ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 26, lett. b) e
 c) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni  di
 immobili  urbani), 35, commi ottavo, lett. e) e quattordicesimo della
 legge  22  ottobre  1971,   n.   865   (Programmi   e   coordinamento
 dell'edilizia  residenziale  pubblica; norme sulla espropriazione per
 pubblica utilita';
 modifiche ed integrazioni alle LL. 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile
 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione  di  spesa
 per  interventi  straordinari nel settore dell'edilizia residenziale,
 agevolata e convenzionata) e 8, primo comma, lett. c) della legge  28
 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli), promossi
 con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 24 luglio 1984 dal Pretore di Bologna nel
 procedimento civile vertente tra  Melotti  Evangelista  e  la  s.r.l.
 Cooperativa  per  la  costruzione  ed  il  risanamento  di  case  per
 lavoratori, iscritta  al  n.  1106  del  registro  ordinanze  1984  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 25- bis
 dell'anno 1985;
      2)  ordinanza  emessa l'11 aprile 1985 dalla Corte di Cassazione
 sul ricorso proposto da Todisco Antonuccio ed altri contro L'Istituto
 Postelegrafonici  ed altra, iscritta al n. 733 del registro ordinanze
 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  9,
 prima serie speciale, dell'anno 1986;
      3)  n.  10  ordinanze  emesse il 25 novembre 1986 dal Pretore di
 Roma nei procedimenti civili vertenti tra Campagna Vincenzo,  Campisi
 Salvatore,  Canale Rosa, Costantini Romeo, Donsanti Giuseppe, Gennaro
 Sebastiano,  Lanci  Franco,  Pauselli  Arturo,  Prili   Giancarlo   e
 Altavilla  Fausto  e la s.p.a. Assitalia ed altra, iscritte ai nn. da
 37 a 46 del registro  ordinanze  1987  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  12  e  13,  prima  serie speciale,
 dell'anno 1987;
    Visti  l'atto  di costituzione di Bucci Ferruccio ed altri nonche'
 gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  27  ottobre  1987  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli Avvocati dello Stato Giacomo Mataloni e Luigi Siconolfi
 per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa il 24 luglio 1984 (r.o. 1106/84) in sede
 di decisione sul ricorso proposto da Melotti Evangelista per ottenere
 l'applicazione  dell'equo  canone  per  il  godimento  di un alloggio
 locatogli  dalla  Societa'  Cooperativa  per  la  costruzione  ed  il
 risanamento  di  case  per  lavoratori  e  soggetto  alla  disciplina
 dell'edilizia convenzionata,  il  Pretore  di  Bologna  ha  sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 26, primo comma,
 lett. c) della legge  27  luglio  1978,  n.  392,  (Disciplina  delle
 locazioni  di  immobili  urbani),  in  relazione agli artt. 35, comma
 ottavo, lett. e) e comma quattordicesimo della legge 22 ottobre 1971,
 n. 865 (c.d. legge sulla casa) e 8, comma primo, lett. c) della legge
 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli).
    L'edilizia  convenzionata  prevista  dagli  artt. 35 l. n. 865 del
 1971 e 7 - 8 l. n. 10 del 1977 - ricorda il Pretore - e'  un'edilizia
 a  carattere  economico-popolare  disciplinata da convenzioni in base
 alle quali il Comune  concede  all'ente  costruttore  il  diritto  di
 superficie  su aree comprese nei piani approvati ai sensi della l. n.
 167 del 1962, convenzioni nelle quali sono tra  l'altro  stabiliti  i
 criteri  per  la  determinazione  e revisione periodica dei canoni di
 locazione "sulla base delle somme occorrenti per la remunerazione del
 capitale  investito":  sicche',  in  sostanza, il corrispettivo della
 locazione viene  determinato  in  funzione  del  costo  effettivo  di
 costruzione  e  non  gia'  in funzione del costo teorico assunto come
 base di calcolo dalla legge n. 392 del 1978.
    In  base  a  tale  disciplina  -  osserva  il  giudice  a quo - il
 corrispettivo del godimento risulta nel caso di specie superiore  (L.
 292.000)  a  quello  derivante dall'applicazione dell'equo canone (L.
 149.380).
    L'art.  26  lett.  c)  l.  n.  392  del  1978,  in  quanto esclude
 l'applicazione dell'equo canone agli alloggi soggetti alla disciplina
 dell'edilizia  convenzionata,  violerebbe  percio' l'art. 3 Cost., in
 quanto indurrebbe una disparita' di trattamento tra l'assegnatario in
 locazione  di  un alloggio economico-popolare e il conduttore ad equo
 canone: disparita' che potrebbe ammettersi qualora al  primo  venisse
 assicurato  un  trattamento  piu'  favorevole in considerazione delle
 piu'  precarie  condizioni  economiche,  ma  che  appare  del   tutto
 ingiustificata laddove determini la situazione opposta.
    2. - La medesima questione di legittimita' costituzionale e' stata
 sollevata dal Pretore di Roma con dieci  ordinanze  recanti  identica
 motivazione  emesse  tutte  il  25 novembre 1986 (nn. da 37 a 46 r.o.
