ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 5, secondo e
 terzo comma, della legge 29  maggio  1982,  n.  297  (Disciplina  del
 trattamento  di  fine  rapporto  e  norme  in materia pensionistica),
 promossi con ordinanze emesse il 29 marzo 1983 dal Pretore di Milano,
 il 29 marzo 1983 dal Pretore di Biella (n. 2 ordinanze), il 10 giugno
 1983 dal Pretore di Novara, il 28 maggio 1983 dal Pretore di Bra,  il
 14  dicembre  1983 dal Pretore di Montecchio Emilia, il 1› marzo 1984
 dal Pretore di Roma, il 17 ed il 23  febbraio  1984  dal  Pretore  di
 Corteolona, il 12 marzo 1984 dal Pretore di Frosinone, il 27 febbraio
 1984 dal Pretore di  Saluzzo,  il  28  giugno  1984  dal  Pretore  di
 Piombino,  il  22  marzo  (n.  2 ordinanze) ed il 25 ottobre 1984 dal
 Tribunale di Novara ed il 20 giugno 1986  dal  Tribunale  di  Arezzo,
 rispettivamente iscritte ai nn. 444, 683, 684, 797 e 851 del registro
 ordinanze 1983, ai nn. 103, 470, 510, 511, 563,  566,  1070,  1082  e
 1083  del  registro  ordinanze  1984, al n. 14 del registro ordinanze
 1985 ed al n. 827 del registro  ordinanze  1986  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 295 dell'anno 1983, nn. 18,
 25, 60, 197, 266, 287, 294 e 307 dell'anno 1984, nn. 42 bis , 50  bis
 e 131 bis dell'anno 1985 e n. 5/I ss. dell'anno 1986;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di Del Regno Mafalda, di Nacca
 Lorenzo e della  S.p.A.  La  Magona  d'Italia  nonche'  gli  atti  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  novembre  1987  il Giudice
 relatore Francesco Greco;
    Uditi  gli  avvocati Luciano Ventura per Del Regno Mafalda e Nacca
 Lorenzo e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  sedici ordinanze emesse nel corso di altrettante cause
 aventi ad  oggetto  il  diritto  di  taluni  lavoratori  subordinati,
 cessati  dal  servizio anteriormente al 1986, alla corresponsione, in
 aggiunta  al  trattamento  di  fine  rapporto  ed  in  cifra   fissa,
 dell'importo  dei  punti di contingenza maturati fra l'1 gennaio 1977
 ed il 31 maggio 1982, "congelati" ( ex d.l. 1› febbraio 1977, n.  12,
 convertito  in  l. 31 marzo 1977, n. 91) e non ancora recuperati alla
 base di computo di tale  trattamento  in  virtu'  del  meccanismo  di
 graduale  inserimento previsto dall'art. 5, secondo comma della l. 29
 maggio 1982, n. 297, i Pretori di Milano (R.O. n. 444/83), di  Biella
 (R.O.  nn. 683 e 684/83), di Novara (R.O. n. 797/83), di Bra (R.O. n.
 851/83), di Montecchio Emilia (R.O. n.  103/84),  di  Roma  (R.O.  n.
 470/84), di Corteolona (R.O. nn. 510 e 511/84), di Frosinone (R.O. n.
 563/84), di Saluzzo (R.O. n. 566/84) e di Piombino (R.O. n. 1070/84),
 nonche'  i  Tribunali di Novara (R.O. nn. 1082 e 1083/84; 14/85) e di
 Arezzo (R.O. n. 827/86) hanno sollevato, in relazione agli artt. 3  e
 36  Cost.,  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
 secondo e terzo comma della citata legge n. 297/82.
    Tutti  i  giudici  a  quibus  -  eccezione fatta per il pretore di
 Montecchio Emilia, la cui ordinanza non contiene alcuna  motivazione,
 ne'  sulla  rilevanza,  ne'  sulla  non  manifesta infondatezza della
 questione - muovono dal presupposto  ermeneutico  per  cui  il  terzo
 comma  del  citato  art.  5,  secondo  il  suo  non  equivoco  tenore
 letterale, impone  che  i  suddetti  aumenti  di  contingenza  -  non
 ricompresi, ai sensi del precedente comma secondo, nella retribuzione
 annua utile per la liquidazione del trattamento di fine rapporto, per
 essere  la  cessazione  del servizio avvenuta anteriormente al 1986 -
 siano corrisposti al lavoratore secondo il  loro  valore  assoluto  e
 cioe'   non   in  proporzione  alla  durata  del  rapporto  medesimo,
 sommandosi cosi' a tale trattamento.
