ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5, commi
 quarto e sesto, della legge 18 aprile 1975, n. 110 ("Norme  integrative
 della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e
 degli  esplosivi"), promossi con ordinanze emesse il 17 luglio 1980 dal
 Pretore di Poggibonsi, il 10 febbraio 1982 dal Tribunale di Ravenna, il
 10 maggio 1982 dal Pretore di Desio, il 29 maggio 1982 dal  Pretore  di
 Rimini,  il  22  marzo  1982 dal Pretore di Lucca, il 3 maggio 1983 dal
 Tribunale di Sondrio (n. 2 ordinanze), il 24 novembre 1982 dal  Pretore
 di  Lucca,  il  16  febbraio 1984 dal Pretore di Breno, il 26 settembre
 1983 dal Tribunale di Bergamo, il  15  febbraio  1984  dal  Pretore  di
 Genova  ed  il  1  dicembre 1984 dal Pretore di Torino, rispettivamente
 iscritte al n. 826 del registro ordinanze 1980, nn. 168, 487 e 753  del
 registro ordinanze 1982, nn. 747, 785, 786 e 964 del registro ordinanze
 1983,  nn.  439,  442  e  1006 del registro ordinanze 1984 e n. 219 del
 registro ordinanze 1985 e pubblicate  sulla  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  n.  41  dell'anno 1981, nn. 206 e 351 dell'anno 1982, n. 88
 dell'anno 1983, nn. 46 e 32 dell'anno 1983, nn. 95 e 266 dell'anno 1984
 e 34 bis e 173 bis dell'anno 1985.
     Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
     udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 gennaio 1986 il Giudice
 relatore Renato Dell'Andro.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Con  ordinanza  del  17  luglio 1980 (reg. ord. n. 826/ 80),
 emessa nel corso di un  procedimento  penale  a  carico  di  Martinelli
 Claudio,  imputato  del  reato di cui all'art. 5, commi quarto e sesto,
 della legge 18 aprile 1975 n. 110, per  avere  detenuto  nella  propria
 abitazione  una  pistola  giocattolo  scacciacani  priva del prescritto
 tappo rosso,  il  Pretore  di  Poggibonsi  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3  Cost., del
 combinato disposto dei suddetti commi quarto e sesto dell'art. 5  della
 legge  18  aprile  1975  n.  110  ("Norme  integrative della disciplina
 vigente  per  il  controllo  delle  armi,  delle  munizioni   e   degli
 esplosivi"),   in   quanto   non  viene  fatta  alcuna  distinzione  di
 trattamento penale tra le figure del fabbricante, dell'importatore, del
 detentore e del portatore di armi giocattolo.
     Osserva il Pretore che e' aberrante la  disparita'  di  trattamento
 tra   situazioni  che  hanno  un  disvalore  sociale  e  giuridico  che
 meriterebbe una ben altra considerazione quoad poenam. Tale  disparita'
 viene  evidenziata  anche  dal  raffronto  con la fattispecie di cui al
 precedente art. 4, il quale, per  il  porto  fuori  dall'abitazione  di
 un'arma  vera  e  propria,  e  cioe'  per  una condotta senz'altro piu'
 pericolosa di quella in esame, prevede pene di entita' minore e, per  i
 casi  piu'  lievi,  la  possibilita'  di  applicare  la  sola  ammenda.
 Inoltre, il comma sesto dell'art. 5 non  proporziona  la  misura  della
 pena   al   tipo   di   condotta  specifica  tenuta  dal  trasgressore,
 contrariamente  a  quanto  accade  per  colui  che  contravviene   alla
 normativa  sulla detenzione e sul porto delle armi vere e proprie (art.
 4 legge n. 110 del 1975 e artt. 10 e 12 legge 14 ottobre 1974 n.  497).
 Vi  e'  altresi', conclude il Pretore, una ingiustificata disparita' di
 trattamento fra chi detiene nella propria abitazione un'arma giocattolo
 priva  del  tappo  rosso,  non  realizzando  certamente  una   condotta
 particolarmente  pericolosa  e meritevole di una cosi' dura repressione
 penale, e chi la porta sulla pubblica via,  creando  in  tal  modo  una
 situazione  di  effettivo  pericolo  per  la  sicurezza  dei  beni e la
 tranquillita' dei consociati. La illogicita' di una tale  parificazione
 di   figure   giuridiche   che   meriterebbero  un  trattamento  penale
 differenziato (detentore, portatore, fabbricante, ecc.)  risulta  anche
 dallo stesso sistema legislativo sancito per le armi in genere, le armi
 comuni da sparo e quelle da guerra.
     2. - Identica questione e' stata sollevata dal Tribunale di Ravenna
 con ordinanza del 10 febbraio 1982 (reg. ord. n.  168/82).
     Osserva  il  Tribunale che le disposizioni di cui ai commi quarto e
 sesto dell'art. 5 della legge 18 aprile 1975 n. 110 prevedono  la  pena
 edittale  della  reclusione  da  uno  a  tre anni e della multa da lire
 100.000 a lire 1.000.000 ed inoltre accomunano nell'identica previsione
 punitiva sia l'ipotesi di fabbricazione di giocattoli trasformabili  in
 armi  da guerra o comuni da sparo e di giocattoli aventi la canna priva
 di tappo rosso incorporato e sia l'ipotesi di detenzione  dei  medesimi
 giocattoli. Per contro, la detenzione di armi comuni da sparo e' punita
 con  la  reclusione  da otto mesi a cinque anni e quattro mesi e con la
 multa da lire 133.334 a lire 1.000.000. Queste pene possono poi  essere
 ridotte  in  misura  non  eccedente  i  due terzi quando il fatto debba
 ritenersi di lieve  entita',  mentre  tale  diminuente  non  e'  invece
 applicabile all'ipotesi di detenzione di arma giocattolo priva di tappo
 rosso.  Ritiene pertanto il Tribunale che questo sistema sanzionatorio,
 nella  fissazione  dei  minimi  edittali,  rivela   una   assolutamente
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  a  favore della ipotesi di
 detenzione di arma comune da sparo ed a sfavore di quella di detenzione
 di arma giocattolo sprovvista  di  tappo  rosso,  che  invece  presenta
 evidenti profili di minore pericolosita' e gravita'.
     3. - La medesima questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 5,  commi  quarto  e  sesto,  della  legge  18  aprile  1975 n. 110, in
 riferimento all'art. 3, comma primo, Cost., e' stata altresi' sollevata
 dal Pretore di Rimini con ordinanza del 29 maggio 1982  (reg.  ord.  n.
 753/82),  dal  Pretore  di  Lucca con ordinanza del 22 marzo 1982 (reg.
 ord. n.  747/82) e con altra ordinanza dell'8 novembre 1982 (reg.  ord.
 n. 964/82), dal Tribunale di Bergamo con  ordinanza  del  26  settembre
 1983  (reg.  ord. n. 442/84), e dal Pretore di Genova con ordinanza del
 15 febbraio 1984 (reg. ord. n.   1006/84), dal Pretore  di  Torino  con
 ordinanza  del  1  dicembre  1984  (reg.  ord. n. 219/ 85), nonche' dal
 Tribunale di Sondrio con due ordinanze del 3 maggio 1983 (reg. ord. nn.
 785 e 786/83).