 1987) nel corso  di  altrettanti  procedimenti  civili  promossi  nei
 confronti   della  Assitalia  s.p.a.  da  conduttori  di  alloggi  di
 proprieta' di questa per ottenere l'applicazione dell'equo canone  in
 quanto piu' favorevole.
    Il  Pretore  rileva  che  nella  specie  la convenzione prevede la
 determinazione del canone in base "agli indici fissati dal Comune  in
 percentuale  del  valore desunto dai prezzi stabiliti per la cessione
 degli alloggi, in misura adeguata alla remunerazione e ricostituzione
 degli  investimenti... nonche' alla copertura delle spese di gestione
 e manutenzione degli immobili": il che comporta una  percentuale  del
 4%  del  costo  effettivo di costruzione, da rivalutarsi ogni biennio
 sull'intera variazione ISTAT ex art. 8 l.  n.  10  del  1977.  Invece
 l'equo  canone  e' fissato dal legislatore in misura non superiore al
 3,85%  del  valore  locativo  dell'immobile  in  base  al  costo   di
 costruzione   teorico,   suscettibile  di  variazione  in  virtu'  di
 coefficienti correttivi che l'adeguano al reale stato di esso, e puo'
 essere  rivalutato  annualmente  nei  limiti del 75% della variazione
 ISTAT. Di qui la posizione di svantaggio  rispetto  alla  generalita'
 degli  altri  locatari  determinatasi a seguito dell'introduzione del
 regime di equo canone in danno dei conduttori di alloggi di  edilizia
 convenzionata,  che  sarebbe  del tutto ingiustificata trattandosi di
 persone certamente meno abbienti,  stanti  i  requisiti  personali  e
 reddituali richiesti per l'accesso a tali immobili.
    3.  -  Intervenendo  con  memorie  di  analogo tenore nei predetti
 giudizi, l'Avvocatura dello Stato eccepisce la manifesta infondatezza
 della  questione,  in quanto nelle ordinanze non viene dimostrato che
 la dedotta maggiore onerosita' sia un effetto diretto e costante -  e
 non meramente occasionale e di specie - dell'applicazione delle norme
 sull'edilizia  convenzionata.  Ne'  cio'  sarebbe  desumibile   dagli
 impugnati  artt.  35  l.  n.  865 del 1971 e 7 - 8 l. n. 10 del 1977,
 tenuto conto anche dei particolari interventi normativi riservati  in
 materia alle regioni.
    Premesso,  inoltre, che nella specie non vengono in considerazione
 le  norme  sui  canoni  di  locazione  degli  alloggi   di   edilizia
 residenziale  pubblica  (di cui agli artt. 19 e 20 d.P.R. n. 1035 del
 1972, 22 l. n. 513 del 1977 e 2 l. n.  457  del  1978),  l'Avvocatura
 osserva  che  le  tre  disposizioni  impugnate  contengono discipline
 diverse nei  presupposti  e/o  nei  fini  e  danno  luogo  percio'  a
 situazioni tra loro non comparabili.
    "L'art.  35  della  l.  n.  865  del 1971 e' inteso a coordinare e
 disciplinare l'attivita' costruttiva degli enti operanti nei piani di
 zona  di  cui alla legge n. 167 del 1962, anche mediante convenzioni,
 includenti, tra altri, i criteri per la determinazione dei canoni  di
 locazione degli alloggi, in funzione marcatamente sociale.
    Gli  artt. 7 e 8 della legge n. 10 del 1977, hanno esteso, bensi',
 la previsione di convenzioni anche al di  fuori  dei  piani  di  zona
 predetti   (il   sistema   della  convenzione  e'  stato  poi  esteso
 ulteriormente con l'art.  27  della  legge  n.  457  del  1978,  agli
 interventi   di   restauro   e   di   ristrutturazione  edilizia  ivi
 contemplati), ma in funzione (per quanto qui interessa) calmieratrice
 del  mercato  delle  abitazioni, con l'introduzione di una disciplina
 pubblica dell'offerta di abitazioni che, con  la  salvaguardia  della
 remunerazione  dei  fattori  produttivi,  consente  il  controllo dei
 contratti (oltre che di vendita)  di  locazione,  concordato  con  il
 costruttore, previa concessione a questo di particolari agevolazioni.
    Gli  artt. da 12 a 26 della legge n. 392 del 1978 attuano, invece,
 pur sempre in funzione calmieratrice, ma al di fuori degli  strumenti
 convenzionali  qui  sopra considerati, una limitazione della liberta'
 contrattuale in genere a carico dei proprietari-locatori per cio' che
 attiene alla misura dei canoni di locazione, con il riferimento ad un
 costo base  determinato,  per  gli  immobili  costruiti  fino  al  31
 dicembre  1975,  dalla  stessa  legge  (art.  14) e, per gli immobili
 costruiti successivamente a tale data, determinato, invece, anno  per
 anno  (art. 22) con decreto del Presidente della Repubblica, anche in
 misura differenziata per regioni o gruppi di regioni,  tenendo  conto
 dei  costi  di produzione dell'edilizia convenzionata, dell'incidenza
 del contributo di concessione, del costo dell'area (non superiore  al
 25%  del  costo  di  produzione)  e degli oneri di urbanizzazione che
 gravano sul costruttore".
