ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2059  del
 codice civile promossi con le seguenti ordinanze:
     1)  ordinanza  emessa  l'8 ottobre 1979 dal Tribunale di Genova nel
 procedimento  civile  vertente   tra   Repetto   Giuseppe   e   Azienda
 Municipalizzata  Trasporti  iscritta al n.   929 del registro ordinanze
 1979 e pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  50
 dell'anno 1980;
     2) ordinanza emessa il 4 dicembre 1981 dal Tribunale di Salerno nei
 procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra  Saporito Luigi ed altro e
 Manzi Giuseppe ed altri iscritta al n. 322 del registro ordinanze  1982
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 283 dell'anno
 1982.
     Visti   gli   atti  di  costituzione  dell'Azienda  Municipalizzata
 Trasporti di Genova;
     udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1986  il  Giudice  relatore
 Renato Dell'Andro.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Il  Tribunale  di  Genova,  nel  corso di un giudizio civile
 vertente tra Repetto Giuseppe e l'Azienda Municipalizzata Trasporti  di
 Genova, ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti dal primo
 a  seguito  di  un incidente stradale, con ordinanza 8 ottobre 1979, ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli
 artt. 3 e 32 Cost., dell'art.  2059  cod.  civ.,  nella  parte  in  cui
 prevede che il c.d. danno biologico (inteso come danno non patrimoniale
 derivante dalla lesione del diritto, costituzionalmente garantito, alla
 tutela  della  salute)  sia  risarcibile  soltanto in conseguenza di un
 reato.
     Premette  il  Tribunale  di Genova che esso da tempo procedeva alla
 liquidazione del  danno  alla  persona  per  invalidita'  temporanea  e
 permanente,  quale  danno di rilevanza patrimoniale risarcibile ex art.
 2043 cod. civ., anche se non incidente sul reddito del  danneggiato,  e
 cio'  sul presupposto che ogni lesione dell'integrita' fisio - psichica
 della persona determina di per se', ed indipendentemente dagli  effetti
 sul  reddito, un danno risarcibile per lesione del diritto alla salute,
 sancito dall'art.  32 Cost.
     Ricorda quindi il Tribunale che la  sentenza  n.  88  del  1979  di
 questa  Corte  configuro'  il  diritto  alla  salute  "come  un diritto
 primario ed assoluto... da ricomprendere tra  le  posizioni  soggettive
 direttamente tutelate dalla Costituzione"; preciso' poi che, in caso di
 violazione dello stesso, "la indennizzabilita' non puo' essere limitata
 alle  conseguenze della violazione incidente sull'attitudine a produrre
 reddito, ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto
 considerato come posizione  soggettiva  autonoma  indipendentemente  da
 ogni  altra  circostanza  e  conseguenza";  ed  infine comprese i danni
 costituiti dalla menomazione dell'integrita' fisica in se'  considerata
 tra i pregiudizi non patrimoniali risarcibili ex art. 2059 cod. civ.
     Ricorda  ancora  il  Tribunale che la precedente sentenza n. 87 del
 1979 dichiaro' che l'art. 2059 c.c. non pone limitazioni  all'esercizio
 di  un  diritto,  prevedendo  invece che il diritto al risarcimento del
 danno non patrimoniale sorge solo nei casi espressamente previsti dalla
 legge; e quindi affermo' si' che l'art. 2059  c.c.  non  contrasta  col
 principio   di  eguaglianza,  essendo  lecito  al  legislatore  operare
 trattamenti diversificati di situazioni non identiche per presupposti e
 gravita', ma indico' espressamente, tuttavia, come limite alla facolta'
 discrezionale  del   legislatore,   l'ipotesi   in   cui   vengano   in
 considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite.
     Orbene,  conclude  il  giudice a quo, coordinando le motivazioni di
 queste due sentenze, appare  evidente  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  2059 cod. civ., nella parte in cui prevede la risarcibilita'
 del  danno  non  patrimoniale  derivante  dalla  lesione  del  diritto,
 costituzionalmente  tutelato,  alla  salute  soltanto in conseguenza di
 reato, sia per la violazione dell'art. 32 Cost. (mancata  tutela  negli
 altri casi del diritto alla salute) e sia per la violazione dell'art. 3
 Cost.  (tutela  differenziata  del diritto alla salute a seconda che le
 lesioni derivino da un reato o da illecito civile).
     2. - Analoga questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 2059  cod.  civ.,  in  riferimento  agli artt. 2,24, primo comma, e 32,
 primo comma, Cost., e' stata proposta dal  Tribunale  di  Salerno,  con
 ordinanza del 4 dicembre 1981.
     Osserva  il Tribunale di Salerno che, dopo la ricordata sentenza n.
 88 del 1979, l'indirizzo giurisprudenziale oggi prevalente, ed  accolto
 anche  dalla Cassazione, e' nel senso del riconoscimento del danno c.d.
 biologico quale danno che, prescindendo dalle ripercussioni  reddituali
 o patrimoniali, deriva direttamente dalla lesione psico - fisica subita
 dal  soggetto,  in  se'  autonomamente considerata. Non sembra peraltro
 dubitabile che tale danno, appunto perche' svincolato  dalla  effettiva
 incidenza   reddituale   o  patrimoniale,  e'  da  ricomprendere  nella
 categoria dei danni non patrimoniali, i quali pero', ai sensi dell'art.
 2059 cod.  civ.,  sono  risarcibili  soltanto  nei  casi  espressamente
 determinati  dalla  legge,  e  cioe'  sostanzialmente  nel  caso di cui
 all'art.  185  cod. pen. (danni derivanti da reato) ed in quello di cui
 all'art. 89, comma secondo, cod. proc. civ.
     Senonche', continua il  giudice  a  quo,  e'  anche  evidente  che,
 trattandosi  di  danno  incidente sul diritto fondamentale alla salute,
 non puo' bastare la previsione di risarcibilita' del danno derivante da
 fatto - reato,  perche'  ne  resterebbero  ingiustificatamente  escluse
 l'ipotesi  di  danno  derivante  da  mero  illecito  civile e quella di
 applicazione dei criteri di colpa presunta. Pertanto l'art.  2059  cod.
 civ.  puo' ritenersi in contrasto sia con l'art. 2 Cost., che riconosce
 e   garantisce   i   diritti  inviolabili  dell'uomo,  tra  cui  quelli
 all'integrita' fisica e, in genere, alla salute,  sia  con  l'art.  24,
 comma  primo,  Cost.,  che  riconosce  a  tutti  il diritto di agire in
 giudizio per la tutela dei propri diritti, fra i quali,  evidentemente,
 anche quelli "biologici" anzidetti, e sia, infine, con l'art. 32, primo
 comma,  Cost.,  essendo  il  fondamentale  ed  inalienabile dintto alla
 salute,  sotto  l'aspetto  del   danno   biologico,   inammissibilmente
 conculcato dalla disposizione in esame.
     3.  -  Entrambe  le  ordinanze  sono state regolarmente comunicate,
 notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
     Nel primo  giudizio  si  e'  costituita  l'Azienda  Municipalizzata
 Trasporti  di  Genova,  rappresentata  e  difesa dagli avvocati Ermanno
 Carbone, Mario Pogliani ed Angelo De Santis, chiedendo che la questione
 sia dichiarata infondata  ed  osservando  che  l'art.  2059  cod.  civ.
 costituisce  semplicemente una norma di rinvio, la quale fa richiamo ad
 altre norme (ad esempio: artt. 185 cod. pen., 89 cod. proc.  civ.,  598
 cod.  pen.) per stabilire i termini e le condizioni di risarcimento del
 danno non patrimoniale, anche in ipotesi che  non  costituiscono  reato
 (ad esempio:  art. 598 cod. pen.). In primo luogo, quindi, non sussiste
 violazione  dell'art.  32 Cost., in quanto non e' esatta l'affermazione
 del giudice a quo, secondo il quale sarebbe l'art.  2059  cod.  civ.  a
 limitare  il  risarcimento  per  la  lesione  del  diritto  alla salute
 soltanto ai casi di reato. Si tratta infatti di mera norma  di  rinvio,
 da combinarsi, in ogni ipotesi di sua applicazione, con altra norma che
 direttamente disponga la risarcibilita' del danno non patrimoniale, per
 cui   e'  su  quest'ultima  norma  che,  se  mai,  dovrebbe  appuntarsi
 l'attenzione, senza peraltro dimenticare che  la  determinazione  delle
 figure  di  danno comportanti tale tipo di risarcimento resta demandata
 alla discrezionalita' del  legislatore,  non  sindacabile  in  sede  di
 legittimita'.  E  nemmeno  sussiste  la  violazione  dell'art. 3 Cost.,
 avendo gia' la sentenza n. 87 del 1979 sottolineato la differenziazione
 sostanziale  esistente  tra  il  danno  cagionato  da  reato  e  quello
 riconducibile ad un mero illecito civile.