    Cosi' intesa, la normativa richiamata viene ritenuta produttiva di
 disparita' di trattamento fra i lavoratori il cui rapporto  cessi  in
 data  idonea  a  consentir loro di fruire, in aggiunta al trattamento
 relativo, della corresponsione di tutti gli aumenti in questione o di
 parte  di  essi  ed  i  lavoratori  il  cui  rapporto  cessi  in data
 posteriore con  la  conseguenza  che,  restando  siffatta  erogazione
 aggiuntiva  limitata  ad  un  minor numero di tali aumenti (in quanto
 quelli residui vengono ricompresi nella base di computo del  ripetuto
 trattamento  in  forza  del  gia'  ricordato  meccanismo  di recupero
 graduale), nonostante  la  maggior  durata  della  loro  prestazione,
 questi    ultimi    lavoratori    percepiscono    una    liquidazione
 complessivamente inferiore a quella spettante ai primi.
    Invero,  il  lavoratore  che cessi dal servizio nel periodo dal 1›
 giugno  1982  al  31  dicembre  1982  ha  diritto,  in  aggiunta   al
 trattamento  di  fine  rapporto,  al  pagamento  della  somma di lire
 418.075, pari all'importo dei complessivi 175  punti  di  contingenza
 "congelata"; mentre chi continua a lavorare oltre quest'ultima data e
 recupera, quindi, gradualmente i punti  stessi  ottiene,  per  quanto
 riguarda  questa  voce  della sua complessiva liquidazione, una somma
 inferiore: cio' perche' nel  secondo  caso  i  punti  di  contingenza
 recuperati  (per  gruppi  semestrali  di 25) sono entrati a far parte
 della retribuzione annua utile ed hanno quindi  subito  la  divisione
 per il coefficiente 13,5.
    Si rileva, inoltre, che la norma censurata, intesa nel significato
 chiarito, implica anche l'irrazionale conseguenza  per  cui,  ove  il
 lavoratore  risolva  due  o  piu' rapporti diversi nel periodo dal 30
 giugno al 31 dicembre 1982, egli verrebe a percepire due o piu' volte
 la  suddetta somma aggiuntiva a differenza di colui che risolva nello
 stesso periodo un solo rapporto.
    Ne  risulta,  dunque,  ad  avviso  dei giudici remittenti, leso il
 principio di proporzionalita' della  retribuzione  (differita,  quale
 deve  ritenersi  l'indennita'  di  fine  rapporto)  alla quantita' di
 lavoro e, correlativamente, anche quello di parita'  di  trattamento,
 posto  che  i lavoratori con maggiore anzianita' di servizio traggono
 da questa benefici economici meno consistenti di quelli riservati  ai
 titolari di rapporti di minore durata.
    2. - Nei susseguenti giudizi davanti a questa Corte e' intervenuto
 il Presidente del Consiglio dei Ministri e si sono costituite  talune
 delle parti private.
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, che sollecita la declaratoria di
 infondatezza della questione, la  norma  impugnata  ha  istituito  un
 regime  transitorio  con  l'intento  di  indennizzare  il pregiudizio
 subito  in  passato  dai  lavoratori  a  causa   del   "congelamento"
 dell'indennita'   di  contingenza  e  non  riparabile  attraverso  il
 meccanismo del secondo comma dell'art. 5 (graduale assorbimento degli
 aumenti  pregressi,  fino  a  totale  esaurimento di questi nell'arco
 dell'anno 1986) stante la risoluzione del rapporto prima  della  data
 finale prevista per la compiuta operativita' del meccanismo stesso.
    Si  tratta,  quindi,  di  un  sistema  creato  per reintegrare una
 perdita patrimoniale riferibile all'arco di tempo durante il quale ha
 avuto  effetto  il  regime  di blocco della contingenza; sistema che,
 pertanto, prescinde del tutto dalla durata del  rapporto  di  lavoro,
 rilevante,  invece, ai fini del trattamento ex art. 2120, rispetto al
 quale la reintegrazione de qua non costituisce  elemento  integrante,
 ma appunto, come la stessa norma non manca di chiarire letteralmente,
 un'erogazione "aggiuntiva" legata a differenti  ragioni  genetiche  e
 causali.