    In  questo  quadro,  l'art.  26  della  l.  n.  392  del  1978  si
 giustifica, ad avviso dell'Avvocatura,  col  fatto  che  la  funzione
 calmieratrice  e  di controllo della congruita' dei canoni trova gia'
 realizzazione, per  gli  alloggi  di  edilizia  convenzionata,  nella
 disciplina  per  essi  predisposta.  Ma la tutela cosi' assicurata ai
 conduttori nell'ambito di ciascun  sistema  non  potrebbe  estendersi
 fino   alla   fruizione   delle   piu'   favorevoli   condizioni  che
 (probabilmente  per  ragioni  di  mero  fatto)  si  sarebbero  potute
 conseguire  se l'alloggio fosse stato realizzato e locato nell'ambito
 di un diverso sistema normativo.
    4. - Con ordinanza emessa l'11 aprile 1985 (r.o. 733/85), la Corte
 di Cassazione ha sollevato, in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  una
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26, lett. b),
 della predetta legge n. 392 del 1978, "perche'  non  prevede  che  le
 disposizioni  di  cui  al  Titolo  I Capo I della stessa legge non si
 applicano  alle  locazioni  relative  agli  alloggi   di   proprieta'
 dell'Istituto    Postelegrafonici    stipulate   con   i   dipendenti
 dell'Amministrazione postelegrafonica".
    La  Corte  condivide,  innanzitutto,  le  concordi conclusioni dei
 giudici di merito  secondo  cui  ai  ricorrenti  -  dipendenti  della
 suddetta   Amministrazione   e   locatari  di  alloggi  dell'Istituto
 Postelegrafonici - doveva applicarsi, dopo l'entrata in vigore  della
 l.  n. 392 del 1978, il canone ivi previsto e non quello - di modesta
 entita' e fissato unilateralmente dall'Istituto, consistente  in  una
 somma  equivalente  al  tasso  legale degli interessi (5%) sul prezzo
 degli  immobili,  oltre  l'1,50%  per  le  spese  di  manutenzione  -
 corrisposto precedentemente.
    Al  riguardo, la Corte precisa che, in base alla disciplina di cui
 al d.P.R. 8 aprile 1953, n. 542 (artt. 2 e 6), gli immobili costruiti
 o   acquistati   dal   predetto   Istituto  integrano  una  forma  di
 investimento di fondi, fanno parte del suo patrimonio  disponibile  e
 non  hanno  la destinazione tipica degli alloggi di edilizia popolare
 ed economica, di proprieta' di Amministrazioni  statali  o  di  altri
 enti  pubblici.  Il  fatto  poi  che  sia  previsto  un  procedimento
 amministrativo per selezionare  gli  aspiranti  locatari,  e  che  il
 canone  sia,  nel  contratto-tipo,  configurato  solo come ristoro di
 oneri e passivita' - senza, quindi, scopo di lucro - non implica  che
 trattisi   di  concessione  amministrativa,  anziche'  di  locazione.
 Questa, d'altra parte, non e' inquadrabile tra le "locazioni relative
 ad  alloggi,  costruiti  a  totale  carico dello Stato per i quali si
 applica il canone  sociale  determinato  in  base  alle  disposizioni
 vigenti"  (art.  26,  lett. b), cit.): e cio' sia perche' gli alloggi
 dell'Istituto sono stati acquistati con i fondi costituiti anche  con
 i  contributi  obbligatori di tutti i dipendenti dell'Amministrazione
 postelegrafonica, e quindi non "a totale  carico  dello  Stato";  sia
 perche'  il  canone  e'  determinato unilateralmente dall'Istituto, e
 quindi  non   puo'   qualificarsi   "canone   sociale"   imposto   da
 "disposizioni  vigenti".  Ne'  l'art.  26  lett.  b)  potrebbe essere
 applicato in via analogica alle locazioni in  esame,  giacche'  detta
 norma,  per  la  sua  natura eccezionale, incontra il divieto sancito
 dall'art. 14 delle disposizioni della legge in generale.
   Cio'  premesso,  la Corte rimettente pone a raffronto la situazione
 dei  dipendenti  dell'Amministrazione   postelegrafonica   che   sono
 locatari  di alloggi costruiti a totale carico dello Stato - i quali,
 avvalendosi della norma impugnata, pagano un canone sociale  di  gran
 lunga  piu'  vantaggioso  dell'equo  canone - e quella dei dipendenti
 della medesima Amministrazione,  locatari  di  alloggi  dell'Istituto
 postelegrafonici,  cui  l'equo  canone  si  applica pur essendo detti
 alloggi  acquistati  con  fondi  costituiti  anche   con   contributi
 obbligatori del personale della suddetta Amministrazione e nonostante
 che   l'Istituto,   all'atto   dell'assegnazione,   abbia   avvertito
 "l'esigenza,  o  quanto  meno  l'opportunita',  di  fissare un canone
 modesto,  proprio  come  si  trattasse  di  un  canone  sociale".  Il
 deteriore  trattamento  riservato  a  questi  ultimi e' ad avviso del
 giudice a quo  ingiustificato,  e  da'  luogo  percio'  a  violazione
 dell'art. 3 Cost.