     In  una  successiva  memoria illustrativa l'Azienda Municipalizzata
 Trasporti di Genova rileva poi che, nella piu'  recente  giurisprudenza
 della Corte di Cassazione, il danno alla salute viene ormai considerato
 come  un  tertium  genus  rispetto  alle  altre due categorie del danno
 patrimoniale e del danno non  patrimoniale,  e  la  sua  risarcibilita'
 viene  fatta  derivare  direttamente  dall'art.  2043  cod. civ., senza
 quindi che operino le limitazioni di cui all'art.  2059  cod.  civ.  La
 sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale  non ha pertanto
 ragion d'essere, poiche' la tutela del  diritto  alla  salute  si  pone
 attualmente  in  ogni  ipotesi  di danno, sia derivante da reato sia da
 mero illecito civile. In  ogni  caso,  l'eventuale  accoglimento  della
 questione   produrrebbe   una  situazione  "sconcertante",  perche'  le
 limitazioni  al  risarcimento  poste dall'art. 2059 cod. civ. sarebbero
 eliminate soltanto per i danni derivanti dalla violazione  del  diritto
 alla  salute,  ma  non  anche per quei danni non patrimoniali derivanti
 dalla violazione di altri diritti della  personalita',  inviolabili  al
 pari   del  diritto  alla  salute,  come  il  diritto  all'onore,  alla
 riservatezza,   all'individualita',   al    nome,    alla    paternita'
 intellettuale.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  I procedimenti proposti con le ordinanze in epigrafe, simili
 nel petitum e  parzialmente  coincidenti  in  ordine  ai  parametri  di
 riferimento  (entrambe  si richiamano all'art.  32, primo comma, Cost.;
 l'ordinanza del Tribunale di Genova aggiunge il riferimento all'art. 3,
 primo comma, Cost.; l'ordinanza del Tribunale di Salerno  invoca  anche
 gli  artt.  2 e 24, primo comma, Cost.) possono essere riuniti e decisi
 con unica sentenza.
     2. -  Poiche'  le  predette  ordinanze  chiedono  la  dichiarazione
 d'illegittimita' costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui
 prevede  la  risarcibilita'  del danno non patrimoniale derivante dalla
 lesione d'un diritto costituzionalmente tutelato (salute)  soltanto  in
 conseguenza  di reato, e' doveroso qui esaminare quale nozione di danno
 non patrimoniale il diritto vivente trae dall'interpretazione dell'art.
 2059 c.c. Soltanto precisando l'ambito di comprensione  della  predetta
 nozione,  secondo l'esperienza della sua applicazione, e' dato chiarire
 se, ed in quali limiti, al danno biologico sia applicabile l'art.  2059
 c.c.
     L'esame  della  legislazione  e  dei  relativi  lavori  preparatori
 nonche' della giurisprudenza e della dottrina, precedenti e  successive
 all'emanazione  del  vigente codice civile, induce a ritenere che nella
 nozione di danno non patrimoniale, di cui all'art.  2059  c.c.,  vadano
 compresi soltanto i danni morali subiettivi.
     A  queste conclusioni si giunge (tenuto conto che il piu' rilevante
 dei "casi determinati dalla legge", ex art. 2059  c.c.,  e'  costituito
 dall'art.  185,  secondo  comma,  c.p.  e  che l'espressione "danno non
 patrimoniale" e' stata  impiegata  appunto  in  quest'ultimo  articolo,
 prima  che  nell'art.  2059 c.c.) sottolineando anzitutto i "precedenti
 legislativi" del risarcimento del danno non patrimoniale  ex  art.  185
 c.p.  e  la piu' che esplicita dichiarazione, contenuta nella relazione
 ministeriale al codice penale del 1930, in ordine  al  mutamento  della
 locuzione "danno morale" in quella di "danno non patrimoniale".
     La   prima  sottolineatura  va  fatta  ricordando  che  l'immediato
 "precedente" legislativo del risarcimento del danno non patrimoniale ex
 secondo comma dell'art. 185 c.p. e' da rintracciarsi negli artt. 38 del
 codice penale del 1889 e 7 del codice di  procedura  penale  del  1913.
 Questi  ultimi  articoli,  nel  prevedere la riparazione pecuniaria per
 alcuni reati, prescindono dalla causazione del  danno  (da  intendersi:
 patrimoniale).  L'art.  38  del codice penale Zanardelli recita: "Oltre
 alle restituzioni e al risarcimento dei danni,  il  giudice,  per  ogni
 delitto  che  offenda l'onore della persona e della famiglia, ancorche'
 non abbia cagionato danno, puo' assegnare alla  parte  offesa,  che  ne
 faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione" E l'art.
 7  del  codice  di  procedura  penale del 1913, allargando l'ambito dei
 delitti per i quali e' consentita la riparazione pecuniaria a sua volta
 recita: "Il reato puo' produrre azione civile per il  risarcimento  del
 danno  e  per le restituzioni. I delitti contro la persona e quelli che
 offendono  la  liberta'  individuale,  l'onore  della  persona  o della
 famiglia, l'inviolabilita' del domicilio o dei segreti,  anche  se  non
 abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione
 pecuniaria".
     L'art.  185  c.p.,  al secondo comma, seguendo l'orientamento, gia'
 accolto dal codice di procedura penale del 1913, teso  all'allargamento
 delle ipotesi di riparazione pecuniaria, estende a tutti i reati (e non
 soltanto  ad  alcuni  delitti)  la  precitata riparazione, includendola
 nella generale nozione di risarcimento e definendo  "non  patrimoniale"
 il danno morale subiettivo.
     La  seconda  sottolineatura  e' relativa, appunto, alle ragioni del
 cambiamento dell'espressione "danno morale" con quella  di  "danno  non
 patrimoniale":    tali    ragioni    vengono   chiarite,   in   maniera
 inequivocabile,  dalla  stessa  relazione  ministeriale   al   progetto
 definitivo   del  codice  penale  del  1930,  ove  si  fa  riferimento,
 anzitutto, alla scelta operata in sede di risarcimento di danni  morali
 ("Il  carattere  generale  di  tale  principio,  incompatibile  con una
 enunciazione di casi tassativi di applicabilita', mi ha indotto  a  non
 limitare  la  risarcibilita'  del danno morale a casi particolari, come
 taluno aveva suggerito") e si offre, successivamente, la ragione  della
 nuova  locuzione usata per indicare il danno morale subiettivo: "Quanto
 alla designazione del concetto, ho creduto che la locuzione "danno  non
 patrimoniale"  sia preferibile a quella di "danno morale", tenuto conto
 che spesso nella terminologia corrente la locuzione di  "danno  morale"
 ha un valore equivoco e non riesce a differenziare il danno morale puro
 da  quei  danni che, sebbene abbiano radice in offese alla personalita'
 morale, direttamente od indirettamente menomano il patrimonio".
     Da cio' s'evince  che,  almeno  nelle  intenzioni  del  legislatore
 penale  del  1930,  il  danno non patrimoniale, di cui al secondo comma
 dell'art.  185  c.p.,  costituisce  l'equivalente  del   danno   morale
 subiettivo  e  che i danni direttamente od indirettamente incidenti sul
 patrimonio non possono essere compresi nei danni  non  patrimoniali  ex
 art. 185 c.p.
     Se a tutto cio' s'aggiunge che gia' la dottrina precedente al 1930,
 contraria  alla  risarcibilita'  dei  danni  morali, era partita da una
 nozione ristretta dei  medesimi  ed  aveva  sottolineato  che  l'ansia,
 l'angoscia,  le  sofferenze  fisiche  o psichiche ecc., appunto perche'
 effimere e non durature, non sono compensabili con equivalenti monetari
 e non possono, pertanto, costituire  oggetto  di  risarcimento;  se  si
 aggiunge  ancora  che  la  giurisprudenza precedente al 1930, sensibile
 alle gia' citate critiche di una parte della dottrina, aveva finito con
 il ritenere esclusa, in via di principio, la risarcibilita'  dei  danni
 morali  subiettivi,  sempre partendo da una nozione ristretta di questi
 ultimi, s'intende appieno l'ambito di  comprensione  della  nozione  di
 "danno non patrimoniale" ex art. 185 c.p.
