ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo unico della
 legge 25 marzo 1982, n. 98 (Conversione in legge, con  modificazioni,
 del  decreto-legge  25 gennaio 1982, n. 16, recante misure urgenti in
 materia di prestazioni integrative  erogate  dal  Servizio  sanitario
 nazionale)  e dell'art. 13 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure
 urgenti in materia previdenziale e sanitaria e  per  il  contenimento
 della  spesa  pubblica,  disposizioni per vari settori della pubblica
 amministrazione  e  proroga  di  taluni  termini),   convertito   con
 modificazioni  in  legge  11  novembre  1983,  n. 638 (Conversione in
 legge, con modificazioni, del decreto-legge  12  settembre  1983,  n.
 463,  recante  misure  urgenti in materia previdenziale e sanitaria e
 per il contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per  vari
 settori  della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini),
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 17 maggio 1983 dal Pretore di Milano nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Brambilla Enrico ed altri  e
 la s.p.a. Cassa Generale di Assicurazioni ed altre, iscritta al n. 45
 del registro ordinanze 1984 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 162 dell'anno 1984;
      2)  ordinanza  emessa il 19 dicembre 1984 dal Tribunale di Parma
 nel procedimento civile vertente tra la Banca Commerciale Italiana  e
 Porcari  Roberto,  iscritta  al  n.  78 del registro ordinanze 1985 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  137-  bis
 dell'anno 1985;
      3) ordinanza emessa il 21 giugno 1985 dal Pretore di Sondrio nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Rossi Fernanda e  la  s.p.a.
 Manifattura  di  Berbenno,  iscritta al n. 571 del registro ordinanze
 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,
 prima serie speciale, dell'anno 1986;
      4) ordinanza emessa il 2 aprile 1986 dal Tribunale di Modena nel
 procedimento civile vertente tra  la  Banca  Popolare  dell'Emilia  e
 Bergonzini Emilio ed altri, iscritta al n. 551 del registro ordinanze
 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  50,
 prima serie speciale, dell'anno 1986;
      5)  ordinanza  emessa  il 3 febbraio 1987 dal Pretore di Brescia
 nel procedimento civile vertente tra  Negretti  Roberto  e  la  Banca
 Nazionale  del Lavoro, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 1987
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  19,  prima
 serie speciale, dell'anno 1987;
    Visti gli atti di costituzione di Brambilla Enrico ed altri, della
 Banca Commerciale Italiana, di Porcari Roberto, della Banca  Popolare
 dell'Emilia, di Bergonzini Emilio e della Banca Nazionale del Lavoro,
 nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  settembre  1987 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli  avv.ti  Luciano  Ventura per Porcari Roberto, Leopoldo
 Parigini per Bergonzini Emilio e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                            Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  17 maggio 1983 (r.o. 45/84), il
 Pretore di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt.  32,  primo
 comma,  e  36,  terzo  comma,  Cost.,  una  questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1  del  d.l.  25  gennaio  1982,  n.   16,
 convertito,  con  modificazioni, nella legge 25 marzo 1982, n. 98, in
 quanto prevede che "per le cure  idrotermali  non  e'  consentita  la
 concessione di congedi straordinari".
    Premesso  che  nella specie era contestata da alcuni dipendenti di
 compagnie di assicurazione l'imputazione in conto  ferie  di  assenze
 dal  lavoro  per cure idropiniche, il giudice a quo nega innanzitutto
 rilievo alle successive modifiche di  detta  disposizione  -  vigente
 all'epoca dei fatti - e precisa che il testo normativo non ne esclude
 l'applicabilita' al rapporto di lavoro privato e si riferisce ad ogni
 ipotesi  di  cura  idrotermale, e non solo a quelle indifferibili, da
 effettuarsi nell'immediatezza della malattia. Ratio della norma  tesa
 a  disincentivare  cure  termali  non  necessarie - sarebbe quella di
 consentirne la fruizione solo nel periodo feriale, cioe' al di  fuori
 del  normale svolgimento del rapporto di lavoro: sicche', - argomenta
 il Pretore - se il lavoratore sacrifica  il  suo  diritto  alle  cure
 idropiniche  -  cioe'  alla  salute  -  per conservare intatto il suo
 "monte ferie", ne risulta violato  l'art.  32  Cost.;  se  invece  si
 sottopone alle cure, vedra' limitato l'irrinunziabile diritto a ferie
 annuali retribuite garantito dall'art. 36  Cost.  Ne'  cio'  potrebbe
 giustificarsi  in  vista  degli  obiettivi perseguiti dal legislatore
 (contenimento della spesa pubblica, recupero di produttivita' e freno
 al  frequente  abuso di cure non necessarie), dovendo i rimedi essere
 ricercati in un maggiore rigore nelle  concessioni  e  nei  controlli
 anziche' nel sacrificio delle esigenze terapeutiche dei lavoratori.
    I ricorrenti nel giudizio a quo, costituitisi a mezzo dell'avv. F.
 Canera, hanno svolto considerazioni analoghe.
    Il Presidente del Consiglio dei Ministri non e' intervenuto.
    2. - Con ordinanze emesse rispettivamente in data 19 dicembre 1984
 (r.o. 78/85), 21 giugno 1985 (r.o. 571/85),
 2  aprile  1986  (r.o.  551/86)  e  3  febbraio 1987 (r.o. 139/87) il
 Tribunale di Parma, il Pretore di Sondrio, il Tribunale di Modena  ed
 il  Pretore  di  Brescia  hanno  sollevato  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 13 del  d.l.  12  settembre  1983,  n.  463,
 convertito,  con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638,
 assumendone, tutti, il contrasto con gli artt. 32, primo comma e  38,
 secondo  comma,  Cost.,  ed  inoltre,  il terzo, con l'art. 36, primo
 comma e gli altri con l'art. 3 Cost.
    La  disposizione  di  cui  al  predetto  art.  13  prevede,  per i
 lavoratori  pubblici  e  privati,  la  concessione   di   prestazioni
 idrotermali  fuori  dai congedi e dalle ferie annuali, esclusivamente
 per effettive esigenze  terapeutiche  o  riabilitative,  su  motivata
 prescrizione di un medico specialista della unita' sanitaria locale o
 dell'INPS (comma terzo), per un tempo non superiore a giorni quindici
 l'anno  e  con  intervallo  di giorni quindici rispetto ai periodi di
 ferie ed ai congedi  ordinari  (commi  quarto  e  quinto).  Essa  non
 prevede, pero', che il lavoratore abbia diritto alla retribuzione.