    5.  -  Nel giudizio cosi' instaurato si sono costituiti taluni dei
 ricorrenti  (Ferruccio  Bucci  ed  altri),  rappresentati  e   difesi
 dall'avv. F.G. Scoca.
    Nella  relativa  memoria,  la  disparita'  prospettata dalla Corte
 rimettente viene ritenuta frutto di incoerenza e di irragionevolezza,
 in   quanto  fondata  su  categorie  oggettive  e  non  soggettive  e
 contraddittoria con la ratio della normativa in materia, posto che si
 sostiene  -  si  fa  pagare  un  canone  maggiore  a chi partecipa al
 finanziamento  di   un   tipo   di   edilizia   che   e'   pur   essa
 economico-popolare e si determina una diversa incidenza del canone di
 locazione sullo stipendio  della  medesima  categoria  di  dipendenti
 statali.
    6. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto a mezzo
 l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto innanzitutto  che  la  questione
 sia  dichiarata  inammissibile,  posto  che con essa si chiede che la
 Corte adotti una  pronuncia  additiva  o  integrativa  di  una  norma
 ordinaria ritenuta incompleta, ricomprendendo in essa una fattispecie
 ulteriore.
    Nel   merito,  poi,  l'Avvocatura  nega  il  parallelismo  tra  le
 situazioni poste a raffronto. Sotto il profilo  soggettivo,  infatti,
 la  qualita'  di  dipendente dell'Amministrazione P.T. e' presupposto
 essenziale dell'assegnazione di case economiche, mentre  gli  alloggi
 dell'Istituto  Postelegrafonici  possono  essere locati anche a terzi
 estranei.
    Sotto  il profilo oggettivo, questi ultimi alloggi fanno parte del
 patrimonio disponibile di tale Istituto e non sono quindi preordinati
 ad  un  pubblico  servizio,  mentre  quelli  acquistati  o  costruiti
 dall'Amministrazione P.T. ai  sensi  dell'art.  324  del  T.U.  delle
 disposizioni  sull'edilizia  popolare  ed  economica  (R.D. 28 aprile
 1938, n. 1165) sono per espressa previsione  normativa  destinati  ad
 essere  assegnati  al personale di tale Amministrazione e fanno parte
 del patrimonio indisponibile di questa. L'acquisto e  la  costruzione
 di  immobili,  d'altra  parte,  e'  solo  una  delle  varie  forme di
 investimento dei capitali dell'Istituto  postelegrafonici,  destinata
 ad  alimentare  i  vari fondi (di quiescenza, di mutualita', ecc.) da
 essi amministrati. I contributi versati dai dipendenti  hanno  quindi
 natura    previdenziale   e   non   sono   direttamente   finalizzati
 all'investimento immobiliare;  e  d'altra  parte  l'applicazione  del
 canone  sociale in favore di pochi confliggerebbe con le finalita' di
 buon impiego  dei  capitali  e  si  risolverebbe  in  un  pregiudizio
 dell'intera categoria assistita.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le questioni sollevate, riguardando norme ricomprese in uno
 stesso articolo di legge, possono, per affinita' di  materia,  essere
 decise con un'unica pronunzia.
    2.  - Con le ordinanze indicate in epigrafe i Pretori di Bologna e
 di Roma dubitano, in riferimento all'art. 3 Cost., della legittimita'
 costituzionale  dell'art.  26,  primo  comma, lett. c) della legge 27
 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di  immobili  urbani)
 in  quanto,  disponendo  che  non si applichino agli alloggi soggetti
 alla disciplina dell'edilizia convenzionata le disposizioni di cui al
 capo  primo  del  titolo  primo  della  stessa  legge, consente che i
 conduttori di essi siano  assoggettati  ad  un  canone  di  locazione
 superiore  -  come  verificatosi nei casi di specie - a quello "equo"
 dovuto dalla generalita' degli altri conduttori alla stregua di  tali
 disposizioni.
    Tale  risultato,  osservano i giudici a quibus, dipende da diversi
 metodi di determinazione e di aggiornamento dei canoni  di  locazione
 adottati,  rispettivamente,  dalla  legge n. 392 del 1978 (c.d. legge
 sull'equo  canone)  e  dalle  disposizioni  in   tema   di   edilizia
 convenzionata:  ed  in  ragione  di  cio'  il Pretore di Roma estende
 l'impugnativa a - e quello di Bologna la pone in relazione con -  gli
 artt. 35, comma ottavo, lett. e) e comma quattordicesimo, della legge
 22 ottobre 1971, n. 865 (c.d. legge sulla casa)  e  8,  primo  comma,
 lett.   c)  della  legge  28  gennaio  1977,  n.  10  (Norme  per  la
 edificabilita' dei suoli), che regolano la  materia  del  canone  per
 questo tipo di edilizia.
