  prenotazione  a
 debito  della  spesa  occorrente  per  il  consulente  di  parte  e, di
 conseguenza, menoma il diritto di difesa del non abbiente".
     Tale eccezione veniva dichiarata manifestamente infondata  sia  dal
 Tribunale  che  dalla  Corte  d'Appello di Milano, i quali, nel merito,
 rigettavano la domanda. La Corte di Cassazione invece, cui la questione
 veniva riproposta nei motivi di ricorso, la riteneva  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata.    Piu'  precisamente,  con  l'ordinanza  di
 rimessione pronunciata il  10  febbraio  1976  la  Corte  dubitava,  in
 riferimento agli artt. 24 e 3 Cost., della costituzionalita' del citato
 art.  11  R.D. n. 3282/1923, "per la parte in cui, nel disciplinare gli
 effetti  dell'ammissione  al  gratuito  patrocinio,  non   prevede   la
 possibilita'  di  nomina  di  un  consulente  di parte che, al pari del
 consulente d'ufficio, presti la sua opera gratuitamente  (tenuto  conto
 del  concreto sistema attuato col R.D. in esame), con possibilita', per
 le spese effettivamente sostenute dal consulente, di  anticipazione  da
 parte dello Stato".
     La  rilevanza  della  questione,  ad avviso della Corte rimettente,
 discendeva dall'ammissione (e valorizzazione  delle  risultanze)  della
 consulenza  tecnica d'ufficio ai fini dell'affermazione della capacita'
 d'intendere e di volere della testatrice; nonche' dalla  deduzione,  da
 parte  dell'attore,  della  nullita'  di tale mezzo istruttorio, per la
 violazione del principio del contraddittorio conseguente al non essersi
 egli potuto avvalere, a differenza dei convenuti,  della  opera  di  un
 consulente di parte.
     Nel  merito,  la  Corte  -  rilevato  che il consulente di parte e'
 figura non contemplata dall'ordinamento processuale  vigente  al  tempo
 dell'emanazione  del  R.D.  del 1923, e che nell'attuale ordinamento la
 sua nomina e' rimessa alla libera determinazione della parte (art.  201
 c.p.c.)  -  escludeva  innanzitutto che tale nomina, in mancanza di una
 norma espressa, possa costituire titolo sia per la imposizione a terzi,
 estranei  al  processo,  dell'obbligo  di  prestazione  gratuita  della
 propria opera, sia per l'anticipazione da parte dello Stato delle spese
 occorrenti per l'esecuzione dell'incarico.
     Nel  sistema  del R.D. del 1923, infatti, le prestazioni gratuite e
 le  anticipazioni  di  spese  ivi  previste  presuppongono,  tutte,  il
 carattere  pubblico  della funzione esercitata nel processo:  carattere
 "che,  nei  riguardi  dei  difensori  e  dei  periti   (corrispondenti,
 nell'odierno  processo  civile,  ai  consulenti  tecnici  d'ufficio) si
 collega all'esistenza di un formale atto  di  nomina  da  parte  di  un
 organo pubblico (le apposite commissioni, per i difensori, e il giudice
 per i consulenti tecnici)".
     Alla  nomina  del  consulente di parte non potrebbero d'altra parte
 provvedere - ad avviso della Corte - ne' le attuali commissioni per  il
 gratuito patrocinio ne' il giudice della causa.  Non le prime, giacche'
 esse in tanto nominano il difensore in quanto ad avvocati e procuratori
 incombe l'obbligo del patrocinio gratuito (art. 1 R.D. cit.); e d'altra
 parte la loro composizione - che comprende, oltre a magistrati, solo un
 rappresentante  dell'ordine  forense - le rende inidonee sia ad imporre
 l'obbligo di prestazione gratuita ad estranei  a  tale  ordine,  sia  a
 conferire  gli  incarichi  con la necessaria competenza tecnica. Non il
 secondo, essendo il potere  di  nomina  razionalmente  attribuito  alla
 parte in funzione di salvaguardia di una reale dialettica di posizioni.
