ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
                         Considerato in diritto
    1.  -  I  giudizi  promossi  dalle  ordinanze in epigrafe hanno ad
 oggetto questioni identiche, analoghe o connesse relative  a  diversi
 aspetti  della  legislazione premiale a favore degli ex-combattenti e
 assimilati: pertanto  possono  essere  riuniti  e  decisi  con  unica
 sentenza.
    2.  -  Numerose  autorita'  remittenti  pongono  innanzi  tutto il
 quesito se l'art. 30- bis  della  l.  26  aprile  1983,  n.  131  (di
 conversione,  con  modificazioni,  del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55),
 sia costituzionalmente illegittimo in riferimento all'art. 81, quarto
 comma Cost.
    Tale  disposizione  -  adottata  a  seguito della dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 6 l. 9 ottobre 1971,
 n.  824  pronunziata  con  sent.  n. 92 del 1981 - nel dettare, "agli
 effetti dei pensionamenti" derivati dalla legge n. 336 del  1970,  un
 comma  aggiuntivo a tale art. 6, stabilisce che gli enti e le aziende
 datori di lavoro debbano far fronte agli oneri finanziari relativi ai
 benefici   combattentistici   riconosciuti   ai   propri   dipendenti
 "parzialmente utilizzando o le disponibilita'  del  proprio  bilancio
 provenienti  dai  trasferimenti  operati  a carico del bilancio dello
 Stato, o quelle affluite in bilancio  in  relazione  alle  specifiche
 attivita' svolte" dagli enti ed aziende medesimi.
    Come  specificato  in  narrativa,  i giudici a quibus lamentano in
 sostanza  che  il  duplice  riferimento  ai  fondi  provenienti   dai
 trasferimenti  a  carico  del  bilancio  dello  Stato  e alle risorse
 derivanti dalle attivita' proprie dei datori di lavoro,  sarebbe  del
 tutto  indeterminato,  generico  ed ipotetico, e percio' non idoneo a
 soddisfare il precetto costituzionale  invocato,  cosi'  come  inteso
 sinora  dalla  giurisprudenza di questa Corte. Nella medesima censura
 il Pretore di Firenze (r.o. n.702/1985) coinvolge pure gli  artt.  1,
 2,  3,  primo, secondo e terzo comma l. n. 336 del 1970 e 6 l. n. 824
 del 1971, perche' attributivi di benefici  che,  privi  di  copertura
 finanziaria, resterebbero patrimonialmente inoperanti.
   Alcune  autorita' remittenti impugnano poi il medesimo art. 30- bis
 - a volte congiuntamente con l'art. 6 l. n.  824  del  1971  -  anche
 perche', imponendo oneri finanziari a carico degli enti locali minori
 e delle loro aziende,  senza  corrispondente  copertura,  in  materie
 estranee  all'ambito  delle  loro  finalita' istituzionali, lederebbe
 l'autonomia finanziaria di questi, in contrasto con gli artt. 5, 114,
 119, 128 Cost.
    Il  Pretore  di  Brescia (r.o. n. 706/1985) impugna lo stesso art.
 30- bis per violazione dell'art. 136 Cost.  perche',  contenendo  una
 indicazione  fittizia  di  copertura  finanziaria, si limiterebbe, in
 realta' a reiterare, con diversa formulazione, il disposto originario
 dell'art.   6  l.  n.  824  del  1971  dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo.
    Infine,  il Pretore di Pisa, con due successive ordinanze (r.o. n.
 891/1985 e r.o. n. 773/1/986) denunzia che il ripetuto art. 30-  bis,
 unitamente  all'art. 6 l. n. 824 del 1971, limitando espressamente la
 disposta copertura finanziaria ai soli oneri sopportati agli  effetti
 dei  pensionamenti,  lascerebbe prive di copertura le spese sostenute
 dalle aziende per la corresponsione dei benefici combattentistici  in
 corso  di rapporto di lavoro: di qui l'asserita violazione, oltre che
 dell'art. 81, quarto comma Cost., anche dell'art. 3 Cost. poiche'  la
 normativa  impugnata  instaurerebbe  una ingiustificata disparita' di
 trattamento tra i lavoratori  dipendenti,  impedendo  ai  beneficiari
 delle  agevolazioni  diverse  da  quelle connesse al pensionamento di
 acquisire i relativi incrementi economici.