     Nel merito le prime sei di  queste  ordinanze  svolgono  le  stesse
 considerazioni  contenute nell'ordinanza 10 febbraio 1982 del Tribunale
 di Ravenna. Il Tribunale di Sondrio sottolinea  inoltre  che  le  norme
 impugnate  puniscono  con  identica  pena sia chi detiene nella propria
 abitazione  un'arma  giocattolo  priva  del  prescritto   tappo   rosso
 incorporato sia chi, invece, la produce o la porta in luogo pubblico, e
 che  la  detenzione  ed  il porto di un'arma giocattolo sono puniti con
 pena edittale superiore nel minimo a quella prevista per la  detenzione
 ed  il  porto  di  arma comune da sparo, ai quali puo' anche applicarsi
 l'attenuante del fatto di lieve entita' di cui all'art. 5 della legge 2
 ottobre 1967 n. 895, inapplicabile invece al caso in esame.
     4. - L'art. 5, ultimo comma, della legge 18 aprile 1975  n.    110,
 nella  parte  in  cui prevede la stessa pena edittale per chi fabbrica,
 detiene e porta fuori dalla  propria  abitazione  una  arma  giocattolo
 priva  del  prescritto  tappo rosso e nella parte in cui punisce con un
 minimo edittale maggiore la sua detenzione rispetto a  quella  illegale
 di  arma  comune  da  sparo,  per l'inapplicabilita' alla prima ipotesi
 dell'attenuante del caso di lieve entita', e' stato altresi' impugnato,
 in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Breno con ordinanza del
 16 febbraio 1984 (reg. ord. n.  439/84).
     Osserva il Pretore che il contrasto con l'art. 3  Cost.  si  ricava
 dalla   diversita'   ontologica   delle   tre  ipotesi  (fabbricazione,
 detenzione e porto fuori dall'abitazione) identicamente punite, nonche'
 dal diverso allarme sociale eventualmente  destato,  in  quanto  appare
 ictu  oculi  piu' grave l'ipotesi di chi produce armi giocattolo contra
 legem e di chi le porta fuori dalla propria abitazione a contatto con i
 cittadini, rispetto a chi le detiene ben riposte in casa  (caso  questo
 in cui appare minimo l'allarme sociale destabile). Ne' tali conclusioni
 contrastano  con  la  ratio ispiratrice della norma, atteso che essa e'
 stata dettata per il pericolo che l'arma giocattolo,  priva  del  tappo
 rosso  e  cosi'  resa  irriconoscibile  ad  un  occhio inesperto, possa
 eventualmente essere usata per commettere reati, e che  dunque  non  e'
 ragionevole  punire  allo  stesso modo chi la conserva in casa e chi la
 porta fuori casa. D'altra parte la differenza tra  le  tre  ipotesi  e'
 nota al legislatore che punisce in modo differenziato la fabbricazione,
 la detenzione e il porto abusivo di armi.
     Osserva  inoltre  il Pretore che appare altresi' irrazionale che la
 detenzione illegale di armi, ove ricorra il caso di lieve entita',  sia
 punibile  con  pena  minima  di  mesi  sei  di  reclusione,  mentre  la
 detenzione di arma giocattolo non conforme alla legge soggiace  a  pena
 piu'  elevata  nel minimo, stante l'inapplicabilita' dell'attenuante di
 cui all'art. 5 della legge 2 ottobre 1967 n. 895.
     5.  -  Tutte  le  suddette  ordinanze   sono   state   regolarmente
 comunicate, notificate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.
     Nei relativi giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,
 concludendo per l'infondatezza delle questioni.
     Osserva l'Avvocatura  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa
 Corte,  spetta  al  legislatore  valutare  discrezionalmente  parita' o
 diversita'  di  situazioni,   pur   nel   rispetto   dei   criteri   di
 ragionevolezza  e  degli altri principii costituzionali, e solamente al
 legislatore  spetta   determinare   l'entita'   della   pena   con   un
 apprezzamento  di  politica  legislativa  che  puo'  formare oggetto di
 censura solo quando la sperequazione tra reato e pena assuma dimensioni
 tali da non riuscire sorretta da ogni benche'  minima  giustificazione.
 Nel   caso  in  esame,  invece,  i  giudici  a  quibus  dubitano  della
 legittimita' delle norme impugnate basandosi in realta'  esclusivamente
 su  un  giudizio  di  minore  gravita' di una certa ipotesi rispetto ad
 altra  ritenuta  di  maggiore  gravita',  giudizio  questo  che   pero'
 certamente  non  appartiene ad essi, rientrando appunto nella esclusiva
 sfera di discrezionalita' del legislatore. Deve invero  escludersi  che
 sia   consentito  porre  a  base  di  una  denuncia  di  illegittimita'
 costituzionale la mera convinzione, o rappresentazione interna,  ovvero
 una  particolare ottica dei giudici a quibus nell'apprezzamento e nella
 valutazione di un minore o maggiore disvalore di un certo comportamento
 sotto il profilo penale, ai  fini  di  una  corrispondente  valutazione
 della  proporzionalita'  della  previsione  punitiva,  nel minimo o nel
 massimo, della condotta antigiuridica,  occorrendo  invece  la  fondata
 dimostrazione   del  preteso  arbitrio  nel  quale  sarebbe  caduto  il
 legislatore disciplinando diverse fattispecie  penali  in  una  materia
 cosi' grave, delicata e fondamentale ai fini dell'ordine pubblico.
     Ed  i  giudici a quibus, all'infuori delle loro personali opinioni,
 non  hanno  indicato  l'irragionevolezza  della   scelta   legislativa,
 ispirata  invece  ad una giusta valutazione della fattispecie criminosa
 sia con riferimento alla "detenzione", sia con riferimento  al  "porto"
 dell'arma  giocattolo, coerentemente e razionalmente posti sullo stesso
 piano in vista ed a ragione della loro stessa potenziale pericolosita',
 fermo restando il potere - dovere dei giudicanti di  graduare  la  pena
 nei  limiti  dettati  dalla  norma.  E, pur trattandosi di questioni di
 merito sottratte al sindacato di  costituzionalita',  non  e'  comunque
 ammissibile istituire un raffronto della normativa impugnata con quella
 prevista  per  le  armi  comuni  da  sparo  e  per  le  armi  da guerra
 trattandosi  all'evidenza  di  entita'  "fisicamente"   diverse   nella
 sostanza. Il denunciato contrasto col principio d'eguaglianza e' quindi
 del   tutto  inipotizzabile,  una  volta  che  le  scelte  operate  dal
 legislatore nell'ambito  della  sfera  di  sua  esclusiva  attribuzione
 risultano largamente nei confini della ragionevolezza.
     6.   -   Una   diversa  e  particolare  questione  di  legittimita'
 costituzionale e' stata sollevata dal Pretore di  Desio  con  ordinanza
 del  10  maggio  1982  (reg.  ord.  n.  487/82), emessa nel corso di un
 procedimento penale a carico di Frigerio Vittorio e Giovanna,  accusati
 di  aver  prodotto  e  posto  in commercio pistole giocattolo con tappi
 rossi non incorporati  all'estremita'  della  canna,  ossia  facilmente
 estraibili.  Con  tale  ordinanza  viene  denunciato, per contrasto con
 l'art. 3 Cost., l'art. 5, comma quarto, della legge 18 aprile  1975  n.
 110,  nella  parte  in  cui  non  specifica che la parola "incorporato"
 (riferita al tappo rosso che deve  chiudere  l'estremita'  della  canna
 dell'arma  giocattolo)  debba  intendersi  nel  senso  di "comunque non
 estraibile".
     Il Pretore premette che gli imputati si difendono sostenendo che la
 disposizione  impugnata,  con  la  parola  "incorporato",  non  intende
 riferirsi alla "non estraibilita'" del tappo rosso, e premette altresi'
 una  minuziosa descrizione dell'arma in questione, da cui emerge che il
 tappo rosso posto all'estremita' della canna e' facilmente  estraibile,
 ma  da  cui  risulta  anche  che  l'arma ha caratteristiche tali da far
 seriamente dubitare che non si tratti di un'arma giocattolo  bensi'  di
 un'arma vera e propria.