     Cio'  premesso,  la  Corte  osservava  che la garanzia dei mezzi di
 azione e di difesa apprestata per i non abbienti  dall'art.  24,  terzo
 comma,   Cost.  costituisce  applicazione  nel  campo  particolare  del
 processo - in cui vige la regola dell'inviolabilita' della difesa (art.
 24, secondo comma) - del  generale  principio  di  uguaglianza  di  cui
 all'art.  3  Cost.;  e  che  l'assoluta  uguaglianza  delle  parti,  in
 relazione alle facolta' processuali  esercitabili  per  la  tutela  dei
 propri   interessi,  e'  l'essenza  del  contraddittorio,  cardine  del
 processo moderno. I suddetti principi costituzionali sarebbero  percio'
 violati  dalla  mancata  previsione  della possibilita' di nomina di un
 consulente di parte, in quanto essa costituisce una  grave  menomazione
 del diritto di difesa del non abbiente rispetto alla controparte.
     A  conforto  di  tali considerazioni, la Corte richiamava infine le
 modifiche apportate all'istituto del gratuito patrocinio, per  le  sole
 controversie   di  lavoro,  con  la  legge  11  agosto  1973,  n.  533:
 osservando, in particolare, che l'innovazione consistente nel  porre  a
 carico  dell'erario  le  spese  non  solo  dei  difensori, ma anche dei
 consulenti di parte appare suggerita dall'intento di colmare una lacuna
 di ordine costituzionale della preesistente normativa.
     L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata
 sulla Gazzetta Ufficiale n. 239 dell'8 settembre 1976.
     2. - Intervenendo nel giudizio cosi' instaurato, l'Avvocatura dello
 Stato chiedeva che la questione fosse dichiarata infondata alla stregua
 di quanto ripetutamente affermato da questa Corte  (da  ultimo  con  le
 sentenze  n.  35  e n. 58 del 1973) secondo cui ""le norme in esame non
 violano l'art. 24  in  relazione  all'art.  3  Cost.  dal  momento  che
 l'istituto  del gratuito patrocinio ed il complesso delle norme vigenti
 dirette ad assicurare la difesa dei non abbienti, costituiscono  "mezzi
 per  agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione ", compresi nella
 espressione " appositi istituti " adoperata  dal  costituente",  e  che
 "l'opinione   che   un   diverso   ordinamento  del  servizio  potrebbe
 corrispondere meglio alle finalita' previste  dall'art.  24  Cost.  non
 puo'  portare  alla conseguenza della incostituzionalita' dei mezzi ora
 esistenti e che a quella finalita' sono ugualmente diretti"".
     E'  poi  da  escludere,  secondo  l'Avvocatura,  che il trattamento
 provvisoriamente differenziato previsto rispetto ai consulenti di parte
 per le sole controversie di lavoro (art. 14  l.  533/1973)  costituisca
 violazione  del  principio  d'uguaglianza.  "Esso  trova  difatti piena
 giustificazione,  da  un  lato,  nella  particolarita'  della   materia
 relativa   alle   controversie  di  lavoro,  la  quale  costituisce  un
 ordinamento speciale che comporta  ben  piu'  incisive  eccezioni  alla
 disciplina  dell'ordinario contenzioso civile, e, da un altro lato, nel
 rilievo  che,  se  la  estensione  delle  antiche  norme  sul  gratuito
 patrocinio  nelle  sole controversie di lavoro comporta per lo stato un
 onere finanziario di 1.000 milioni l'anno (art. 16 della legge  n.  533
 del  1973),  del  tutto  giustificato  e' che ogni ulteriore e generale
 estensione dei  benefici  in  parola  sia  attuata  gradualmente  e  in
 relazione  alle effettive disponibilita' finanziarie del bilancio dello
 Stato".