    3.   -   Delle   numerose   questioni   cosi'  riassunte,  debbono
 preliminarmente  dichiararsi  manifestamente   inammissibili   quelle
 proposte dal Pretore di Lucca (r.o. n. 781/1985 ed r.o. n. 782/1985),
 dal Pretore di Ancona (r.o. n. 662/1986),  dal  Tribunale  di  Verona
 (r.o.  n.  805/1986) e dal Tribunale di Torino (r.o. n. 289/1987). Le
 rispettive  ordinanze  di  rimessione  infatti  non   illustrano   la
 fattispecie  concreta  oggetto  dei  giudizi  ne'  contengono  alcuna
 effettiva motivazione  della  rilevanza:  pertanto,  per  le  ragioni
 ripetutamente  evidenziate  nella  costante  giurisprudenza di questa
 Corte, esse non costituiscono atti idonei ad introdurre  il  giudizio
 di legittimita' costituzionale.
    Inammissibile  deve essere dichiarata anche la questione sollevata
 dal Pretore di Pisa (r.o. n. 773/1986). Il  Pretore  infatti  impugna
 l'art.  30-  bis,  da  un  lato  perche' la copertura finanziaria ivi
 prevista non si  estenderebbe  ai  benefici  in  corso  di  rapporto,
 dall'altro,   ma   con   cio'  evidentemente  e  contraddittoriamente
 presupponendo tale estensione, perche' non  appresterebbe  per  detti
 benefici   una   copertura   finanziaria  sufficiente:  poiche'  tale
 contraddittoria   prospettazione   della   questione   impedisce   di
 identificare   il   thema  decidendum  sottoposto  al  giudice  della
 costituzionalita' delle leggi, nonche' di valutare la rilevanza della
 eccepita  illegittimita'  costituzionale, la stessa questione, giusta
 la pregressa giurisprudenza di questa Corte (v. ad es. sentt. nn. 169
 del  1982  e  269  del  1984;  ord.  n. 315 del 1985), deve ritenersi
 inammissibile.
    4.  -  L'eccezione  di irrilevanza, proposta dall'Avvocatura dello
 Stato con riguardo alla questione sollevata dal Pretore di Pisa (r.o.
 n.  891/1985) in un giudizio vertente tra l'ACIT e alcuni dipendenti,
 non puo' essere accolta.
    Pur non dubitandosi della legittimita' delle norme attributive dei
 diritti controversi, delle quali il Pretore  deve  fare  applicazione
 nel  giudizio  a  quo,  non  puo'  negarsi  infatti  che la copertura
 finanziaria delle spese indispensabili per  realizzare  tali  diritti
 costituisca   un   presupposto   necessario  delle  prime,  ne'  puo'
 contestarsi l'incidenza che l'esito del giudizio di costituzionalita'
 della  disposizione  impugnata  e'  suscettibile  di  esplicare sulla
 complessiva posizione debitoria della  convenuta  ACIT  in  relazione
 all'eventuale soddisfacimento del credito dedotto in giudizio.
    5.  -  Nel  merito,  la  questione sull'art. 30- bis l. n. 131 del
 1983, in riferimento all'art. 81, quarto comma Cost., non e' fondata.
    L'art. 30- bis infatti, dettando un comma aggiuntivo all'art. 6 l.
 n. 824 del 1971 ha inteso colmare il vuoto seguito alla dichiarazione
 di  illegittimita'  costituzionale di tale ultima disposizione "nella
 parte in cui  non  indica  con  quali  mezzi  i  Comuni,  le  Aziende
 municipalizzate  e  i  relativi  Consorzi,  faranno fronte agli oneri
 finanziari posti a loro carico" derivanti dall'applicazione della  l.
 n. 336 del 1970.
