ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 5, 6
 e 7  della  legge  3  giugno  1940,  n.  1078  (Norme  per  evitare  il
 frazionamento  delle  unita'  poderali  assegnate  a  contadini diretti
 coltivatori), in relazione agli artt. 3, 24 e 42, comma  quarto,  della
 Costituzione;  art.  7,  commi terzo e quinto, legge 29 maggio 1967, n.
 379 (Modificazioni alle norme sulla riforma  fondiaria),  in  relazione
 agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
     1) due ordinanze emesse il 9 settembre 1977 e 1    marzo  1978  dal
 Tribunale  di  Avezzano  sui  ricorsi  proposti  da  Cervellini Antonio
 c/Cervellini  Maria  e  Silvagni  Emilio  c/Silvagni  Mario  ed  altra,
 iscritte al n. 512 del registro ordinanze 1977 e al n. 287 del registro
 ordinanze  1978  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn. 11 e 250 dell'anno 1978;
     2) due ordinanze emesse il 17 giugno 1980 e  22  gennaio  1982  dal
 Tribunale  di  Civitavecchia  nel procedimento civile vertente tra Coda
 Benedetta Maddalena c/Coda Mario  e  Ciancarella  Anna  c/  Ciancarella
 Francesco ed altri, iscritte al n. 565 del registro ordinanze 1980 e al
 n.  207  del  registro  ordinanze  1982  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 277 dell'anno 1980 e n. 255 del 1982.
     Visto l'atto di costituzione di Giallatini Ezio nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1985 il Giudice relatore
 Aldo Corasanniti;
     udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  - Nel corso del procedimento in camera di consiglio promosso da
 Cervellini Antonio nei  confronti  della  sorella  Maria,  al  fine  di
 conseguire  l'attribuzione  del  fondo  assegnato dall'Ente Fucino alla
 madre, Cervellini Teresa, deceduta dopo aver affrancato l'immobile  dal
 riservato  dominio  a  favore  dell'Ente, il Tribunale di Avezzano, con
 ordinanza emessa  il  9  settembre  1977,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 5, 6 e 7 della legge 3 giugno
 1940, n. 1078, in relazione agli artt. 3, 24 e 42, ultimo comma,  della
 Costituzione.
     Osserva il giudice a quo che la fattispecie sottoposta al suo esame
 e'  disciplinata  dall'art.  10,  commi primo e secondo, della legge 30
 aprile 1976, n. 386, in quanto, avendo l'assegnataria,  prima  del  suo
 decesso,  pagato la quindicesima annualita' del prezzo di assegnazione,
 il terreno e' stato affrancato dal riservato dominio a favore dell'Ente
 di sviluppo, con conseguente acquisto ipso iure  della  proprieta'  del
 fondo  da  parte  dell'assegnataria,  restando  tuttavia  soggetto, per
 ulteriori quindici anni, ai vincoli, alle limitazioni ed ai divieti  di
 cui  agli  artt.  4  e  5  della  legge  29  maggio 1967, n. 379, ed in
 particolare, quindi, al vincolo di "indivisibilita'"  del  fondo,  come
 disciplinato  dagli  artt.  5, 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078
 (Norme per evitare il frazionamento delle unita' poderali  assegnate  a
 contadini diretti coltivatori), disposizioni queste ultime che l'art. 4
 della  legge  n.   379/1967 richiama sul punto nella sua totalita', sia
 negli aspetti sostanziali che in quelli processuali.
     Secondo il giudice a quo la disciplina applicabile - e cioe' quella
 delineata dagli artt.  5,  6  e  7  della  l.    n.  1078/1940  per  il
 subingresso  all'assegnatario  dell'unita'  poderale che sia deceduto -
 suscita dubbi di legittimita' costituzionale in quanto: a) la  prevista
 adozione  del  rito  camerale  sembra  violare l'art. 24, commi primo e
 secondo, Cost.,  dato  che  il  procedimento  non  assicura  la  difesa
 dell'interessato nella stessa misura in cui cio' avviene nell'ordinario
 giudizio  di  cognizione;  b)  la prevista attribuzione del fondo ad un
 solo coerede, designato dal testatore o dai  coeredi,  o,  in  caso  di
 disaccordo, dall'autorita' giudiziaria, con soddisfacimento delle quote
 dei  coeredi esclusi con altri beni o con equivalente monetario, sembra
 in contrasto con l'art. 3 Cost., perche' implica per i non  assegnatari
 l'esclusione dai diritti successori su un bene esistente nel patrimonio
 del defunto, qual e' il fondo in questione; c) la prevista attribuzione
 ope judicis sembra in contrasto con l'art. 42, comma quarto, Cost., per
 il  quale  non  e' possibile la devoluzione di un bene ereditario sulla
 base di un apprezzamento del giudice che,  dovendo  tenere  conto  solo
 delle   condizioni   e  delle  attitudini  personali  dei  coeredi,  e'
 ampiamente discrezionale.
     Le questioni sono ritenute rilevanti poiche'  il  procedimento  non
 puo' essere definito indipendentemente dalla loro decisione.
     Nessuna   parte   privata  si  e'  costituita.  E'  intervenuta  la
 Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,   che   ha   tempestivamente
 depositato le proprie deduzioni.
     Osserva   l'Avvocatura   che   erroneamente  il  Tribunale  ritiene
 applicabili gli artt. 5, 6 e 7 della legge n. 1078/1940 nell'ipotesi di
 decesso dell'assegnatario,  che  sia  gia'  divenuto  proprietario,  in
 quanto  l'art.  4,  comma  primo, della legge n.   379/1967 (richiamato
 dall'art. 10, comma secondo, della legge n. 386/1976) non e'  formulato
 in  termini  di  rinvio  a tutta la legge n. 1078/1940, bensi' a quelle
 disposizioni di essa che riguardano l'indivisibilita', tra le quali non
 rientrano quelle che configurano la sorte della titolarita'  del  fondo
 dopo  la  morte  dell'assegnatario  (e  cioe'  gli  artt. 5, 6, 7 e 8),
 poiche' queste non riguardano l'unitarieta' del fondo, ma  il  criterio
 della attribuzione di esso.