     Cio'  premesso,  il  Pretore  osserva  tuttavia  che  egli  ritiene
 "pacifico" che trattasi invece di un'arma giocattolo, e che e' evidente
 che l'espressione "incorporato" debba essere intesa nel senso  di  "non
 estraibilita'".    La    particolare   insidiosita'   commerciale   del
 comportamento degli imputati consente percio', continua il Pretore,  di
 ritenere  che essi si trincerino coscientemente dietro una lacuna della
 normativa, lacuna che sarebbe colmata se alla parola  "incorporato"  il
 legislatore avesse aggiunto "comunque non facilmente estraibile".
     Da   cio'  consegue,  conclude  il  giudice  a  quo,  che  "poiche'
 nell'interpretazione della dottrina e della giurisprudenza la questione
 ha oscillazioni applicative tali da  ritenere  che  l'interprete  possa
 aderire  all'una o all'altra interpretazione con identiche probabilita'
 di successo", "la questione... (e')... contrastante con i  principi  di
 certezza  del diritto e di uguaglianza ricavabili dall'art. 3 Cost. nel
 senso che il legislatore non ha fornito un  testo  della  norma  idoneo
 alla ratio che ispira la disciplina delle armi giocattolo".
     L'ordinanza   e'   stata   regolarmente  comunicata,  notificata  e
 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
     E'  intervenuto  il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
 rappresentato  e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo
 che, ove ritenuta ammissibile, la questione sia dichiarata infondata.
     Osserva invero l'Avvocatura che, a parte le piu' serie perplessita'
 sull'ammissibilita'  della  questione,  sollevata  sulla  base  di  una
 motivazione  manifestamente  contraddittoria  ed  al limite apparente -
 dando per "pacifico" che si tratti di arma giocattolo  e  fornendo  nel
 contempo  seri elementi per non ritenerla tale (per essere venduta solo
 alle e dalle armerie e non dai negozianti di giocattoli e riservando il
 munizionamento solo alle prime), nonche' seguendo  una  interpretazione
 della  norma denunciata dal medesimo giudice a quo ritenuta "di comodo"
 e proveniente da  imputati  che  uniformano  il  loro  comportamento  a
 "particolare insidiosita' commerciale", ma in presenza di singolarmente
 non   citate   "oscillazioni   applicative"  "della  dottrina  e  della
 giurisprudenza" - , la medesima e' infondata a prima vista.
     Innanzitutto, non e' comprensibile  il  richiamo  al  parametro  di
 costituzionalita'  fissato  dal principio di eguaglianza, dal quale non
 solo non e' enucleabile il principio  di  "certezza  del  diritto",  ma
 neanche  la  "ratio  che ispira la disciplina delle armi - giocattolo";
 mentre  se  si  pretende denunciare la idoneita' del testo della norma,
 l'invocato  principio  di  eguaglianza  nulla  ha  a  che  vedere   con
 l'inesistente problematica sollevata con l'ordinanza di rimessione.
     In   secondo   luogo,   e'  comunque  evidente  l'erroneita'  e  la
 manchevolezza dell'interpretazione seguita dal giudice a quo, il  quale
 avrebbe  dovuto correttamente leggere l'ultima parte della disposizione
 impugnata in collegamento sistematico con la prima parte,  nella  quale
 il  legislatore  impone  l'adozione  di  determinate  cautele idonee ad
 impedire la trasformazione delle armi - giocattolo in armi da guerra  o
 da  sparo.  In  particolare,  la disposizione secondo cui i "giocattoli
 riproducenti armi" devono avere la "estremita' della canna parzialmente
 o totalmente occlusa da un visibile tappo rosso incorporato" impone  un
 ulteriore  accorgimento tecnico diretto a rendere concreta ed effettiva
 (nonche' visibile) la prescrizione contenuta nella  prima  parte  della
 disposizione  in  esame  che,  pertanto,  sarebbe  vanificata  se fosse
 concepibile l'estraibilita' del tappo rosso medesimo.  Ma  l'errore  di
 interpretazione  assume  carattere  macroscopico ove si ponga mente che
 nella  lingua  italiana,  secondo  la  normale  accezione,  il  termine
 "incorporare",  esprime  il  concetto di mescolare, fondere, formare un
 solo corpo, amalgamare, secondo quello che in definitiva e'  il  comune
 modo  di  intendere  la  parola,  non residuando cosi' alcun possibile,
 ragionevole dubbio che  il  "tappo  rosso",  inserito  nella  struttura
 dell'arma  giocattolo,  venga a far parte integrante di questa e la sua
 non estraibilita' ne risulta quindi indefettibile corollario.
                         Considerato in diritto:
     1. - Le ordinanze di  rimessione  di  cui  in  narrativa  sollevano
 identiche  ed analoghe questioni: i relativi giudizi possono, pertanto,
 essere riuniti e congiuntamente decisi.
     2.   -   Alcune   ordinanze    di    rimessione    si    soffermano
 sull'interpretazione  dei  commi quarto e sesto dell'art. 5 della legge
 n. 110 del 1975. Esse ritengono di non poter prescindere dalla predetta
 interpretazione al fine  della  dimostrazione  della  fondatezza  delle
 eccepite questioni di costituzionalita'.
     Questa  Corte  deve  tener conto, quale premessa, delle conclusioni
 interpretative assunte dalle ordinanze di rimessione ora citate e  che,
 d'altra  parte,  sono  in  piena sintonia con la piu' recente, ed ormai
 consolidata, giurisprudenza.
     Non v'e' dubbio, invero, che, respinta  la  tesi  (che  in  qualche
 decisione  giurisprudenziale  e'  stata  sostenuta) secondo la quale le
 sanzioni di cui al sesto comma dell'art.  5 della legge n. 110 del 1975
 si riferirebbero soltanto ai fabbricanti, di cui al quarto comma  dello
 stesso  articolo,  non  resta  che  concludere,  con  la  piu'  recente
 giurisprudenza regolatrice, che il precitato quarto comma dell'articolo
 in esame contiene due precetti, l'uno rivolto ai fabbricanti di armi  -
 giocattolo  ed  il  secondo diretto a "chiunque". Premesso che l'arma -
 giocattolo e' quella  che  ha  soltanto  l'apparenza  dell'arma  ma  e'
 inidonea  ad  offendere;  premesso  che il legislatore del 1975, tenuto
 conto dell'esperienza dalla quale partiva e che tendeva a  disciplinare
 (nella  quale  i  giocattoli  riproducenti  armi  erano stati usati, in
 maniera distorta, al fine  di  commettere  fatti  penalmente  illeciti)
 mirava  da  un  canto a prevenire la fabbricazione di giocattoli aventi
 attitudine ad offendere la persona e (o) ad evitare  la  trasformazione
 dei  medesimi  in  armi  vere  e proprie e dall'altro tendeva a rendere
 immediatamente   riconoscibili   i   predetti   giocattoli;  lo  stesso
 legislatore,  con  il  quarto  comma  dell'art.  5   della   legge   in
 discussione,   ha   anzitutto  imposto  ai  fabbricanti  di  giocattoli
 riproducenti armi  di  non  impiegare  tecniche  o  materiali  tali  da
 consentire la trasformazione dei medesimi in armi da guerra o comuni da
 sparo  o l'utilizzo del relativo munizionamento od il lancio di oggetti
 idonei all'offesa della persona; ed  ha  poi,  allo  scopo  di  rendere
 chiaramente  riconoscibili  le  armi - giocattolo, imposto l'occlusione
 dell'estremita' della canna di queste  ultime  attraverso  un  visibile
 tappo rosso incorporato.