    Dovendo  provvedere  a dotare delle necessarie risorse finanziarie
 numerosi enti di diversa natura e assoggettati a differenti regimi di
 finanziamento,  il  legislatore  ha  scelto  una formula riassuntiva,
 necessariamente  generica,  la  quale,  per  quanto  in   particolare
 riguarda gli enti che (soli) sono coinvolti nella presente questione,
 e cioe' le Aziende di trasporto pubblico locale, e'  sufficientemente
 specificata  dai  numerosi  interventi normativi con i quali e' stato
 assicurato il  loro  finanziamento,  culminati  nella  recente  l.  6
 febbraio  1987,  n. 18, di conversione del d.l. n. 833 del 9 dicembre
 1986, che ha inteso garantire - in attesa, come si legge  nei  lavori
 preparatori,  di  un  definitivo riassetto del settore - la copertura
 pressoche' integrale dei loro disavanzi di  esercizio  relativi  agli
 anni  dal 1982 al 1986, che non avessero gia' trovato copertura con i
 contributi previsti con la l. n. 151 del 1981, istitutiva  del  fondo
 nazionale  per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di
 trasporto.
    E'  vero  che  tali  provvedimenti  non menzionano puntualmente la
 quota dei  finanziamenti  da  destinare  al  pagamento  dei  benefici
 combattentistici, ne', del resto, quelle da utilizzare per ogni altro
 specifico impiego. Cio'  pero'  e'  privo  di  rilievo  ai  fini  del
 soddisfacimento  del  precetto dell'art. 81, quarto comma Cost. in un
 caso come quello in esame
 nel  quale,  con  i particolari meccanismi prescelti dal legislatore,
 nell'uso non irragionevole della sua discrezionalita', si  e'  inteso
 garantire  agli  enti  interessati, con l'obbiettivo di conseguire il
 prescritto pareggio di bilancio, una dotazione globale  in  relazione
 alle  complessive  necessita'  debitamente  rappresentate  dagli enti
 medesimi, lasciando all'autonomia di scelta e alla responsabilita' di
 questi di ripartire i fondi in loro possesso tra i diversi impegni di
 spesa, compresi, dunque, quelli relativi all'attuazione della  l.  n.
 336 del 1970.
    Segue,  da  queste  considerazioni, l'infondatezza della questione
 dell'art. 30- bis in relazione all'art. 81, quarto comma Cost.,  come
 pure  delle  questioni  che  coinvolgono, nella medesima censura, gli
 artt. 1, 2, 3, primo, secondo e terzo comma l. n. 336 del 1970 e 6 l.
 n. 824 del 1971.
    Dalla   esclusione  dell'asserita  violazione  della  prescrizione
 costituzionale sull'obbligo  della  copertura  finanziaria,  consegue
 altresi'  l'infondatezza  delle  censure  delle  norme  menzionate in
 relazione agli artt. 5, 114, 119 e 128 Cost.
    Egualmente   insussistente   deve  poi  ritenersi  il  prospettato
 contrasto del detto art. 30- bis, con l'art. 136  Cost.,  posto  che,
 per  le  ragioni  sopra  illustrate, non puo' sostenersi che la norma
 impugnata riproduca, con una mera variante terminologica, l'art. 6 l.
 n.   824   del   1971   nella   parte  dichiarata  costituzionalmente
 illegittima.
    6.  -  Quanto infine alla questione, prospettata, sempre sull'art.