    Quanto  all'ipotesi  del  lavoratore  che,  risolvendo  due o piu'
 rapporti diversi nel periodo 30 giugno-31 dicembre 1986, percepirebbe
 due o piu' volte tale erogazione aggiuntiva, l'Avvocatura osserva che
 la stessa non puo' realizzarsi perche' o  tutti  tali  rapporti  sono
 sorti  a  partire  dal  1›  giugno  1982: ed in tal caso la censurata
 disparita' transitoria non  trova  applicazione  neppure  una  volta,
 dovendosi  viceversa applicare la disposizione "di regime", in quanto
 iniziati dopo il 1› giugno  1982,  e'  solo  a  quel  primo  rapporto
 applicabile  la  norma  transitoria  di  cui all'art. 5, terzo comma,
 della legge n. 297/82.
    I  due  lavoratori  costituiti (rispettivamente nei giudizi di cui
 alle ordinanze n. 684/83 e n. 470/84) hanno preliminarmente  eccepito
 l'inammissibilita'  della  questione per irrilevanza rispetto ai casi
 di specie concernenti non gia' "una revisione del calcolo di  aumenti
 di  contingenza  gia'  attribuiti,  ma  soltanto l'applicazione della
 accellerazione  una  tantum,  riconosciuta  da  una  regolamentazione
 transitoria  ai lavoratori che si trovino in determinate condizioni".
 Nel  merito  ne   hanno   dedotto   la   infondatezza   per   ragioni
 sostanzialmente analoghe a quelle svolte dall'Avvocatura dello Stato.
    Di  opposto  tenore  e di contenuto adesivo alle censure sollevate
 dai giudici a quo e' l'atto di  costituzione  (nel  giudizio  di  cui
 all'ord. n. 1070/84) della S.p.a. La Magona d'Italia.
    Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie la S.p.a. "La
 Magona d'Italia" (costituita nel giudizio introdotto  con  l'ord.  n.
 1070   del  1984  del  pretore  di  Piombino)  nonche'  i  lavoratori
 costituiti nei giudizi introdotti con le ordinanze n.  684  del  1983
 (del pretore di Biella) e n. 670 del 1984 (del pretore di Roma).
    La  difesa  della suddetta societa' insiste per la declaratoria di
 illegittimita' costituzionale della norma censurata osservando che il
 disposto  di  questa e' in realta' il frutto di un equivoco in cui e'
 caduto lo stesso legislatore nel considerare  la  posizione  di  quei
 lavoratori  il  cui rapporto sarebbe cessato fra il 1982 ed il 1986 e
 cioe' prima che negli accantonamenti annuali destinati ad  erogazione
 del   trattamento   di   fine  rapporto  potesse  tornare  ad  essere
 interamente  compatibile  l'importo  degli  aumenti  di   contingenza
 precedentemente "sterilizzati".
    Rileva,  in  particolare,  che gli effetti di tale sterilizzazione
 per il periodo 1977/1982 e sui rapporti nel medesimo  cessati  devono
 intendersi  ormai  esauriti  con  la  conseguenza  che il danno per i
 lavoratori interessati si e' consumato  in  modo  irresponsabile.  Il
 reinserimento  graduale  previsto dal secondo comma dell'art. 5 della
 legge n. 297 del 1982 e' diretto, infatti, stante  il  sistema  degli
 accantonamenti  annuali (ciascuno indipendente dall'altro) attraverso
 i quali si consegue il "nuovo" trattamento di fine rapporto, non gia'
 a  compensare  quel danno, bensi' a ripristinare progressivamente per
 il futuro il regime di piena identita' fra la retribuzione corrente e
 quella utile per il computo di tale trattamento. In sostanza la nuova
 legge perpetua - sia pure in modo progressivamente decrescente  -  il
 regime  derogatorio  in  peius che con la c.d. "sterilizzazione della
 contingenza" era stato introdotto nella vigenza del vecchio  istituto
 della indennita' di anzianita'.
    Questo graduale rientro nel suddetto regime di normale coincidenza
 fra retribuzione corrente e retribuzione utile  si  ripercuote  sugli
 accantonamenti   autonomamente   riferibili  a  ciascuno  degli  anni
 compresi fra  il  1982  ed  il  1986  e  non  esplica  alcun  effetto
 relativamente  ad  accantonamenti  riferibili ad anni precedenti, nei
 quali le quote di retribuzione imputabili ad indennita' di anzianita'
 erano    e   rimangono   soggette   al   regime   derogatorio   della
 sterilizzazione.