     3. - Nel giudizio interveniva anche il Consiglio degli  Orfanotrofi
 e  Pio  Albergo  Trivulzio  di Milano, convenuto nel procedimento a quo
 quale rappresentante dell'Orfanotrofio Maschile  detto  dei  Martinitt,
 cui   era  stato  dalla  testatrice  legato  ogni  suo  diritto  su  un
 appartamento di cui era assegnataria quale  socio  di  una  cooperativa
 edilizia.
     Nell'atto di intervento veniva innanzitutto contestata la rilevanza
 della  questione  di costituzionalita', sul rilievo che nel giudizio di
 merito, tanto in primo grado che in appello, la capacita' d'intendere e
 di   volere   della   testatrice   era   stata   ritenuta   sussistente
 essenzialmente  sulla  base di prove documentali e testimoniali, mentre
 la consulenza tecnico - medica aveva avuto in proposito valore "di mero
 contorno e di semplice conferma".   Nel merito, poi,  lo  interveniente
 richiamava  integralmente  la  motivazione  dell'ordinanza  con  cui il
 Tribunale di Milano,  in  esito  al  giudizio  di  primo  grado,  aveva
 dichiarato  manifestamente  infondata  la  questione, ritenendo che, in
 base ad una corretta interpretazione della normativa di cui al R.D.  n.
 3282/1923,  "ben avrebbe potuto l'attore ammesso al gratuito patrocinio
 richiedere ed ottenere la nomina di un consulente di parte officioso".
     Il  Tribunale  aveva  al  riguardo  rilevato  che   "all'epoca   di
 emanazione  della  legge  sul  gratuito  patrocinio (1923) e secondo il
 sistema processuale allora vigente (di cui al Codice di rito  approvato
 con  R.D.  25  giugno  1865  n. 2376) non era previsto il consulente di
 parte per le ipotesi in cui nel giudizio si ricorresse al parere di uno
 o piu' periti (art. 252/270); d'altro  canto,  pero',  il  perito  o  i
 periti  potevano  essere concordemente nominati dalle parti e, soltanto
 quando le parti stesse non si fossero, in  proposito,  accordate,  essi
 erano  nominati  dal  Giudice  (art.  253).    Viceversa,  con il nuovo
 ordinamento instaurato con il Codice di rito del  1940,  il  consulente
 tecnico  e'  sempre nominato dal Giudice e le parti hanno, in tal caso,
 la facolta' di "farsi assistere da un loro  consulente  tecnico"  (art.
 61/87  e  201).  In particolare, il disposto del richiamato art. 87 del
 vigente c.p.c.,  disponendo  testualmente  (nel  Capo  intitolato  "dei
 Difensori")  che  "la parte puo' farsi assistere da uno o piu' avvocati
 ed anche da un consulente tecnico nei casi e  nei  modi  stabiliti  dal
 presente  codice", ha inequivocabilmente esteso l'ambito del diritto di
 difesa processuale  della  parte  (fino  allora  limitato  alla  difesa
 legale) anche alla difesa tecnica (consulente tecnico di parte)".
     Ora  -  aveva proseguito il Tribunale - la chiara dizione dell'art.
 11 R.D. n. 3282/1923 e' che all'ammesso al  gratuito  patrocinio  debba
 essere assicurata la "difesa gratuita"; e se oggi (a differenza che nel
 1923)  la  "difesa" non e' piu' soltanto "legale" ma anche (entro certi
 limiti)  "tecnica",  "appare  senz'altro  rispondente  alla  intenzione
 legislativa  una  interpretazione  della  norma  che ricomprenda, nella
 affermata gratuita' della difesa, tutte le estrinsecazioni dei  diritti
 relativi   che   l'ordinamento  vigente  attribuisce  alle  parti  (ivi
 compresa, quindi, la difesa cosi' detta tecnica introdotta  dal  Codice
 del 1940)".