     Qui  v'e'  soltanto da precisare che i due precetti, ai quali si e'
 ora accennato, non corrispondono perfettamente  alle  ipotesi  previste
 rispettivamente  nel  primo  e  nel  secondo  periodo  del quarto comma
 dell'articolo in discussione; ai  fabbricanti  e',  infatti,  non  solo
 imposto  di  non  usare  tecniche  e  materiali  tali  da consentire le
 trasformazioni sopra ricordate ma anche  d'incorporare,  all'estremita'
 della  canna  delle  armi  -  giocattolo, un visibile tappo rosso; ed a
 chiunque, fabbricanti compresi, usi  i  precitati  giocattoli,  di  non
 trasformarli  in  armi idonee ad offendere la persona ed insieme di non
 detenere, acquistare, vendere, portare fuori della  propria  abitazione
 ecc.  armi - giocattolo senza le caratteristiche indicate sia nel primo
 sia nel secondo periodo del quarto comma dell'articolo in  discussione.
 Quest'ultimo,  nella  sintesi  delle  ipotesi  criminose  previste, non
 impone ai fabbricanti soltanto di non usare tecniche  e  materiali  che
 consentano  la  trasformazione  dei  giocattoli  in armi vere e proprie
 (primo periodo del quarto comma dell'art. 5  della  legge  n.  110  del
 1975)  ma  anche  d'incorporare,  gia' all'atto della fabbricazione, il
 visibile   tappo   rosso   occlusivo,   parzialmente   o    totalmente,
 dell'estremita'  della  canna  del  giocattolo  (secondo  periodo dello
 stesso comma) mentre fa obbligo a chiunque non solo di non  acquistare,
 vendere,  detenere,  portare fuori della propria abitazione ecc. armi -
 giocattolo senza il prescritto tappo rosso e di non estrarre (ove fosse
 possibile) quest'ultimo (secondo periodo del quarto comma dell'articolo
 in esame) ma anche di non acquistare, vendere ecc.  armi  -  giocattolo
 fabbricate  con  materiali  tali che ne consentano la trasformazione in
 armi vere e proprie  (primo  periodo  del  piu'  volte  citato  comma).
 Soltanto  questa interpretazione della norma in discussione consente di
 rispettare entrambe le finalita' dalle quali e' partito il  legislatore
 del  1975:  evitare  l'uso  delle  armi  -  giocattolo per offendere la
 persona e rendere le medesime immediatamente riconoscibili.
     V'e' solo da aggiungere che l'avere il legislatore individuato, nel
 primo periodo del comma piu' volte citato, un solo comportamento tipico
 (fabbricare, anche se distinto nel fabbricare con materiali  vietati  e
 nel  fabbricare  senza tappo rosso) e che l'avere, nel secondo periodo,
 attraverso l'uso dell'espressione  "devono  i  giocattoli  riproducenti
 armi - inoltre avere l'estremita' della canna parzialmente o totalmente
 occlusa  da  un  visibile tappo rosso incorporato", fatto riferimento a
 diversi comportamenti, non compiutamente descritti (comprare,  vendere,
 detenere  ecc. armi - giocattolo senza le caratteristiche indicate) non
 deve indurre a  ritenere  questi  ultimi  legislativamente  confusi  od
 equiparati  nel  disvalore,  dovendo  sempre il giudice (come meglio si
 dira' oltre) seguendo la volonta' della norma, nell'applicare  la  pena
 tra  i  limiti  edittalmente  stabiliti,  far  riferimento  ai  diversi
 comportamenti realizzati  e  dovendo,  pertanto,  sempre  distinguerli,
 nella  struttura e nel disvalore, al fine d'applicare, in concreto, una
 pena adeguata, appunto, anche al particolare  disvalore  oggettivo  del
 singolo fatto criminoso.
     3.  -  Appunto perche' l'interpretazione dell'art. 5, quarto comma,
 della legge n. 110 del 1975 conduce all'applicabilita'  delle  sanzioni
 di  cui  al  comma sesto dello stesso articolo sia a chi fabbrica sia a
 chi importa, a chi detiene, porta fuori della propria  abitazione  ecc.
 armi  - giocattolo senza il prescritto tappo rosso, alcune ordinanze di
 rimessione  sollevano  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  all'art. 3, primo comma, Cost., del combinato disposto dei
 commi  quarto  e  sesto  dell'art.  5  della  citata  legge  in  quanto
 irrazionalmente  parificherebbe  il  rilievo  penale  di  comportamenti
 oggettivamente diversi (fabbricare, importare, detenere, portare, fuori
 della propria abitazione, ecc.) senza alcuna valutazione della  diversa
 incidenza  etico - sociale dei medesimi. In particolare, chi detiene un
 giocattolo riproducente un'arma senza il prescritto tappo rosso,  nella
 propria  abitazione,  cosi'  non realizzando un comportamento altamente
 pericoloso e non meritevole, pertanto,  di  sanzioni  severe,  verrebbe
 assurdamente  parificato  a chi porta fuori della propria abitazione lo
 stesso giocattolo, cosi attuando una  situazione  d'effettivo  pericolo
 per   la   sicurezza  dei  beni  e  la  tranquillita'  dei  consociati.
 Aggraverebbe l'indebita parificazione  di  tutte  le  condotte  di  cui
 all'articolo  in discussione, l'avere il legislatore del 1967 (legge n.
 895) nettamente distinto, rispettivamente agli artt. 2 e 4, il detenere
 illegalmente armi, munizioni, esplosivi ecc., dal portare  illegalmente
 in luogo pubblico od aperto al pubblico le stesse armi, munizioni ecc.;
 e  l'avere il legislatore del 1974 (legge n.  497) rispettivamente agli
 artt. 10 e 12 (sostitutivi degli artt.  2 e 4 della legge  n.  895  del
 1967)  confermato  la netta separazione, quanto a rilievo penale, delle
 ipotesi dell'illegalmente detenere armi da guerra, munizioni ecc.   (od
 armi  comuni  da  sparo:  v. art. 14 della stessa legge del 1974) dalle
 ipotesi di portare illegalmente in luogo pubblico od aperto al pubblico
 le predette armi.
     La proposta questione di legittimita' costituzionale e' infondata.
     Va  anzitutto  ricordato  che  spetta  al  legislatore   apprezzare
 discrezionalmente  parita'  o  disparita'  di situazioni, nel rispetto,
 ovviamente, di criteri di ragionevolezza. Come va  ricordato  che  piu'
 volte   questa   Corte  ha  ribadito  che  solo  l'assoluta,  manifesta
 irragionevolezza,  nel  trattare  ugualmente  situazioni  diverse,   e'
 soggetta  a  censura  d'incostituzionalita':  e,  a  dire  il  vero, le
 ordinanze di rimessione non offrono elementi dai quali possa  desumersi
 la manifesta irragionevolezza delle c.d. parificazioni sopra precisate.
     Ma   e'   parere  di  questa  Corte  che  non  esista  (arbitraria)
 parificazione  di  situazioni  ove  al  giudice  (supposto   che   tali
 situazioni siano diverse) sia dato d'applicare, alle medesime, sanzioni
 penali  diverse,  sia  pur nei limiti minimo e massimo di pena previsti
 della legge.  L'operazione attraverso la quale il legislatore descrive,
 in un articolo di legge, un determinato modello tipico,  distinguendolo
 da  altro  comportamento  tipizzato  in  diverso  articolo  (quando  si
 dispongano, ovviamente, diverse  sanzioni  penali  per  i  due  modelli
 espressamente descritti) non e' sostanzialmente diversa dall'operazione
 consistente nell'indicare, in uno stesso articolo, un modello di genere
 al  quale  corrispondano varii modelli di specie:  questi ultimi, anche
 se non compiutamente descritti, sono ricompresi nel primo  modello  (di
 genere)  e  devono  essere  totalmente  svelati  dal  giudice,  al fine
 d'applicare  una  pena  adeguata,  sia  pur  nei  limiti   edittalmente
 stabiliti,  anche  alla  struttura  e qualita' oggettive del modello di
 specie concretamente realizzato.