    I    giudici    a    quibus    muovono   tutti   dal   presupposto
 dell'inapplicabilita' nella specie della disposizione di cui all'art.
 2110  c.c.,  tanto  in  via  diretta  -  in  quanto  la cura termale,
 diversamente dalla malattia, non presuppone inabilita'  al  lavoro  -
 quanto  in  via  analogica,  trattandosi di norma eccezionale che, in
 deroga  al  principio   sinallagmatico,   consente   il   trattamento
 retributivo anche in mancanza di prestazioni lavorative.
    Cio' premesso, il contrasto con l'art. 3 Cost. viene ravvisato dal
 Tribunale di Parma e dai Pretori di Sondrio  e  Brescia  nel  diverso
 trattamento riservato al lavoratore che abbisogni di cure termali per
 esigenze terapeutiche o riabilitative rispetto al lavoratore  malato,
 nell'assunto  -  esplicitato  dal  terzo di tali giudici - che le due
 situazioni siano assai simili.
    Quanto al dedotto contrasto con gli artt. 32 e 38 Cost., i giudici
 ora citati adottano motivazioni generiche. Il  Tribunale  di  Modena,
 dal  canto  suo,  assume  che  dalla  seconda  di  tali  disposizioni
 scaturisce il diritto ad una retribuzione comunque sufficiente  anche
 con  riferimento  a  quelle situazioni che interrompono il sinallagma
 lavorativo e che alle  situazioni  in  essa  elencate  (in  modo  non
 tassativo) e' assimilabile quella in questione: cio' perche', essendo
 ricollegate  dalla  legge  a  certificate  esigenze  terapeutiche   o
 riabilitative,  le cure termali si pongono in necessario collegamento
 con uno stato patologico.
    Ora   -   osserva  il  Tribunale  (con  cio'  motivando  anche  in
 riferimento all'art. 36 Cost.) - "e' evidente  che  il  diritto  alla
 salute  non  risulta efficacemente tutelato se il lavoratore si trova
 nell'obbligata  alternativa  di  far  fronte  alle  proprie  esigenze
 curative senza percepire alcun emolumento o indennita', facendo venir
 meno in parte l'assicurazione per se' e per la  propria  famiglia  di
 una  esistenza  libera  e  dignitosa,  ovvero  di non sottoporsi alle
 necessarie cure per poter continuare  a  prestare  la  propria  opera
 percependo  la  relativa  retribuzione,  ovvero ancora di sacrificare
 parte delle ferie - altro diritto costituzionalmente garantito -  ove
 non possa ne' rinunciare alle cure ne' perdere la retribuzione".
    Il  Pretore  di Sondrio prospetta, infine, un ulteriore profilo di
 disparita' di trattamento scaturente  dalla  disposizione  impugnata,
 osservando  che  essa, in quanto ispirata ad esigenze di contenimento
 della spesa pubblica, avrebbe  dovuto  escludere  la  retribuibilita'
 delle  assenze  per  cure  termali  anche  nel  settore  del pubblico
 impiego, nel quale essa e' consentita - e di fatto ottenuta  mediante
 l'istituto  del  congedo straordinario "per gravi motivi" di cui agli
 artt. 37 e 40 d.P.R. 10  gennaio  1957,  n.  3.  Il  Pretore  ammette
 peraltro  esplicitamente  la  non  rilevanza  di tale questione nella
 causa principale, avente ad oggetto la pretesa  di  retribuzione  del
 periodo  di  assenza  per  cure  termali avanzata da un dipendente di
 un'azienda privata (Manifattura di Berbenno). Nei giudizi  principali
 di  cui  alle altre tre ordinanze, analoga pretesa era stata avanzata
 nei confronti di aziende di credito.
    3.  - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta con memorie di analogo
 tenore nei quattro predetti  giudizi,  nega  tanto  l'equiparabilita'
 della  situazione in esame a quella della malattia - nella quale sola
 sussiste l'incapacita' di prestare l'attivita' lavorativa - quanto la
 violazione degli artt. 32 e 38 Cost., posto che spetta al legislatore
 stabilire in quali casi si abbia  diritto  a  cure  gratuite,  e  che
 l'assistenza  sanitaria e la retribuzione sono garantiti solo in caso
 di infortunio e malattia.
    La  questione  sarebbe,  inoltre, infondata in quanto, in punto di
 retribuzione, la disposizione impugnata non ha innovato rispetto alle
 precedenti  normative sull'accesso alle cure termali (d.l. n. 16/1982
 conv. in l. n. 98/1982);  ed  anzi  essa  sarebbe  piu'  propriamente
 inammissibile,  in  quanto,  non  avendo  la norma regolato il punto,
 questo avrebbe dovuto - alla stregua degli artt. 2110 c.c. e 98 disp.
 att.  c.c.  -  essere  deciso alla stregua delle leggi speciali per i
 singoli rapporti ovvero dei contratti collettivi.
    4.  -  Nei  giudizi  instaurati  con le ordinanze dei Tribunali di
 Parma e Modena si sono costituite, con memorie di tenore analogo,  le
 parti  private  Porcari  Roberto e Bergonzini Emilio, rispettivamente
 rappresentati dagli avv.ti L. Ventura e L. Petronio (la prima)  e  L.
 Parigini e G.V. Provenzani (la seconda).
    Le  parti  private  chiedono  che  la  Corte  adotti una decisione
 interpretativa di rigetto, assumendo che la norma  impugnata  non  ha
 provveduto  in  tema  di retribuzione in quanto la situazione in essa
 considerata rientra tra quelle di "malattia" regolate dall'art.  2110
 c.c.  La  limitazione  ai  casi  di "effettive esigenze terapeutiche"
 comporta, invero, che si abbia riguardo solo a situazioni in  cui  la
 tutela della salute del lavoratore richiede che egli si sottoponga ad
 un trattamento sanitario; ed il nesso eziologico tra lo stato morboso
 e l'astensione dal lavoro richiesto dall'art. 2110 c.c. sussisterebbe
 "pur quando la capacita' lavorativa permanga, ma la  prestazione  non
 sia possibile in relazione alla natura ed alle modalita' della cura".