     I  lavori  preparatori  del vigente codice civile confermano quanto
 ora precisato: la relazione della commissione  reale  al  progetto  del
 libro  "Obbligazioni e contratti" definisce il danno morale "quello che
 in nessun modo tocca il patrimonio ma arreca solo un dolore morale alla
 vittima" e la relazione ministeriale al vigente codice civile cosi'  si
 esprime:  "Circa  il  risarcimento  dei  danni cosiddetti morali, ossia
 circa la  riparazione  o  compensazione  indiretta  di  quegli  effetti
 dell'illecito  che non hanno natura patrimoniale, si e' ritenuto di non
 estendere a tutti la risarcibilita' o la compensabilita' che l'art. 185
 del codice penale pone soltanto per i reati". Il legislatore chiarisce,
 poi, le ragioni della scelta contraria all'ulteriore (rispetto a quella
 gia'   operata   dal   codice   penale   del   1930)  estensione  della
 risarcibilita' dei danni morali,  con  queste  parole:  "La  resistenza
 della  giurisprudenza  a  tale  estensione  puo'  considerarsi  limpida
 espressione  della  nostra  coscienza  giuridica.  Questa  avverte  che
 soltanto  nel  caso  di  reato  e'  piu'  intensa  l'offesa  all'ordine
 giuridico e maggiormente  sentito  il  bisogno  di  una  piu'  energica
 repressione  con carattere anche preventivo". Dalle quali dichiarazioni
 si  detrae  che  il  danno  non  patrimoniale  e'  un   altro   effetto
 dell'illecito  (e',  cioe',  danno  -  conseguenza,  al  pari di quello
 patrimoniale) e che il risarcimento dei danni non patrimoniali persegue
 scopi di piu' intensa repressione e prevenzione, certamente estranei al
 risarcimento degli altri tipi di danno.
     Ed e' da ricordare altresi'  da  un  canto  che  la  giurisprudenza
 successiva  all'emanazione  del  vigente codice civile identifica quasi
 sempre  il  danno  morale   (o   non   patrimoniale)   con   l'ingiusto
 perturbamento  dello stato d'animo del soggetto offeso e dall'altro che
 ancor oggi la prevalente dottrina riduce il danno non patrimoniale alla
 sofferenza fisica (sensazione dolorosa) o psichica.
     Se, dunque, secondo il diritto  vivente,  l'art.  2059  c.c.,  che,
 peraltro,  pone  soltanto  una  riserva  di  legge, fa riferimento, con
 l'espressione  "danno  non  patrimoniale",   al   solo   danno   morale
 subiettivo,  lo stesso articolo si applica soltanto quando all'illecito
 civile, costituente anche reato, consegue un danno morale subiettivo.
     3. - La scelta legislativa operata con l'emanazione dell'art.  2059
 c.c.  (tra  le  opposte  tesi  della  totale irrisarcibilita' del danno
 morale subiettivo e della risarcibilita', in ogni caso,  del  medesimo)
 discende  dall'opportunita'  di  sanzionare  in modo adeguato chi si e'
 comportato in maniera vietata dalla legge.
     Certo, ritenere  che  la  responsabilita'  civile  abbia  carattere
 esclusivamente  o  prevalentemente sanzionatorio sarebbe oggi infondato
 oltrecche' antistorico.  Ma  dopo  l'attenta  lettura  della  precitata
 relazione  ministeriale  al  codice  civile  e'  impossibile  negare  o
 ritenere irrazionale che la responsabilita' civile da atto illecito sia
 in grado di provvedere non soltanto alla reintegrazione del  patrimonio
 del  danneggiato  ma fra l'altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad
 ulteriormente prevenire e sanzionare l'illecito, come  avviene  appunto
 per  la  riparazione  dei danni non patrimoniali da reato. Accanto alla
 responsabilita' penale (anzi, forse meglio, insieme ed  "ulteriormente"
 alla pena pubblica) la responsabilita' civile ben puo' assumere compiti
 preventivi  e  sanzionatori.  Ne'  puo'  essere  vietato al legislatore
 ordinario, ai fini  ora  indicati,  prescrivere,  anche  a  parita'  di
 effetto  dannoso  (danno morale subiettivo) il risarcimento soltanto in
 relazione a fatti  illeciti  particolarmente  qualificati  e,  piu'  di
 altri, da prevenire ed ulteriormente sanzionare.
     E  per  giungere  a  queste  conclusioni  non  e' neppur necessario
 aderire  alla  tesi  che  sostiene  la  natura  di  pena  privata   del
 risarcimento   del   danno   non   patrimoniale,   essendo  sufficiente
 sottolineare  la  non  arbitrarieta'  d'una  scelta   discrezionalmente
 operata,   nei   casi   piu'  gravi,  d'un  particolare  rafforzamento,
 attraverso la riparazione dei danni  non  patrimoniali,  del  carattere
 preventivo e sanzionatorio della responsabilita' penale.
     4.  -  Per  poter  distinguere  il danno biologico dai danni morali
 subiettivi, come dai  danni  patrimoniali  in  senso  stretto,  occorre
 chiarire   la   struttura  del  fatto  realizzativo  della  menomazione
 dell'integrita' bio - psichica del soggetto offeso.
     Ed a tal fine va premessa  la  distinzione  tra  evento  dannoso  o
 pericoloso,   al  quale  appartiene  il  danno  biologico,  e  danno  -
 conseguenza, al quale appartengono il danno  morale  subiettivo  ed  il
 danno patrimoniale.
     Vale,  infatti,  distinguere  da  un  canto  il  fatto  costitutivo
 dell'illecito civile extracontrattuale e dall'altro le conseguenze,  in
 senso  proprio,  dannose  del  fatto stesso.   Quest'ultimo si compone,
 oltrecche' del comportamento (l'illecito  e',  anzitutto,  atto)  anche
 dell'evento  e  del  nesso  di  causalita'  che  lega  il comportamento
 all'evento. Ogni danno e', in senso ampio, conseguenza: anche  l'evento
 dannoso   o   pericoloso   e',   infatti,  conseguenza  dell'atto,  del
 comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere,  anche  in  diritto
 privato  (specie  a  seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili
 costituzionalmente, validi anche nei  rapporti  tra  privati)  l'evento
 materiale,    naturalistico,   che,   pur   essendo   conseguenza   del
 comportamento, e' momento  od  aspetto  costitutivo  del  fatto,  dalle
 conseguenze   dannose,   in  senso  proprio,  di  quest'ultimo,  legate
 all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da  un  ulteriore
 nesso di causalita'. Non esiste comportamento senza evento: il primo e'
 momento  dinamico  ed  il secondo momento statico del fatto costitutivo
 dell'illecito.   Da   quest'ultimo   vanno   nettamente   distinte   le
 conseguenze,  in  senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito,
 causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalita'.
     Il danno biologico costituisce  l'evento  del  fatto  lesivo  della
 salute  mentre  il  danno  morale subiettivo (ed il danno patrimoniale)
 appartengono alla categoria del danno - conseguenza in senso stretto.
     La menomazione dell'integrita'  psico  -  fisica  dell'offeso,  che
 trasforma  in patologica la stessa fisiologica integrita' (e che non e'
 per  nulla  equiparabile  al  momentaneo,  tendenzialmente  transeunte,
 turbamento   psicologico   del  danno  morale  subiettivo)  costituisce
 l'evento (da provare in ogni caso) interno al fatto illecito, legato da
 un canto all'altra componente interna del fatto, il  comportamento,  da
 un  nesso  di  causalita'  e  dall'altro,  alla  (eventuale) componente
 esterna, danno morale  subiettivo  (o  danno  patrimoniale)  da  altro,
 diverso,  ulteriore  rapporto  di causalita' materiale. In senso largo,
 dunque, anche l'evento - menomazione dell'integrita' fisio  -  psichica
 del   soggetto   offeso,   e'   conseguenza  ma  tale  e'  rispetto  al
 comportamento mentre a sua volta e' causa (ove  in  concreto  esistano)
 delle  ulteriori  conseguenze,  in  senso  proprio,  dell'intero  fatto
 illecito, conseguenze morali subiettive o patrimoniali.
     Il  danno  morale  subiettivo,  che  si  sostanzia  nel  transeunte
 turbamento  psicologico del soggetto offeso, e' danno - conseguenza, in
 senso proprio, del fatto illecito lesivo della  salute  e  costituisce,
 quando  esiste,  condizione  di  risarcibilita'  del medesimo; il danno
 biologico e', invece, l'evento, interno al fatto lesivo  della  salute,
 deve  necessariamente  esistere  ed essere provato, non potendosi avere
 rilevanza delle eventuali conseguenze esterne all'intero fatto  (morali
 o  patrimoniali)  senza  la completa realizzazione di quest'ultimo, ivi
 compreso, ovviamente, l'evento della menomazione dell'integrita'  psico
 - fisica del soggetto offeso.