     Ne  deriva  che,  esclusa l'operativita' del regime speciale di cui
 alla legge n. 1078/1940, la successione mortis causa  dell'assegnatario
 gia'  divenuto proprietario deve essere regolata dalle norme del codice
 civile (fermo il vincolo di indivisibilita', da risolvere ex  art.  720
 c.c.) e che le controversie tra coeredi debbono essere trattate in sede
 contenziosa ordinaria.
     Cio'  importa  -  ad  avviso  dell'interveniente - che la questione
 concernente la legittimita' del rito camerale debba  essere  dichiarata
 inammissibile  per  irrilevanza,  essendo destinato il giudizio a quo a
 concludersi con una  declaratoria  di  inammissibilita'  della  domanda
 perche'  proposta  nelle forme della giurisdizione volontaria, anziche'
 in  quelle  della  giurisdizione  contenziosa,  proprie   dei   giudizi
 divisionali;  o,  comunque,  infondata,  alla luce della giurisprudenza
 della  Corte  costituzionale  (sentt.  n.  122/1966;  n.  142/1970;  n.
 171/1972; n.  202/1975), poiche' il procedimento in camera di consiglio
 non  e'  lesivo  del  diritto  di  difesa garantito dall'art. 24, comma
 secondo, Cost., dal  momento  che  le  parti  debbono  essere  sentite,
 possono  farsi  assistere da un difensore e possono servirsi di tutti i
 mezzi di prova ammessi  nel  rito  camerale  (informazioni,  documenti,
 perizie, audizioni di terzi informatori ecc.).
     Eguali   conclusioni   formula  l'Avvocatura  circa  la  denunciata
 violazione dell'art. 42, comma quarto, Cost., per  essere  affidata  al
 giudice,   anziche'   alla   legge,  la  designazione  del  subentrante
 all'assegnatario defunto: la questione e' infatti ritenuta irrilevante,
 per  l'inapplicabilita',  in  materia,  dell'art.  5,  della  legge  n.
 1078/1940,  dovendo  farsi riferimento alle norme del codice civile; o,
 in subordine, infondata, poiche' l'art. 42, comma  quarto,  Cost.  pone
 una  riserva  relativa di legge, rinviando a quest'ultima perche' siano
 stabiliti norme e limiti della designazione dei successori, il  che  e'
 avvenuto  con  l'art.  5, comma terzo, della legge n. 1078/1940, con il
 quale il legislatore demanda al  giudice  una  scelta  in  base  ad  un
 corretto e logico criterio direttivo.
     Viene  infine  negata  la sussistenza della dedotta discriminazione
 (art. 3 Cost.) tra coerede subentrante e coeredi esclusi, in quanto gli
 artt.  5  e  6  della  legge  n.  1078/1940  prevedono  un'ipotesi   di
 successione straordinaria ed anomala (in quanto assume rilievo anche il
 possesso  di  determinati  requisiti  professionali), nell'ambito della
 quale l'attribuzione del fondo ad un solo coerede si giustifica con  la
 prevalenza  degli interessi pubblici della riforma fondiaria, ed appare
 conforme al dettato dell'art. 44 Cost.,  e  non  lesiva  delle  ragioni
 degli  esclusi,  ai  quali  e'  riconosciuto  il  soddisfacimento delle
 rispettive quote con altri beni o con il riconoscimento di  un  credito
 corrispondente al valore del fondo.
     2.  -  Il  Tribunale  di Civitavecchia - adito con rito camerale da
 Ciancarella Anna al fine di ottenere l'attribuzione del fondo assegnato
 dall'Ente Maremma al padre  Ciancarella  Rinaldo,  deceduto  dopo  aver
 riscattato  l'immobile  -  con  ordinanza  emessa il 22 gennaio 1982 ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5  e  7,
 della  legge  3  giugno  1940, n. 1078, in relazione all'art.  24 della
 Costituzione,  ritenendola  rilevante,  poiche'  incide  sul  rito  del
 procedimento pendente, e non manifestamente infondata.
     Il  giudice  a quo, premesso che, trattandosi di attribuzione ad un
 singolo coerede di fondo gia' riscattato, e' applicabile la  disciplina
 dettata  dagli  artt.  5  e 7, della legge n. 1078/l940, osserva che le
 norme in essi racchiuse, prevedendo l'adozione del rito camerale per la
 designazione  giudiziale  del  coerede  subentrante,  sembrano  violare
 l'art.  24,  commi  primo e secondo, Cost., in quanto tale procedimento
 "non appare idoneo a garantire la pienezza del contraddittorio  propria
 del contenzioso e ad assicurare quindi adeguata tutela agli interessati
 che vantano in materia diritti soggettivi".
     Nessuna parte privata si e' costituita.
     E'  intervenuta  la Presidenza del Consiglio dei ministri eccependo
 l'infondatezza della questione, per essere adeguatamente  garantito  il
 diritto  di difesa, in ciascuno dei suoi aspetti essenziali (assistenza
 tecnica, contraddittorio, facolta' di  impugnazione),  nell'ambito  del
 procedimento   camerale,   come  specificamente  ritenuto  dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza n. 122/1966.
     3. - Con atto notificato l'11 luglio 1978 Coda Maddalena  ed  altri
 hanno  convenuto  avanti  al  Tribunale  di  Civitavecchia,  in sede di
 cognizione ordinaria, Coda Mario ed altro, al fine di sentir dichiarare
 inefficace, per lesione della legittima, la disposizione  testamentaria
 con  la  quale  Coda  Tommaso aveva lasciato al figlio Mario il terreno
 assegnatogli dall'Ente Maremma ed anticipatamente riscattato.
     I convenuti, costituitisi, hanno eccepito che i  terreni  assegnati
 dagli  enti  di  riforma,  anche  se  riscattati,  sono  assoggettati a
 successione speciale secondo la legge 29 maggio 1967, n. 379.
     Il Tribunale, con ordinanza emessa il 17 giugno 1980, ha  sollevato
 questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge
 3 giugno 1940, n. 1078, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost..
