ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 53, 62 e 102
 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
 sistema  penale),  promossi  con ordinanze emesse l'8 giugno 1983 dal
 magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di
 Trento, il 4 aprile 1984 dal Pretore di Menaggio (n. 7 ordinanze), il
 29 settembre 1984 dal magistrato di sorveglianza
 presso  il  Tribunale  di  Siracusa, il 9 ottobre 1984 dal Pretore di
 Menaggio, il 10 novembre 1984 dal Pretore di
 Pietrasanta  (n.  2  ordinanze), il 13 ottobre 1984 dal magistrato di
 sorveglianza presso il Tribunale di Pavia, il 15 marzo
 1985,  il  4  aprile  1985 (n. 2 ordinanze) e il 18 aprile 1985 (n. 6
 ordinanze) dal magistrato di sorveglianza presso il
 Tribunale  di Siracusa e il 18 novembre 1985 dal Pretore di Menaggio,
 rispettivamente iscritte al n. 881 del registro  ordinanze  1983,  ai
 nn.  965,  966,  967, 968, 969, 970, 971, 1227, 1240, 1382 e 1383 del
 registro ordinanze 1984, ai nn. 236, 275, 342, 343,  413,  414,  415,
 416,  417  e  418 del registro ordinanze 1985 e al n. 16 del registro
 ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn.  67  e  348 dell'anno 1984, nn. 68-bis, 71-bis, 107-bis, 113-bis,
 173-bis, 214-bis, 244-bis e 287- bis dell'anno 1985 e  n.  22,  prima
 serie speciale, dell'anno 1986;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'Udienza pubblica del 7 aprile 1987 il Giudice relatore
 Ettore Gallo;
    Udito  l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  I magistrati di sorveglianza presso i Tribunali di Trento e
 Pavia, nonche' i Pretori di Menaggio e di Pietrasanta hanno sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 62, primo comma,
 della legge 24 novembre 1981, n.  689,  in  riferimento  all'art.  25
 Cost.,  nella  parte  in  cui il detto articolo non precostituisce il
 magistrato di sorveglianza competente a determinare le  modalita'  di
 esecuzione  della liberta' controllata o della semidetenzione, quando
 il condannato non risiede nel territorio della Repubblica italiana.
    La  questione  e'  stata  sollevata dal magistrato di sorveglianza
 presso il Tribunale di Trento con ordinanza 8  giugno  1983  (n.  881
 reg. ord. 1983), da quello presso il Tribunale di Pavia con ordinanza
 13 ottobre 1984 (n. 236 reg. ord. 1985), dal Pretore di Menaggio  con
 nove  ordinanze  emesse  rispettivamente, sette il 4 aprile 1984 (nn.
 965-971 reg. ord. 1984), una il 9 ottobre 1984  (n.  1240  reg.  ord.
 1984)  ed  altra  il  18  novembre  1985  (n. 16 reg. ord. 1986), dal
 Pretore di Pietrasanta con due ordinanze datate 10 novembre 1984 (nn.
 1382  e  1383  reg. ord. 1984). Tali provvedimenti sono stati emanati
 dai magistrati  di  sorveglianza  in  sede  di  determinazione  delle
 modalita'   esecutive   della   semidetenzione   o   della   liberta'
 controllata,  e  dai  Pretori  a  seguito  della   dichiarazione   di
 incompetenza  dei  giudici  di sorveglianza alla determinazione delle
 modalita'  stesse  relative  a  sanzioni  sostitutive  disposte   dai
 pretori.
    Nel  merito  osservano  i  giudici  rimettenti  che  la  normativa
 prevista  dall'art.  62  della  legge  24  novembre  1981,  n.   689,
 identifica il giudice competente, alla determinazione delle modalita'
 di  esecuzione  della  sanzione  sostitutiva,   nel   magistrato   di
 sorveglianza  del  luogo  di  residenza  del  condannato. Stante tale
 esclusiva previsione, verrebbe a profilarsi un contrasto  fra  l'art.