     A  tale  interpretazione,  secondo  il  Tribunale,  non osta ne' la
 lettera della disposizione - che e'  tale  da  ricomprendere  tutte  le
 manifestazioni  consentite  dal  diritto di difesa - ; ne' il fatto che
 all'epoca della sua emanazione la difesa tecnica non esisteva, data  la
 naturale  capacita' delle norme di adeguarsi ai mutamenti ordinamentali
 automaticamente recependo nel contenuto del comando le  variazioni  che
 siano  compatibili con la loro ratio. La circostanza, poi, che l'art. 1
 ed altre disposizioni del R.D. del  1923  pongano  solo  a  carico  dei
 "difensori"   (o,   ancora   piu'   specificamente,   degli  "avvocati,
 procuratori e patrocinatori") il dovere di  prestare  gratuitamente  la
 propria  opera  non  vale  ad escludere un analogo dovere dei difensori
 tecnici. Da un lato, infatti, l'art. 11 n. 3 prevede espressamente tale
 dovere per i "periti": e per le  ragioni  ermeneutiche  gia'  enunciate
 tale  locuzione  puo'  e  deve  intendersi  come riferita, nell'attuale
 ordinamento, a tutti i periti (oggi,  consulenti)  e  quindi  anche  ai
 consulenti  di  parte.    Dall'altra, se - come gia' detto - la "difesa
 gratuita" comprende sia quella legale che quella tecnica,  analogamente
 estesa deve ritenersi la qualifica di "difensore" adottata dalla legge.
     La  suesposta  interpretazione  del Tribunale di Milano, secondo la
 parte privata, risponde meglio di quella "meramente formalistica" della
 Corte di Cassazione allo scopo perseguito dal legislatore del 1923. Ma,
 anche ammesso che l'art. 11 citato davvero non permetta la prenotazione
 a debito delle spese delle consulenze tecniche di  parte,  non  percio'
 esso   potrebbe   essere   ritenuto  incostituzionale.  Secondo  quanto
 precisato da questa  stessa  Corte  Costituzionale,  ci  si  troverebbe
 infatti  di  fronte,  in  tal caso, ad una semplice inadeguatezza della
 disciplina rispetto ai fini  garantiti  dalla  Costituzione,  e  quindi
 all'apprestamento  di  mezzi  insufficenti ad attuarli. Da cio', pero',
 non potrebbe dedursi un vizio d'incostituzionalita', ma solo "il dovere
 politico del  legislatore  di  promulgare  nuove  norme  integrative  o
 sostitutive  di  quelle esistenti" (sentenza 114/64). La caducazione di
 quelle esistenti che si fondano  sulla  parzialita'  della  disciplina,
 invero,  "avrebbe soltanto la conseguenza di togliere di mezzo anche la
 vigente forma di assistenza" e quindi "rischierebbe intanto di condurre
 ad un regresso della situazione normativa, riaprendo un vuoto  che  non
 sarebbe colmabile in sede di interpretazione" (sentenza n. 1/69).
                         Considerato in diritto:
     1.   -   La  Corte  di  Cassazione,  seconda  sezione  civile,  con
 l'ordinanza  indicata  in   epigrafe,   ha   sollevato   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 11 del R.D. 30 dicembre 1923, n.
 3282, portante approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio.
      La disposizione normativa in esame viene censurata, in riferimento
 agli artt. 3 e 24 Cost., nella "parte  in  cui,  nel  disciplinare  gli
 effetti  della  ammissione  al  gratuito  patrocinio,  non  prevede  la
 possibilita' di nomina di un consulente di parte".
      La  questione,  specificata  come  sopra  si  e'  trascritto nella
 motivazione dell'ordinanza di rimessione (ivi, n. 3, comma primo),  nel
 dispositivo viene, invece, proposta nei termini seguenti: "questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 11 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3282,
 in relazione agli artt. 24 e 3 Cost.".