 L'assoggettamento  alla  regolamentazione  propria   della   malattia
 sarebbe  poi confermato dall'avere il legislatore riferito le assenze
 per cure termali ai medesimi titoli giuridici concernenti le  assenze
 per  malattia  "congedi  straordinari",  "aspettative per infermita'"
 ovvero "permessi per malattia comunque denominati".
    A   conforto   della  suesposta  tesi  le  predette  parti,  hanno
 richiamato, in memorie aggiunte, alcune recenti sentenze della  Corte
 di  Cassazione  (sez.  lav.,  nn.  7875  del 1986, 49, 4279, 5921 del
 1987); ed hanno sostenuto  che  non  sarebbe  condivisibile  la  tesi
 sostenuta  in  sede  parlamentare  secondo cui, mentre per i pubblici
 dipendenti la retribuzione spetterebbe gia' in base alla  legge,  per
 quelli  privati  vi  sarebbe una "riserva contrattuale", spettando ai
 contratti collettivi stabilire se e  in  che  misura  i  permessi  in
 questione  debbano  essere  retribuiti.  Il  rinvio  a tali contratti
 potrebbe invero riferirsi solo al rinvio alle "norme corporative"  di
 cui  all'art.  2110,  primo  comma, c.c., che pero' opera solo per la
 misura e durata nel tempo della retribuzione (o indennita') e non per
 la spettanza o meno di questo.
    D'altra  parte,  il  concetto  di  malattia  non  potrebbe  essere
 ristretto ai casi di impossibilita'  assoluta  di  lavorare,  dovendo
 esso,   alla   stregua  dell'art.  32  Cost.,  essere  definito  come
 instabilita' della salute in senso lato, tale da rendere  la  persona
 abbisognevole  di  cure  ed attenzioni (cfr. Cass. 1› agosto 1986, n.
 4957). Inoltre, l'indennita' di malattia dovrebbe  essere  attribuita
 non  tanto per la sussistenza di un'incapacita' lavorativa, quanto in
 ragione di una astensione dal lavoro che trovi  ragione,  diretta  od
 indiretta,  nella  malattia  del lavoratore e quindi anche solo nella
 necessita' di fruire delle opportune cure. (cfr.C. cost. n. 67/75).
    Se   non   si  accogliesse  la  prospettata  tesi  interpretativa,
 l'incostituzionalita' della norma sarebbe - ad avviso della difesa  -
 evidente,  giusta  quanto  sottolineato  dalla  citata giurisprudenza
 della Cassazione (sent.  7875/86)  ed  attesa  anche  l'inammissibile
 disparita'  di  trattamento  tra  dipendenti  pubblici  e privati che
 conseguirebbe al diniego della retribuibilita' per questi ultimi.
    5.  -  Non possono essere prese in considerazione, essendo mancata
 una costituzione tempestiva,  le  memorie  presentate  nell'imminenza
 dell'udienza  dalla  Banca Nazionale del Lavoro, dalla Banca Popolare
 dell'Emilia e dalla Banca Commerciale  Italiana,  parti  private  nei
 giudizi  principali instaurati, rispettivamente, presso il Pretore di
 Brescia e presso i Tribunali di Modena e Parma.
                         Considerato in diritto
    1.  - Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con le
 cinque ordinanze indicate in epigrafe investono la  disciplina  delle
 cure idrotermali, quale dettata prima dall'articolo unico della legge
 25 marzo 1982 n. 98 (di conversione del d.l. 25 gennaio 1982, n.  16)
 e  poi dall'art. 13 della l. 11 novembre 1983, n. 638 (di conversione
 del d.l. 12 settembre 1983 n. 463):  per  l'identita'  della  materia
 considerata  da  tutti i giudici remittenti appare opportuna un'unica
 decisione.
    2.-  Giova  premettere che il regime normativo della materia delle
 cure  idrotermali   anteriore   all'emanazione   delle   disposizioni
 impugnate   era   contrassegnato,   innanzitutto,   dall'obbligo   di
 erogazione - stabilito dall'art. 36 della legge
 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale
 -  da  parte  delle  Unita'  sanitarie  locali,   delle   prestazioni
 idrotermali,  peraltro  limitate  al solo aspetto terapeutico, con la
 previsione della promozione con legge da parte  delle  regioni  della
 integrazione  e  qualificazione  sanitaria degli stabilimenti termali
 pubblici, in particolare nel settore  della  riabilitazione.  A  tali
 erogazioni - prima della legge di riforma sanitaria - provvedeva, per
 i lavoratori subordinati del settore privato, l'INAM, che, sin  dalla
 legge  istitutiva  dell'Ente,  considerava le cure balneoterapiche ed
 idropiniche  come  prestazioni   integrative   ordinarie   e   quindi
 obbligatorie;  altri  Enti assicurativi prevedevano analoghe forme di
 tutela a favore dei dipendenti del settore pubblico, e in entrambe le
 situazioni  le  cure  venivano  erogate  sia  in  forma  diretta  che
 indiretta, con il concorso dell'Istituto alle spese alberghiere.
    L'INPS,  a  sua  volta,  prevedeva le prestazioni idrotermali come
 misura  sanitaria  idonea  a  prevenire,  attenuare  o  eliminare  le
 invalidita',  e  a  tale  fine  si  era dotata di propri stabilimenti
 termali a favore dei propri assicurati, nell'ambito dei quali cura  e
 soggiorno  erano  gratuiti.  Infine  le  cure potevano essere erogate
 dall'INAIL a favore di dipendenti infortunati sul lavoro.
    Nel pubblico impiego i dipendenti potevano avvalersi dell'istituto
 del congedo straordinario previsto dagli artt. 37 e 40 dello  Statuto
 degli  impiegati  civili  dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3),
 concesso per "gravi motivi" comprendenti - secondo prassi consolidata
 -   anche  le  malattie  richiedenti  cure  idrotermali  previste  da
 sanitari.
    Nel settore privato, a partire dalla seconda meta' degli anni '70,
 i permessi per cure  termali  venivano  previsti  e  disciplinati  in
 numerosi  contratti  collettivi, con soluzioni diverse in ordine alla
 equiparazione dell'assenza per cure alla malattia, alle  modalita'  e
 provenienza  della certificazione, alle ragioni della richiesta, alle
 possibilita' o meno di richieste plurime nel corso di un anno.