     Il danno - biologico (o fisiologico) e' danno specifico, e' un tipo
 di  danno,  identificandosi  con  un  tipo di evento.   Il danno morale
 subiettivo e', invece, un genere  di  danno  -  conseguenza,  che  puo'
 derivare  da una serie numerosa di tipi di evento; cosi' come genere di
 danno - conseguenza, condizione  obiettiva  di  risarcibilita',  e'  il
 danno  patrimoniale,  che, a sua volta, puo' derivare da diversi eventi
 tipici.
     5. - Nel distinguere il danno biologico dal danno morale subiettivo
 sono state poste anche le premesse per  un'individuazione  precisa  dei
 contenuti  semantici  delle  varie  espressioni  usate in materia dalla
 giurisprudenza e dalla dottrina.
     Per la precisione: possono essere indifferentemente usate (come  fa
 la   giurisprudenza)   le   espressioni   "danno  biologico"  e  "danno
 fisiologico",  giacche'   entrambe   pongono   l'accento   sull'evento,
 naturalistico,  interno  alla  struttura del fatto lesivo della salute.
 Certo, ove s'intenda anche quest'ultima come  naturalistica  condizione
 d'integrita'  psico  -  fisica del soggetto offeso, la locuzione "danno
 alla salute" e' equivalente alle precedenti espressioni.
     Senonche', come e' stato gia' osservato, il termine  salute  evoca,
 in  questa  sede,  primieramente  il bene giuridico, costituzionalmente
 tutelato dall'art. 32 Cost., ed offeso  dal  fatto  realizzativo  della
 menomazione  dell'integrita'  psico  -  fisica del soggetto passivo. In
 questo senso, la lesione della salute, del bene - giuridico salute,  e'
 l'intrinseca   antigiuridicita'   obiettiva   del   danno  biologico  o
 fisiologico: essa appartiene ad una dimensione valutativa, distinta  da
 quella  naturalistica, alla quale invece fanno riferimento le locuzioni
 "danno biologico" e "danno fisiologico". D'altra parte, la  menomazione
 dell'integrita'  psico  -  fisica  del  soggetto e', come si e' innanzi
 precisato, evento, naturalistico, effettivo, da provare in  ogni  caso;
 la  lesione  giuridica  al bene salute si concreta, invece, nel momento
 stesso  in  cui  si  realizza,  in  interezza,  il  fatto   costitutivo
 dell'illecito; e non va provato, come la giurisprudenza insegna, che la
 menomazione  bio  -  psichica  del  soggetto  offeso  in concreto abbia
 impedito  le   manifestazioni,   le   attivita'   extralavorative   non
 retribuite,   ordinarie   che,   accanto   alle   attivita'  lavorative
 retribuite, esprimono,  realizzandola,  la  salute  in  senso  fisio  -
 psichico.
     L, pertanto, innanzi tutto, piu' corretto parlare di "lesione della
 salute"  (e  cioe'  del  bene  giuridico  -  salute, costituzionalmente
 garantito) e non di "danno alla salute", lasciando al  termine  "danno"
 l'accezione  naturalistica  che di regola, assume in sede privatistica.
 Tale lesione, come si e' detto, e' l'essenza antigiuridica  dell'intero
 fatto  realizzativo  del  danno  biologico.  Se,  peraltro, si desideri
 continuare a parlare  di  "danno  alla  salute"  occorre,  per  evitare
 equivoci, precisare che, con tale locuzione, o si usa il termine salute
 nel   significato  naturalistico  d'integrita'  fisio  -  psichica  del
 soggetto offeso (ed in questo caso danno alla  salute  e'  il  perfetto
 equivalente  di  "danno  biologico" o di "danno fisiologico") oppure si
 usa il termine  salute  nella  dimensione  giuridico  -  costituzionale
 innanzi  indicata,  di  bene  giuridico,  ed in tal caso il "danno alla
 salute" e' un  danno  giuridicamente  valutato,  costituente  l'essenza
 antigiuridica  dell'intero  fatto  illecito, danno presunto, se e' vero
 che  non  va  provato  alcun  effettivo  impedimento  delle   attivita'
 realizzative del soggetto offeso.
     6.  -  Tenuto  conto  di  quanto  ora  precisato,  mentre  il danno
 biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subiettivo,  ben
 puo'  applicarsi l'art. 2059 c.c., ove dal primo (e cioe' dalla lesione
 alla salute) derivi, come conseguenza  ulteriore  (rispetto  all'evento
 della menomazione delle condizioni psico - fisiche del soggetto offeso)
 un danno morale subiettivo.
     Cio'   sempreche'   il   fatto  realizzativo  del  danno  biologico
 costituisca anche reato.
     7. - Se nell'ordinamento non esistessero altre norme o non  fossero
 rinvenibili  altri  principi  relativi  al danno biologico e, pertanto,
 quest'ultimo fosse risarcibile solo ai  sensi  dell'art.  2059  c.c.  e
 cioe',  salve  pochissime altre ipotesi, soltanto nel caso che il fatto
 costituisca (anche) reato e relativamente ai soli  (conseguenti)  danni
 morali   subiettivi,   si   porrebbe   certamente   il  problema  della
 costituzionalita' dell'art.  2059  c.c.  Come  lo  stesso  problema  si
 porrebbe  ove,  allargando  l'ambito  di  comprensione della nozione di
 danno non patrimoniale, fino ad includere nella medesima ogni  tipo  di
 lesione  d'un  bene  non patrimoniale, si ritenesse che il risarcimento
 del danno alla salute fosse riconducibile esclusivamente  al  combinato
 disposto  degli  artt.  2059  c.c.  e 185, secondo comma, c.p. L'art.32
 Cost., come si precisera' meglio  oltre,  verrebbe  vanificato  da  una
 normativa ordinaria che riconducesse il danno alla salute ai soli artt.
 2059 c.c. e 185 c.p.
     8.  -  Esiste, tuttavia, certamente, altra strada per adeguatamente
 soddisfare le esigenze poste dalla giurisprudenza in  ordine  al  danno
 biologico.
     Va,  tuttavia, in particolare, rilevato che gravi problemi nascono,
 nel momento in cui le prevalenti giurisprudenza e dottrina  riconducono
 il  danno  biologico  all'art. 2043 c.c.   La scelta legislativa di cui
 all'art. 2059 c.c. getta luce (od ombre) sull'art. 2043 c.c.: non ci si
 puo', infatti, senza necessari approfondimenti, sbarazzare della scelta
 legislativa chiaramente  espressa  dall'art.  2059  c.c.  e  ricondurre
 senz'altro all'art. 2043 c.c. il risarcimento del danno biologico.
     9.  -  Il  problema dei rapporti, in tema di responsabilita' civile
 extracontrattuale, tra una norma generale ed una particolare,  relativa
 (quest'ultima)  al danno morale subiettivo, si pose, in tempi anteriori
 al vigente codice civile e, pertanto, prima  dell'emanazione  dell'art.
 2059 c.c., tra l'art. 1151 dell'abrogato codice civile e la riparazione
 pecuniaria, di cui ai gia' citati artt. 38 del codice penale del 1889 e
 7  del  codice  di  procedura  penale del 1913. Si pose, dopo il 1930 e
 prima del 1942, il quesito se l'obbligo di risarcire i danni morali  (e
 non  patrimoniali)  trovasse  la  sua  ragion  d'essere  nel  principio
 generale stabilito dall'art.  1151 dell'allora vigente codice civile  o
 soltanto  nell'art.  185, secondo comma, c.p. Si chiari', da autorevole
 dottrina, che, essendo il principio generale del risarcimento del danno
 sancito dal precitato art. 1151 c.c.   e, comprendendo  concettualmente
 tale  danno  sia  il danno patrimoniale sia quello non patrimoniale, il
 risarcimento di quest'ultimo discendeva appunto dall'art. 1151 c.c.  Si
 aggiunse  essere  stata la riparazione pecuniaria (immediato precedente
 dell'art. 2059 c.c.) di cui agli artt. 38 del codice penale del 1889  e
 7  del  codice  di  procedura  penale  del  1913 (provvedendo essa alla
 riparazione  dei  danni  morali)  a  sottrarre  questi   ultimi   dalla
 comprensione    dell'art.    1151   c.c.   e,   pertanto,   a   ridurre
 l'applicabilita' dello stesso articolo al solo risarcimento  del  danno
 patrimoniale;  con  l'emanazione del vigente codice penale, riferendosi
 l'art.    185 c.p. a tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed
 essendo stata abrogata la riparazione pecuniaria, il piu' volte  citato
 art.   1151   c.c.,   secondo  la  ricordata  dottrina,  aveva  ripreso
 l'estensibilita' di cui era capace, riferendosi a tutte  le  specie  di
 danni.