 30- bis, dal Pretore di Pisa (r.o.  n.  891/1985),  e  relativa  alla
 mancata  ricomprensione,  nella  copertura,  degli oneri per benefici
 diversi da quelli connessi all'istituto del collocamento a riposo, si
 puo'   osservare   che,   pur  essendo  la  legge  impugnata  diretta
 essenzialmente  all'approntamento  delle  risorse  necessarie  a  far
 fronte  agli  impegni di spesa relativi alle agevolazioni collegate a
 tale istituto - agevolazioni che costituiscono senza dubbio l'aspetto
 piu' incisivo e qualificante della legislazione premiale (Corte Cost.
 n.194 del 1976) e intorno alle quali si era creato il contenzioso  di
 gran lunga piu' consistente - tuttavia, a parte la considerazione che
 il testo del comma da aggiungere all'art. 6 l. n. 824 del 1971 ha una
 portata generale, comprensiva di tutti gli oneri connessi a qualsiasi
 beneficio, non c'e' ragione di ritenere che la  spesa  derivante  dai
 benefici  in  corso  di  rapporto,  nell'ambito di quella complessiva
 relativa alla ordinaria gestione del personale,  non  trovi  capienza
 nel  finanziamento globale assicurato, specie con la recente legge n.
 18  del  1987,  alle  aziende  pubbliche  di  trasporto  locale.   Di
 conseguenza,  anche tale ultima questione deve ritenersi non fondata.
    7.  - La questione relativa all'art. 6 l. n. 824 del 1981, nel suo
 testo originario, in riferimento agli artt. 52  e  81,  quarto  comma
 Cost.,  sollevata  dal Pretore di Venezia con ordinanza del 18 maggio
 1977 (pervenuta a questa Corte il  5  settembre  1984  e  recante  il
 numero   1024   r.o.  1984)  deve  essere  dichiarata  manifestamente
 inammissibile perche' nel  frattempo  la  disposizione  censurata  e'
 stata ritenuta, nella parte impugnata, costituzionalmente illegittima
 dalla sentenza n. 92 del 1981.
    Infine,  deve  essere  disposta  la  restituzione  degli  atti  al
 Tribunale  di  Brescia  perche'  valuti  se  le  proposte   questioni
 sull'art.  6  l. n. 824 del 1971, cosi' come sopravvissuto alla detta
 dichiarazione di incostituzionalita' (r.o. n. 774 del 1982 e r.o.  n.
 761  del  1986)  siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus data la
 sopravvenienza dell'art. 30- bis l. n. 131 del 1983.
    8.  -  Il  Pretore di Firenze (r.o. n. 702/1985) e il Tribunale di
 Torino (r.o. n. 289/1987) impugnano l'art. 30- ter della stessa l. n.
 131  del  1983,  il  primo in relazione agli artt. 3, 38 e 81, quarto
 comma Cost., il secondo in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost.
    La  questione  proposta  dal  Tribunale  di  Torino,  deve  essere
 dichiarata,  per   le   ragioni   sopra   enunciate,   manifestamente
 inammissibile (par. 3).
    Il  Pretore  di  Firenze lamenta che, quanto ai crediti degli enti
 anticipatori precedenti alla data di entrata in vigore  della  l.  n.
 131  del  1983,  l'art. 30- ter, disponendo l'estinzione dei relativi
 giudizi pendenti a tale data tra  questi  enti  e  quelli  datori  di
 lavoro,  non avrebbe un mero valore processuale, ma avrebbe inteso in
 realta' disporre l'estinzione degli stessi diritti azionati,  con  la
 conseguenza  che  gli  istituti  erogatori,  non avendo piu' titolo a
 chiedere ai datori di lavoro - neanche,  come  nel  caso  di  specie,
 successivamente all'entrata in vigore della nuova legge - il rimborso
 dei pagamenti gia' effettuati, rimarrebbero onerati in via definitiva
 di  spese  per le quali essi erano nel sistema originario della l. n.
 824 del  1971  solo  anticipatori,  con  conseguente  violazione  dei
 parametri invocati.
    La  questione cosi' sollevata non e' fondata, perche' basata su un
 erroneo presupposto interpretativo.