     2.  - Preliminarmente, va disattesa l'eccezione della parte privata
 costituita nel presente giudizio incidentale, che assume la irrilevanza
 - e, quindi, l'inammissibilita' - della sollevata questione in base  al
 rilievo che le risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata
 nel  giudizio  a  quo  -  pur  senza  la nomina e la partecipazione del
 consulente della parte ammessa al gratuito patrocinio - avrebbero avuto
 un valore  non  determinante,  ma  di  "mero  contorno"  rispetto  alle
 risultanze delle prove testimoniali e documentali.
     Un  tale  assunto,  in  quanto  attinente  al  merito della causa e
 precisamente  alla  valutazione  del  materiale  probatorio   in   essa
 raccolto, non ha pregio nel presente giudizio di costituzionalita', nel
 quale   e'   dedotta   questione  concernente  il  diritto  di  difesa,
 costituzionalmente garantito anche  ai  non  abbienti,  che  si  dubita
 vulnerato  dalla  disposizione  di  legge  denunziata,  con conseguente
 "violazione del principio del contraddittorio".
     3.  -  Questa  Corte  ha  ripetutamente  sottolineato  "la  portata
 generale  della  categorica  affermazione  -  nell'art.  24 Cost. - del
 diritto "inviolabile di difesa" ed ha rilevato che, pur se  spetta  "al
 legislatore,  considerate le peculiarita' strutturali e funzionali ed i
 diversi interessi in gioco nei vari stadi  e  gradi  del  procedimento,
 dettare  le  concrete modalita' per l'esercizio del diritto di difesa",
 esso deve "nelle diverse situazioni processuali"  essere  "garantito  a
 tutti su un piano di uguaglianza ed in forme idonee" (sent. n.  125 del
 1979 cfr. da ultimo sent. n. 188 del 1980).
      In  termini  piu'  specifici, la Corte ha ritenuto che "il diritto
 della  difesa  deve   essere   inteso   come   possibilita'   effettiva
 dell'assistenza tecnica e professionale, nello svolgimento di qualsiasi
 processo,  in  modo  che  venga  assicurato  il contraddittorio e venga
 rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti" (sent. n. 46
 del 1957  e  n.  59  del  1959).  Ora,  e'  proprio  per  il  carattere
 "inviolabile"  del  diritto  di  difesa,  posto  anche  a  garanzia del
 contraddittorio, che  il  medesimo  art.  24  Cost.,  al  terzo  comma,
 statuisce  che "sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti,
 i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione": con cio'
 intendendo "rimuovere le difficolta' di ordine  economico  che  possono
 opporsi  al  concreto esercizio del diritto di difesa" stesso (sent. n.
 46 del 1957 cit.) e  cosi'  instaurare  tra  le  parti  quella,  almeno
 tendenziale,  "parita'  delle armi" che del contraddittorio medesimo e'
 connotato essenziale.
     4. - I complessi normativi che definiscono gli "appositi  istituti"
 intesi  ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in
 giudizio, sono stati ripetutamente sottoposti al vaglio di questa Corte
 in  riferimento  a  vari  parametri  costituzionali,   tra   i   quali,
 ricorrente, quello di cui all'art. 24 Cost..  E la Corte medesima si e'
 pronunciata per la non fondatezza delle questioni allora dedotte, tutte
 incentrate  sulla  ritenuta  insufficienza o non efficienza dei mezzi a
 quel  fine  apprestati  con  le  disposizioni  di   legge   denunziate,
 affermando,  al proposito, che "la insufficienza o scarsa efficienza di
 una  norma  di legge rispetto agli scopi voluti dalla Costituzione, non
 puo' condurre a riconoscerla senz'altro  contraria  alla  Costituzione,
 col  risultato  di far venir meno il poco gia' attuato (sent. n. 97 del
 1970, che richiama la sent. n. 114 del 1964; sentt. n. 149 del 1972, n.
 35 del 1973 e n. 58 del 1973).