     L'ordinanza - premesso che, in  virtu'  -  del  richiamo  contenuto
 nell'art.  4,  comma  primo,  della  legge  29  maggio 1967, n. 379, il
 vincolo di indivisibilita' dei  fondi  provenienti  dalle  assegnazioni
 disposte dagli enti di riforma e' disciplinato dalla legge n. 1078/1940
 - prospetta due profili di incostituzionalita': a) l'art. 7 della legge
 n.  1078/1940,  prevedendo,  per  la  soluzione  tra  i  coeredi  delle
 questioni relative all'attribuzione del fondo  a  seguito  della  morte
 dell'assegnatario   (divenuto   proprietario),   l'adozione   del  rito
 camerale, sembra contrastare con  l'art.  24  Cost.,  in  quanto  detto
 procedimento  non  consente pienezza di difesa e di contraddittorio; b)
 l'art. 6  della  stessa  legge,  prescrivendo  che  i  coeredi  esclusi
 dall'assegnazione  sono soddisfatti con l'attribuzione di altri beni o,
 in difetto,  con  la  liquidazione  delle  rispettive  quote  da  parte
 dell'assegnatario,  e  prevedendo  la  rateazione  del relativo debito,
 sembra costituire una ingiustificata disparita' di trattamento (art.  3
 Cost.)  rispetto  ad altre ipotesi di indivisibilita' di beni ereditari
 (art. 720 c.c.), per  le  quali  non  e'  prevista  la  rateazione  nel
 pagamento dei conguagli.
     In  punto  di  rilevanza  si  osserva  che  il  requisito sussiste,
 poiche', essendo stata proposta la domanda nelle  forme  ordinarie,  il
 Tribunale dovrebbe pervenire ad una pronuncia di improcedibilita'.
     Tra  le  parti  private,  si e' costituito il solo Giallatini Ezio,
 instando per la dichiarazione di illegittimita' delle norme denunciate.
     Ha spiegato intervento la Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri
 eccependo  l'infondatezza  della  questione  sub  a),  perche'  il rito
 camerale assicura il diritto di difesa in  ciascuno  dei  suoi  aspetti
 essenziali.
     Conseguentemente  appare irrilevante la questione sub b), in quanto
 il Tribunale, adito con ordinario procedimento  di  cognizione,  dovra'
 dichiarare  la domanda improponibile, definendo in tal modo il giudizio
 indipendentemente dalla questione di  legittimita'  dell'art.  6  della
 legge   n.    1078/1940.  Tale  questione,  comunque,  e'  da  ritenere
 infondata, in quanto la rateazione  (sino  a  dieci  anni)  del  debito
 corrispondente   al   credito   dei  coeredi  esclusi  e'  giustificata
 dall'esigenza  di  non  compromettere il buon andamento economico della
 impresa agricola, che  costituisce  scopo  fondamentale  della  riforma
 fondiaria,  evitando  che  l'assegnatario  subentrante  sia costretto a
 ricorrere al credito per soddisfare le  ragioni  dei  coeredi  esclusi,
 distraendo  risorse  finanziarie  indispensabili  alla  valida gestione
 dell'impresa.
     4. - Nel corso di procedimento in camera di consiglio  promosso  da
 Silvagni  Emilio nei confronti di Silvagni Mario ed Onorina, al fine di
 essere designato quale avente titolo al subentro nell'assegnazione  del
 fondo   effettuata  dall'Ente  Fucino  in  favore  del  padre  Silvagni
 Pasquale, deceduto prima di aver riscattato l'immobile, il Tribunale di
 Avezzano, con ordinanza emessa il 1 marzo 1978, ha sollevato  questione
 di  legittimita'  costituzionale: a) degli artt. 5, 6 e 7 della legge 3
 giugno 1940, n. 1078, e 7, comma terzo, della legge 29 maggio 1967,  n.
 379,  che  implicitamente richiama le norme suddette, in relazione agli
 artt. 3 e 24 Cost.; b) dell'art. 7, comma quinto, legge  n.    379  del
 1967, in relazione all'art. 3 della Costituzione.
     Osserva   il  giudice  a  quo,  circa  la  questione  sub  a),  che
 nell'ipotesi, ricorrente nella fattispecie, di morte  dell'assegnatario
 prima  del  riscatto  del  fondo,  la  designazione del subentrante nel
 rapporto, prevista dall'art. 7, comma terzo, della legge  n.  379/1967,
 deve  avvenire nelle forme del rito camerale delineate dagli artt. 5, 6
 e 7 della legge n. 1078/1940, che il  suddetto  art.  7,  comma  terzo,
 della legge n. 379/1967 recepisce.
     Cio'  determina  -  ad  avviso  del Tribunale - la violazione degli
 artt. 3 e 24 Cost. essendo esclusa qualsiasi iniziativa  istruttoria  o
 di  difesa,  sia  di  diritti  che  di  interessi, da parte dei coeredi
 resistenti, poiche' il procedimento camerale e' dominato dai poteri  di
 direzione  del  giudice,  residuando all'iniziativa delle parti la sola
 introduzione della procedura e l'eventuale reclamo, con  esclusione  di
 mezzi d'impugnazione avverso la decisione resa sul reclamo.
     Quanto  alla  questione  sub b), ritiene il Tribunale che l'art. 7,
 comma quinto, della legge n. 379/1967 contrasti con l'art. 3 Cost., dal
 momento che sembra determinare ingiustificata disparita' di trattamento
 tra il coerede che beneficia dell'assegnazione, e quindi dell'immediato
 accredito in suo favore delle quote di prezzo pagate  dall'assegnatario
 defunto,   e   gli   altri   coeredi   esclusi   dall'assegnazione,  il
 soddisfacimento delle cui ragioni di credito puo' essere differito fino
 a dieci anni.
     Circa la rilevanza delle questioni, osserva che essa e' ricollegata
 alla loro influenza sulla definizione del procedimento e sul  contenuto
 dell'eventuale decisione.