    Questa  situazione  normativa, caratterizzata in generale - pur se
 con non poche eccezioni nel settore privato - dalla  possibilita'  di
 usufruire  di permessi retribuiti per le cure idrotermali prescritte,
 ed erogate dai vari enti competenti,  fuori  dai  periodi  feriali  e
 spesso senza limitazioni temporali, viene radicalmente modificata con
 l'art. 1, primo comma, lett. a), ultimo alinea, del d.l.  25  gennaio
 1982,  n.  16, disposizione per cui - nel testo sostituito con l'art.
 unico della legge di conversione 25 marzo 1982, n. 98 - "Per le  cure
 idrotermali,   elioterapiche   e  climatiche  non  e'  consentita  la
 concessione di congedi straordinari".  Per  effetto  di  tale  norma,
 applicabile,  secondo  la  prevalente interpretazione, sia al settore
 pubblico che a quello privato, decadono le normative contrattuali che
 prevedevano detti congedi e permessi.
    Tale  disciplina  viene pero' a sua volta modificata, a brevissima
 distanza di tempo, con la legge 7 agosto 1982, n. 526  (Provvedimenti
 urgenti per lo sviluppo dell'economia) che, sostituendo integralmente
 la sopracitata disposizione, stabilisce all'art. 4 che "l'aspettativa
 per  malattia  che  richiede  cure  idrotermali  da fruirsi fuori dai
 congedi ordinari, puo' essere concessa solo se la malattia sia  stata
 accertata  e  la  relativa  terapia  autorizzata da medici dipendenti
 dalla unita' sanitaria locale, da questa indicati tra gli specialisti
 della  patologia in questione, che certifichino la impossibilita' del
 rinvio delle cure". Ma, subito dopo, il ripristino - nei limiti cosi'
 descritti  -  della  concedibilita'  di "aspettativa per malattia che
 richiede cure idrotermali da  fruirsi  fuori  dei  congedi  ordinari"
 viene  piu'  ampiamente  regolato  e  definito  da altre disposizioni
 succedutesi nel corso del 1983. Dopo i dd.ll. nn. 2, 59,  176  e  317
 del 1983, tutti decaduti, viene emanato il d.l. 12 settembre 1983, n.
 463, l'art. 13  del  quale  consente  la  concessione  ai  lavoratori
 dipendenti  pubblici  e privati di prestazioni idrotermali, fuori dei
 congedi ordinari e delle ferie annuali, ma per non piu'  di  quindici
 giorni all'anno, con intervallo di almeno quindici giorni dal periodo
 feriale, ed "esclusivamente per  effettive  esigenze  terapeutiche  o
 riabilitative  connesse  a  stati  patologici  in  atto,  su motivata
 prescrizione di un medico specialista dell'unita'  sanitaria  locale"
 ovvero  dell'INPS  e dell'INAIL per i lavoratori avviati alle cure da
 detti istituti.
    In sede di conversione del predetto d.l., avvenuta con la legge 11
 novembre 1983, n. 638, viene soppresso il requisito della connessione
 delle  esigenze terapeutiche o riabilitative con "stati patologici in
 atto".
   3.- Il soprarichiamato art. 1, lett. a), ultimo alinea, del d.l. 25
 gennaio 1982, n. 16, nel testo sostituito con l'articolo unico  della
 legge  25  marzo 1982, n. 98, e' impugnato dal Pretore di Milano - in
 una fattispecie verificatasi nel periodo di vigenza di tale alinea in
 quanto  stabilisce  il divieto di concessione di congedi straordinari
 per cure idrotermali e ne consente percio' la fruizione solo  durante
 le ferie annuali. Ad avviso del giudice a quo, cio' contrasta con gli
 artt. 32, primo comma e 36, terzo comma,  Cost.  in  quanto  pone  il
 lavoratore   nell'alternativa   o   di  omettere  le  cure  con  cio'
 sacrificandone il diritto alla salute - ovvero di rinunciare in parte
 alle  ferie,  con  cio' ledendo il diritto garantito dalla seconda di
 tali disposizioni.
    La questione e' fondata.
    Al  riguardo,  va  preliminarmente  chiarito, quanto all'efficacia
 terapeutica  delle  cure  idrotermali,   che   la   crenoterapia   e'
 generalmente  ritenuta  strumento efficace di intervento - pur se nel
 quadro di un piu' ampio piano di cure e  con  funzione  complementare
 rispetto  ad  altri  mezzi  terapeutici  - su una serie di situazioni
 morbose,  con  funzione   preventiva,   di   cura   specialistica   e
 riabilitativa.   Essa   non  e'  in  genere  indicata  -  quando  non
 controindicata - nelle affezioni acute, ma puo' positivamente operare
 rispetto  a  numerose  affezioni a carattere cronico o recidivante, o
 nella  fase  di  remissione  del  processo  morboso,  per  agevolarne
 l'andamento  e consolidarne gli esiti, o a fini di rallentamento o di
 arresto  di  un  processo  morboso,  o  per  impedire   complicazioni
 aggravanti  o ricadute, o piu' in generale - in via riabilitativa per
 il pieno o parziale ripristino della  funzionalita'  di  organi  lesi
 dalla malattia.
    E'  appena  il  caso di ricordare, inoltre, che il periodo feriale
 viene in  generale  predeterminato  dal  datore  di  lavoro  o  dalla
 contrattazione sindacale in modo da essere goduto continuativamente e
 collettivamente dalla piu' parte dei dipendenti delle singole aziende
 o uffici in un certo arco di tempo: e che in ogni caso, il lavoratore
 non puo' assentarsi unilateralmente, a titolo di ferie, in periodo da
 lui scelto, ove questo non coincida con le esigenze dell'azienda.
    Ora,  l'obbligo,  scaturente  dalla  norma impugnata, di usufruire
 delle prestazioni idrotermali durante il periodo feriale - cioe' o in
 un  periodo  predeterminato  da  accordi  aziendali o dalla decisione
 dell'imprenditore sulla base dell'interesse dell'azienda  -  puo'  in
 concreto   confliggere   con   le   esigenze  terapeutiche  cui  sono
 finalizzate le cure idrotermali. La prescrizione di queste - come  si
 precisera'  piu'  diffusamente  in  appresso  -  puo' ben comportare,
 invero, l'esigenza  che  esse  siano  effettuate  con  la  necessaria
 tempestivita',  in  mancanza della quale i suindicati obiettivi della
 cura potrebbero risultare  frustrati  o  non  essere  conseguiti  col
 medesimo grado di efficacia.