 25  della Costituzione e l'art. 62 della legge n. 689 del 1981, nella
 parte in cui questo non  identifica  il  magistrato  di  sorveglianza
 competente per i procedimenti conseguenti ad una sentenza di condanna
 alla liberta' controllata di persona  non  residente  nel  territorio
 italiano.
    Quand'anche,  infatti,  il  condannato residente all'estero avesse
 eletto domicilio in  Italia,  cio'  non  varrebbe  ad  attribuire  la
 competenza, se non in violazione dell'art. 25 della Costituzione, che
 presuppone la precostituzione nella legge del  giudice  competente  e
 non  sulla  base  di  elezione  di  domicilio  ad  opera dello stesso
 interessato. Ne' sarebbe possibile applicare l'art.  66  della  legge
 citata, che consegue alla violazione delle prescrizioni inerenti alla
 semidetenzione o alla  liberta'  controllata;  nel  caso  di  specie,
 infatti, non vi potrebbe essere violazione di prescrizioni non ancora
 imposte.
    In  questo  modo  l'art.  62  della  legge finirebbe per negare la
 giurisdizione italiana in tutte le ipotesi in cui il sottoposto  alle
 dette  misure  non  risieda  nel territorio dello Stato. Ne' potrebbe
 ritenersi che le sanzioni  sostitutive  delle  pene  detentive  brevi
 siano  applicabili  esclusivamente  ai  residenti  in  Italia,  senza
 incorrere nel contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    D'altra  parte,  se  e'  vero  che l'indicazione del magistrato di
 sorveglianza  competente  in  quello  del  luogo  di  residenza   del
 condannato  risponde  all'esigenza di identificare un organo che, per
 essere presente nel luogo di rilevazione dei fattori  comportamentali
 ed  ambientali,  appare  il  piu' idoneo allo scopo, ne conseguirebbe
 l'inapplicabilita' in via analogica almeno di quelle norme  generali,
 in  tema  di  competenza  per territorio, che dalla rilevata esigenza
 prescindono.
    Parimenti - secondo i primi giudici - non si potrebbe interpretare
 analogicamente il  disposto  dell'art.  635  c.p.p.  (concernente  la
 competenza  del  magistrato  di  sorveglianza  per  l'applicazione di
 misure di sicurezza fuori dell'istruzione  o  del  giudizio)  perche'
 anche  in  quel  caso  si  presuppone  che la persona sottoposta o da
 sottoporre alla misura di sicurezza si  trovi  nel  territorio  dello
 Stato italiano, e perche', soltanto quando sia ignoto il luogo in cui
 la  persona  si  trova,  si  prendono   in   considerazione   criteri
 subordinati.
    Si  osserva,  infine,  che  anche l'art. 4 della legge 27 dicembre
 1956 n. 1423 fa riferimento esclusivo alla  dimora  del  soggetto  ai
 fini  della determinazione della competenza per territorio in materia
 di misure di prevenzione.
   2.  - Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. E' intervenuto il Presidente del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocatura
 generale dello Stato, per chiedere che la  questione  sia  dichiarata
 infondata.
    Secondo  l'Avvocatura,  invero,  la  lacuna contenuta nell'art. 62
 della legge n. 689/1981 potrebbe essere colmata  facendo  ricorso  ai
 principi generali in materia di esecuzione penale. Sulla base di tali
 principi - ed in particolare degli  artt.  577  e  582  c.p.p.  -  la
 competenza  dovrebbe  essere attribuita al magistrato di sorveglianza
 del luogo in cui si trova il giudice che ha pronunziato  la  sentenza
 di condanna, o, in caso di cumulo, l'ultima sentenza di condanna.
    Non  sussiste,  di  conseguenza, il contrasto tra la disciplina in
 questione  ed  il  principio  costituzionale  del  giudice   naturale
 rilevato dai giudici a quibus.