     Ha  svolto  intervento  la  Presidenza  del Consiglio dei ministri,
 eccependo l'infondatezza di entrambe le questioni.
     Quella sub a), per essere pienamente rispettati,  nel  procedimento
 camerale,  i principi fondamentali relativi al diritto di difesa, primo
 fra tutti quello del contraddittorio.
     Quella  sub  b),  per  i  motivi  gia'  riassunti  in   riferimento
 all'ordinanza  n.  565/1980,  e  per  l'ulteriore considerazione che la
 disparita'  di  trattamento  fra  coeredi,  nel  caso  di  subentro  ad
 assegnatario  non  ancora divenuto proprietario, e' stata esclusa dalla
 Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n.  66/1974,  concernente  la
 legittimita'  dell'art. 7 della legge n. 379/1967 (sebbene non sotto lo
 specifico aspetto della rateazione del debito del subentrante  verso  i
 coeredi esclusi).
                         Considerato in diritto:
     1.  - I giudizi promossi con le quattro ordinanze in epigrafe hanno
 ad oggetto questioni identiche o connesse  e  possono  pertanto  essere
 riuniti e definiti con unica sentenza.
     2.  -  Oggetto delle questioni sollevate con tre delle ordinanze in
 esame e' la legittimita' costituzionale della disciplina, sostanziale e
 processuale, della successione mortis  causa  all'assegnatario  defunto
 relativamente  al  fondo assegnato in attuazione della riforma agraria,
 che sia stato riscattato: disciplina stabilita,  secondo  i  giudici  a
 quibus,  dall'art.  4  della  l.  29  maggio  1967,  n. 379 mediante il
 richiamo alla normativa, contenuta negli artt. 5, 6  e  7  della  l.  3
 giugno  1940,  n.  1078,  concernente i trasferimenti tra vivi e mortis
 causa delle unita' poderali costituite in  comprensori  di  bonifica  e
 assegnate  in  proprieta'  ai  contadini  diretti  coltivatori, nonche'
 dall'art. 10 della l. 30 aprile  1976,  n.  386  mediante  il  richiamo
 all'art.  4  della  legge  n. 379 del 1967, e, per tal via, alla stessa
 normativa contenuta nella legge n. 1078 del 1940.
     Oggetto della questione sollevata con la  quarta  ordinanza  e'  la
 legittimita'  costituzionale della disciplina sostanziale e processuale
 del  subingresso  all'assegnatario  defunto  relativamente   al   fondo
 assegnato in attuazione della riforma agraria, che non sia stato ancora
 riscattato:    disciplina stabilita dall'art 7 della l. 29 maggio 1967,
 n. 379 in modo simile in parte a  quella  dettata  dall'art.  19  della
 legge  12  maggio 1950, n. 230 (cd.  legge Sila) per l'ipotesi di morte
 dell'assegnatario, e in parte a quella dettata dagli artt.  5,  6  e  7
 della  legge  n.  1078  del 1940 per l'ipotesi del trasferimento mortis
 causa del fondo gia' assegnato in proprieta'.
     Per chiarezza di motivazione e' opportuno  esaminare  il  contenuto
 delle dette normative, considerate nella loro sequenza temporale.
     La  legge  3 giugno 1940, n. 1078, reca norme dirette ad assicurare
 l'infrazionabilita' delle unita' poderali costituite in comprensori  di
 bonifica  da  enti  di  colonizzazione  ed  assegnate  in  proprieta' a
 contadini, diretti coltivatori, nel caso di trasferimento sia per  atto
 tra  vivi  che  a  causa di morte. Dopo avere sancito la nullita' degli
 atti tra vivi e dei testamenti, se aventi effetto di frazionamento,  la
 legge stabilisce agli artt. 5, 6 e 7, rispettivamente:
     a) - art. 5 - l'attribuzione dell'unita' poderale, in caso di morte
 dell'assegnatario,  al coerede designato dal testatore, o, in mancanza,
 ad uno dei coeredi che sia disposto ad accettare l'attribuzione  e  sia
 idoneo  ad  assumere  l'esercizio dell'unita' stessa. Qualora manchi un
 coerede disposto ad accettare l'attribuzione o vi  sia  disaccordo  tra
 gli   eredi   sulla   sua   individuazione,  e'  previsto  l'intervento
 dell'autorita' giudiziaria; nel primo caso per stabilire  le  modalita'
 della   vendita   dell'unita'   poderale  sulle  quali  gli  eredi  non
 concordino, e nel  secondo  caso  per  individuare  l'attributario  con
 riguardo alle "condizioni e attitudini personali";
     b)   -   art.   6   -   il   soddisfacimento  dei  coeredi  esclusi
 dall'assegnazione del  fondo  mediante  l'attribuzione  di  altri  beni
 ereditari, o, in mancanza, mediante l'attribuzione di un credito per il
 valore  del  fondo,  in  corrispondenza  alla  loro  quota,  -  credito
 estinguibile ratealmente, in un tempo non superiore a dieci  anni  -  a
 carico dell'assegnatario, o dei piu' assegnatari, in solido;
     c) - art. 7 - il procedimento per i detti interventi dell'autorita'
 giudiziaria,  procedimento  che  puo' qualificarsi con riferimento alla
 nozione di rito camerale.
     Questa normativa presuppone l'immediata assegnazione in  proprieta'
 del fondo, cioe' dell'unita' poderale, al contadino diretto coltivatore
 e,  sia  pur  dall'angolo  visuale  dell'infrazionalita' obbiettiva del
 fondo stesso, detta una speciale disciplina successoria.
     A differenza dalla l. n. 1078 del 1940, le sopravvenute leggi sulla
 riforma agraria (legge Sila n. 230 del 1950 e legge stralcio n. 841 del
 1950) - nella cui area di applicazione si muovono i giudizi  a  quibus,
 riguardanti   contestazioni   fra  coeredi  di  terreni  espropriati  e
 assegnati  ai  contadini  in   attuazione   della   detta   riforma   -
 presuppongono  la  non immediata assegnazione in proprieta' dei terreni
 ai contadini, bensi' la riserva del dominio sui terreni stessi a favore
 dell'Ente  di   riforma   fino   all'integrale   pagamento   da   parte
 dell'assegnatario  del  prezzo di assegnazione, pagamento rateizzato in
 trenta annualita', senza la possibilita' del riscatto  anticipato,  che
 anzi e' espressamente escluso dall'art. 18 della legge Sila.