    Tanto  basta  a ritenere violato l'art. 32 Cost., essendo evidente
 che l'impedimento alla fruizione delle cure nei tempi richiesti dalle
 esigenze  terapeutiche  si traduce in violazione del diritto primario
 alla salute. Di cio' il legislatore si e' del resto reso  ben  conto,
 avendo  in  breve  tempo  provveduto  a  ripristinare  - pur se con i
 considerevoli limiti suaccennati - la fruibilita' di cure termali  al
 di fuori del periodo feriale.
    La  preclusione alla disciplina in questione discendente dall'art.
 32 Cost. non puo', d'altra parte, essere aggirata - come avvenne  nel
 caso  oggetto  del  giudizio  a quo - concedendo il permesso per cure
 idrotermali nel momento in cui si renda necessario e poi computandolo
 "in  conto  ferie".  In  tal  caso,  infatti, risulterebbe violato il
 diritto irrinunciabile ad un  periodo  annuale  di  ferie  retribuite
 (art.  36,  terzo  comma,  Cost.),  che comporta per il lavoratore la
 facolta' di scelta del modo piu' adeguato per ritemprare  le  energie
 psico-fisiche  e  non  puo'  percio'  essere  fatto  coincidere,  per
 imposizione di legge,  con  le  cure  termali,  che  hanno  finalita'
 diverse.
    Qualunque  sia, percio', il modo in cui venga intesa ed applicata,
 la norma impugnata confligge o con l'uno o con l'altro dei  parametri
 costituzionali   invocati:   di   conseguenza,   essa  va  dichiarata
 costituzionalmente illegittima.
    4.  -  I  Tribunali  di  Parma  e Modena ed i Pretori di Sondrio e
 Brescia dubitano, a loro  volta,  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  13,  comma  terzo,  del  d.l.  12  settembre  1983, n. 463
 convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n.  638.
 Le  censure,  variamente  articolate nelle singole ordinanze - giusta
 quanto specificato in narrativa - assumono a parametro gli  artt.  3,
 32, primo comma, 36, primo comma e 38, secondo comma Cost.
    Come gia' piu' sopra precisato, la disposizione di cui al predetto
 art. 13 prevede, per i lavoratori pubblici e privati, la  concessione
 di  prestazioni  idrotermali fuori dai congedi e dalle ferie annuali,
 esclusivamente per effettive esigenze terapeutiche  o  riabilitative,
 su  motivata  prescrizione  di  un  medico  specialista  della unita'
 sanitaria  locale  o  dell'INPS  (comma  terzo),  per  un  tempo  non
 superiore  a  quindici  giorni  l'anno  e  con intervallo di quindici
 giorni rispetto ai periodi di ferie ed  ai  congedi  ordinari  (commi
 quarto e quinto).
    La  norma  non  prevede  espressamente  che per il periodo di cura
 cosi' concesso il lavoratore abbia diritto alla  retribuzione;  ed  i
 giudici  a  quibus  assumono che esso non spetti, e ravvisano in cio'
 sia un'ingiustificata disparita' di trattamento tra lavoratore malato
 -  cui  il  diritto  alla  retribuzione  spetta ex art. 2110 c.c. - e
 lavoratore che abbisogni di cure termali per esigenze terapeutiche  o
 riabilitative  (art.  3  Cost.),  sia  una  lesione  dei diritti alla
 salute,  ad  una  retribuzione  sufficiente  ed  idonea  a  garantire
 un'esistenza libera e dignitosa (artt. 32, 36 e 38 Cost.), atteso che
 mancando la retribuzione per le assenze  in  discorso  il  lavoratore
 verrebbe  posto  nell'obbligata alternativa di rinunciare o alle cure
 necessarie, o alla retribuzione ovvero alle ferie.
    Nell'escludere,   in   via   interpretativa,   il   diritto   alla
 retribuzione per  le  assenze  in  questione,  i  giudici  rimettenti
 muovono  dal  presupposto  dell'inapplicabilita'  nella  specie della
 disposizione di cui all'art. 2110 c.c., tanto in  via  diretta  -  in
 quanto  la  cura termale, diversamente dalla malattia, non presuppone
 inabilita' al lavoro - quanto in via analogica, trattandosi di  norma
 eccezionale  che,  in deroga al principio sinallagmatico, consente il
 trattamento retributivo anche in mancanza di prestazioni  lavorative.
    Tale  assunto  interpretativo  contrasta  pero' con l'orientamento
 prevalente della Corte di Cassazione, sezione lavoro:  la  quale,  in
 numerose recenti pronunzie, ha viceversa ritenuto che nel concetto di
 malattia, tutelabile ex art. 2110 c.c., rientri  l'affezione  per  la
 quale   sia  accertata  l'esigenza  effettiva  di  cure  idrotermali,
 contemplata dall'art. 13 della l. n. 638 del 1983.
    Poiche'   non   mancano  pronunzie  in  senso  difforme,  si  pone
 l'esigenza di verificare se l'interpretazione presupposta dai giudici
 a  quibus  sia  corretta,  ed in particolare se le censure da costoro
 prospettate non  traggano  origine  da  un'inadeguata  considerazione
 dell'incidenza  dei  disposti  costituzionali  invocati  in  sede  di
 interpretazione delle suddette norme di legge ordinaria.
    5.  -  Deve  essere  disattesa, in via preliminare, l'eccezione di
 inammissibilita' prospettata  dall'Avvocatura  dello  Stato,  fondata
 sulla  tesi secondo cui il quesito sulla retribuibilita' dei permessi
 per cure  termali  andrebbe  risolto  alla  stregua  di  disposizioni
 contenute in leggi speciali o nella contrattazione collettiva.
    Tale    assunto,   invero,   poggia   sull'implicito   presupposto
 dell'inapplicabilita' nella  specie  dell'art.  2110  c.c.,  che  e',
 viceversa, proprio il punto da sottoporre a verifica.