    2.1.  -  L'edilizia  convenzionata  e' stata introdotta nel nostro
 ordinamento dal citato art. 35 della l. n. 865 del 1971, che  dispone
 che  i  comuni  o  i  consorzi  di  comuni  possono  concedere a fini
 edificatori, con diritto di superficie o in  proprieta',  a  soggetti
 pubblici  e  privati  aree  inserite  nei  piani urbanistici speciali
 previsti  dalla  legge  18  aprile  1962,  n.  167,  ed   interamente
 espropriate  dai comuni. Sia la concessione del diritto di superficie
 che la cessione in proprieta' sono accompagnate  da  una  convenzione
 che  deve  prevedere,  insieme  alle  caratteristiche  costruttive, i
 criteri per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione.
 La  legge  28  gennaio  1977,  n.  10  ha  ampliato il campo d'azione
 dell'intervento "convenzionato", consentendo che esso  possa  operare
 anche  su  aree  esterne a quelle ricomprese nei piani di zona di cui
 alla legge n. 167 del 1962: aree che possono appartenere a privati ma
 possono  altresi'  essere espropriate per la utilizzazione a scopo di
 costruzione ove rientrino nei  programmi  pluriennali  di  attuazione
 previsti dalla stessa legge (art. 13).
    Gli artt. 7 e 8 disciplinano il sistema di convenzionamento inteso
 a favorire interventi di edilizia abitativa: le regioni predispongono
 convenzioni  tipo - cui debbono essere uniformate quelle di comuni in
 cui sono indicate le caratteristiche tipologiche e costruttive  degli
 alloggi,  sono  determinati  i prezzi di cessione degli stessi (sulla
 base del costo delle aree, del costo della costruzione,  delle  opere
 di  urbanizzazione e delle spese generali) e i canoni di locazione in
 percentuale del valore desunto dai prezzi di cessione degli  alloggi.
 Al costruttore che assume gli impegni relativi ai prezzi di vendita e
 ai  canoni  di  locazione  viene  consentito  di   corrispondere   un
 contributo  per  il rilascio della concessione (previsto dall'art. 3)
 solo per la parte commisurata agli  oneri  di  urbanizzazione  e  non
 anche per quella relativa al costo di costruzione.
    2.2.   -  Cio'  premesso,  deve  innanzitutto  escludersi  che  la
 differenziazione prospettata dai giudici a quibus sia, come  pretende
 l'Avvocatura  dello  Stato,  meramente  occasionale e di fatto, e non
 dipenda invece direttamente -  e  con  incidenza,  se  non  generale,
 statisticamente   significativa   -  dalla  diversita'  dei  congegni
 previsti dalle norme in discussione.
    La  differenziazione non appare dovuta tanto ai diversi criteri di
 determinazione  del  canone  (nell'edilizia  convenzionata  i  canoni
 vengono  stabiliti  con  l'applicazione  di  una  aliquota sul valore
 desunto dal prezzo di cessione dell'alloggio, a sua volta determinato
 sulla  base  dell'effettivo  costo  di costruzione, mentre per l'equo
 canone l'aliquota si applica sul valore locativo ricavato sulla  base
 di un costo di costruzione teorico, corretto da vari coefficienti) in
 quanto, almeno per gli alloggi ultimati dopo il 31 dicembre  1975,  o
 comunque  costruiti  dopo  l'entrata  in  vigore  della legge, l'equo
 canone viene calcolato su  un  costo  di  costruzione  prossimo  alla
 realta', determinato tenendo conto, tra l'altro, proprio dei costi di
 produzione dell'edilizia convenzionata (art. 22).  La  ragione  della
 divaricazione e' invece dovuta alla mancata estensione alle locazioni
 convenzionate del  meccanismo  di  adeguamento  dei  canoni  disposto
 dall'art.  24 della legge n. 392 del 1978, che prevede un adeguamento
 annuale entro il limite del  75%  delle  variazioni  dell'indice  dei
 prezzi  al consumo per le famiglie di operai e di impiegati. Ha cosi'
 continuato ad operare per le locazioni convenzionate  il  sistema  di
 aggiornamento  previsto dall'art. 8 della legge n. 10 del 1977, assai
 piu' sfavorevole per i  conduttori  in  quanto  comporta  adeguamenti
 biennali  rapportati  al cento per cento della variazione dell'indice
 dei costi di costruzione.  A  parte  la  sensibile  diversita'  della
 percentuale delle variazioni, la divergenza si e' formata per effetto
 della progressione del costo delle costruzioni, che  e'  avvenuta  in
 termini  assai piu' incisivi - come risulta anche dai dati offerti da
 una  elaborazione  del  CENSIS  contenuta  nel  rapporto  1987  sulla
 condizione  economico-sociale  del Paese - rispetto a quella relativa
 al costo della vita.
    2.3.  -  Tale  essendo la situazione, la censura di violazione del
 principio di uguaglianza deve ritenersi fondata.