     Con  la  legge  29  maggio 1967, n. 379 e' previsto, all'art. 1, il
 riscatto anticipato, dopo 6 anni dall'immissione in possesso del fondo,
 delle annualita' del prezzo di assegnazione, con  conseguente  acquisto
 della  proprieta'  del  fondo  da  parte dell'assegnatario riscattante.
 Contestualmente la legge regola:
     1) all'art. 4,  comma  primo,  l'ipotesi  del  "fondo  riscattato",
 disponendo  che  quest'ultimo e' soggetto a vincolo di indisponibilita'
 ai sensi della l. n. 1078 del 1940;
     2) all'art. 7 l'ipotesi del  subingresso  all'assegnatario  defunto
 relativamente   al   "fondo   non   ancora  riscattato"  disponendo  il
 subingresso a favore del discendente in linea retta avente i  requisiti
 previsti  per l'assegnazione e, in mancanza, del coniuge non legalmente
 separato per sua colpa,  avente  i  detti  requisiti,  su  designazione
 dell'avente  diritto,  o,  in mancanza, dei coeredi, ovvero, in caso di
 disaccordo fra  essi,  dell'autorita'  giudiziaria  (su  istanza  degli
 interessati,  o  dell'ente,  con  riguardo alle condizioni e attitudini
 personali),  salva  l'attribuzione   ai   coeredi   esclusi,   per   il
 soddisfacimento  delle loro ragioni, di un credito verso l'assegnatario
 - credito estinguibile ratealmente in dieci anni con l'interesse legale
 - nei limiti della somma  risultante  dall'ammontare  delle  annualita'
 versate,  aumentato  dall'incremento di valore conseguito dal fondo per
 effetto di miglioramenti.
     Per completare il quadro occorre far riferimento alla legge n.  386
 del  1976 che, all'art. 10, mentre abroga espressamente l'art. 17 della
 legge Sila, stabilisce la durata del  riservato  dominio  limitatamente
 all'arco   di   15  anni  (occorrente  per  il  pagamento  di  quindici
 annualita') e dispone che i terreni affrancati  dal  riservato  dominio
 (dopo  i  15  anni)  sono soggetti alle limitazioni e ai divieti di cui
 agli artt. 4 e 5 della legge n. 379 del 1967.
     3. - Le tre prime ordinanze (Tribunale Avezzano 9  settembre  1977,
 R.O.  n.  512 del 1977; Tribunale Civitavecchia 17 giugno 1980, R.O. n.
 565 del 1980 e 22 gennaio 1982, R.O. n. 207 del 1982) prospettano  vari
 profili di illegittimita' costituzionale della normativa, sostanziale e
 processuale,  in  materia di successione, relativamente a un terreno di
 riforma, all'assegnatario che sia  deceduto  dopo  aver  riscattato  il
 fondo.  Esse  muovono  dalla  premessa  che  la  normativa impugnata va
 desunta dal richiamo fatto dall'art. 4,  comma  primo,  della  l.    29
 maggio 1967, n. 379, e (secondo l'ordinanza n.  512 del 1977) dall'art.
 10,  comma secondo, della l.  20 aprile 1976, n. 386, al disposto degli
 artt. 5, 6 e 7 della l. 3 giugno 1940, n. 1078.
     La quarta ordinanza (Tribunale Avezzano 1 marzo 1978, R.O.  n.  287
 del  1978),  pur  investendo anch'essa le norme suindicate - ma solo in
 quanto implicitamente richiamate dall'art. 7 della l. n. 379 del 1967 -
 concerne la diversa fattispecie  del  subentro  all'assegnatario  morto
 prima del riscatto del fondo, e va quindi esaminata separatamente.
     Ora,  la  comune  premessa da cui muovono le prime tre ordinanze e'
 contestata dall'Avvocatura dello Stato in base all'assunto  che  l'art.
 4,  comma  primo,  della l. n. 379 del 1967, nel disporre che "il fondo
 riscattato e' soggetto a vincolo di indivisibilita' ai sensi della l. 3
 giugno 1940, n. 1078",  opera  un  rinvio  alle  sole  disposizioni  di
 quest'ultima  legge che riguardano l'indivisibilita' (e cioe' gli artt.
 1, 4 e 10), e non anche a quelle concernenti la sorte della titolarita'
 del fondo dopo il decesso dell'assegnatario (e cioe' gli artt. 5, 6,  7
 ed   8).   Tali   ultime  norme  riguarderebbero  infatti  il  criterio
 dell'attribuzione del fondo e non l'infrazionabilita' di esso,  con  la
 conseguenza   che,   esclusa   l'applicabilita'   del  regime  speciale
 (sostanziale e processuale) delineato dagli artt. 5, 6 e 7 della l.  n.
 1078  del  1940,  la  sucessione  mortis  causa nella titolarita' di un
 terreno di riforma all'assegnatario,  gia'  divenuto  proprietario  per
 aver  riscattato  il  fondo,  sarebbe  regolata  dalle norme del codice
 civile, mentre le controversie tra gli eredi dovrebbero  essere  decise
 in sede contenziosa ordinaria.
     L'eccezione,  che  tende ad escludere la rilevanza delle questioni,
 e' infondata, non essendovi motivo - che risulti dal "diritto  vivente"
 -  per  escludere  l'esattezza  dell'interpretazione data dai giudici a
 quibus nel senso dell'applicabilita', all'ipotesi di cui si tratta,  in
 forza  dei richiami suindicati, del regime dettato con gli artt. 5, 6 e
 7 della l. n. 1078 del 1940.
     4. - E' comune a tre delle ordinanze in esame  (Tribunale  Avezzano
 R.O. n. 512 del 1977; Tribunale Civitavecchia R.O. n. 565 del 1980 e n.