    Il  ricorso  a siffatto sistema di interpretazione, anche se lo si
 volesse   intendere   come   interpretazione    analogica,    sarebbe
 perfettamente  lecito  nel  sistema processuale penale italiano, dove
 non vige la regola propria del diritto penale sostantivo (divieto  di
 analogia in malam partem).
    3.  -  Un  po' diversa, perche' incide piu' a monte, ma uguale nel
 problema di  fondo,  la  questione  sollevata  con  9  ordinanze  dal
 magistrato  di  sorveglianza presso il Tribunale di Siracusa. Questi,
 ritenuta la propria competenza "in virtu' dell'applicazione analogica
 del   secondo   comma   dell'art.  635  c.p.p.",  ha  dubitato  della
 legittimita' costituzionale degli  art.  53  e  102  della  legge  24
 novembre   1981,   n.   689,   nella   parte  in  cui  non  escludono
 l'applicazione  della  sanzione  della   liberta'   controllata   nei
 confronti  di  condannati  irreperibili  o non residenti di fatto nel
 territorio italiano, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Si  tratta di cinque ordinanze emesse una il 29 settembre 1984 (n.
 1227 reg. ord. 1984), una il 15 marzo, due il 4 aprile 1985 (nn.  342
 e  343  1985) e cinque il 18 aprile 1985 (dal n. 414 al 418 reg. ord.
 1985) in sede di determinazione delle modalita' di  esecuzione  della
 liberta' controllata disposta dal pretore nei confronti di condannati
 irreperibili, e presumibilmente non residenti di fatto in Italia.
    Rilevano  in proposito le ordinanze che le modalita' di esecuzione
 della  liberta'  controllata   non   possono   essere   concretamente
 determinate  nei  confronti  di  soggetti  irreperibili,  poiche'  il
 contenuto precettivo di tale sanzione, previsto dall'art. 56 della l.
 24  novembre  1981  n. 689, presuppone l'esistenza di un collegamento
 stabile e certo del condannato con l'ambiente  sociale  in  cui  deve
 reinserirsi e tale collegamento manca nell'ipotesi in cui la sanzione
 della liberta' controllata deve essere eseguita nei confronti  di  un
 soggetto irreperibile.
    La liberta' controllata, infatti, - sostiene il giudice rimettente
 -  si  caratterizza  per  l'assoluta  mancanza  di   una   componente
 custodiale, presente invece nella sanzione della semidetenzione, e si
 articola in una serie di prescrizioni, di "controllo" (art. 56 nn.  2
 e  6  l.  689/1981)  ed  "interdittive"  (art.  50  nn.  1,  3, 4 e 5
 l.689/1981), finalizzate a stimolare un contatto fra il condannato  e
 l'ambiente  sociale  in  cui  deve  reinserirsi.  Molte, pero', delle
 suddette prescrizioni sarebbero prive di senso se riferite a soggetti
 irreperibili.   Infatti,  non  si  vede  come  possa  imporsi  ad  un
 condannato, di cui non si conosce il luogo di effettiva residenza, il
 divieto  di  allontanarsi dal territorio di un Comune che non sarebbe
 neppure  concretamente  individuabile  da  parte  del  magistrato  di
 sorveglianza  competente,  se  non  attraverso scelte arbitrarie, non
 adeguate rispetto alle  finalita'  tipiche  della  sanzione  prevista
 dall'art. 56 l. 689/1981.
    Ne' sarebbe ammissibile che le prescrizioni inerenti alla liberta'
 controllata possano essere comunque determinate con riferimento ad un
 Comune discrezionalmente scelto dal giudice. In tal caso, infatti, il
 magistrato   di   sorveglianza,    anziche'    individualizzare    le
 prescrizioni, adeguandole alle esigenze lavorative e di reinserimento
 sociale  del  condannato,  finirebbe  per  imporre  a   quest'ultimo,
 attraverso   una  scelta  inevitabilmente  arbitraria,  l'obbligo  di
 inserirsi in un contesto sociale assolutamente estraneo.