     Certo,  anche  il  vigente art. 2043 c.c. (che corrisponde all'art.
 1151 dell'abrogato c.c.) ove non esistesse altra disposizione  relativa
 ai  danni  non patrimoniali (a parte, per un momento, il sistema di cui
 al titolo IX del libro IV del c.c.) potrebbe  ritenersi  estensibile  a
 tutte  le  specie  di  danni: ma l'art. 2059 c.c., operando una precisa
 scelta, sancendo che i danni non patrimoniali, corrispondenti  ai  soli
 danni  morali  subiettivi,  vanno  risarciti  in ben precisati limiti e
 cioe' solo nei casi determinati  dalla  legge,  non  soltanto  esclude,
 almeno  nelle intenzioni del legislatore del 1942, la risarcibilita' di
 altri danni non patrimoniali ma sottrae questi ultimi alla comprensione
 dell'art. 2043 c.c.  Se a cio' s'aggiunge il sistema del titolo IX  del
 libro  IV  del  codice  civile, s'intende appieno che l'interpretazione
 letterale  del  solo  art.  2043  c.c.  non  puo',  senza  approfondite
 considerazioni,  tranquillizzare  in  ordine  al  riferimento  al danno
 biologico, che lede pur sempre un bene  immateriale,  dell'articolo  in
 discussione.
     10.  -  Gli  sforzi  della dottrina e della giurisprudenza, ai fini
 d'inquadramento sistematico  del  danno  biologico,  si  sono  infatti,
 coerentemente  orientati  verso una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa
 da quella tradizionale: il problema  del  danno  biologico  si  e',  in
 definitiva,  risolto  nel  problema d'una particolare lettura dell'art.
 2043 c.c.  Soltanto la tesi (oggi, peraltro, quasi del tutto  respinta)
 secondo  la  quale,  poiche'  l'integrita'  psico - fisica dell'uomo e'
 sempre impiegata per realizzare  attivita'  volte  all'acquisizione  od
 alla   conservazione   di   beni  patrimoniali,  la  stessa  integrita'
 costituisce bene patrimoniale e, conseguentemente, ogni riduzione della
 medesima realizza un deficit patrimoniale, lascia inalterata la lettura
 tradizionale dell'art. 2043 c.c. Allorche',  invece,  si  e'  sostenuto
 rientrare  il  danno  biologico  nella  categoria  dei  danni economici
 (questi sarebbero caratterizzati dall'obiettiva e diretta valutabilita'
 in danaro) ed allorche' si e' assunto  che  lo  stesso  danno  consiste
 nell'effetto  dannoso  della lesione dell'integrita' psico - fisica del
 soggetto offeso, che rende il medesimo incapace, anche solo  in  parte,
 di ricevere utilita' dalla propria attivita' o dal mondo esterno, si e'
 offerta, in definitiva, nel sottoporre a revisione la nozione di danno,
 una lettura dell'art. 2043 c.c.  diversa da quella tradizionale.
     11.  -  Sennonche',  soltanto il collegamento tra l'art. 32 Cost. e
 l'art. 2043 c.c., come si dira' meglio  oltre,  imponendo  una  lettura
 "costituzionale"  di  quest'ultimo  articolo, consente di interpretarlo
 come comprendente il risarcimento, in ogni caso, del  danno  biologico:
 e'  la  lettura  "costituzionale"  dello stesso articolo, correlato con
 l'art. 32 Cost., che soddisfa le esigenze sottostanti a tutte  le  tesi
 proposte in materia.
     Va,  intanto,  precisato  che  in questo giudizio e' stato invocato
 l'art. 32, primo comma, Cost., quale  parametro  di  riferimento  delle
 questioni    di   costituzionalita'   relative   all'art.   2059   c.c.
 (nell'ordinanza del Tribunale di Padova,  promotrice  del  procedimento
 concluso  con  sentenza di questa Corte n. 87 del 26 luglio 1979, erano
 stati invocati, invece, quale fondamento della richiesta  dichiarazione
 d'incostituzionalita'  dello  stesso  art.  2059 c.c., gli artt. 3 e 24
 Cost.) e che, conseguentemente, soltanto in questo giudizio, e  non  in
 quello  concluso  con  la predetta sentenza, e' consentito (e doveroso)
 rivolgere particolare attenzione all'art. 32, primo comma, Cost.
     D'altra parte, da un canto la sentenza ora citata,  nel  dichiarare
 rientrante  nella discrezionalita' del legislatore adottare trattamenti
 differenziati in relazione alle differenti situazioni, per  presupposti
 e  gravita', del fatto costituente reato e del fatto dannoso integrante
 esclusivamente illecito civile, esclude dalla predetta discrezionalita'
 le "situazioni soggettive costituzionalmente garantite", dall'altro, la
 sentenza di questa Corte n. 88 del 1979, nel riaffermare  che  il  bene
 afferente  alla  salute  e'  tutelato,  come diritto fondamentale della
 persona, direttamente dalla Costituzione, dichiara che la violazione di
 tal diritto, nel costituire illecito civile,  determina,  per  se',  il
 sorgere dell'obbligazione riparatoria.
     La  lettera  del  primo comma dell'art. 32 Cost., che non a caso fa
 precedere il fondamentale  diritto  della  persona  umana  alla  salute
 all'interesse  della  collettivita'  alla  medesima,  ed  i  precedenti
 giurisprudenziali,   inducono   a   ritenere    sicuramente    superata
 l'originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato
 costituzionale in materia.
     12.  -  Il  riconoscimento  del  diritto  alla  salute come diritto
 pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato, non e' senza
 conseguenza in ordine ai collegamenti tra  lo  stesso  art.  32,  primo
 comma, Cost. e l'art. 2043 c.c.
     L'art.  2043  c.c. e' una sorta di "norma in bianco":  mentre nello
 stesso articolo e' espressamente e chiaramente indicata  l'obbligazione
 risarcitoria,  che  consegue  al  fatto  doloso  o  colposo,  non  sono
 individuati i beni giuridici la cui lesione  e'  vietata:  l'illiceita'
 oggettiva  del  fatto,  che  condiziona  il  sorgere  dell'obbligazione
 risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l'"ingiustizia"  del
 danno  prodotto  dall'illecito. E' stato affermato, quasi all'inizio di
 questo secolo (l'osservazione era riferita all'art. 1151  dell'abrogato
 codice civile ma vale, ovviamente, anche per il vigente art. 2043 c.c.)
 che  l'articolo  in  esame "contiene una norma giuridica secondaria, la
 cui applicazione suppone l'esistenza d'una  norma  giuridica  primaria,
 perche'  non  fa  che  statuire  le conseguenze dell'iniuria, dell'atto
 contra ius, cioe' della violazione della norma di diritto obiettivo".
     Il  riconoscimento  del  diritto  alla  salute,  come  fondamentale
 diritto  della  persona umana, comporta il riconoscimento che l'art. 32
 Cost. integra l'art. 2043 c.c., completandone il precetto primario.
     E' il collegamento tra gli artt.  32  Cost.  e  2043  c.c.  che  ha
 permesso  a  questa  Corte  d'affermare  che, dovendosi il diritto alla
 salute certamente ricomprendere tra le  posizioni  subiettive  tutelate
 dalla  Costituzione,  "non  sembra dubbia la sussistenza dell'illecito,
 con conseguente obbligo della riparazione, in caso  di  violazione  del
 diritto  stesso".    L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente
 sua risarcibilita' discendono direttamente  dal  collegamento  tra  gli
 artt.   32,   primo   comma,  Cost.  e  2043  c.c.;  piu'  precisamente
 dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima.
     13. - Senonche', leggendo l'art. 2043 c.c. nel sistema  dell'intero
 titolo  IX  del libro IV del codice civile, il danno biologico dovrebbe
 ritenersi  risarcibile  soltanto  quando  il  medesimo  produca   danni
 patrimoniali, comunque intesi.
