ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 164 del codice
 di procedura civile, in riferimento all'art. 435, terzo comma,  nuovo
 testo,  del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse
 il 15 febbraio 1985 e il 29 ottobre 1986  dalla  Corte  d'appello  di
 Bari,  iscritte rispettivamente al n. 311 del registro ordinanze 1985
 e al n. 17 del registro ordinanze 1987 e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della Repubblica n. 220- bis dell'anno 1985 e n. 11, prima
 serie speciale, dell'anno 1987;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 novembre 1987 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Ritenuto  che  la  Corte  d'appello  di  Bari con due ordinanze di
 analogo contenuto, emesse, la prima, il 15 febbraio 1985 (R.O. n. 311
 del 1985) e, la seconda, il 29 ottobre 1986 (R.O. n. 17 del 1987), ha
 sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
 agli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione, dell'art. 164 del
 codice di procedura civile nella parte in cui prevede  -  secondo  la
 costante   interpretazione   della  Corte  di  cassazione  -  che  la
 costituzione dell'appellato non sana la nullita' della  citazione  in
 appello  dovuta  all'insufficienza del termine a comparire e comporta
 il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado;
      che a parere del giudice a quo la norma censurata violerebbe gli
 artt.  3  e  24  della  Costituzione  in  quanto  determinerebbe  una
 ingiustificata   disparita'   di   trattamento   tra   la   posizione
 dell'appellante nel processo ordinario e la posizione dell'appellante
 nel  procedimento  del  lavoro,  nel quale ultimo l'insufficienza del
 termine a comparire non esercita  alcuna  influenza  sulla  validita'
 dell'impugnazione  che  e'  assicurata  dal  tempestivo  deposito del
 ricorso;
      che  in  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,
 concludendo per l'infondatezza della questione;
      che  i  giudizi, concernendo questioni identiche, possono essere
 riuniti e congiuntamente decisi;
    Considerato  che  il  giudice a quo ipotizza una ingiustificata ed
 arbitraria diseguaglianza tra la situazione dell'appellante nel  rito
 ordinario  e  la  situazione  dell'appellante  nel  procedimento  del
 lavoro, con riguardo all'ipotesi di assegnazione all'appellato di  un
 termine  per  comparire minore di quello stabilito dalla legge, senza
 tener  conto  delle  differenze  di  struttura  tra  i  due  riti  e,
 segnatamente,  delle diversita' riscontrabili nella fase introduttiva
 dei due tipi di giudizio;
      che  nel rito ordinario la validita' della citazione e' elemento
 essenziale dell'esercizio del potere  di  impugnazione,  per  cui  si
 giustifica la conseguenza che la sua nullita' non possa essere sanata
 dalla  costituzione  dell'appellato  successiva  alla  scadenza   del
 termine utile per la proposizione del gravame e non impedisca percio'
 il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado;
      che  nel  rito  del lavoro, invece, il potere di impugnazione si
 perfeziona  con  la  costituzione  dell'appellante  al  momento   del
 deposito  del  ricorso  e  l'udienza di comparizione non e' stabilita
 dall'appellante, ma dal giudice gia'  investito  del  gravame  ed  e'
 percio'  soluzione  razionale  che la violazione del termine previsto
 dall'art. 435, terzo comma, del codice di procedura civile (nel testo
 novellato  dalla  legge  n.  533 del 1973) possa essere sanata, anche
 dopo la scadenza del termine per l'impugnazione, dalla  notificazione
 del  ricorso e di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza o dalla
 costituzione dell'appellato;
      che le segnalate differenze tra i riti inducono ad escludere che
 la norma impugnata violi il principio di eguaglianza  ed  attui,  nel
 processo ordinario, la compressione delle garanzie previste dall'art.
 24 della Costituzione;
      che  per  le  suesposte  ragioni le questioni in esame risultano
 manifestamente infondate;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9 delle Norme integrative per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
 costituzionale;