    Sulla  base  delle  suddette argomentazioni ritengono le ordinanze
 che  l'esecuzione  della  liberta'  controllata  nei   confronti   di
 condannati  irreperibili integri una palese disparita' di trattamento
 di  questi  ultimi  rispetto  alla  generalita'  dei  condannati,  in
 contrasto  con  il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.
 E', infatti, evidente - si sostiene - che, se fosse il  magistrato  a
 scegliere  il  Comune,  il divieto di allontanarsi si risolverebbe in
 una  sorta  di  soggiorno  obbligato,  estraneo  alle  finalita'   di
 reinserimento   sociale   perseguite  attraverso  la  sanzione  della
 liberta' controllata.
    4. - Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e
 pubblicate   nella   Gazzetta   Ufficiale.   Dinanzi    alla    Corte
 Costituzionale   e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocatura  generale  dello
 Stato,  per  chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o
 comunque infondata.
    Si rileva, in primo luogo, che le norme denunciate non sono quelle
 che il giudice rimettente e' chiamato ad applicare. Il  provvedimento
 di  conversione,  assunto  ai sensi degli artt. 53 e 102 della l. 689
 del 1981 e degli  artt.  136  c.p.  e  586  c.p.p.  dalla  competente
 autorita', costituisce non l'oggetto ma il presupposto dell'attivita'
 del magistrato di sorveglianza, che e' chiamato ad applicare  la  ben
 diversa  norma  di  cui  all'art.  62 della legge n. 689 del 1981. La
 questione  prospettata,  percio',  non   riguarda   la   legittimita'
 costituzionale  delle  norme impugnate, salvo che irrazionalmente non
 si  identifichi  incostituzionalita'  di  una  norma  ordinaria   con
 impossibilita'  di applicazione in un caso concreto. Nel qual caso si
 dovrebbe ritenere viziato d'illegittimita' costituzionale l'ordine di
 cattura che restasse ineseguito nei confronti di un irreperibile.
    Ne'   maggior  pregio  avrebbero  le  altre  argomentazioni  delle
 ordinanze. Se e' vero, infatti, che la normativa in parola si propone
 il  reinserimento sociale del condannato nel suo ambiente, si' che, a
 tal fine, viene in rilievo la residenza di fatto nel territorio della
 Repubblica,  e'  anche  vero,  pero', che la norma e' suscettibile di
 ragionevole applicazione anche ai casi limite. Quando  si  verifichi,
 infatti,  il  rientro  in Italia ed il reperimento del condannato, il
 momento  della  concreta  inapplicabilita'  della  norma  viene  meno
 perche' di regola si ristabilisce o si stabilisce quella residenza di
 fatto che  consente  una  corretta  applicazione  delle  prescrizioni
 previste dall'art. 56.
                         Considerato in diritto
    1.  - Tutte le ordinanze sollevano la medesima questione di fondo,
 anche se alcune - come quelle del giudice di sorveglianza di Siracusa
 -  impugnano  norme  diverse  riferendole  ad  altro  parametro.  Gli
 incidenti possono, percio', essere  riuniti  per  essere  decisi  con
 unica sentenza.