    L'opinione  dalla  quale  muovono  i  giudici  a  quibus e' che il
 concetto di malattia nell'ambito del rapporto di lavoro sia non  solo
 diverso,  e  piu'  ristretto,  da  quello biologico, ma che esso vada
 limitato alle sole affezioni  che  di  per  se',  ed  immediatamente,
 determinano   un'incapacita'   alla   prestazione   lavorativa,   con
 esclusione, quindi, di quelle a decorso cronico  o  recidivante,  qui
 considerate,   nelle   quali   la   temporanea  impossibilita'  della
 prestazione lavorativa  non  discende  direttamente  dalla  malattia,
 bensi' dall'esigenza, clinicamente accertata, di sottoporsi alle cure
 all'uopo necessarie.
    Alla  base  di  tale  assunto  sta  la  concezione  secondo cui il
 principio di corrispettivita' opererebbe, nell'ambito del rapporto di
 lavoro,  nel senso di esigere una puntuale corrispondenza tra singole
 prestazioni lavorative e retribuzione, sicche' la  corresponsione  di
 questa  in  assenza delle prime potrebbe giustificarsi solo in virtu'
 di norme eccezionali - e come tali di stretta interpretazione - quale
 appunto l'art. 2110 c.c.
    Corollario  di  questa  impostazione  e'  che  la retribuzione non
 sarebbe dovuta per i periodi di assenza per cure  termali,  ancorche'
 rese  necessarie da "effettive esigenze terapeutiche o riabilitative"
 del lavoratore, dovendosi ritenere strumento  sufficiente  di  tutela
 della   salute  di  costui,  nel  bilanciamento  tra  i  contrapposti
 interessi, la concessione da parte del datore di lavoro del  relativo
 permesso,  e  non potendosi addossare al medesimo anche l'onere della
 retribuzione corrispondente.
    6.  - La tesi secondo cui le assenze dal lavoro per fruire di cure
 idrotermali non sarebbero riconducibili, ai  fini  retributivi,  alla
 assenza  per  "malattia" di cui all'art. 2110 c.c. e', gia' sul piano
 lessicale, contraddetta dalla loro qualificazione,  nel  citato  art.
 13,  come  "aspettative  per  infermita'"  o "permessi per malattia",
 oltre  che  dall'essere  esse   motivate   da   "effettive   esigenze
 terapeutiche o riabilitative", che ovviamente presuppongono uno stato
 patologico.
    Evidente  e',  poi,  il vizio logico insito nell'assumere a priori
 che l'art. 2110 c.c. consideri "malattia" solo gli  stati  patologici
 acuti  -  cosa  che  non  risulta affatto dal testo della norma - per
 desumerne che esorbitino dall'ambito  della  tutela  ivi  prevista  i
 momenti curativi delle affezioni croniche: le quali, invece, non solo
 nel significato biologico, ma anche in quello proprio del  linguaggio
 comune - cui in generale le norme giuridiche fanno riferimento - sono
 malattie allo stesso titolo di quelle acute. La riprova di tale vizio
 sta  nelle  aberranti  conseguenze cui la predetta tesi conduce. Alla
 stregua di essa, infatti, la tutela apprestata  dall'art.  2110  c.c.
 opererebbe  rispetto alle assenze relative ad affezioni acute, magari
 di lieve  entita',  e  non  opererebbe,  invece,  rispetto  a  quelle
 conseguenti  all'esigenza  di sottoporsi ad accertamenti clinici resi
 necessari dall'insorgenza dei sintomi di malattie gravissime,  ovvero
 rispetto   ai   periodi   di   degenza   ospedaliera  destinati  agli
 accertamenti prodromici ad operazioni  chirurgiche  o,  comunque,  ad
 interventi terapeutici programmabili nel tempo: ipotesi queste, nelle
 quali - cosi' come nel caso delle cure termali - non  e'  ravvisabile
 un   attuale   impedimento   alla  prestazione  di  lavoro  derivante
 "direttamente" dalla malattia.
    7.  -  Se poi dal piano delle conseguenze si passa all'esame delle
 premesse fondanti la tesi in esame, si deve constatare  che  essa  si
 radica  su  una  concezione  della  tutela  della  salute,  e piu' in
 generale dall'equilibrio dei contrapposti interessi  nell'ambito  del
 rapporto  di  lavoro, difforme da quella emergente dalle disposizioni
 che la Costituzione detta in materia.
    Va  ricordato innanzitutto - come questa Corte ha piu' volte avuto
 occasione di sottolineare -  che  il  valore  primario  assegnato  al
 diritto  alla salute (art. 32 Cost.) comporta che la sua tutela debba
 spiegarsi non solo in ambito pubblicistico - al che si e'  provveduto
 con  la  legge  di  riforma  sanitaria n. 833 del 1978 - ma anche nei
 rapporti tra privati, ove la salute rileva come posizione  soggettiva
 autonoma,   la  cui  lesione  va  risarcita  indipendentemente  dalle
 conseguenze incidenti sull'attitudine del soggetto a produrre redditi
 (sentt. nn. 88 del 1979 e 184 del 1986).
    Nell'ambito,  poi,  della  generale  garanzia assicurata a tutti i
 cittadini, una tutela privilegiata  spetta  ai  lavoratori,  nei  cui
 confronti  essa  si svolge tanto sotto il profilo sanitario che sotto
 quello economico, in quanto vanno ad  essi  assicurati,  in  caso  di
 infortunio, malattia o invalidita', mezzi adeguati alle loro esigenze
 di vita (art. 38, secondo comma, Cost.).
    Sotto  il  primo  aspetto,  sono  coerenti  con  tale  ispirazione
 costituzionale sia le disposizioni  volte  in  generale  a  garantire
 l'igiene  e la sicurezza negli ambienti di lavoro (artt. 20 ss. l. n.
 833 del 1978); sia  l'imposizione  all'imprenditore  di  un  rigoroso
 dovere di garantire la sicurezza dei lavoratori (art. 2087 c.c.), che
 si pone come condizione per il legittimo  esplicarsi  dell'iniziativa
 economica  privata  (art.  41,  secondo  comma,  Cost.); sia, infine,
 l'attribuzione  ai  lavoratori  di  un  potere  di  controllo  e   di
 promozione  delle  misure  idonee  a  garantire  la  loro  salute  ed
 integrita' fisica (art. 9 l. n. 300 del 1970).