    L'edilizia convenzionata si colloca, invero, nel piu' ampio quadro
 dell'edilizia  residenziale  pubblica,   mirante   a   sopperire   al
 fabbisogno  abitativo  di  categorie  sociali  di  limitate capacita'
 economiche, o ritenute per altre ragioni meritevoli di tutela.
    Tale  indirizzo e' stato realizzato non solo con la costruzione di
 alloggi a totale carico dello Stato, destinati alle fasce di  reddito
 piu'  basse  cui  si applica percio' un canone sociale (cfr. art. 26,
 lett. b), l. n. 392 cit.), ma anche mediante regimi convenzionali  in
 cui   tale   obiettivo   e'  perseguito  assicurando  al  costruttore
 particolari vantaggi: o attraverso la corresponsione di un contributo
 statale  diretto  ad  abbattere il tasso di interesse sui mutui (c.d.
 edilizia agevolata-convenzionata: cfr. la l. n. 457 del 1978) o, come
 nel  caso  di  cui agli artt. 7 - 8 l. n. 10 del 1977, attraverso una
 congrua riduzione degli oneri afferenti il rilascio della concessione
 edilizia.
    Con quest'ultimo regime, in particolare, si e' mirato ad orientare
 le tecnologie costruttive ed i capitali  di  investimento  verso  una
 tipologia di edilizia residenziale di costo contenuto e di dimensioni
 controllate, al duplice fine di  assicurare  -  anche  attraverso  le
 previste  agevolazioni  - un'equa remunerazione all'investimento e di
 fornire alloggi accessibili alle fasce di reddito  medio-basse.  Tale
 destinazione  e' manifesta nell'originaria disciplina di cui all'art.
 35l. n. 865 del 1971 - che  anzi  in  talune  ipotesi  la  limita  ai
 soggetti aventi i requisiti per l'assegnazione di alloggi economici e
 popolari (commi 16 e 18) - ma essa e' indubbiamente propria anche del
 regime  convenzionale regolato dalla legge n. 10 del 1977. E cio' sia
 perche' questo costituisce un'estensione del primo - onde il silenzio
 della  nuova  normativa  sul punto va inteso come inserimento di essa
 nell'alveo di quella precedente -  sia  perche'  nello  stesso  senso
 dispongono  esplicitamente  talune leggi regionali di attuazione (v.,
 ad es., l'art. 5 legge Regione Emilia-Romagna 2 giugno 1980, n.  46).
    Del  resto,  che  l'edilizia convenzionata si caratterizzasse come
 "edilizia  che  prevede  canoni  e  prezzi   controllati   e   quindi
 accessibili  alle  categorie meno abbienti" e' circostanza che fu ben
 presente in sede di redazione  della  legge  sull'equo  canone  (cfr.
 relazione  al  d.l.  governativo  n.  465  - VII legislatura - da cui
 scaturi' la l. n. 392).
    2.4.  -  Cio'  che  pero'  il  legislatore  del 1978 non ha tenuto
 sufficientemente in conto nel dettare l'art. 26, lett.  c)  e'  stato
 che,  soprattutto per via del diverso meccanismo di aggiornamento, il
 canone delle locazioni convenzionate potesse in prospettiva pervenire
 a  superare  quello  fissato  in  via  generale  con  la nuova legge:
 pericolo, questo, che era stato prontamente avvertito dalle Regioni -
 chiamate ad applicare il regime convenzionale previsto dalla legge n.
 10 del 1977 - le quali, all'indomani del varo di  questa,  espressero
 un  orientamento  comune per cui, al fine di consentire che il canone
 convenzionato corrispondesse  nel  contempo  alle  finalita'  sociali
 rivolte  alla tutela del conduttore e al riconoscimento di una giusta
 redditivita' dell'investimento, era necessario  da  un  lato  per  la
 determinazione  di  un  canone  fissare  un'aliquota  sul  prezzo  di
 cessione inferiore o parificata a quella che sarebbe stata  stabilita
 dalla  legge  sull'equo canone (sul valore locativo dell'immobile), e
 dall'altro equiparare  il  meccanismo  di  aggiornamento  del  canone
 convenzionato  a  quello  fissato dalla nuova legge per l'equo canone
 stesso (cfr. Orientamenti delle Regioni per l'attuazione della  legge
 28  gennaio 1977, n. 10 - Documento unitario delle Regioni, 14 aprile
 1977, par. 2.3.).
    D'altra  parte,  che  il  canone dell'edilizia convenzionata possa
 essere superiore  -  ed  anche  di  molto,  come  i  casi  di  specie
 dimostrano  -  a quello di cui alla l. n. 392 e' cosa che si appalesa
 incongrua anche rispetto agli orientamenti della legislazione coeva o
 successiva.  Da  un  lato,  infatti, e' stato previsto in taluni casi
 l'assoggettamento dell'edilizia convenzionata a requisiti  reddituali
 di  accesso  analoghi  a  quelli dettati per l'edilizia a sovvenzione
 pubblica (artt. 18 e 20 l. n. 457 del 1978: cfr. anche il gia' citato
 art.   2   l.   R.   Emilia-Romagna  n.  46  del  1980);  dall'altro,
 l'applicazione del regime di equo  canone,  proprio  in  quanto  piu'
 elevato, e' stata prevista per gli alloggi pubblici dati in godimento
 a soggetti fruenti  di  redditi  superiori  a  quelli  stabiliti  per
 l'assegnazione  (cfr.  gli artt.: 22 l. n. 513 del 1977; 7, 8 e 22 l.
 n. 25 del 1980).