    Infatti  la norma impugnata, come ha piu' volte precisato anche la
 Corte di Cassazione e come,  del  resto,  e'  fatto  chiaro  dal  suo
 inequivoco tenore letterale, ha inteso esclusivamente eliminare - una
 volta assicurata, con l'art. 30- bis, la necessaria copertura,  senza
 distinzione temporale, di ogni onere connesso alla corresponsione dei
 benefici - tutto, e solo, il contenzioso  ancora  pendente  tra  enti
 anticipatori  ed  enti  datori  di  lavoro  vertente  sui  rispettivi
 obblighi di pagamento e originato dalla prima  sospettata  e  poi  da
 questa Corte accertata mancata indicazione dei finanziamenti.
 Essa  non ha inteso invece incidere sulle situazioni sostanziali, che
 permangono integre e possono pertanto essere, e in fatto sono  state,
 azionate  in qualunque momento successivo all'entrata in vigore della
 l. n. 131 del 1983.
    Di qui, l'infondatezza della questione, sotto tutti i profili.
    9. - Il secondo ordine di questioni, investe l'art. un. della l. 9
 maggio  1984,   n.118,   la   quale,   intitolata   come   legge   di
 interpretazione   autentica  della  l.  n.  336  del  1970,  dichiara
 applicabili i  benefici  combattentistici,  con  effetto  dalla  data
 prevista  dalle  relative  norme  istitutive, anche nei confronti dei
 trattamenti  pensionistici  a  carico   dell'assicurazione   generale
 obbligatoria  per  l'invalidita',  la  vecchiaia  e  i superstiti dei
 lavoratori dipendenti.
    Le   autorita'   remittenti   prospettano   il   dubbio  che  tale
 disposizione sia in contrasto con:
       a) gli artt. 101, secondo comma e 104, primo comma Cost., sotto
 il profilo dell'eccesso di  potere  legislativo,  perche',  sotto  la
 veste  dell'interpretazione autentica, avrebbe in realta' introdotto,
 con  efficacia  retroattiva,  una  norma  nuova,   contrastante   con
 l'indirizzo giurisprudenziale prevalente e consolidato della Corte di
 Cassazione.
       b)  l'art.  3  Cost., perche' determinerebbe una ingiustificata
 disparita' di trattamento per un verso, tra enti pubblici  economici,
 a  seconda  che  abbiano  o meno dipendenti ex combattenti: per altro
 verso, tra enti pubblici economici e, da un  lato,  aziende  private,
 non  tenute  alla  corresponsione dei benefici, dall'altro enti della
 finanza pubblica allargata, i cui costi  relativi  sarebbero  coperti
 dalle risorse indicate dall'art. 30- bis.
       c)  l'art.  53  Cost., perche' comporterebbe un prelevamento di
 ricchezza anche con  efficacia  retroattiva  non  proporzionato  alla
 capacita' contributiva dei soggetti onerati.
       d)  l'art.  41  Cost.,  perche', sottoponendo gli enti pubblici
 economici, a differenza dei concorrenti imprenditori privati,  ad  un
 prelievo   di   ricchezza   non  proporzionato  alla  loro  capacita'
 contributiva,  ne  comprimerebbe  illegittimamente  la  liberta'   di
 iniziativa economica.
    Le  ordinanze  che prospettano i dubbi sub b ), c ) e d) impugnano
 l'art. un. l. n. 118 del 1984 unitamente agli artt. 4 l. n.  336  del
 1970 e 6 l. n. 824 del 1971.
    10.  -  E' innanzi tutto da respingere la eccezione di irrilevanza
 sollevata dalla difesa delle Casse di Risparmio di Volterra e  di  S.
 Miniato (r.o. nn. 1265 e 1266/1984) e motivata dalla inapplicabilita'
 della  legge  impugnata,  pena  una  inaccettabile  duplicazione  dei
 benefici,  alle  Casse  medesime,  gia'  tenute  a corrisponderli nei
 trattamenti aziendali.  A  parte  infatti  la  chiara  dizione  della
 formula  legislativa,  che non consente esclusioni di sorta, la Corte
 di Cassazione, Sezione Lavoro ha ripetutamente affermato che  non  e'
 ipotizzabile  alcuna ingiusta duplicazione dei benefici nei confronti
 dei dipendenti delle Casse  di  Risparmio,  essendo,  il  trattamento
 previdenziale    aziendale,    integrativo    rispetto    a    quello
 dell'assicurazione generale obbligatoria, si' che, concorrendo i  due
 trattamenti, l'intervento del fondo integrativo deve ridursi di tanto
 di  quanto  viene  ad  incrementarsi  il   trattamento   assicurativo
 dell'assicurazione generale obbligatoria.