     La Corte non e' ora chiamata a riconsiderare questa sua  precedente
 affermazione,  riferita  a  censure  aventi  oggetto  e  prospettazione
 diversi rispetto a quella oggi in esame, anche se non puo' esimersi dal
 rilevare che la  constatazione del "poco attuato"  assume  ad  anni  di
 distanza un sapore ancora piu' amaro.
     5.  - Vero e' che la questione oggi decidenda non ha per oggetto il
 grado maggiore o minore di sufficienza o di efficienza di uno dei mezzi
 pur assicurati dalla legge ai non  abbienti  perche'  possano  agire  o
 difendersi  in  giudizio.  Al  contrario,  cio'  che  si denunzia e' la
 mancata predisposizione legislativa di un mezzo di assistenza  tecnica,
 che,  verificandosi  determinati  presupposti,  appare indispensabile a
 quel medesimo fine.
     La Corte di  cassazione,  cioe',  sulla  base  dell'interpretazione
 della  norma  denunziata  da  essa  stessa fornita, ritiene che non sia
 possibile nominare  un  consulente  della  parte  ammessa  al  gratuito
 patrocinio,  ovviamente  senza  oneri  per  la  parte stessa, e in cio'
 ravvisa una violazione del diritto di difesa nonche' del  principio  di
 uguaglianza   di   cui  l'art.  24,  comma  terzo,  Cost.  "costituisce
 applicazione".  "Infatti"  prosegue  il  giudice  a   quo   "l'assoluta
 uguaglianza  delle  parti,  in  relazione alle facolta' processuali che
 possono essere esercitate per la tutela dei propri diritti  costituisce
 la  essenza del contraddittorio, senza del quale cade la stessa nozione
 di processo in senso moderno".
     Le  argomentazioni  svolte  a  sostegno  di  una  tale  esegesi   -
 contrastanti  con  quelle  che, nel medesimo giudizio, hanno indotto il
 Tribunale, prima, e la Corte di Appello di Milano, dopo,  a  dichiarare
 manifestamente  infondata  la medesima questione di costituzionalita' -
 sono state richiamate nella premessa narrativa di fatto. La conclusione
 raggiunta dal giudice a quo - al quale  l'ordinamento  affida  funzioni
 nomofilattiche  -  nel  senso di escludere che la disposizione di legge
 denunziata preveda, e quindi consenta, la possibilita' di nomina di  un
 consulente  della parte ammessa al patrocinio gratuito, nei casi in cui
 il giudice disponga un accertamento tecnico, costituisce il presupposto
 della decisione demandata a questa Corte.
     6. - Su questo presupposto e nei termini prospettati  la  questione
 e' fondata.
      E'  invero da "ricordare che, secondo un principio affermato dalla
 Corte  fin  dalla  sentenza  n.  46  del  1957  e  poi   fermamente   e
 costantemente ribadito in numerose, successive occasioni, il diritto di
 difesa  e', in primo luogo, garanzia di contraddittorio e di assistenza
 tecnico - professionale. Il che e' quanto dire  che  quel  diritto,  di
 regola,  e'  assicurato nella misura in cui si dara' all'interessato la
 possibilita' di partecipare ad una  effettiva  dialettica  processuale"
 (sent.  n.  190 del 1970).  Queste affermazioni, riferite al difensore,
 vanno estese al consulente tecnico di  parte,  il  quale  -  quando  si
 tratti di risolvere nel giudizio problemi di natura tecnica e si faccia
 percio'  luogo  alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio - svolge
 funzioni che, secondo la comune opinione di dottrina e  giurisprudenza,
 sono  paragonabili  a  quelle  dell'avvocato,  limitatamente  al  piano
 tecnico.  Cio'  del  resto,  risulta  gia'  dalle norme processuali che
 prevedono tale figura e ne disciplinano la facolta'  (artt.  87  e  201
 c.p.c.;  artt.  323  e  324  c.p.p.) ed e' stato riconosciuto da questa
 medesima Corte quando ha affermato che "l'accertamento tecnico sia  nel
 procedimento  civile  sia  in  quello  penale ha giuridica rilevanza di
 difesa, nei limiti segnati dalle regole tecniche che  ne  costituiscono
 l'oggetto"  (sent. n. 128 del 1979): affermazione, questa, che discende
 direttamente dall'essere la nomina  del  consulente  tecnico  di  parte
 prevista a maggior garanzia della regolarita' del contraddittorio.