    2.   -   In   buona   sostanza,  i  giudici  rimettenti  lamentano
 l'impossibilita' di dare applicazione all'art. 62, primo  co.,  della
 l.   n.  689  del  1981  quando  il  condannato  sia  irreperibile  o
 addirittura non risieda  nel  territorio  della  Repubblica:  e  cio'
 perche' la legge precostituisce il magistrato che deve determinare le
 modalita' di  esecuzione  delle  misure  sostitutive  principali  nel
 giudice  di  sorveglianza  del  luogo  dove  il  condannato ha la sua
 residenza.  Ma  se  questa  non  esiste,  perche'  il  condannato  e'
 irreperibile  o  residente  all'estero,  non  si  puo'  ricorrere  ad
 espedienti  diversi,  nemmeno  se  il  condannato  avesse  eletto  un
 domicilio   dove,  pero',  in  realta'  non  risiede.  Quelle  misure
 sostitutive della pena, infatti, sono legate al reinserimento sociale
 del condannato nel luogo dove e' la sua famiglia e il suo lavoro, non
 in un qualsiasi posto fittizio o  ideale.  Ne'  potrebbe  il  giudice
 dell'esecuzione scegliere di sua iniziativa un Comune qualsiasi a sua
 discrezione, perche' creerebbe cosi' una specie di  domicilio  coatto
 violando  lo  spirito  della  legge,  e sopratutto violando l'art. 25
 Cost. che esige la precostituzione ex lege del giudice.
    Si   chiede,  percio',  che  la  Corte  dichiari  l'illegittimita'
 dell'art. 62 legge citata, nella parte in cui non  precostituisce  il
 magistrato di sorveglianza anche per le ipotesi segnalate.
    Il  giudice  di  sorveglianza  di  Siracusa parte, a sua volta, in
 buona sostanza, dalle stesse premesse, benche' preferisca,  poi,  una
 soluzione  piu'  radicale. Egli ritiene, infatti, che la lacuna possa
 essere colmata intervenendo a monte, e cioe' vietando addirittura  al
 giudice  di  cognizione  di  applicare  la sanzione sostitutiva della
 liberta' controllata ai condannati irreperibili o  non  residenti  di
 fatto  nella  Repubblica, per non creare disparita' di trattamento. E
 percio' impugna gli
 artt. 53 e 102 della legge, con riferimento all'art. 3 Cost.
    3. - Ma nelle tante pagine di motivazione delle ordinanze espresse
 dai giudici rimettenti s'annida un vizio di fondo del ragionamento.
    Non si tiene conto, infatti, che la determinazione delle modalita'
 esecutive delle sanzioni sostitutive in parola non  e'  che  uno  dei
 momenti  della  fase  di  esecuzione  della  sentenza di condanna. Il
 giudice di sorveglianza del luogo dove il condannato ha la residenza,
 pertanto,   non  e'  il  giudice  dell'esecuzione,  ma  soltanto,  un
 magistrato che  interviene  successivamente,  ed  eventualmente,  nel
 corso  dell'esecuzione  stessa,  se  ed  in  quanto  ad esecuzione si
 debbano  portare  le  misure  sostitutive  decise  dal   giudice   di
 cognizione.
    Ma  il  magistrato dell'esecuzione esiste sempre, perche' la legge
 lo indica nel "pubblico ministero presso la Corte o il Tribunale  che
 ha  emesso  il  provvedimento", oppure nel Pretore che "fa eseguire i
 suoi provvedimenti" (art. 577 cod. proc.  pen.).  Difatti  l'art.  62
 impugnato  fa  puntualmente  riferimento  al  pubblico ministero o al
 Pretore "competente per l'esecuzione", avvertendo che saranno  sempre
 questi  a  trasmettere  l'estratto  della  sentenza di condanna, alla
 semidetenzione  o  alla  liberta'  controllata,  al   magistrato   di
 sorveglianza   del   luogo   di   residenza  del  condannato  per  la
 determinazione delle modalita' di esecuzione della pena.
    E'  evidente,  pero',  che  per  trasmettere  l'estratto  al detto
 giudice, il magistrato dell'esecuzione deve prima accertare
 la  residenza  del condannato. Se questi gia' dagli atti del processo
 risulta irreperibile o residente all'estero, richiedera'
 nuove indagini all'Autorita' di pubblica sicurezza: quella stessa che
 dovrebbe eseguire l'ordine di carcerazione se si  trattasse  di  pena
 detentiva,  e  che comunque dovrebbe ricercare il condannato per dare
 inizio alla semidetenzione: vale  a  dire,  l'Autorita'  di  pubblica
 sicurezza del luogo dove ha sede il magistrato dell'esecuzione.