    Sotto  il  secondo  profilo, la tutela della salute del lavoratore
 nell'ambito  del  rapporto  di  lavoro  si  realizza,  tra   l'altro,
 riversando  entro  certi  limiti  sull'imprenditore  il rischio della
 malattia di costui e percio' imponendogli - per un certo periodo  sia
 di  non  recedere dal contratto, sia di corrispondere la retribuzione
 al dipendente (art. 2110 c.c.).
    Ora, che la composizione degli interessi in gioco cosi' realizzata
 non possa  intendersi  limitata  alle  affezioni  acute  direttamente
 invalidanti  discende,  sia  dall'ampiezza  della tutela della salute
 accordata al lavoratore come singolo, sia dalla considerazione che la
 salute  e'  garantita,  secondo l'art. 32 Cost., anche come interesse
 della collettivita', e che una sua efficace salvaguardia giova  anche
 al  miglior  assolvimento  dei compiti assegnati allo Stato dall'art.
 38, quarto comma, Cost.
    Il perseguimento di una sempre migliore condizione sanitaria della
 popolazione  e',  invero,  uno  degli  obiettivi   primari   che   la
 Costituzione   assegna  alla  Repubblica:  ed  e'  percio'  interesse
 generale che per le malattie croniche  e  recidivanti  -  quali  sono
 quelle   qui  tipicamente  in  discussione  -  siano  tempestivamente
 apprestate  cure  idonee  ad  arrestarne  il  corso  o  ad  impedirne
 l'aggravamento. Cio' anche perche' l'esigenza di garantire a tutti il
 diritto  ad  adeguate  prestazioni  sanitarie  e   previdenziali   e'
 razionalmente  soddisfatta  promuovendo  la  somministrazione di cure
 tempestive, si' da prevenire od  attenuare  oneri  (per  pensioni  di
 invalidita',  o per spese farmaceutiche e specialistiche) destinati a
 far carico in futuro sulla sfera sanitaria pubblica:  ed  e'  appunto
 anche  in  quest'ottica  che si collocano le cure idrotermali erogate
 dagli enti assicurativi e previdenziali ai propri assistiti.
    A tale interesse, individuale e collettivo, corrisponde del resto,
 a  ben  vedere,  l'interesse  dello  stesso  datore  di  lavoro  che,
 retribuendo assenze limitate per cure idonee ad impedire il progresso
 o l'aggravamento della malattia, puo' evitare di sopportare in futuro
 l'onere  di  un ben maggiore periodo di assenza dovuto al verificarsi
 di tali eventi.
    8.  -  Il  descritto  rilievo  che  alla  tutela  della  salute va
 assegnato nell'ambito del rapporto di lavoro incide sulla definizione
 del  punto di equilibrio tra i contrapposti interessi in esso dedotti
 ed implica una concezione della corrispettivita'  diversa  da  quella
 presupposta dalle ordinanze di rimessione.
    Innanzitutto,  l'assumere che il principio di corrispettivita' nel
 rapporto  di  lavoro  si  risolve   meccanicamente,   salvo   deroghe
 eccezionali,  in una relazione biunivoca tra prestazione lavorativa e
 retribuzione  urta  contro  il  concetto  di   retribuzione   assunto
 dall'art.  36  Cost.,  che  non  e' - come questa Corte ha piu' volte
 precisato - mero corrispettivo del lavoro,  ma  compenso  del  lavoro
 proporzionale  alla  sua  quantita'  e  qualita'  e,  insieme,  mezzo
 normalmente  esclusivo  per  sopperire  alle  necessita'  vitali  del
 lavoratore  e  dei  suoi  familiari,  che  deve essere sufficiente ad
 assicurare a costoro un'esistenza libera e dignitosa. Per  realizzare
 tale  funzione della retribuzione, il legislatore puo' provvedere non
 solo mediante strumenti previdenziali  e  di  sicurezza  sociale,  ma
 anche imponendo determinate prestazioni all'imprenditore: cio' per la
 ragione che nel rapporto il lavoratore impegna non  solo  le  proprie
 energie  lavorative ma - necessariamente ed in modo durevole - la sua
 stessa  persona,  coinvolgendovi  una  parte  dei  suoi  interessi  e
 rapporti personali e sociali.
    L'interesse  alla  salvaguardia  della salute del lavoratore - che
 puo' subire pregiudizio anche  per  le  modalita'  della  prestazione
 lavorativa   -  fa  percio'  parte  del  sinallagma  contrattuale;  e
 conseguentemente, la corresponsione  della  retribuzione  durante  le
 assenze  per  malattia  (art. 2110 c.c.) non e' fatto eccezionale, ma
 strumento per far assolvere ad essa la sua normale funzione.
    Nell'interpretazione  di tale norma non possono percio' introdursi
 - in linea di principio - artificiose distinzioni tra le assenze  per
 malattia,  a  seconda  che  siano  dovute all'insorgenza di affezioni
 morbose acute ovvero alla necessita' di cura  di  malattie  croniche.
 Nell'un  caso  e  nell'altro, e' in questione l'interesse alla salute
 del  lavoratore  dedotto  in  contratto,  ed  un  bilanciamento   dei
 contrapposti   interessi   che   sia   rispettoso   delle   direttive
 costituzionali suenunciate non puo' operarsi -  sempre  in  linea  di
 principio  -  escludendo  le seconde dall'area della retribuibilita'.
 L'area  del  possibile  bilanciamento  va,  viceversa,  spostata  sul
 terreno  concreto delle specificita' degli stati morbosi e delle cure
 considerate ed e' in relazione a  questo  che  la  distribuzione  del
 rischio  della  malattia  tra  lavoratore ed imprenditore, ovvero tra
 questi e  gli  istituti  previdenziali  di  sicurezza  sociale,  puo'
 formare oggetto di particolare regolamentazione.
    9.   -   Alla  stregua  delle  suesposte  premesse,  la  specifica
 disciplina dei permessi extraferiali  per  cure  idrotermali  dettata
 nell'impugnato  art.  13  appare  idonea  a realizzare un equilibrato
 contemperamento delle varie esigenze in gioco.