     Allorche' il legislatore determina la pena  tra  un  minimo  ed  un
 massimo,  fa riferimento a sottofattispecie diverse, le quali, anche se
 non  compiutamente  descritte,  sono  tuttavia  presenti  allo   stesso
 legislatore: diversamente il medesimo non indicherebbe pene diverse. La
 discrezionalita'  di cui agli artt. 132 e 133 c.p., prima di riguardare
 la colpevolezza o le qualita' del singolo soggetto attivo del reato  (e
 cioe'  caratteristiche  relative  al singolo, individuale, irripetibile
 fatto) attengono all'oggettiva qualita' e quantita'  antigiuridica  del
 fatto  stesso.  La  sottofattispecie presente nella legge, anche se non
 compiutamente descritta, e' svelata dal giudice il quale sceglie  (deve
 scegliere)  tra il minimo ed il massimo edittalmente stabiliti, la pena
 adeguata, prima che alla soggettivita' del reo, al  tipo  oggettivo  di
 sottofattispecie  antigiuridica  realizzata  in  concreto.  Il giudice,
 dunque, deve, sempre, distinguere, ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p.,
 struttura e disvalore delle diverse  sottofattispecie  incluse  in  uno
 stesso  modello  di  genere,  ove  nella  norma  siano  comminate  pene
 diversamente graduabili in concreto.
     Il quarto comma dell'art. 5 della legge n. 110 del 1975  (anche  se
 non ha espressamente distinto il comportamento consistente nel detenere
 da quello costituito dal portare un'arma giocattolo fuori della propria
 abitazione  senza  tappo rosso) non ha tuttavia confuso i comportamenti
 stessi, se e' vero che, nell'individuare  il  solo  modello  di  genere
 (comportamento   relativo  a  giocattoli  riproducenti  armi  senza  un
 visibile tappo rosso incorporato all'estremita' della canna) ha rimesso
 al giudice la precisazione della sottofattispecie (ad es. detenere armi
 - giocattolo senza tappo rosso) in concreto  realizzata  e  d'applicare
 alla medesima, se diversa anche nel disvalore oggettivo tipico da altra
 sottofattispecie (ad es. portare fuori dell'abitazione le predette armi
 -  giocattolo  senza  tappo  rosso)  una pena diversa rispetto a quella
 eventualmente applicata a quest'ultima.
     Ne' si  dimentichi  che  il  giudice,  ai  sensi  del  sesto  comma
 dell'art.  5 della legge n. 110 del 1975,puo' spaziare, nell'infliggere
 la pena, da un minimo di uno ad un massimo di tre anni di reclusione  e
 da un minimo di duecentomila lire ad un massimo di due milioni di multa
 (cfr.  art. 113, quarto comma, della legge 24 novembre 1981 n. 689): il
 giudice ha, dunque, ampio margine  per  differenziare,  nella  concreta
 disciplina  penale,  il regime delle varie sottofattispecie incluse nel
 comma in esame.
     La discrezionalita' di cui agli artt. 132 e 133 c.p., come peraltro
 quella  relativa  alle  attenuanti   generiche   ed   alle   aggravanti
 indefinite,  non  si  pone  in  alternativa  alla  tipicita'  bensi' la
 implica, pur essendo vero che la legge, non  compiutamente  descrivendo
 tutte  le sottofattispecie, individua soltanto, in maniera completa, la
 fattispecie generale, nella quale, tuttavia, le  sottofattispecie  sono
 comunque,  nella  loro  pur  diversa  struttura  e disvalore oggettivo,
 realmente comprese.
     4.  -  Non  esistendo  arbitraria  parificazione  delle  molteplici
 ipotesi  previste,  benche' non del tutto specificate, nel quarto comma
 dell'art. 5  della  legge  in  discussione,  neppure  e'  condivisibile
 l'asserita  incoerenza  del  legislatore  del 1975 che, si assume dalle
 ordinanze di rimessione, avendo parificato le predette ipotesi, avrebbe
 contraddetto  il  sistema legislativo relativo alle armi da guerra ed a
 quelle comuni da sparo, conforme quest'ultimo all'art. 3, primo  comma,
 Cost.  in  quanto  distinguente  la  detenzione delle predette armi dal
 portare in luogo pubblico od aperto al pubblico le medesime.
     Senonche', appartiene appunto al sistema  vigente,  in  materia  di
 armi  da guerra e comuni da sparo, l'art. 1 della legge n. 895 del 1967
 (sostituito dall'art. 9 della legge n.  497 del 1974; e  si  tratta  di
 importanti  leggi  speciali)  che  accomuna,  ad esempio, in una stessa
 previsione ed in  una  pena  edittale  specificata  nel  minimo  e  nel
 massimo, fabbricare, introdurre nello Stato, porre in vendita, cedere a
 qualsiasi  titolo  e, perfino, fare raccolta di armi da guerra o comuni
 da sparo (cfr. anche l'art. 14 della legge n. 497 del 1974). E,  se  e'
 vero  che  le  ultime  citate  leggi descrivono in un articolo (2 della
 legge 2 ottobre 1967 n.  895 e 10 della legge 14 ottobre 1974  n.  497)
 il  detenere  armi,  munizioni,  esplosivi ecc. ed in altro articolo (4
 della n. 895 del 1967 e 12 della n. 497 del 1974) il portare  in  luogo
 pubblico   od  aperto  al  pubblico  le  stesse  armi,  munizioni  ecc.
 prevedendo, per il detenere armi ecc., una determinata pena e,  per  il
 portare  in luogo pubblico od aperto al pubblico armi ecc., altra, piu'
 severa, sanzione penale, non molto sarebbe sostanzialmente cambiato ove
 il legislatore avesse raccolto in unico articolo,  descrittivo  di  una
 sola  ipotesi  di  genere,  il  detenere ed il portare armi da guerra o
 comuni da sparo  quali  sottofattispecie  riconducibili  alla  predetta
 ipotesi,  prescrivendo, nello stesso unico articolo, una pena spaziante
 tra il minimo della pena piu'  mite  ed  il  massimo  della  pena  piu'
 severa.
     Il  giudice, infatti, in quest'ultimo caso, avrebbe sempre distinto
 le sottofattispecie del detenere e del portare armi da guerra o  comuni
 da  sparo  e  non  avrebbe utilizzato il minimo o pene vicino al minimo
 quali sanzioni concrete del portare in  luogo  pubblico  od  aperto  al
 pubblico  armi  da  guerra  o comuni da sparo mentre avrebbe utilizzato
 tale minimo o pene vicino al medesimo per la  detenzione  delle  stesse
 armi.  E, s'intende, viceversa sarebbe avvenuto per il massimo o per le
 pene tendenti al massimo. Non e',  invero,  dalla  distribuzione  delle
 ipotesi criminose in un unico articolo od in piu' articoli di legge che
 puo',  per  se',  desumersi  l'equiparazione  tra le stesse ipotesi, se
 previste in un unico articolo, e  la  separazione  delle  medesime,  se
 descritte  in diversi articoli; quando, s'intende, la pena disposta nel
 preindicato unico articolo fosse non fissa ma variabile da un minimo ad
 un massimo.