    Ne'   a   giustificare   un   canone   superiore   per  l'edilizia
 convenzionata  possono  addursi  ragioni  diverse  da  quelle  finora
 considerate.  Non  certo  quelle  attinenti  a vantaggi di altro tipo
 propri  di  tale  regime  contrattuale,   posto   che   le   relative
 disposizioni  non  prescrivono,  ad  es.,  garanzie di stabilita' del
 rapporto analoghe a quelle previste dalla legge sull'equo canone.
    Nemmeno, poi, puo' dirsi che un tale risultato sia reso necessario
 dalle esigenze di incentivazione degli investimenti  in  edilizia:  e
 cio'  sia  perche' l'obiettivo e' stato perseguito anche con legge n.
 392 (cfr. la gia' citata relazione governativa al d.l. n. 465, p. 4),
 sia  perche'  non  e'  certo  ragionevole  che  esso  si realizzi col
 sacrificio delle categorie meno abbienti, anziche' della  generalita'
 dei cittadini.
    D'altra   parte,   come   la  stessa  Avvocatura  dello  Stato  ha
 evidenziato,  tanto  la  normativa  sull'edilizia  convenzionata  che
 quella  sull'equo  canone assolvono ad una funzione calmieratrice del
 mercato delle locazioni: e questa e' evidentemente frustrata  se  una
 consistente  lievitazione  dei canoni si manifesta proprio rispetto a
 tipologie edilizie progettate per le esigenze di  fasce  sociali  che
 difficilmente   possono  soddisfare  altrimenti  il  proprio  diritto
 all'abitazione.
    In   questo   quadro,   il  modello  convenzionale  trova  congrua
 collocazione per la sua spiccata attitudine a consentire soluzioni il
 piu' possibile aderenti alle esigenze poste dalle singole situazioni.
 Ma la flessibilita' dello strumento  trova  un  limite  la'  dove,  a
 parita'  di  caratteristiche,  consente  l'assoggettamento  a  canoni
 superiori a quelli che, a giudizio  del  legislatore,  realizzano  un
 equo  contemperamento  delle  esigenze di proprietari e di inquilini,
 giacche' cio' si traduce in un non consentito  trattamento  deteriore
 che,  rispetto  alla  generalita'  dei  conduttori, viene riservato a
 quelli meno abbienti.
    L'art.  26,  primo  comma, lett. c) della legge n. 392 del 1978 va
 percio' dichiarato costituzionalmente  illegittimo,  in  quanto,  nel
 prevedere  l'inapplicabilita'  alle  locazioni  relative  ad  alloggi
 soggetti   alla   disciplina   dell'edilizia   convenzionata    delle
 disposizioni  del  capo  I  del  titolo  I  della legge medesima, non
 stabilisce che per esse il canone non puo' comunque essere  superiore
 a quello che risulterebbe dall'applicazione di queste ultime.
    Poiche'  il  vizio  riscontrato  si  radica  sul  raffronto tra la
 disciplina successiva - di cui alla l. n. 392 del  1978  -  e  quella
 anteriore  - di cui agli artt. 35 l. n. 865 del 1971 e 8 l. n. 10 del
 1977 - e' invece evidentemente infondata  la  medesima  questione  in
 quanto riferita a queste ultime disposizioni.
    3.  -  Con  l'ordinanza  indicata in epigrafe (r.o. n. 733/85), la
 Corte di Cassazione ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  Cost.,
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art.  26, primo comma,
 lett. b) della legge n. 392 del 1978, in quanto non  prevede  che  le
 disposizioni  di cui al capo I del titolo I della stessa legge non si
 applichino  alle  locazioni  relative  agli  alloggi  di   proprieta'
 dell'Istituto    Postelegrafonici    stipulate   con   i   dipendenti
 dell'Amministrazione postelegrafonica.
 Afferma  la  Corte  remittente  che  sussisterebbe una ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  tra  la  situazione  in  cui  versano  i
 dipendenti dell'Amministrazione postelegrafonica che sono locatari di
 alloggi costruiti a totale carico dello Stato e che  in  quanto  tali
 corrispondono  il  cosiddetto  "canone sociale" - essendo stati dalla
 norma impugnata esclusi  dalla  applicazione  del  regime  dell'"equo
 canone" di cui alla legge n. 392 del 1978 - e la situazione in cui si
 trovano i dipendenti della medesima Amministrazione che sono locatari
 di  alloggi  di  proprieta'  dell'Istituto Postelegrafonici, che sono
 invece assoggettati alla  corresponsione  di  un  canone  determinato
 secondo  il  regime  dell'equo canone, piu' gravoso del primo: e cio'
 pur trovandosi in  condizioni  soggettive  identiche  -  rapporto  di
 impiego  con  la  Pubblica  Amministrazione  -  e  per di piu' avendo
 corrisposto contributi per l'acquisto di tali immobili.