    Gli  obiettivi  di  ridimensionamento  della  spesa  sanitaria, di
 riduzione del costo del lavoro  e  di  contenimento  dell'assenteismo
 praticato  col  ricorso  a cure termali non strettamente necessarie a
 fini terapeutici - obiettivi che ispirano la disciplina in  questione
 fin  dal d.l. n. 16 del 1982 - trovano realizzazione, da un lato, con
 la fissazione di un periodo massimo di permesso  di  quindici  giorni
 l'anno  (sicche',  ove  siano  prescritti  due cicli annuali di cure,
 ciascuno di tale durata, solo uno  potra'  effettuarsi  al  di  fuori
 delle  ferie)  nonche'  con  l'imposizione  di un intervallo, pure di
 quindici giorni, tra detto periodo ed i congedi ordinari o  le  ferie
 annuali  (commi  quarto  e  quinto);  dall'altro, nell'esclusione dei
 permessi extraferiali tanto  per  le  cure  effettuate  per  esigenze
 meramente  preventive,  quanto  per quelle elioterapiche, climatiche,
 psammoterapiche  e  similari  (sesto  comma).  Ne  risultano  percio'
 travolte - trattandosi di norme di ordine pubblico economico - quelle
 disposizioni dell'autonomia  collettiva  che  non  ponevano  siffatte
 limitazioni.
    Inoltre,    la   serieta'   ed   imparzialita'   dell'accertamento
 dell'esistenza di "effettive esigenze terapeutiche  o  riabilitative"
 richiedenti  fruizione  di cure termali "fuori dai congedi ordinari e
 dalle ferie annuali" e' dalla norma  assicurata  col  richiedere,  al
 riguardo,  una  "motivata  prescrizione"  proveniente  da  "un medico
 specialista"  nelle  affezioni  di   volta   in   volta   considerate
 dell'unita'  sanitaria  locale  (ovvero  dell'INPS  o dell'INAIL, ove
 trattisi di lavoratori inviati alle cure da  tali  istituti);  ed  e'
 appena  il  caso  di  notare  che eventuali atteggiamenti compiacenti
 sarebbero imputabili non alla norma, ma alla  carenza  dei  controlli
 pubblici in tali ipotesi necessari.
    Ed   ancora:  poiche'  la  speciale  disciplina  limitativa  della
 concessione di permessi  extraferiali  retribuiti  per  cure  termali
 contenuta  nel  citato  art.  13  si  applica  a  tutti  i lavoratori
 dipendenti, sia pubblici che privati, ne risulta superata la  censura
 - peraltro dichiaratamente irrilevante nel giudizio a quo prospettata
 dal Pretore di Sondrio nel presupposto della  riconducibilita'  della
 fattispecie   in  esame,  per  i  primi,  nell'istituto  del  congedo
 straordinario "per gravi motivi" di cui agli artt. 37 e 40 del d.P.R.
 n. 3 del 1957.
    10.  -  Sul  versante opposto, l'esigenza di adeguata tutela della
 salute dei lavoratori  e'  assicurata  dalla  disposizione  in  esame
 ancorando  la  fruizione  di  cure  termali  in  periodo extraferiale
 all'accertata  sussistenza  di  "effettive  esigenze  terapeutiche  o
 riabilitative".
    Con   tale   formulazione,   il   legislatore   ha,  innanzitutto,
 riconosciuto la rilevanza delle cure termali prescritte per  esigenze
 riabilitative,  per  ottenere  cioe'  la remissione di una malattia o
 almeno la regressione dei postumi di essa: esigenze che  erano  state
 ingiustificatamente   obliterate   dalla   legge  n.  526  del  1982,
 trattandosi di uno dei settori per  i  quali  le  cure  termali  sono
 ritenute appropriate.
    Inoltre, l'eliminazione di requisiti impropri o troppo restrittivi
 - quali erano, rispettivamente,  quelli  concernenti  la  connessione
 delle  esigenze  terapeutiche con "stati patologici in atto" (art. 13
 d.l. n. 463 del 1983) e  "l'impossibilita'  del  rinvio  delle  cure"
 (art.  4  l.  n.  526  del 1982) - ha reso chiaro, da un lato, che la
 tutela apprestata dalla norma concerne - tipicamente,  anche  se  non
 esclusivamente  -  le  affezioni  croniche  o recidivanti, nonche' le
 esigenze di riabilitazione  da  stati  morbosi  di  varia  natura,  e
 dall'altro   che   le  cure  termali  prescrivibili  per  il  periodo
 extraferiale non sono necessariamente, e solo, quelle reputate  cosi'
 urgenti da risultare indifferibili.
    Anche  alla stregua di tali precisazioni, percio', la disposizione
 impugnata  va  intesa  nel  senso  che  le   cure   idrotermali   ivi
 disciplinate  sono  quelle  per  le  quali risulti accertata la reale
 esigenza - per il conseguimento  dei  divisati  scopi  terapeutici  o
 riabilitativi  -  che  esse siano effettuate in periodo extraferiale.
 Come ha esattamente precisato la Corte di  Cassazione  il  lavoratore
 non  puo'  cioe'  essere  costretto  a  rinviare  ad altra epoca cure
 termali che, se effettuate prima,  si  rivelerebbero  piu'  efficaci:
 maggiormente  idonee,  cioe',  ad  arrestare o rallentare il processo
 morboso, o ad evitare aggravamenti o ricadute,  ovvero  a  conseguire
 una pronta remissione o riabilitazione.
   Un'interpretazione   della  norma,  quale  quella  presupposta  dai
 giudici a quibus, che comportasse in tali  casi  il  mancato  accollo
 all'imprenditore  dell'onere  retributivo  per  il  periodo  di  cura
 condurrebbe al risultato - certamente incostituzionale -  di  indurre
 nel  lavoratore  una rilevante remora alla tempestiva fruizione delle
 cure necessarie, cosi' compromettendone la guarigione, o  esponendolo
 al  pericolo  di  aggravamenti  o  comunque frapponendo ostacoli alla
 terapia ritenuta appropriata: cio' che tra l'altro implicherebbe  non
 consentite  differenziazioni,  in termini di tutela della salute, tra
 chi sia in condizioni di rinunziare ad una quota della retribuzione e
 chi, non possa invece privarsene.
    Con  la  suesposta  interpretazione  le  censure  prospettate  dai
 giudici a quibus vengono meno, e  percio'  le  questioni  da  costoro
 sollevate vanno dichiarate infondate.