 207   del   1982)  la  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento all'art. 24, commi primo e secondo Cost., degli artt. 5,6 e
 7 della l. n.  1078 del 1940, nella parte in cui prevedono, nel caso di
 morte dell'assegnatario riscattante, che la designazione giudiziale del
 subentrante, in difetto di indicazione da  parte  del  testatore  o  di
 accordo tra coeredi, avvenga con il rito camerale.
     A  sua volta, l'ordinanza del Tribunale di Avezzano R.O. n. 287 del
 1978 dubita della  legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli
 artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 7, comma terzo, della l. n. 379 del 1967,
 il   quale   stabilisce   -   per   la   diversa  ipotesi  del  decesso
 dell'assegnatario prima del riscatto del fondo - che l'assegnazione, in
 difetto di designazione del testatore o di accordo tra  i  coeredi,  e'
 disposta  dall'autorita' giudiziaria su "istanza" degli interessati (e,
 quindi, secondo il giudice a quo, con il rito camerale).
     Quest'ultima ordinanza denuncia anche, in riferimento  agli  stessi
 parametri,  e  sempre  in  relazione  al  prescritto  impiego  del rito
 camerale, l'illegittimita' costituzionale del regime  dettato  con  gli
 artt.  5,  6  e  7  della l. n. 1078 del 1940, in quanto implicitamente
 richiamato dall'art. 73 comma terzo, della l. n. 379 del 1967.
     Viene  in tal modo sollevata, in definitiva, con tutte le ordinanze
 in esame, un'unica questione, concernente il rito camerale  -  adottato
 sia  per  la  designazione  del successore all'assegnatario il quale ha
 riscattato, sia per quella del subentrante  all'assegnatario  il  quale
 non  ha  riscattato  -  rito la cui adozione, in relazione alla materia
 controversa, viene denunciata in se', per la sua  intrinseca  lesivita'
 degli artt. 24 e 3 Cost..
     Deducono  i giudici a quibus che, siccome la decisione con la quale
 viene designato il successore  o  il  subentrante  incide  sui  diritti
 soggettivi dei piu' aspiranti (a succedere nella proprieta' del terreno
 o  nel  rapporto  di assegnazione), l'impiego del rito camerale offende
 l'art. 24, commi primo e secondo, Cost., in quanto  non  e'  idoneo  ad
 assicurare  quella  pienezza di difesa e di contraddittorio, che, anche
 sotto il profilo delle impugnazioni, sarebbe garantita in  materia  dal
 giudizio  ordinario; nonche' l'art. 3 Cost., in quanto il detto impiego
 e'  preclusivo  di  qualsiasi  iniziativa  istruttoria  da  parte   dei
 resistenti all'istanza.
     La questione non e' fondata.
     In  riferimento  alla  denunciata  violazione dell'art.   24, commi
 primo e secondo, Cost., la giurisprudenza di questa Corte  e'  costante
 nell'affermare  che la previsione del rito camerale per la composizione
 di conflitti di interesse mediante provvedimenti decisori (ipotesi che,
 ad avviso dei giudici a quibus, ricorre nella specie), non e'  per  se'
 suscettiva  di frustrare il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di
 quest'ultimo  puo'  essere  modulato  dalla  legge  in  relazione  alle
 peculiari  esigenze dei vari procedimenti speciali, "purche' ne vengano
 assicurati lo scopo e la funzione" (cfr. le sentenze di questa Corte n.
 122 del 1966; n. 119 del 1974; n. 202 del 1975).
     Ora, il procedimento in camera di consiglio in oggetto  -  mediante
 il  quale  viene designato (con la sollecitudine imposta dalle esigenze
 di continuita' della gestione dell'impresa agricola) il successore o il
 subentrante all'assegnatario defunto che ha riscattato o no, in base ad
 una valutazione incentrata sulle "condizioni  e  attitudini  personali"
 (oggetto  limitato, che ben si concilia con un rito rapido e informale)
 - consente un adeguato  esercizio  del  cennato  diritto  fondamentale,
 considerato nelle sue componenti essenziali.
     Risulta  anzitutto  garantito  il principio del contraddittorio, in
 quanto le parti debbono essere sentite (art. 7 l.  n.  1078  del  1940,
 richiamato  implicitamente, secondo "il diritto vivente", dall'art.  7,
 comma terzo, della l. n. 379 del 1967): il che postula che  il  giudice
 debba  accertare  l'avvenuta  convocazione  in  giudizio  di  tutti gli
 interessati e disporre eventuali integrazioni.
     Quanto all'attivita' probatoria, questa non e' totalmente  preclusa
 alle  parti  in  ragione  dei  poteri di indagine spettanti al giudice,
 bensi' soltanto limitata a quei mezzi di  prova  che  sono  comunemente
 ritenuti  ammissibili  nel  rito  camerale  (produzione  di  documenti,
 presentazione e audizione di terzi  informatori,  interrogatorio  delle
 parti,  deposito  di  pareri  tecnici e di memorie illustrative ed ogni
 altro mezzo che possa esplicarsi nelle forme compatibili con la  natura
 del  procedimento: cfr. le sentenze di questa Corte n.  22 del 1973; n.
 202 del 1975). E non v'e' dubbio che si tratti di strumenti congrui  in
 relazione   alla   modestia   degli   accertamenti   da   compiere  per
 l'individuazione  del  soggetto  piu'  idoneo  alla  successione  o  al
 subingresso.
     E  del  pari incontestabile che, nel silenzio della norma, le parti
 possano avvalersi della difesa tecnica, ricorrendo all'assistenza di un
 difensore, in quanto cio' risponde ad un principio  generale,  operante
 anche  per i procedimenti camerali (cfr. le sentenze di questa Corte n.
 172 del 1976 e n. 202 del 1975).
     Risulta,  infine,  assicurata  la  facolta'  di  impugnazione,  dal
 momento  che  avverso  il  provvedimento del tribunale e' consentito il
 reclamo alla Corte d'appello (art. 739 c.p.c.), la cui  decisione,  per
 consolidato  orientamento giurisprudenziale, e' impugnabile con ricorso
 per cassazione ex  art.  111  Cost.,  in  considerazione  della  natura
 decisoria del provvedimento.