    3.1. - La questione non e' fondata.
    Come   la   stessa   Corte   remittente  ha  rilevato,  l'Istituto
 Postelegrafonici - costituito,  con  diversa  denominazione,  con  la
 legge 18 ottobre 1942, n. 1408 e successivamente regolato dalla legge
 27 marzo 1952, n. 208 e dal d.P.R. 8 aprile 1953, n. 542  -  promuove
 ed  attua  l'assistenza  e la previdenza in favore dei dipendenti del
 Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni e non e' inquadrabile
 tra  gli  enti  pubblici  operanti  nel  settore  dell'edilizia.  Gli
 immobili appartenenti  all'Istituto  assolvono  ad  una  funzione  di
 garanzia,  costituiscono  una  forma  di  investimento ai fini di una
 corretta gestione dei fondi creati con il contributo degli  assistiti
 e   di   mantenimento   del  valore  delle  disponibilita'  monetarie
 dell'Istituto.  In  quanto  tali,  essi  appartengono  al  patrimonio
 disponibile  dell'ente e non hanno la destinazione specifica e tipica
 degli alloggi di edilizia  economica  e  popolare  di  proprieta'  di
 Amministrazioni  statali  e di altri enti pubblici. Il loro godimento
 e' concesso con contratti di natura prettamente privatistica, il  cui
 canone  riflette la specifica destinazione degli immobili e la natura
 del contratto, a cio' non  ostando  il  fatto  che  l'Istituto  abbia
 originariamente   inteso   limitarlo  al  solo  ristoro  di  oneri  e
 passivita'.
    Profondamente   diversa   e'   la   natura   del  canone  sociale,
 espressamente ed esclusivamente previsto dalla legge per gli immobili
 soggetti  alla  disciplina  dell'edilizia  economica e popolare. Tali
 immobili appartengono al patrimonio indisponibile dello  Stato  o  di
 enti  pubblici  chiamati per legge all'organizzazione e alla gestione
 di un pubblico servizio sociale diretto  a  favorire  l'accesso  alla
 casa  dei  cittadini  meno  abbienti.  Il  canone sociale va pertanto
 considerato come strettamente correlato alla socialita' del  servizio
 stesso.  Gli  alloggi dell'edilizia economica e popolare sono inoltre
 assegnati secondo criteri e procedure stabilite  dalla  legge,  e  da
 questa sono altresi' stabiliti i requisiti per l'assegnazione, mentre
 l'Istituto  Postelegrafonici   ha   disposto   con   mera   procedura
 amministrativa  interna,  e  secondo  criteri  da  esso  fissati,  la
 selezione di quanti avevano richiesto  di  ottenere  in  locazione  i
 relativi alloggi.
    Piu'  in  particolare,  per  quanto attiene alle case acquistate o
 costruite dall'Amministrazione delle Poste e dei Telegrafi per essere
 concesse  al personale dipendente, la relativa disciplina - contenuta
 negli artt. da 324 a 342 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 (T.U. delle
 disposizioni  sull'edilizia popolare ed economica) ed estesa a quelle
 costruite negli anni '50 in virtu' della l. 11 dicembre 1952 n.  2521
 -  rende  evidenti  le  differenze  rispetto  alle  case costruite od
 acquistate dall'Istituto Postelegrafonici.
    A  prescindere  dalla diversa condizione giuridica degli immobili,
 e' da rilevare che, mentre  per  le  prime  e'  prescritto  che  deve
 trattarsi di case "economiche" e - correlativamente - che gli alloggi
 vanno assegnati  in  base  a  graduatorie  fondate  sulle  condizioni
 economiche   dei   dipendenti   (artt.  324  e  334  T.U.),  analoghe
 disposizioni cogenti non vigono per le seconde. Le situazioni poste a
 raffronto, percio', si differenziano tanto sotto il profilo oggettivo
 della tipologia degli alloggi, quanto sotto quello  soggettivo  delle
 condizioni  economiche  degli  assegnatari o conduttori: le quali non
 possono  ovviamente  ritenersi  omogenee  in  base   al   mero   dato
 dell'appartenenza alla stessa Amministrazione.
    Il  fatto,  poi,  che  all'acquisto  degli  immobili dell'Istituto
 Postelegrafonici concorrano i contributi obbligatori versati da tutti
 i  dipendenti dell'Amministrazione P.T. non comporta certo che alcuni
 di costoro ne debbano trarre un  particolare  vantaggio  versando  un
 canone sociale: il che non sarebbe in alcun modo correlato ne' con la
 funzione previdenziale dei contributi, ne' con quella di mantenimento
 ed  incremento  del  loro  valore  cui  l'investimento in immobili e'
 preordinato.