     Vero e' che il legislatore, con insindacabile valutazione tecnico -
 politica, in materia di armi od equiparati, a volte ha  distribuito  le
 ipotesi  criminose  in diversi articoli ed a volte le ha raccolte in un
 unico articolo, prevedendo in quest'ultimo  una  pena  specificata  nel
 minimo  e  nel  massimo.  E  non  e' assolutamente irrazionale ne' aver
 scelto, per le ipotesi del detenere e del  portare  armi  da  guerra  o
 comuni  da  sparo,  la distribuzione in due diversi articoli ne' l'aver
 preferito, per il detenere ed il portare armi  giocattolo  senza  tappo
 rosso, la riunione, quali sottofattispecie, in un unico articolo con la
 pena variabile da un minimo ad un massimo.
     5.  -  Alcune delle ordinanze di rimessione, confrontando l'art. 5,
 quarto e sesto comma, della legge n. 110 del 1975 con  l'art.  4  della
 stessa  legge  (ove  e' prevista: nel primo comma, l'ipotesi del portar
 fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa,  senza  le
 prescritte  autorizzazioni,  armi,  mazze  ferrate  o  bastoni ferrati,
 sfollagente, noccoliere; nel secondo  comma  quella  del  portar  fuori
 della   propria   abitazione   o  delle  appartenenze  di  essa,  senza
 giustificato motivo, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti  da
 punta e da taglio atti ad offendere, mazze, tubi ecc.; nel quarto comma
 il  divieto di portare armi nelle riunioni pubbliche anche alle persone
 munite di licenza; e nel  quinto  comma  il  divieto,  fuori  dai  casi
 previsti  nel  quarto  comma,  di  portare in una riunione pubblica uno
 strumento ricompreso nel primo e nel secondo comma) eccepiscono che  le
 sanzioni   penali  determinate  dall'art.  4  per  le  fattispecie  ora
 indicate, sono di gran lunga inferiori a quelle che  l'art.  5  dispone
 per  ipotesi di minore incidenza etico - sociale. Il portar fuori della
 propria abitazione armi (ai sensi dell'art. 4  della  legge  18  aprile
 1975  n.  110)  ad  esempio  e', si sostiene, certamente piu' grave del
 detenere  o  del  portar  fuori  della  propria  abitazione  un'arma  -
 giocattolo  senza  tappo  rosso incorporato (ai sensi dell'art. 5 della
 stessa legge): eppure le  pene  comminate  dall'art.  4  per  la  prima
 ipotesi  sono  di  gran  lunga  meno  severe  di quelle disposte per la
 detenzione o per il porto di  giocattoli  riproducenti  armi  senza  il
 prescritto tappo rosso.
     Senonche',  di  contro,  deve  osservarsi  che il raffronto, tenuto
 conto  delle  diverse  e  differentemente  graduabili   pene   edittali
 comminate,  non va operato tra una delle ipotesi di cui al quarto comma
 dell'art. 5 della legge n. 110 del 1975 (detenere o portar fuori  della
 propria  abitazione un'arma - giocattolo senza tappo rosso incorporato)
 ed una delle ipotesi di cui all'art. 4 della stessa legge (portar  armi
 fuori della propria abitazione).
     Intanto,  le ipotesi previste dall'art. 5 della legge in esame sono
 incriminate a titolo di dolo, trattandosi  di  delitti,  mentre  quelle
 previste  dall'art.  4  della  stessa  legge  sono contravvenzionali e,
 pertanto, incriminate indifferentemente a titolo di dolo o colpa. E  va
 aggiunto che l'art. 4 della legge in discussione si occupa soltanto del
 portar  fuori  della  propria  abitazione  od in riunioni pubbliche gli
 oggetti ivi indicati senza alcun riferimento al titolo della detenzione
 (anzi, nel quarto comma del precitato articolo e' espressamente vietato
 portare armi  nelle  riunioni  pubbliche  anche  a  chi  e'  munito  di
 licenza).
     Ma, soprattutto, come s'e' accennato, un corretto raffronto, valido
 ai  nostri  fini,  non  puo' esser operato ponendo in relazione, da una
 parte  una  delle  ipotesi  (una   delle   numerose   sottofattispecie)
 incriminate dal precitato art. 5, e le pene, graduabili diversamente in
 concreto,  comminate  dallo  stesso  articolo  e, dall'altra parte, una
 delle ipotesi previste dall'art. 4 e le diverse  pene,  differentemente
 graduabili in concreto, comminate da quest'ultimo articolo.
     E',  invece,  doveroso, ai fini qui in esame, confrontare una delle
 ipotesi previste da una norma con  tutte  le  altre  individuate  dalla
 stessa  norma  e  stabilire  se  la prima ipotesi sia piu' o meno grave
 delle altre. Vale, poi, confrontare la  concreta  sanzione  penale  che
 presumibilmente  sara' irrogata per l'ipotesi esaminata con quella che,
 del pari in concreto, presumibilmente sara' applicata  ad  una  diversa
 ipotesi,  a sua volta, confrontata con tutte le altre Previste da altra
 norma.
     E  chiariamo:  nell'ambito di tutte le fattispecie tipiche previste
 dall'art. 4 della legge in esame, il portar armi  fuori  della  propria
 abitazione  od  in  riunioni  pubbliche e' la piu' grave: e' certamente
 piu' grave del portar mazze, tubi, catene, fionde e gli  altri  oggetti
 indicati   nello   stesso   articolo.  Il  legislatore,  pertanto,  con
 riferimento al portar armi ha  determinato  il  massimo  della  pena  e
 conseguentemente  ha  previsto  che  il  giudice,  nel  sanzionare,  in
 concreto, il portar armi fuori della propria abitazione od in  riunioni
 pubbliche applichera', a parita' di altre condizioni, una pena tendente
 al  massimo  o  quest'ultimo  (arresto  di  un  anno  e  multa  di lire
 quattrocentomila per il portar armi  fuori  della  propria  abitazione;
 arresto di tre anni e multa di lire ottocentomila per il portar armi in
 riunioni  pubbliche). Nell'ambito, invece, di tutte le ipotesi previste
 dall'art. 5 della legge in esame, il detenere od il portar fuori  della
 propria  abitazione  un'arma - giocattolo senza tappo rosso incorporato
 costituiscono le  ipotesi  meno  gravi:  meno  gravi,  certamente,  del
 fabbricare, importare, acquistare, vendere ecc. giocattoli riproducenti
 armi senza il prescritto tappo rosso. Il legislatore, conseguentemente,
 nell'indicare  il  minimo  della  pena  edittale,  si  e' riferito alle
 ipotesi meno gravi  prevedendo  che  il  giudice,  nel  sanzionare,  in
 concreto,  la  semplice detenzione od il portar armi - giocattolo senza
 visibile  tappo  rosso  incorporato,  presumibilmente  applichera',   a
 parita' di altre condizioni, una pena tendente al minimo o quest'ultimo
 (un anno di reclusione e lire duccentomila di multa).
     Da  cio'  si  desume  che, in definitiva, non risponde a verita' la
 grave sperequazione, eccepita dalle ordinanze di rimessione. Tutto  sta
 a raffrontare, fra di loro, tutte le ipotesi individuate nell'art. 4 da
 una  parte  e  tutte  quelle  previste dall'art. 5 della legge in esame
 dall'altra. Stabilito che, nell'ambito  delle  prime,  il  portar  armi
 fuori  della  propria  abitazione  od  in riunioni pubbliche e' la piu'
 grave (e, pertanto, presumibilmente, sara', in concreto,  applicato,  a
 parita' di altre condizioni, il massimo della pena edittale od una pena
 tendente al massimo) raffrontando tale massimo con il minimo della pena
 comminata  dall'art.  5  della  legge in esame (posto che, tra tutte le
 ipotesi previste da quest'ultimo articolo, il  detenere  ed  il  portar
 fuori  della  propria  abitazione armi - giocattolo senza il prescritto
 tappo  rosso,  costituiscano  quelle  meno  gravi  e   che,   pertanto,
 presumibilmente  sara',  in concreto, applicato il minimo della pena od
 una pena tendente al minimo) si  chiarisce  appieno  l'insostenibilita'
 dell'eccezione  sollevata  dalle  ordinanze in discussione in ordine al
 raffronto tra reati e pene, rispettivamente previsti negli artt. 4 e  5
 della legge oggetto d'impugnativa.