    Cio' posto, ne risulta evidente che l'inizio dell'operativita' del
 meccanismo di rientro non assicura alcun vantaggio  preferenziale  ai
 lavoratori  ammessi a fruirne interamente - fino cioe' a pervenire al
 recupero completo della contingenza - rispetto a quelli che,  invece,
 non  lo  hanno  portato a termine per essere il loro rapporto cessato
 fra il 1982 ed il 1986:  invero,  anche  quanti  cesseranno  il  loro
 rapporto  dopo  il  1986 vedranno liquidare la quota annuale del loro
 T.F.R. - per gli stessi anni intermedi ora detti -  con  la  medesima
 base  parzialmente  decurtata della contingenza. L'equivoco in cui e'
 caduto il legislatore sta nell'avere trascurato  tale  circostanza  e
 cioe'  nel  non avere considerato le differenze fra il vecchio regime
 dell'indennita' di anzianita' (in presenza del quale una maggior base
 di  computo  all'atto  della relativa liquidazione avrebbe proiettato
 all'indietro i propri  effetti)  ed  il  nuovo  T.F.R.  (composto  da
 accantonamenti   annuali   reciprocamente   autonomi,   determinabili
 soltanto sulla base delle  retribuzioni  utili  di  ciascun  anno  di
 riferimento).
    La  verita'  e',  dunque,  secondo la menzionata difesa, che manca
 qualsiasi situazione di diseguaglianza fra i  lavoratori  ascrivibile
 ai  due  gruppi  sopra  considerati:  l'averla  erroneamente ritenuta
 esistente ha indotto il legislatore a dettare la norma transitoria di
 cui  al terzo comma del citato art. 5, la quale si pone, invece, essa
 stessa   come   fonte   di   disparita'   di   trattamento    perche'
 irrazionalmente  premia,  con  l'aggiunta  al  T.F.R.  di  una  somma
 corrispondente ai punti di contingenza  non  ancora  recuperati  alle
 quote  di  accantonamenti  annuali,  quei  lavoratori che, pur avendo
 cessato  il  servizio  anteriormente  al  1986,  nessun   pregiudizio
 economico  hanno,  per  questo  solo  fatto, subito rispetto a quanti
 hanno risolto piu' tardi il proprio rapporto.
    La  memoria esaminata ribadisce, poi, la disparita' di trattamento
 che la norma censurata crea fra gli stessi lavoratori che cessino dal
 servizio  fra  il  1982  ed  il 1986 in quanto, tenendo conto che, in
 detto periodo, i punti di  contingenza  sono  stati  considerati  dal
 legislatore  in  una  duplice  valenza  - e cioe' ora come fattore di
 computo della quota annuale da accantonare, ora  in  cifra  fissa  da
 sommare  al T.F.R.  - ne risulta, come prospettato nelle ordinanze di
 rimessione,   la   possibilita'   di   un    trattamento    economico
 complessivamente   deteriore,  in  sede  di  liquidazione,  per  quei
 lavoratori  che,  a  parita'  di  retribuzione,  possano  far  valere
 rapporti di piu' lunga durata.
    Di  tenore  opposto  le memorie dei lavoratori costituiti, i quali
 insistono nelle precedenti difese specificando che l'intera normativa
 intesa  al superamento del precedente regime di sterilizzazione della
 contingenza  e'  ben   lungi   dall'assicurare   ai   lavoratori   la
 reintegrazione   delle  perdite  prodotte  da  quest'ultimo:  sia  il
 meccanismo di graduale recupero di cui al secondo comma dell'art.  5,
 sia  quello  del  computo  in  aggiunta al T.F.R., previsto dal terzo
 comma della medesima norma, costituiscono risposte molto parziali  ed
 incomplete  all'invito che questa Corte ha rivolto al legislatore con
 la sentenza n. 142  del  1980  circa  la  necessita'  di  evitare  la
 perpetuazione  di  un  regime  che,  "nel  futuro....,  in difetto di
 congrue compensazioni, rischierebbe  di  determinare  squilibri  piu'
 gravi  di  quelli  gia' in atto". In questo contesto, il recupero dei
 punti non risulta incostituzionale in se' e per se'  e  le  modalita'
 del  medesimo  costituiscono una scelta discrezionale del legislatore
 onde non appare proponibile una questione basata, in sostanza, su  un
 "eccesso di recupero" di un gruppo rispetto all'altro.