     E'  ben  vero  che  l'interpretazione letterale del solo art.  2043
 c.c., che non menziona la  patrimonialita'  delle  conseguenze  dannose
 risarcibili  ma  fa espresso riferimento esclusivamente all'ingiustizia
 del danno,  potrebbe  condurre,  come  ha  sostenuto  una  parte  della
 giurisprudenza,   a  ritenere  il  danno  biologico  rientrante,  quale
 species, nel genus "danno ingiusto":  l'interpretazione  letterale  del
 solo  art. 2043 c.c. non puo', tuttavia, prevalere sull'interpretazione
 sistematica dello stesso articolo, nel quadro dell'intero titolo IX del
 libro IV del codice civile.
     Ed e' per queste ragioni che ad altra parte della dottrina e  della
 giurisprudenza non e' restato che allargare la nozione di danno ex art.
 2043  c.c.,  fino  a  comprendere  tutte le menomazioni direttamente ed
 obiettivamente valutabili in danaro (e quindi anche il danno biologico)
 oppure assumere quest'ultimo come comprensivo di tutti i pregiudizi che
 riducono la capacita' del  soggetto  a  produrre  e  ricevere  utilita'
 derivanti dalla sua attivita' o dal mondo esterno.
     Tuttavia, il danno biologico, come s'e' gia' avvertito, e', in ogni
 caso,  un tipo di fatto (menomazione dell'integrita' psico - fisica del
 soggetto) ed un tipo di lesione  della  salute,  sempre  presente,  nel
 doloso o colposo illecito realizzativo della predetta menomazione. Tale
 tipo  di  fatto  e  di  lesione  non  vanno  in  alcun modo confusi con
 l'eventuale presenza, in concreto, di danni patrimoniali od  economici,
 conseguenti  al  fatto  ed  alla  lesione  ora specificati. Basterebbe,
 ancora una volta, ribadire che  uno  speciale  tipo  di  danno  ed  uno
 specifico   bene  tutelato,  leso  da  un  fatto  tipico  (la  predetta
 menomazione) non possono confondersi  con  una  categoria  generale  di
 danni  che  conseguono,  eventualmente  (ed  in  ogni caso devono esser
 provati) al danno biologico, sempre presente,  invece,  nella  predetta
 menomazione  e sempre lesivo, senza bisogno di alcuna prova, del bene -
 giuridico salute.
     Certo, la lesione della salute non coincide con la  lesione  di  un
 arto  o,  in  generale,  dell'integrita'  fisio  -  psichica,  per  se'
 considerata  (si  e'  gia'  avvertito  che  tale  lesione  e'  l'evento
 naturalistico  del  fatto  offensivo del bene giuridicamente tutelato -
 salute: e l'evento  naturalistico,  per  se',  avulso  dal  significato
 giuridico   dell'intero   fatto,   del   quale   e'  elemento,  non  ha
 significato). Ma non e' neppur vero che la lesione  dell'arto  o  della
 generale  integrita'  bio  -  psichica  venga perseguita, attraverso il
 risarcimento ex art.  2043 c.c., solo se e nei limiti in cui rende,  in
 concreto,  il  soggetto  passivo dell'illecito incapace, in tutto od in
 parte, di produrre o ricevere le utilita' derivanti dal mondo esterno o
 dalla sua attivita'. E l'ingiustizia (lesione del diritto alla  salute)
 insita   nel  fatto  menomativo  dell'integrita'  bio  -  psichica,  il
 fondamento  giuridico  del  risarcimento   del   danno   biologico   ed
 eventualmente,  ove  esistano,  anche di altre conseguenze dannose. Non
 e', l'esistenza, in concreto, di conseguenze dannose (quali che  siano)
 a  costituire  il  fondamento  dell'ingiustizia  del  fatto illecito e,
 pertanto, anche della menomazione bio - psichica. In tanto le ulteriori
 (oltre l'evento) conseguenze dannose sono rilevanti  e  risarcibili  in
 quanto,  prima,  gia'  esiste un'ingiustizia dell'illecito (determinata
 dalla violazione della norma primaria desunta  dal  combinato  disposto
 degli  artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) ed una lesione, presunta, del bene -
 giuridico salute.
     14.  - Ne' vale sostenere che, allorche' s'identifichi il danno con
 l'illecito, il risarcimento perde  la  sua  funzione  risarcitoria  per
 assumere   la  natura  di  pena  privata.    Anzitutto,  il  danno  non
 s'identifica con l'illecito; questo (che,  peraltro  naturalisticamente
 considerato,  non ha il benche' minimo significato) intanto sostanzia e
 concreta  la  lesione  al  bene  giuridico  -  salute  in   quanto   e'
 oggettivamente  antigiuridico,  e' in contrasto con il divieto primario
 (di cui al combinato disposto degli artt. 32 Cost.  e 2043 c.c.) che lo
 investe d'un autonomo disvalore giuridico.
     Precipuo compito della norma di diritto  privato  e',  appunto,  la
 tutela  di  tipici  beni, di specifici interessi, costituenti l'oggetto
 garantito  dal  predetto  divieto  primario.    Si  osservi:   antiche,
 consolidate  indagini  di  teoria  generale, nel distinguere l'illecito
 civile extracontrattuale dagli  illeciti  di  diritto  pubblico,  hanno
 sostenuto che, violando sempre il fatto antigiuridico un duplice ordine
 di  interessi,  immediati  (diretti)  e mediati (indiretti), l'illecito
 civile extracontrattuale viene considerato dall'ordinamento soprattutto
 in funzione della lesione di interessi immediati  (oggetto  sostanziale
 specifico:  ad  esempio,  nel  nostro  caso,  la  salute, come bene del
 privato) a differenza dell'illecito  di  diritto  pubblico,  riguardato
 dallo  stesso  ordinamento  precipuamente  in funzione della lesione di
 interessi mediati (danno o pericolo  sociali  ecc.).  Ed  allorche'  il
 fatto  oggettivamente  antigiuridico costituisce anche reato, la doppia
 conseguenza giuridica e' il piu' evidente segno del diverso profilo dal
 quale viene considerato il medesimo illecito: come precipuamente lesivo
 dell'interesse specifico immediato  o  come  principalmente  lesivo  di
 interessi  sociali  indiretti.  Il  risarcimento  del  danno,  sanzione
 riparatoria (appartenente alla categoria delle sanzioni  esecutive  del
 precetto   primario)  tendendo  a  ripristinare  l'equilibrio  tra  gli
 interessi privati in  gioco,  segue  alla  violazione  della  norma  di
 diritto  privato  e,  pertanto,  soprattutto  alla lesione dell'oggetto
 specifico,  immediatamente  garantito  dalla  stessa  norma;  la   pena
 (appartenente   alla  categoria  delle  sanzioni  punitive,  nettamente
 distinte dalle esecutive), tendendo, invece, a principalmente rieducare
 il reo od a riaffermare l'autorita' statale ed a prevenire  i  pericoli
 sociali  indiretti  (recidiva,  vendetta  privata  ecc.)  consegue alla
 violazione della norma di diritto penale e, pertanto, soprattutto, alla
 lesione degli oggetti giuridici mediati, garantiti precipuamente  dalla
 norma penale.
     E'  si  ripete,  prevalente  scopo del divieto primario, in sede di
 responsabilita' civile extracontrattuale, garantire i  beni  immediati,
 specifici,  tipicamente  individuati  dal  medesimo:  nella  specie, la
 salute come bene  individuale  del  privato,  a  parte  i  conseguenti,
 eventuali danni patrimoniali.
     Certo,  la  strada per rileggere tutto il sistema del codice civile
 alla luce della Costituzione e per ricondurre  l'illecito  civile,  pur
 nelle  innegabili  specificita',  ai  principi  generali  dell'illecito
 giuridico e', forse, ancora lunga: le teorie e  la  giurisprudenza  che
 allargano  l'ambito  di  operativita'  dell'art.  2043  c.c.  ai  danni
 economici (misurabili direttamente ed  obiettivamente  in  moneta)  che
 comprendono  ma non esauriscono i danni patrimoniali in senso stretto o
 che si riferiscono all'incidenza del danno  biologico  sulle  attivita'
 extralavorative  non  retributive,  meritano,  nella previsione di tale
 strada, particolare attenzione.