    11.  - Nel merito, nessuna delle questioni puo' ritenersi fondata.
    Inducono  a  tale  conclusione svariati argomenti tratti sia dalla
 precedente  giurisprudenza   costituzionale,   sia   dalle   numerose
 decisioni con le quali la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha
 dichiarato manifestamente infondate questioni identiche o analoghe  a
 quelle ora sottoposte a questa Corte.
    Quanto  alla questione illustrata sub a), si puo' osservare che la
 censura dei giudici a quibus, lamentando  il  non  corretto  ricorso,
 nella  specie,  allo  strumento  della  interpretazione autentica, in
 realta' e' volta a contestare il fatto che la legge  impugnata  abbia
 disposto  retroattivamente.  A  tale censura si puo' replicare che il
 legislatore   puo'   conferire   efficacia   retroattiva   alle   sue
 disposizioni,  salvo  che  non  superi i limiti derivanti dal divieto
 posto dall'art. 25 Cost. per la materia penale o da  altri  specifici
 disposti costituzionali, quali, per esempio, quello dell'art. 3 Cost.
 Di conseguenza, ove,  come  nel  caso  presente,  tali  limiti  siano
 rispettati,    "e'   indifferente   che   il   legislatore   disponga
 l'operativita' di una legge anche per il passato,  anziche'  mediante
 un'apposita  norma,  mediante  un  diverso  strumento, quale e', come
 nella specie, l'autodefinizione di interpretazione autentica"  (sent.
 n. 36 del 1985).
    La  legge  di  interpretazione  autentica infatti non si distingue
 dalla legge innovativa con efficacia retroattiva,  essendo  anch'essa
 innovativa  (v.  sent. n. 118 del 1957) e naturalmente retroattiva, e
 non interferisce, di per  se',  con  la  sfera  riservata  al  potere
 giudiziario. Ne' puo', nella specie, affermarsi la sussistenza di una
 interferenza  e  dunque   l'illegittimita'   dell'impiego   di   tale
 strumento,  adducendosi  l'inesistenza  di  un  precedente  contrasto
 giurisprudenziale ed, anzi, la presenza di un  orientamento  omogeneo
 della Cassazione in senso opposto.
   Infatti, anche a prescindere dal fatto che tale orientamento non si
 era pacificamente affermato, ma continuava  ad  essere  disatteso  da
 numerosi   giudici   di   merito,   si   deve  notare,  conformemente
 all'opinione piu' volte espressa dalla stessa Corte di  Cassazione  e
 dalla  piu'  attenta  dottrina,  che  l'esistenza  di interpretazioni
 giudiziali discordanti, costituendo un  dato  estrinseco  alla  legge
 interpretativa   e   al  suo  contenuto,  non  puo'  considerarsi  un
 presupposto  indispensabile  di  legittimita'   dell'intervento   del
 legislatore  che,  in base a scelte politico-discrezionali, decida di
 imporre erga omnes  un  certo  significato  normativo  di  precedenti
 disposizioni.  Il  contrasto interpretativo puo' costituire un indice
 di riconoscimento della legge come  interpretativa  (cosi'  come  del
 resto  e'  stato  utilizzato,  unitamente ad altri e piu' consistenti
 indizi - quali,  in  particolare,  l'obbiettivo  contenuto  dell'atto
 normativo  -  dalla  sent.  n. 187 del 1981 di questa Corte, relativa
 peraltro allo specifico regime della legge regionale).