                         Considerato in diritto
    1. - I sedici giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica
 sentenza in quanto prospettano la identica questione.
    2.  - Con sedici ordinanze, quattordici Pretori e due Tribunali di
 varie sedi denunciano la illegittimita' costituzionale del secondo  e
 terzo  comma  dell'art. 5 della legge 29 maggio 1982, n. 297, i quali
 prevedono, a favore dei lavoratori che cessano il rapporto di  lavoro
 prima  del 1986 la corresponsione, in aggiunta al trattamento di fine
 rapporto, degli aumenti della indennita' di contingenza maturati  tra
 il  1›  febbraio  1977, ed il 31 maggio 1982, "congelati" per effetto
 del d.l. 1› febbraio 1977, n. 12, conv. nella legge 31 marzo 1977, n.
 91  e  non  ancora  recuperati con il meccanismo previsto dal secondo
 comma dello stesso art. 5 (25  punti  semestrali  a  partire  dal  1›
 gennaio  1983  e  fino  al  1›  gennaio  1986).  A parere dei giudici
 remittenti, risulterebbero violati gli artt. 3 e 36 Cost. in quanto i
 lavoratori  con  maggiore  anzianita' riceverebbero un trattamento di
 minore importo.
    2.1 - Le censure non sono fondate.
    Il d.l. 1› febbraio 1977, n. 91 opero' il "congelamento" dei punti
 di contingenza corrisposti ai lavoratori a decorrere dal 1›  febbraio
 1977,  destinando  le  somme  non  erogate  alla  riduzione dei costi
 aziendali o alla copertura di oneri pubblici e  poi  lasciandoli  nel
 patrimonio dei datori di lavoro.
    Il  "congelamento" e' durato fino al 31 maggio 1982. Ne sono stati
 immuni i lavoratori che hanno iniziato il rapporto dopo  la  suddetta
 data.
    L'art.  5,  primo  e  secondo comma, censurato fa parte di un piu'
 ampio contesto legislativo (la legge 29 maggio 1982, n. 297)  che  ha
 disciplinato  ex  novo  l'indennita'  di  fine rapporto a partire dal
 1›giugno 1982, data della  sua  entrata  in  vigore,  mentre  per  il
 periodo  precedente sono rimaste in vigore le norme del codice civile
 (art. 2120 cod. civ. e segg.).
    La  detta  indennita'  ha assunto una nuova fisionomia, diventando
 risparmio assoggettabile a rivalutazione ed e'  liquidata  con  nuovi
 criteri e modalita'.
    Il  secondo comma dell'art. 5 di detta legge ha disposto che nella
 retribuzione annua utile ai fini della detta  indennita',  a  partire
 dal  1›  gennaio  1983  e  fino al 1› gennaio 1986, fossero computati
 anche i punti di contingenza o  gli  emolumenti  di  analoga  natura,
 maturati  dal  1›  febbraio 1977 fino al 31 maggio 1982, cioe' quelli
 "congelati" a suo tempo.
    Il   terzo  comma  dello  stesso  art.  5,  aggiunto  in  sede  di
 Commissione, ha previsto a favore dei lavoratori che avessero cessato
 il  rapporto di lavoro prima del 1986, la corresponsione "una tantum"
 dei detti aumenti, non ancora computati a norma del comma precedente,
 in aggiunta al trattamento di fine rapporto.
    Il  legislatore ha previsto, quindi, due criteri: uno a favore dei
 lavoratori la cui indennita' di fine rapporto e' liquidata secondo la
 nuova  legge  (inglobamento  nella  retribuzione  annua  dei 25 punti
 semestrali a partire dal 1› gennaio 1983 e fino al 1› gennaio 1986) e
 l'altro a favore dei lavoratori che avevano cessato il rapporto prima
 del 1› gennaio 1983 e la cui indennita' di fine  rapporto  era  stata
 liquidata  in  massima  parte secondo la legge abrogata (liquidazione
 "una tantum" dei 175 punti di contingenza, in aggiunta al trattamento
 di fine rapporto; e l'interpretazione e' seguita dalla giurisprudenza
 formatasi sul punto). Per i lavoratori che, pur cessando il  rapporto
 di lavoro prima del 1986, abbiano maturato alcuni punti semestrali, i
 restanti punti vengono liquidati "una tantum" sempre in  aggiunta  al
 trattamento di fine rapporto.