     15.  - Va, infatti, riconosciuto che, pur essendo, come s'e' detto,
 il danno  biologico  nettamente  distinto  dal  danno  patrimoniale  od
 economico;  pur  assumendo  un ruolo autonomo sia in relazione al lucro
 cessante  da  invalidita'  lavorativa  (temporanea  o  permanente)   in
 concreto  incidente sulla capacita' di guadagno del danneggiato sia nei
 confronti del  danno  morale  in  senso  stretto;  pur  essendo  sempre
 presente  nell'avvenuta menomazione psico - fisica, e sempre risarcito,
 a differenza delle due voci (eventuali) del (predetto) lucro cessante e
 del danno morale subiettivo; da una parte  il  risarcimento  del  danno
 biologico  costituisce  un primo, essenziale, prioritario risarcimento,
 che ne condiziona ogni altro e, pertanto, anche quello del  preindicato
 lucro  cessante  (non  vi puo' esser risarcimento di danni patrimoniali
 derivanti  da   fatto   illecito   lesivo   della   salute   senza   il
 necessariamente   preliminare  risarcimento  del  danno  biologico);  e
 dall'altra  parte,  la  ragione  per  la  quale  e'   vietato   causare
 menomazioni  dell'integrita'  psico  -  fisica  (ossia  la tutela delle
 manifestazioni della vita ordinaria, del soggetto  passivo  del  fatto,
 sia  lavorativa  che  extralavorativa)  e'  quella  stessa che fonda la
 risarcibilita' del danno patrimoniale Una sola e', invero, la ratio del
 combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.
     16. - Va a questo punto, tuttavia, sottolineato che l'attenzione al
 solo art. 2043 c.c., anche in una  lettura  aggiornata,  secondo  nuove
 nozioni  di  danno  economico e di patrimonio, non sembra sufficiente a
 rendere  piena  efficacia  all'art.  32  Cost.  ed  ai   nuovi   valori
 prospettati  dalla  Costituzione.  Il combinato disposto degli artt. 32
 Cost. e 2043 c.c. importa una  rilettura  costituzionale  di  tutto  il
 sistema codicistico dell'illecito civile.
     L'interpretazione  giudiziaria  ha  gia'  iniziato  la revisione di
 alcune nozioni tradizionali; dall'esperienza giudiziaria sono  nati  il
 danno  alla  vita  di relazione, il danno alla sfera sessuale, il danno
 estetico non concretamente incidente sulla capacita' di guadagno,  ecc.
 e sono state prese in considerazione, ad esempio, le ipotesi di piccole
 invalidita'  permanenti  non influenti sul reddito del soggetto nonche'
 quelle relative a periodi di malattia temporanea durante  la  quale  il
 lavoratore  ha continuato a percepire l'intera retribuzione. Tutto cio'
 ha costituito  I'immediato  "precedente"  giurisprudenziale  del  danno
 biologico.
     Il fatto che le esigenze innovatrici siano partite dall'esperienza,
 ispirata  ai  valori,  personali,  esplicitamente garantiti dalla Carta
 costituzionale,  e'  garanzia  di  verita'  delle  medesime,  anche  se
 lasciano   ancora   la  dottrina  incerta  in  ordine  alla  strada  da
 intraprendere per raggiungere l'esatta risposta alle stesse esigenze.
     17. - Ed e' appunto il clima creato dalla  Costituzione  che  rende
 necessario  ricondurre  l'illecito  civile  ai  principi ed alle regole
 della teoria generale dell'illecito.
     In tempi nei quali  non  erano  prospettate  ipotesi  di  specifici
 interessi  garantiti  anche  nei  rapporti  tra privati, ritenendosi il
 danno ex art. 2043  c.c.  limitato  al  danno  emergente  ed  al  lucro
 cessante (e cioe' alla lesione direttamente od indirettamente incidente
 sul  patrimonio del danneggiato) si e' individuato un principio, valido
 in sede di responsabilita' extracontrattuale, secondo il quale il danno
 si sostanzia esclusivamente  nelle  conseguenze  patrimoniali  (e  non)
 dell'illecito.  Gli  interessi sostanziali, a tutela dei quali s'impone
 l'obbligazione  risarcitoria,  passavano  in  secondo  piano:   nessuno
 avvertiva   il  bisogno  d'esplicitarli;  e,  data,  da  un  canto,  la
 conclamata atipicita' dell'illecito civile e  dall'altro  la  facilita'
 della  prova  del  danno  emergente e del lucro cessante, ogni indagine
 s'incentrava sull'obbligazione risarcitoria d'un danno patrimoniale  (o
 non) comunque da provare, di volta in volta, conseguente all'illecito.
     Venute,  invece,  in  rilievo  esigenze di tutela, anche in sede di
 diritto privato, di specifici  valori,  determinati  soprattutto  dalla
 vigente  Costituzione,  valori  personali,  prioritari, non tutelabili,
 neppure in sede di diritto privato,  soltanto  in  funzione  dei  danni
 patrimoniali  (e  non)  conseguenti all'illecito, occorre fare un passo
 ulteriore, rompere lo schema dell'esistenza, in tema di responsabilita'
 civile extracontrattuale, soltanto di danni  -  conseguenze,  in  senso
 stretto,  e  incentrando  l'attenzione  sul  divieto  primario  violato
 dall'illecito extracontrattuale (e in particolare sui valori  tutelati,
 lesi  da  quest'ultimo)  chiarire  gli effetti che il bene tutelato dal
 divieto primario opera sul precetto  secondario  del  risarcimento  del
 danno.    E'  la  natura (il valore, il significato giuridico) del bene
 garantito che, riverberandosi sul precetto secondario,  lo  condiziona,
 sottraendolo,   ove   del   caso,   ad  arbitrarie  determinazioni  del
 legislatore ordinario.
     18. - Va dato atto ad una parte autorevole  della  dottrina  d'aver
 intuito  che,  anche  se l'art. 32 Cost. non contempla espressamente il
 risarcimento, in ogni  caso,  del  danno  biologico,  e'  dallo  stesso
 articolo   che   puo'   desumersi,  in  considerazione  dell'importanza
 dell'enunciazione costituzionale del diritto alla salute  come  diritto
 fondamentale  del  privato,  la difesa giuridica che tuteli nella forma
 risarcitoria il bene della salute personale.
     Cio' non e', tuttavia, riferibile alla norma di cui all'art.   2059
 c.c. (stante l'interpretazione limitativa che, come si e' ricordato, il
 diritto  vivente  da'  di  quest'ultimo articolo) ma va ricondotto alla
 norma risultante dal combinato disposto degli artt.  32  Cost.  e  2043
 c.c., giacche' lo stesso diritto vivente quest'ultimo articolo ritiene,
 direttamente  od  indirettamente, applicabile al risarcimento del danno
 biologico.
     V'e'  da  sottolineare  che,  mentre   chi   ritiene   direttamente
 applicabile  al  danno  biologico  l'art.  2043  c.c.,  non affronta la
 problematica relativa all'interpretazione dello  stesso  articolo  alla
 luce del sistema di cui al titolo IX del libro IV del codice civile, e,
 fermandosi, alla sola interpretazione letterale dell'articolo in esame,
 riconduce,  come  s'e'  rilevato,  al  genere "danno ingiusto" anche la
 specie "danno biologico", chi, invece, e' dell'avviso  che  ne'  l'art.
 2059  c.c.  ne'  l'art.  2043  c.c.  siano  direttamente applicabili al
 risarcimento  del  danno   biologico,   ravvisa   nel   sistema   della
 legislazione  civile  un principio generale costituito dalla previsione
 d'una  sanzione  risarcitoria  come  conseguenza  della  lesione  d'una
 situazione  giuridica subiettiva e, pertanto, applica l'art. 2043 c.c.,
 espressione anch'esso di tal principio, al danno biologico per analogia
 iuris.
     Va qui, a parte ogni altra considerazione, in ogni  caso  rimarcato
 che  e'  l'art.  32 Cost. che, collegato all'art. 2043 c.c., fa si' che
 quest'ultimo  non   possa   essere   interpretato   come   applicantesi
 esclusivamente  al  danno  patrimoniale od al danno economico derivanti
 dalla menomazione psico - fisica: questi danni, come si e' notato, sono
 soltanto ulteriori ed eventuali conseguenze della lesione  del  bene  -
 giuridico   salute,   prodotta   dall'intero  fatto  lesivo,  compreso,
 ovviamente, l'evento della menomazione bio - psichica.
     Poiche', come  si  e'  gia'  notato,  l'art.  2043  c.c.,  a  parte
 l'indicazione  della iniuria, attiene a conseguenze sanzionatorie di un
 illecito e poiche' la sanzione deve esser adeguata  a  quest'ultimo  ed
 idonea  a  validamente compensare l'offesa al bene tutelato, realizzata
 dall'illecito  stesso,  l'articolo   in   esame   va   correlato   alla
 disposizione  che  prevede  il  bene  giuridico  tutelato attraverso la
 posizione del divieto primario.