     La  determinazione  del  contenuto  dell'attivita'  istruttoria  e'
 operata in egual misura per  l'istante  e  per  i  resistenti,  il  che
 esclude  la lesione dell'art. 3 Cost., denunciata dall'ordinanza n. 287
 del 1978.
     5. - Il Tribunale di Avezzano, con l'ordinanza n.  512 del 1977, ed
 il Tribunale  di  Civitavecchia,  con  l'ordinanza  n.  565  del  1980,
 censurano  alcuni  aspetti della successione all'assegnatario che abbia
 gia' riscattato, previsti dall'art. 6 della l. n.  1078 del 1940.
     Sospettano in particolare:
     a) che la norma impugnata  sia  costituzionalmente  illegittima  in
 riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui, prevedendo il subentro
 di  un  solo  coerede,  esclude  gli  altri  coeredi  dell'assegnatario
 riscattante dai diritti successori su un bene esistente nel  patrimonio
 del  defunto,  qual e' il terreno di riforma gia' riscattato (ordinanza
 n.  512 del 1977);
     b)  che  la  detta  norma  sia  costituzionalmente  illegittima  in
 riferimento  allo  stesso parametro, nella parte in cui (comma secondo)
 prevede  che  il  soddisfacimento  del  credito  dei  coeredi   esclusi
 dall'assegnazione,  per la quota di valore del fondo riscattato ad essi
 spettante, puo' essere differito dal subentrante con rateazioni fino  a
 dieci  anni.  La  previsione  determinerebbe  disparita' di trattamento
 rispetto ad altre ipotesi di indivisibilita' dei beni  ereditari  (art.
 720 c.c.), per le quali non e' prevista la rateazione nel pagamento del
 conguaglio (ordinanza n. 565 del 1980).
     Entrambe le questioni sono infondate.
     Va   anzitutto  rilevato,  quanto  alla  censura  sub  a),  che  la
 denunciata esclusione dei coeredi  dai  diritti  successori  sul  fondo
 riscattato  costituisce  una  necessaria  conseguenza  del  divieto  di
 frazionamento del fondo previsto dalla l. n. 1078 del  1940,  in  forza
 della  quale  la suddivisione dell'unita' poderale non puo' derivare da
 nessun atto di trasferimento, tra vivi o  mortis  causa,  volontario  o
 coattivo  (artt.  1  e  9,  l.  n.  1078 del 1940). In relazione a tale
 indivisibilita', infatti, la successione mortis causa nella  proprieta'
 dei   terreni   di  riforma  riscattati  si  svolge  -  in  difetto  di
 designazione da parte del testatore  o  di  accordo  tra  i  coeredi  -
 secondo  schemi  peculiari,  poiche' il fondo viene attribuito, in base
 alle qualita' e condizioni personali, ad uno dei coeredi,  riconosciuto
 dall'autorita' giudiziaria come il piu' idoneo a proseguire l'esercizio
 dell'impresa agricola, con esclusione degli altri.
     Cio'  posto,  va  osservato  che  gia' anteriormente all'entrata in
 vigore  della  Costituzione,  nel  quadro  della  previsione   di   una
 disciplina    differenziata   della   proprieta'   fondiaria   per   il
 conseguimento di scopi di pubblico interesse  (art.  845  c.c.),  erano
 state  poste  limitazioni  alla  frazionabilita'  dei  fondi  in  vista
 dell'interesse  pubblico alla produttivita' dei medesimi (cfr. art. 846
 c.c., diretto a delineare la figura, peraltro non attuata a  norma  del
 successivo  art. 847, della "minima unita' culturale", come limite alla
 parcellizzazione dei terreni nei trasferimenti di proprieta' o  diritti
 reali,  divisioni o assegnazioni; cfr.  artt. 720 e 722 c.c., diretti a
 sancire, in deroga all'art. 718 c.c., rispettivamente l'indivisibilita'
 dei beni ereditari il cui  frazionamento  recherebbe  pregiudizio  alle
 ragioni   della   pubblica  economia,  e  quella  dei  beni  dichiarati
 indivisibili per legge nell'interesse della  produzione  nazionale).  E
 nel  detto  quadro  si  inscrive  la  l.  n. 1078 del 1940, dettata per
 l'assegnazione in proprieta' dei terreni bonificati.
     Entrata in vigore la Costituzione, le leggi di riforma agraria  (in
 particolare,  per  quanto  interessa  questo giudizio, la l. n. 379 del
 1967, all'art. 4, comma primo, e la l. n. 386 del  1976,  all'art.  10,
 comma secondo) hanno previsto analoghe limitazioni mediante rinvio alla
 suindicata l. n. 1078 del 1940.
     Orbene  tali  limitazioni appaiono funzionali ai fini della riforma
 agraria e coerenti al sistema emergente degli artt. 41,  42,  44  e  47
 Cost..
     In  particolare  deve  ritenersi che le dimensioni minime del fondo
 oggetto di assegnazione siano strettamente correlate  -  in  quanto  ne
 condizionano la produttivita' e con essa l'autosufficienza dell'impresa
 diretta-coltivatrice    e   la   stessa   funzione   della   proprieta'
 diretta-coltivatrice - alla destinazione del fondo  e  quindi  ai  fini
 della riforma.
     E  non e' senza ragione che l'art. 44 Cost., coordinando il fine di
 stabilire equi rapporti sociali e quello  di  conseguire  il  razionale
 sfruttamento  del  suolo, nel prevedere che la legge imponga obblighi e
 vincoli  alla  proprieta'  terriera  privata,  fissi  limiti  alla  sua
 estensione,  e  promuova  e  imponga  la  trasformazione del latifondo,
 prevede altresi' che la legge promuova  e  imponga  la  "ricostituzione
 delle unita' produttive".