    Gli  attori  dei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione hanno
 cessato il loro rapporto di lavoro quasi tutti prima del  1›  gennaio
 1983;  tranne due, il cui rapporto, invece, e' cessato il 28 febbraio
 1983 e il 30 giugno 1983, sempre, pero', prima del 1986.
    2.2  -  In  via  generale  si osserva che la norma in esame ha una
 finalita' prettamente equitativa ed  una  funzione  compensativa  per
 coloro  che  hanno  cessato  il  rapporto  di  lavoro  nel  1986.  Il
 reinserimento globale  ed  integrale  della  contingenza  "congelata"
 nella  retribuzione presa a base del calcolo per l'indennita' di fine
 rapporto e' largamente compensativa del sacrificio imposto loro dalla
 legge   n.   91   del  1977,  atteso  anche  le  nuove  modalita'  di
 determinazione della indennita' e la fruibilita' della  maggiorazione
 degli  importi  anche  per effetto delle trattative contrattuali. Per
 gli altri lavoratori ha  una  funzione  prettamente  risarcitoria  ed
 equitativa, non raggiungendo essi il reinserimento globale di tutti i
 punti di contingenza "congelati", se non fosse intervenuta  la  norma
 oggetto   della   censura  (art.  5,  terzo  comma)  sarebbero  stati
 ingiustamente  penalizzati.  Si  sarebbero   certamente   determinati
 trattamenti  differenziati  non  in  rapporto  all'anzianita'  ma per
 effetto della diversita' della base di calcolo della indennita'. E  i
 detti   lavoratori  avrebbero  subi'to  un  trattamento  peggiorativo
 rispetto alla legislazione del tempo.
    La  norma da' loro equitativamente un beneficio aggiuntivo. Mentre
 lo scaglionamento degli oneri indotti  dalla  nuova  disciplina,  pur
 innescando   differenti  regimi  nel  tempo,  garantisce  parita'  di
 trattamento nel medesimo arco temporale.
    2.3 - Si osserva, inoltre, che la norma, peraltro emanata, come si
 desume dai lavori preparatori, anche a seguito della sentenza n.  142
 del  1980  di questa Corte che decise la questione della legittimita'
 costituzionale della legge n. 91 del 1977 e nella quale si rivolse al
 legislatore  l'invito  a porre rimedio al danno subito dai lavoratori
 per effetto di detta normativa, ha gia' cessato i  suoi  effetti  nel
 1986.  Gli  inconvenienti  prodotti, i quali, peraltro, sono stati di
 modesta entita' e molto limitati, sono ormai cessati. Inoltre, si  e'
 trattato di una scelta del legislatore di politica economico-sociale,
 che  necessariamente  ha  potuto  produrre   scompensi   perche'   le
 fattispecie  da  regolare non si prestavano ad una rigorosa, puntuale
 disciplina, la quale non puo' essere di assoluto dettaglio.
    Il risarcimento che il legislatore ha effettuato non era del tutto
 graduabile  e  proporzionale  al  danno  subi'to  e,  peraltro,  gia'
 consumatosi.
    Alcuni  lavoratori possono apparire privilegiati rispetto ad altri
 che possono apparire sacrificati.
    Ma la temporaneita' della disciplina normativa e la temporaneita',
 quindi, della durata dei sacrifici e la modestia della  loro  entita'
 non ledono i principi costituzionali invocati.
    Questa  Corte  (sent.  n.  142  del 1980) ha gia' affermato che il
 legislatore puo' ristrutturare l'indennita' di anzianita' o  di  fine
 rapporto della stessa senza che risulti violato l'art. 36 Cost..
    Le  innovazioni  del  genere  devono tenere conto della qualita' e
 quantita' di lavoro  prestato  dagli  interessati  agli  effetti  del
 combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost. Il modesto divario che si
 puo' produrre tra categorie di lavoratori che cessano dal rapporto di
 lavoro  in  varie  epoche, non arreca offesa in misura censurabile da
 questa Corte al criterio  della  quantita'  di  lavoro  assunto  come
 durata  del  rapporto  e  componente  del  calcolo  del quantum della
 indennita' in tal senso garantito dall'art. 36 Cost.  E'  sufficiente
 che  esista  un  rapporto  ragionevole  tra  quantita'  di  lavoro  e
 retribuzione complessiva;