    12.  -  Quanto  alle censure relative all'art. 3 Cost., l'evidente
 disomogeneita' delle situazioni  poste  a  raffronto  -  non  potendo
 assimilarsi  la  posizione  degli  enti pubblici economici con quella
 degli imprenditori privati (v. sent. 194 del  1976)  ne'  con  quella
 degli   enti   della   finanza  pubblica  allargata  -  impedisce  la
 possibilita'   di   configurare   la   violazione    del    principio
 costituzionale  di  eguaglianza, mentre risulta essere una differenza
 accidentale e di mero fatto, e percio' irrilevante  in  questa  sede,
 quella  tra  enti  pubblici economici a seconda che abbiano o no alle
 proprie dipendenze ex-combattenti. Ne',  come  gia'  affermato  nelle
 sentenze  92  e  189  del  1981,  puo'  questa  Corte  considerare la
 situazione specifica di ciascun ente.
    Per  quanto  riguarda l'asserita violazione dell'art. 53 Cost., si
 puo' rilevare che gli argomenti che la sostengono possono  essere  in
 gran  parte  disattesi  ricorrendo  ai  principi gia' affermati nelle
 richiamate sentenze del 1981, delle quali, peraltro, la  n.  189  non
 puo'  dirsi  condizionata  dalla  allora  ritenuta  esclusione  della
 applicazione   dei   benefici    combattentistici    alla    pensione
 dell'assicurazione  generale obbligatoria, non essendo dato rinvenire
 nella sua stringata motivazione alcuna indicazione in tal senso.
    Ne'  consente di giungere a diversa decisione l'argomento centrato
 sulla  consistenza   degli   effetti   retroattivi   dell'imposizione
 dell'onere  a  carico  degli  enti  interessati  in conseguenza della
 applicazione suddetta.
    Questa Corte ha infatti gia' ripetutamente negata l'illegittimita'
 della legge  tributaria  retroattiva  se  la  capacita'  contributiva
 permanga  al  momento dell'imposizione del prelievo (v. sentt. nn. 44
 del 1966, 75 del 1969, 143 del 1982): nel caso presente non e'  stato
 dedotto  ne'  dimostrato che sia avvenuto un deterioramento che abbia
 inciso nella capacita' economica dei  soggetti  onerati  nel  periodo
 intercorrente  tra il momento della nascita dell'obbligo di pagamento
 e quello dell'entrata in  vigore  della  legge  impugnata,  ne'  tale
 deterioramento,  al  di  fuori di qualsiasi specifica documentazione,
 puo' presumersi come certamente avvenuto  per  il  solo  fatto  della
 estensione temporale di tale periodo.
    Dall'infondatezza  di  tali  censure consegue, nella specie, anche
 l'infondatezza della prospettata violazione dell'art. 41 Cost.
    13. - Manifestamente infondata e' poi la questione sollevata dalle
 Sezioni Unite della Corte di Cassazione (r.o. n.  171/1987),  poiche'
 e' basata sull'erroneo presupposto che l'Automobile Club di Pavia non
 sia ricompreso tra gli enti della finanza pubblica allargata, cui  si
 riferisce  la  norma  di copertura dell'art. 30- bis sopra esaminata:
 esso viceversa, risulta incluso in tale  categoria  dai  decreti  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri 5 marzo 1979 e 2 luglio 1983.
    Si   deve   infine   rilevare   che   i   dubbi   di  legittimita'
 costituzionale, prospettati nelle memorie difensive del Consorzio  di
 Bonifica  "Ufficio  dei  Fiumi e Fossi" di Pisa (r.o. n. 1265/1984) e
 delle Casse di Risparmio di Volterra (r.o.  n.  1265/1984)  e  di  S.
 Miniato  (r.o.  n.  1266/1984), ulteriori e diversi rispetto a quelli
 sollevati dalle ordinanze di rimessione non possono essere  presi  in
 esame,  non  essendo,  com'e'  noto,  le  parti private legittimate a
 sottoporre direttamente a  questa  Corte  questioni  di  legittimita'
 costituzionale.