     Dimodiche' appaiono pienamente giustificate sia la previsione delle
 cennate  limitazioni  alla  frazionabilita' del fondo assegnato, sia la
 creazione  -  che  ne  discende   -   di   uno   statuto   proprietario
 differenziato,   statuto   che   si   aggiunge   con   ben  piu'  forte
 legittimazione - in relazione alla destinazione a fini sociali del bene
 che ne e' oggetto - a quelli  presenti  nell'ordinamento  anteriormente
 alla Costituzione.
     Cosi'  come  e'  giustificata  la  conservazione,  pur voluta dalla
 riforma   agraria,   dell'unita'   aziendale   e   della    continuita'
 imprenditoriale attinenti alla gestione del fondo assegnato.
     Il   limite   dell'infrazionabilita',   poi,  e  cosi'  lo  statuto
 proprietario  differenziato   al   medesimo   connesso,   ben   possono
 determinare  un  differenziato  regime  successorio  - l'art. 42, comma
 quarto, Cost.   ammette d'altronde  limiti  ex  lege  alla  successione
 mortis causa - e in particolare escludere l'applicabilita' della regola
 del  pari  diritto  degli  eredi  ad  una  porzione  in natura dei beni
 ereditari.   Regola   quest'ultima,   sancita   dall'art.   718   c.c.,
 strettamente  ancorata  al  principio  del  regime proprietario unico e
 indifferenziato, alla pretesa osservanza della quale, a ben vedere,  si
 correla  il  dubbio  circa  la questione di legittimita' costituzionale
 della norma impugnata per disparita' di trattamento fra coeredi.
     D'altro   canto,   la   posizione  dei  coeredi  estromessi  appare
 adeguatamente tutelata dal riconoscimento del diritto a  percepire,  in
 proporzione  alla  quota,  la somma corrispondente al valore venale del
 fondo ed a conseguire (se  gli  esclusi  rappresentano  la  maggioranza
 delle quote ereditarie) l'assegnazione del fondo in comunione.
     Quanto  alla  questione  sub  b),  concernente  la  rateazione  dei
 conguagli in denaro spettanti  ai  coeredi  esclusi,  non  prevista  in
 relazione  ad  altri  beni  ereditari egualmente indivisibili (art. 720
 c.c.), va anzitutto rilevato che  all'indivisibilita'  puo'  collegarsi
 una  disciplina diversa nell'ambito dei vari regimi successori, purche'
 cio' sia razionalmente giustificato.
     Orbene, le osservazioni svolte in precedenza consentono di ritenere
 giustificata  anche  la  diversa  disciplina  di  cui  si  tratta,   in
 considerazione  delle  esigenze  di  continuita'  dell'impresa agraria.
 Invero l'immediato soddisfacimento  dei  crediti  dei  coeredi  esclusi
 imporrebbe al subentrante di procurarsi i capitali ricorrendo, di norma
 (si    tratta,   e'   bene   ricordarlo,   di   coltivatore   diretto),
 all'indebitamento, con conseguente pericolo di  contrazione  dei  mezzi
 finanziari   necessari  per  la  continuazione  dell'impresa  agricola,
 laddove la dilazione (con l'interesse legale) agevola indubbiamente  le
 esigenze  di  continuita'  e di produttivita' dell'impresa stessa, alle
 quali e' legata la riforma  agraria,  in  conformita'  con  i  precetti
 costituzionali suindicati.
     6.  -  Ulteriore  questione e' posta dal Tribunale di Avezzano, con
 l'ordinanza n. 512 del 1977, nella quale  si  censura,  in  riferimento
 all'art.  42,  comma quarto, Cost., l'art. 5 della l. n. 1078 del 1940,
 nella parte in cui consente la devoluzione di un bene ereditario,  qual
 e'   il   fondo   riscattato,   in   base   a  pronuncia  discrezionale
 dell'autorita'  giudiziaria,  che  deve  tener  conto  soltanto   delle
 condizioni ed attitudini personali degli interessati.
     La questione non e' fondata.
     Ed  infatti  non  e'  certamente ravvisabile nella previsione della
 norma impugnata  una  successione  rimessa  alla  discrezionalita'  del
 giudice  in  violazione  della riserva di legge stabilita dall'art. 42,
 comma quarto, Cost.: il giudice e' chiamato ad  applicare  un  criterio
 legale  di  preferenza,  collegato alle qualita' e condizioni personali
 del prescelto, e  cioe'  ad  attuare  un  precetto  normativo  teso  ad
 assicurare  la  successione  nel  fondo assegnato a favore del soggetto
 piu' idoneo a garantire la continuazione dell'impresa agraria,  sicche'
 la  successione,  sia  pur  attraverso  il  tramite  di  una  pronuncia
 giudiziaria, avviene pur sempre in forza di legge.
     7. - Si muove in un ambito diverso da quello fino ad ora  esaminato
 l'ordinanza  n.  287  del  1978 del Tribunale di Avezzano, la quale, in
 tema di subentro all'assegnatario morto prima del riscatto  del  fondo,
 censura, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 7, comma quinto, della
 l.  n.  379  del  1967,  nella  parte in cui consente (con disposizione
 analoga a quella, gia' esaminata, dell'art. 6, comma secondo, della  l.
 n.  1078 del 1940) la dilazione decennale nel pagamento dei crediti dei
 coeredi esclusi.
     La questione non e' fondata.
     Con  essa  e'  riproposta  solo  sotto  lo  specifico  aspetto  ora
 individuato  la  questione  di  legittimita'  della norma impugnata per
 ingiustificata disparita' di trattamento fra coeredi  dell'assegnatario
 di  fondo  non  riscattato,  questione  risolta negativamente da questa
 Corte con la sentenza n. 66 del 1974.
     Ora,  in proposito e' sufficiente richiamare le osservazioni svolte
 nel precedente n. 5 in relazione alla questione sub b), atteso  che  le
 esigenze  di  continuazione  dell'impresa  agricola,  il  cui andamento
 sarebbe  pregiudicato  dall'onere  di  un  pagamento  immediato,   sono
 ravvisabili  sia nel caso di successione ad assegnatario il quale abbia
 riscattato, che in quello di subentro  ad  assegnatario  il  quale  non
 abbia ancora riscattato il fondo.