     Soltanto  se  nell'art.  4 fosse incriminato, ad un certo titolo di
 colpevolezza, un solo comportamento con pena fissa  e  se  nell'art.  5
 fosse soltanto incriminato uguale od analogo comportamento, allo stesso
 titolo  di colpevolezza, con diversa pena fissa, potrebbe esser operato
 un conclusivo, ai nostri fini, raffronto tra gli  artt.  4  e  5  della
 legge  in  esame.  Tenuto  conto,  invece,  delle numerose e varie, per
 qualita'  e  quantita',  ipotesi   base,   alternativamente   previste,
 nell'art. 4 e delle diverse, diversissime, sottofattispecie incriminate
 nell'art.  5  della  legge  in  esame; tenuto conto della relativamente
 notevole variazione  delle  pene  edittali,  rispettivamente  comminate
 nell'art.  4  e  nell'art. 5; ribadita ancora l'eterogeneita' tra fatti
 delittuosi  (che  offendono interessi e valori ritenuti dal legislatore
 rilevanti) e fatti contravvenzionali, che spesso  pongono  soltanto  in
 pericolo  situazioni  socialmente  degne  di  considerazione (la tutela
 realizzata attraverso l'incriminazione di fatti  contravvenzionali  e',
 se  non  sempre,  almeno  spesso,  tutela anticipata di beni e valori);
 tenuto altresi' conto che non e'  stato  offerto  alcun  altro  termine
 valido di confronto, al fine di dimostrare l'assoluta incongruenza, del
 rapporto   tra   fatti   incriminati  e  conseguenti  sanzioni  penali;
 sottolineato che la norma della quale e' impugnata la  legittimita'  e'
 stata   emanata  in  situazioni  d'emergenza  e  tendeva,  pertanto,  a
 prevenire  fatti  delittuosi  anche  attraverso  l'accrescimento  della
 capacita'  intimidativa  dovuta  all'aumento delle pene comminate per i
 fatti che si volevano, energicamente, evitare (le norme di cui all'art.
 4 della stessa legge seguono, invece, in materia  di  armi  ed  oggetti
 idonei   ad   offendere   le  persone,  il  tradizionale  schema  delle
 incriminazioni contravvenzionali, accolto nel codice penale del 1930  e
 che,  appunto,  e'  stato,  in  parte  mutato dalla legislazione penale
 d'emergenza); confermato che le posizioni del legislatore, in  tema  di
 giocattoli  riproducenti  armi,  rappresentano una scelta di fondo, non
 irrazionale nell'eccezionalita'  dell'emergenza,  mirata  a  prevenire,
 energicamente,  usi  distorti,  fraudolentemente  criminosi,  frequenti
 all'epoca dell'emanazione  della  legge  in  relazione  alla  quale  le
 ordinanze   di   rimessione   sollevano   questioni   di   legittimita'
 costituzionale,  va,  in  conclusione,  respinta,  come  infondata,  la
 questione discussa in questo paragrafo.
     6.  -  L'ultimo tentativo di dimostrare l'incongruenza del rapporto
 tra  disvalore  dei  fatti  incriminati  e  sanzioni  penali  comminate
 dall'art.  5,  quarto  e  sesto comma, della legge n.  110 del 1975, e'
 realizzato da molte ordinanze di rimessione  attraverso  il  raffronto,
 non  piu'  tra  gli  artt.  4  e  5  della stessa legge, ma tra i reati
 previsti e le pene comminate dal combinato disposto del quarto e  sesto
 comma  dell'art.  5  della  predetta legge da una parte ed i reati e le
 relative pene di cui agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967 n. 895
 (sostituiti dagli artt. 10 e 14  della  legge  n.  497/74)  dall'altra.
 Poiche'  la  pena  edittale comminata dal sesto comma dell'art. 5 della
 legge impugnata e' della reclusione da uno a tre anni e della multa  da
 lire  duecentomila  a  due  milioni  (e  tale  pena  va applicata anche
 all'ipotesi di detenzione di giocattoli, riproducenti armi, senza tappo
 rosso incorporato) mentre la pena edittale comminata per la  detenzione
 di  armi comuni da sparo e' della reclusione da otto mesi a cinque anni
 e quattro mesi oltre alla diminuita pena pecuniaria, si assume  che  il
 sistema  sanzionatorio  ora  precisato,  nel  comminare  un  minimo  di
 reclusione (un anno) anche per la detenzione di armi - giocattolo senza
 tappo rosso incorporato ed un diverso minimo di reclusione,  piu'  mite
 (otto  mesi) per la detenzione di arma comune da sparo, rivelerebbe una
 disparita' di  trattamento,  a  sfavore  della  detenzione  di  arma  -
 giocattolo  senza tappo rosso, ipotesi quest'ultima che presenta minore
 pericolosita' rispetto alla detenzione di arma comune da sparo.  E,  di
 piu', per quest'ultima previsione, e' applicabile l'attenuante speciale
 di  cui all'art. 5 della legge n. 895 del 1967 (riduzione della pena in
 misura non eccedente i 2/3,  quando  il  fatto  e'  di  lieve  entita')
 attenuante  non  applicabile alla detenzione di arma - giocattolo senza
 il prescritto tappo rosso.
     All'eccezione ora richiamata va anzitutto risposto ribadendo che il
 giudizio  sulla maggiore o minore pericolosita' di fattispecie tipiche,
 raffrontate fra loro, spetta non al giudice ma al legislatore, il quale
 confronta, nel  valutarle,  le  diverse  fattispecie  in  relazione  al
 complesso  sistema  di  valori  ed interessi che intende tutelare, alla
 gerarchia  dei  predetti  ed  alla  realta',  di  fatto,   normale   od
 eccezionale  nella  quale, con maggiore o minore frequenza, con diverse
 modalita' e, pertanto, con diversa incidenza  sociale,  le  fattispecie
 stesse  si  realizzano.  E  va  aggiunto  che  non esistono ontologiche
 differenze  qualitative  dei  fatti:  esistono,  o  possono   esistere,
 strutture  ontologiche  dell'essere  (delle  condotte)  come  e'  stato
 sottolineato da notevole parte della dottrina tedesca ma la valutazione
 delle differenti strutture ontologiche, come ha precisato gia' da tempo
 la dottrina italiana, spetta al legislatore, al suo oggettivo, prudente
 giudizio  etico  -  politico;  e  tale  valutazione  varia  nel   tempo
 (oltrecche'  nello  spazio)  anche  in  relazione  alla  normalita'  od
 all'eccezionalita' della realta' concreta.
     Nell'approfondire il merito dell'eccezione in esame va qui usato un
 metodo analogo a quello utilizzato nel paragrafo precedente.