     L'art. 2043 c.c.,  correlato  ad  articoli  che  garantiscono  beni
 patrimoniali, non puo' che esser letto come tendente a disporre il solo
 risarcimento  dei  danni patrimoniali (in senso stretto): e' per questi
 motivi che, essendo il diritto privato orientato per il passato, almeno
 prevalentemente, alla tutela di beni patrimoniali, lo  stesso  articolo
 e'  stato dal legislatore volto alla tutela di soli beni patrimoniali e
 dalla dottrina letto nel senso voluto dal legislatore del 1942.
     La   vigente   Costituzione,   garantendo   principalmente   valori
 personali,   svela  che  l'art.  2043  c.c.  va  posto  soprattutto  in
 correlazione agli articoli dalla Carta  fondamentale  (che  tutelano  i
 predetti  valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a
 compensare il sacrificio  che  gli  stessi  valori  subiscono  a  causa
 dell'illecito.  L'art.  2043  c.c.,  correlato  all'art.  32 Cost., va,
 necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei
 danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi, per  le  ragioni  gia'
 indicate,  i  danni  morali  subiettivi)  tutti  i  danni  che,  almeno
 potenzialmente, ostacolano le  attivita'  realizzatrici  della  persona
 umana.  Ed e' questo il profondo significato innovativo della richiesta
 di autonomo risarcimento, in  ogni  caso,  del  danno  biologico:  tale
 richiesta   contiene  un  implicito,  ma  ineludibile,  invito  ad  una
 particolare attenzione alla norma primaria, la cui violazione fonda  il
 risarcimento ex art.  2043 c.c., al contenuto dell'iniuria, di cui allo
 stesso  articolo, ed alla comprensione (non piu' limitata, quindi, alla
 garanzia di soli beni patrimoniali) del risarcimento della  lesione  di
 beni e valori personali.
     19.  - Se e' vero che l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto
 fondamentale del privato, e se e' vero che tale diritto e'  primario  e
 pienamente  operante  anche  nei rapporti tra privati, allo stesso modo
 come non  sono  configurabili  limiti  alla  risarcibilita'  del  danno
 biologico,  quali quelli posti dall'art. 2059 c.c., non e' ipotizzabile
 limite alla risarcibilita' dello stesso danno, per se' considerato,  ex
 art. 2043 c.c.
     Il  risarcimento  del  danno ex art. 2043 e' sanzione esecutiva del
 precetto primario: ed e' la minima (a parte  il  risarcimento  ex  art.
 2058 c.c.) delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela d'un
 interesse
     Quand'anche  si sostenesse che il riconoscimento, in un determinato
 ramo dell'ordinamento, d'un diritto subiettivo non  esclude  che  siano
 posti  limiti alla sua tutela risarcitoria (disponendosi ad esempio che
 non la lesione di quel diritto, per se', sia risarcibile ma la medesima
 purche'  conseguano  danni  di  un  certo  genere)   va   energicamente
 sottolineato  che cio', in ogni caso, non puo' accadere per i diritti e
 gli  interessi   dalla   Costituzione   dichiarati   fondamentali.   Il
 legislatore  ordinario,  rifiutando  la  tutela risarcitoria (minima) a
 seguito della  violazione  del  diritto  costituzionalmente  dichiarato
 fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi dalla
 predetta   tutela.  La  solenne  dichiarazione  della  Costituzione  si
 ridurrebbe  ad  una  lustra,  nelle  ipotesi   escluse   dalla   tutela
 risarcitoria:    il    legislatore    ordinario    rimarrebbe   arbitro
 dell'effettivita' della predetta  dichiarazione  costituzionale.    Con
 l'aggravante  che,  mentre il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e
 2043 c.c. porrebbe il divieto primario, generale, di ledere la  salute,
 il  fatto  lesivo  della  medesima,  per il quale non e' previsto dalla
 legge ordinaria il risarcimento del danno, o, assurdamente, impedirebbe
 al precetto primario d'applicarsi (il risarcimento del  danno  rientra,
 infatti, nelle sanzioni che la dottrina definisce esecutive) o dovrebbe
 ritenersi giuridicamente del tutto irrilevante.
     Dalla  correlazione  tra  gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., e' posta,
 dunque, una norma  che,  per  volonta'  della  Costituzione,  non  puo'
 limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico.
     20. - Un'ultima osservazione: alle conclusioni ora indicate si puo'
 opporre  il  timore  d'un'eccessiva  uniformita'  di  determinazione  e
 liquidazione del danno biologico.
     Va precisato che non si e'  inteso  qui  proporre  un'assolutamente
 indifferenziata,  per  identiche lesioni, determinazione e liquidazione
 di danni: ed in proposito e' da ricordare la recente giurisprudenza  di
 merito  che  assume  il  predetto  criterio liquidativo dover risultare
 rispondente da un lato ad un'uniformita' pecuniaria di base (lo  stesso
 tipo  di  lesione non puo' essere valutato in maniera del tutto diversa
 da soggetto a soggetto: e', infatti, la  lesione,  in  se'  e  per  se'
 considerata,  che  rileva,  in  quanto  pregna  del disvalore giuridico
 attribuito alla medesima dal divieto primario ex artt. 32 Cost. e  2043
 c.c.)  e  dall'altro  ad  elasticita'  e flessibilita', per adeguare la
 liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza  dell'accertata
 menomazione sulle attivita' della vita quotidiana, attraverso le quali,
 in  concreto,  si  manifesta  l'efficienza  psico - fisica del soggetto
 danneggiato.
     21. - La precedente disamina  conduce  a  ribadire  conclusivamente
 che,  oltre  alla  voce  relativa  al  risarcimento, per se', del danno
 biologico, ove si verifichino, a seguito del fatto lesivo della salute,
 anche danni - conseguenze  di  carattere  patrimoniale  (esempio  lucro
 cessante)  anch'essi vanno risarciti, con altra autonoma voce, ex artt.
 32 Cost. e 2043 c.c. Cosi', ove dal fatto in discussione derivino danni
 morali, subiettivi, i medesimi,  in  presenza,  nel  fatto,  anche  dei
 caratteri del reato, vanno risarciti ex art. 2059 c.c.
     Il  cumulo  tra  le  tre  voci  di danno, pur generando pericoli di
 sperequazioni  (i  soggetti  che  percepiscono   un   attuale   reddito
 lavorativo  hanno  diritto  a  richiedere  una  voce  di danno in piu')
 dovrebbe consigliare cautela nella liquidazione  dei  danni  in  esame,
 onde  evitare  da un canto duplicazioni risarcitorie e dall'altro gravi
 sperequazioni nei casi concreti.
     22. - Tutto quanto innanzi rilevato chiarisce, che, pur partendo da
 diverse interpretazioni dell'art. 2043 c.c.,  la  giurisprudenza  e  la
 dottrina,  nella  assoluta maggioranza, non soltanto ritengono il danno
 biologico compreso e disciplinato dal predetto articolo ma indicano  in
 quest'ultimo  la  disposizione,  di carattere generale, che consente la
 risarcibilita', senza alcuna limitazione, del precitato danno. Non v'e'
 dubbio, pertanto, che i risultati ai  quali  pervengono  le  prevalenti
 giurisprudenza  e dottrina, dalle pur diverse interpretazioni dell'art.
 2043  c.c.,  coincidono;  e  non  v'e' dubbio, pertanto, che esiste, in
 materia, un diritto vivente al quale questa Corte si richiama.
     Le precisazioni qui  offerte  in  ordine  alle  norme,  primaria  e
 secondaria,  che  si  ricavano, nel vigente sistema desunto anche dalle
 disposizioni costituzionali, dal  combinato  disposto  degli  artt.  32
 Cost. e 2043 c.c.  conducono agli stessi risultati.
     Poiche'  le  ordinanze  di  rimessione  chiedono  la  dichiarazione
 d'illegittimita' costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui
 prevede la risarcibilita' del danno non  patrimoniale  derivante  dalla
 lesione  del  diritto  alla  salute  soltanto  in conseguenza di reato;
 poiche' qui si e' preso atto del diritto vivente, per il  quale  l'art.
 2059  c.c.    attiene  esclusivamente  ai danni morali subiettivi e non
 esclude che altre disposizioni prevedano  la  risarcibilita',  in  ogni
 caso,  del  danno  biologico,  per  se'  considerato; poiche' lo stesso
 diritto vivente individua nell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32
 Cost., la disposizione che disciplina la risarcibilita',  per  se',  in
 ogni  caso,  del  danno  biologico;  mentre  va dichiarata infondata la
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  cosi'  come  prospettata,
 dell'art.    2059  c.c.,  va  dato atto che il combinato disposto degli
 artt.  32 Cost. e 2043 c.c., consente la risarcibilita', in ogni  caso,
 del danno biologico.