    Se,   invece,   l'irreperibilita'   o   la   residenza  all'estero
 risultassero  soltanto  nella   fase   esecutiva,   il   giudice   di
 sorveglianza   del  luogo  di  residenza  del  condannato,  accertata
 l'irreperibilita',   restituira'   l'estratto   della   sentenza   al
 magistrato  dell'esecuzione, segnalando la nuova situazione: e questi
 disporra' le indagini del caso.
    Ma,  nell'una come nell'altra ipotesi, non sorge alcun problema di
 identificazione del giudice di sorveglianza, perche'  fino  a  quando
 non  si  ritrova  il  condannato  su cui le misure sostitutive devono
 essere in concreto eseguite, e' ovvio che non possono e  non  debbono
 essere  determinate  le  loro modalita' di esecuzione. E cio' proprio
 per le  ragioni  indicate  dai  giudici  rimettenti,  i  quali  hanno
 correttamente  posto  in  luce  lo stretto collegamento esistente fra
 quelle misure e  l'ambiente  sociale  in  cui  abitualmente  vive  il
 condannato.
    Quando  poi  il  condannato  fosse  ritrovato sul territorio della
 Repubblica o rientrasse in Italia dall'estero, sara'  egli  stesso  a
 fissare  la  sua  effettiva  residenza: col che automaticamente sara'
 identificato il giudice di sorveglianza competente a  determinare  le
 modalita' esecutive delle misure.
    Fino  a  quel  momento, ci sara' soltanto una sentenza di condanna
 non ancora concretamente eseguibile, come in tutti i casi in  cui  il
 condannato   e'   introvabile:   ma   c'e'   sempre   il   magistrato
 dell'esecuzione che la tiene  in  evidenza,  almeno  fino  ai  limiti
 temporali  della  prescrizione,  pronto ad eseguirla non appena se ne
 verifichino le condizioni favorevoli, nei modi previsti dall'art.  62
 della legge.
    Quanto,  infine,  alla  questione  sollevata  dalle  ordinanze del
 giudice di Siracusa, esse pure trovano risposta nel quanto fin qui si
 e'  detto.  Non  sarebbe,  infatti,  conforme  ai principi vietare al
 giudice  di  cognizione  di  applicare  la  legge  in  tutta  la  sua
 estensione,  solo perche' l'imputato risulta irreperibile: cosi' come
 non gli si fa divieto  di  concedere,  nelle  stesse  condizioni,  il
 minimo della pena o circostanze attenuanti o benefici di legge magari
 subordinati  a  talune  condizioni.  Il  problema,   infatti,   delle
 modalita'  esecutive  riguarda  altra  fase  del giudizio, e non deve
 limitare  i  poteri  ed  il  libero  convincimento  del  giudice   di
 cognizione:  sara'  questi, infatti, eventualmente a decidere, in sua
 discrezione,  se  ritenga  che  quella  certa  irreperibilita'  renda
 immeritevole  il  giudicando di sanzioni sostitutive della pena. Ne',
 d'altra parte, la proposta del giudice di Siracusa  risolverebbe  del
 tutto il problema, dato che l'irreperibilita' puo' anche manifestarsi
 soltanto nella fase esecutiva.
    Detto  questo, pero', e' pure evidente che - come bene ha rilevato
 l'Avvocatura - il giudice di sorveglianza di Siracusa non aveva alcun
 potere  di impugnare gli artt. 53 e 102 della legge che restano fuori
 della sua competenza,  in  quanto  riguardano  appunto  l'ambito  del
 giudizio  di  cognizione.  Egli,  in realta', doveva applicare, cosi'
 come gli altri rimettenti, soltanto l'art. 62 della legge: e  percio'
 ogni  ragionamento  sugli  artt.  53  e  102 era, per la specie a lui
 sottoposta, irrilevante.