     E' ben vero che il minimo della reclusione  edittalmente  stabilita
 per  l'illegale  detenzione  di  arma  comune  da  sparo (otto mesi) e'
 inferiore al  minimo  (un  anno)  della  reclusione  comminata  per  la
 detenzione  di  arma - giocattolo senza tappo rosso incorporato. Ma, al
 fine di precisare se attraverso tale diversita' di minimo  edittale  di
 reclusione  sia stato violato l'art. 3, primo comma, Cost., ammesso che
 la detenzione di arma comune da sparo sia, oggi, da  valutarsi  (tenuto
 conto dell'intero sistema dell'esperienza giuridica, legislativa e non,
 e  della  concreta realta' storica) piu' pericolosa della detenzione di
 arma - giocattolo senza tappo rosso  incorporato,  non  vanno  poste  a
 raffronto  da  una  parte  una soltanto delle varie fattispecie tipiche
 previste da una norma, che commina una determinata pena, individuata in
 un minimo ed in un massimo (ad es. gli artt. 2 e 7 della legge  n.  895
 del 1967, sostituiti dagli artt. 10 e 14 della legge n. 497 del 1974) e
 dall'altra,  una  soltanto  delle varie ipotesi previste da una diversa
 norma (es. l'art. 5, quarto e sesto comma, della legge n. 110 del 1975)
 che commina altra, differente pena, individuata pur essa in un edittale
 minimo e massimo.
     I citati articoli delle leggi n. 895 del 1967 e n. 497 del 1974 non
 prevedono, sanzionandola con pena edittalmente determinata nel minimo e
 nel massimo, soltanto l'illegale detenzione di  arma  comune  da  sparo
 bensi'  anche  altre  fattispecie tipiche, alcune delle quali, come, ad
 es., il detenere parti di arma comune da sparo, puo' essere nei diversi
 casi meno pericolosa della detenzione di arma - giocattolo senza  tappo
 rosso  incorporato.  Or  se,  nell'ambito  del quarto comma dell'art. 5
 della  legge  n.  110  del  1975,   puo'   anche   ritenersi   che   la
 sottofattispecie del detenere giocattoli riproducenti armi, senza tappo
 rosso incorporato, sia meno pericolosa delle altre sottofattispecie ivi
 previste,  nell'ambito  della norma di cui agli artt. 2 e 7 della legge
 895 del 1967 (sostituiti dagli artt. 10 e 14 della  legge  n.  497  del
 1974)  la  condotta  meno  pericolosa e', od almeno puo' rivelarsi, nei
 singoli casi, il detenere una parte di arma comune da  sparo.  Come  e'
 stato  anche  ricordato  dalla  dottrina,  l'arma - giocattolo senza il
 prescritto  tappo  rosso  puo'   essere   impiegata   quale   strumento
 d'intimidazione   mentre  una  parte  di  arma  comune  da  sparo  puo'
 rilevarsi, in concreto, inidonea sia a recare offesa alla  persona  sia
 ad    esercitare    significative,   gravi   minacce.   Per   stabilire
 l'irrazionalita' dei due diversi minimi di reclusione  (otto  mesi,  ai
 sensi  dei  citati  articoli  delle  leggi n. 895 del 1967 e n. 497 del
 1974, ed un anno, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 110 del 1975)  va
 istituito un confronto fra tutte le ipotesi previste nei primi articoli
 e  tutte  quelle previste dall'ultimo articolo citato, nel senso che va
 individuata la  meno  pericolosa  delle  previsioni  di  cui  ai  primi
 articoli  e  confrontata  con  la  meno pericolosa delle ipotesi di cui
 all'art. 5 della legge n. 110 del 1975. A seguito di questa  operazione
 di   raffronto   si  chiarisce,  in  maniera  inequivocabile,  che  non
 irrazionalmente il legislatore, nella previsione  del  meno  pericoloso
 dei  comportamenti di cui ai citati articoli delle leggi del 1967 e del
 t974 (ossia detenzione di parte di arma comune da sparo) ha determinato
 il minimo edittale di otto mesi di reclusione mentre, nella  previsione
 del meno pericoloso (detenere un'arma giocattolo senza tappo rosso) dei
 comportamenti  previsti  dall'art.  5  della  legge n. 110 del 1974, ha
 determinato il minimo edittale di un anno di reclusione.
     Non essendo state dimostrate irrazionalita', degne  di  rilievo  in
 questa  sede,  dal  prospettato raffronto fra le precitate disposizioni
 delle  leggi  ricordate  in  questo   paragrafo,   non   puo'   neppure
 condividersi,     come    aggravante    dell'assunta    irrazionalita',
 l'applicabilita',  alla   detenzione   di   arma   comune   da   sparo,
 dell'attenuante  di cui all'art. 5 della legge n. 895 del 1967 e la non
 applicabilita' della medesima alla  detenzione  di  arma  -  giocattolo
 priva del prescritto tappo rosso.
     A  prescindere da ogni altra considerazione, l'attenuante citata e'
 del tutto incompatibile con l'ipotesi delittuosa da  ultimo  ricordata.
 L'art.   5  della  legge  n.  895  del  1967  prescrive  l'applicazione
 dell'attenuante in esame quando "per la quantita'  o  per  la  qualita'
 delle  armi, munizioni, esplosivi od aggressivi chimici, il fatto debba
 ritenersi di lieve entita'". Si tratta,  come  e'  sostenuto  anche  in
 dottrina, di valutazioni tecniche relative alle sole armi da guerra, da
 sparo ecc. e non riferibili, pertanto, ai giocattoli riproducenti armi.
 Ne'  la  qualita'  ne' la quantita' dei giocattoli fabbricati, detenuti
 ecc. (a parte la discrezionalita' del giudice di cui agli artt.  132  e
 133  c.p.)    puo'  costituire  elemento  significativo  per  applicare
 l'attenuante speciale, prevista dall'ora citato art. 5 della  legge  in
 esame.
     Anche  l'ultima  eccezione,  tesa  a dimostrare l'incongruenza, nel
 sistema delle norme dirette al  controllo  delle  armi  ed  alla  lotta
 contro  la  criminalita',  del  rapporto tra il disvalore oggettivo dei
 reati previsti e le relative sanzioni penali  comminate  dal  combinato
 disposto  del  quarto  e sesto comma dell'art. 5 della legge n. 110 del
 1975 va, dunque, respinta.
     7. - Un'ultima questione di costituzionalita' della  norma  di  cui
 all'art. 5, quarto comma, della legge n. 110 del 1975 e' stata proposta
 dal  Pretore  di  Desio,  con riferimento all'art. 3 Cost.. Sostiene lo
 stesso Pretore esservi una "lacuna" nella legge ora citata, lacuna  che
 verrebbe colmata ove fosse aggiunta alla parola "incorporato" (relativa
 al   tappo   rosso  che  deve  occludere,  parzialmente  o  totalmente,
 l'estremita'  della  canna  dell'arma   -   giocattolo)   l'espressione
 "comunque non facilmente estraibile".
     Le  motivazioni addotte dalla precitata ordinanza appaiono alquanto
 singolari: fra l'altro, il Pretore afferma che  della  norma  impugnata
 possono   darsi  due  interpretazioni,  l'una  contrastante  e  l'altra
 conforme alla Costituzione.
     A tutto cio' e' agevole rispondere che,  allorche'  il  giudice  si
 trova  di  fronte  a  due  interpretazioni,  l'una  conforme  e l'altra
 difforme alla Costituzione, deve, attraverso  l'esegesi  "adeguatrice",
 scegliere,   senza   alcun   dubbio,  l'interpretazione  conforme  alla
 Costituzione. E, comunque, allorche' si nutrano dubbi  esegetici  sulla
 norma  impugnata,  competente  a  risolverli  e'  il giu'dice a quo. Va
 aggiunto che, risultando chiaramente individuata, nel nostro caso, come
 sostiene il giudice remittente, la ratio della norma,  al  giudice  non
 resta  che  correggere  l'eventuale  lacuna  della  lettera della norma
 stessa.
     In  ogni  caso,  l'impugnativa  in   discussione   e'   palesemente
 infondata: la norma impugnata, anche senza l'aggiunta della espressione
 "comunque  non  facilmente  estraibile",  certamente non viola l'art. 3
 Cost..