     Ora,  che  il  testo di legge sul gratuito patrocinio approvato col
 R.D.  30  dicembre  1923,  n.  3282  non  contemplasse  la  nomina  del
 consulente  di  parte  e'  facilmente comprensibile, dato che la nomina
 stessa non era prevista nel sistema processuale allora vigente (di  cui
 al  codice  di  rito approvato con R.D. 25 giugno 1865, n. 2366) per le
 ipotesi in cui nel giudizio si ricorresse  al  parere  di  uno  o  piu'
 "periti"  (secondo  la  terminologia  allora vigente). In tale sistema,
 peraltro, la regola era che il perito o i periti fossero  concordemente
 nominati  dalle  parti,  e vi dovesse provvedere il giudice solo quando
 queste non si fossero in proposito accordate (art.  253).  Ben  diverso
 e',  invece,  il sistema instaurato con il codice processuale del 1940,
 nel quale il  consulente  tecnico  d'ufficio  e'  sempre  nominato  dal
 giudice  ed  e'  data  facolta'  alle  parti,  in  tal  caso, di "farsi
 assistere...  da  un  consulente  tecnico"  (artt.  61,  87   e   201).
 Nell'ambito  di  tale  sistema, la mancata previsione della facolta' di
 nomina di un proprio consulente tecnico da parte del  soggetto  ammesso
 al  gratuito  patrocinio  - ovviamente, nel caso in cui si faccia luogo
 nel giudizio alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio  -  non  e'
 piu' giustificabile. Essa, infatti, costituisce un'evidente limitazione
 del  diritto  di difesa del non abbiente, che ne menoma la possibilita'
 di efficacemente contraddire quando  nel  giudizio  si  controverta  su
 questioni di natura tecnica. Del resto, che nel vigente ordinamento sia
 in   generale  riconosciuto,  anche  alla  parte  ammessa  al  gratuito
 patrocinio, il diritto di avvalersi dell'opera del  consulente  tecnico
 di  parte,  quando  ne e' consentita la presenza, risulta positivamente
 dalle  specifiche  norme  dettate  in  altri  settori  dell'ordinamento
 medesimo.  Cosi',  riconosciuta dal codice di procedura penale del 1930
 (art. 323) la facolta'  delle  parti  private  di  nominare  consulenti
 tecnici, con le facolta' ivi previste (artt. 324 e 325 c.p.p.) apposita
 disposizione  di attuazione del codice medesimo (art. 3, comma secondo,
 del R. D. 28 maggio 1931, n. 602) ha esteso il beneficio  del  gratuito
 patrocinio  alla facolta' per le parti di farsi assistere da consulenti
 tecnici (cfr. anche artt. 4-6 R. D. 24 luglio 1931, n. 1071 - norme  di
 coordinamento  delle tariffe in materia penale con quelle dei due nuovi
 codice penale e di procedura penale). Ed allo stesso modo ha disposto -
 all'art. 14, secondo comma - la legge sul processo del  lavoro  (l.  11
 agosto 1973, n. 533) nel dettare, per tale settore, la nuova disciplina
 del patrocinio a spese dello Stato.
     La questione e' dunque fondata, in riferimento all'art. 24 Cost..
    La  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale dell'art. 11 del
 R. D. n. 3282 del 1923 non puo', pero', che essere parziale, in  quanto
 riferibile  soltanto  a  quella  parte  della  norma  denunziata che ha
 rilevanza nel giudizio a quo.