ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.l. 22
 dicembre  1981,  n.  791,  (Disposizioni  in  materia  previdenziale)
 convertito  in  legge  26 febbraio 1982, n. 54 (Conversione in legge,
 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, recante  disposizioni  in
 materia previdenziale) promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 28 settembre 1982 dal Pretore di Bari nel
 procedimento civile vertente tra Pesole Pasquale e la S.p.a. Prodotti
 Antibiotici,  iscritta  al  n.  805  del  registro  ordinanze  1982 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 156 dell'anno
 1983;
      2)  ordinanza  emessa  il 27 dicembre 1982 dal Pretore di Torino
 nel procedimento civile vertente tra Rignanese Francesco e la  S.p.a.
 Pneumatici  Pirelli, iscritta al n. 582 del registro ordinanze 1984 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 dell'anno
 1984;
      3)  ordinanza  emessa il 27 novembre 1986 dal Pretore di Firenze
 nel procedimento civile vertente tra Ballerini Osvaldo e  l'I.N.P.S.,
 iscritta  al  n.  197  del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  23,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1987;
    Visto  l'atto  di  costituzione dell'I.N.P.S., nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  dicembre  1987  il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                            Ritenuto in fatto
    1.  - Con ordinanza emessa il 28 settembre 1982 (r.o. n. 805/1982)
 il Pretore di Bari ha sollevato, in  riferimento  all'art.  3  Cost.,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6 del D.L. 22
 dicembre   1981,   n.   791   (recante   "Disposizioni   in   materia
 previdenziale"),  nel  testo  sostituito  con  l'articolo unico della
 legge 26 febbraio 1982, n. 54,  di  conversione  del  D.L.  medesimo.
 Detta disposizione recita testualmente:
    "Gli   iscritti   all'assicurazione   generale   obbligatoria  per
 l'invalidita',  la  vecchiaia  ed  i  superstiti  ed  alle   gestioni
 sostitutive,  esclusive  ed  esonerative  della medesima, i quali non
 abbiano raggiunto l'anzianita' contributiva  massima  utile  prevista
 dai  singoli  ordinamenti, possono optare di continuare a prestare la
 loro  opera  fino  al  perfezionamento  di  tale  requisito   o   per
 incrementare  la propria anzianita' contributiva e comunque non oltre
 il compimento del sessantacinquesimo anno  di  eta',  sempreche'  non
 abbiano  ottenuto  o non richiedano la liquidazione di una pensione a
 carico  dell'INPS  o  di  trattamenti   sostitutivi,   esclusivi   od
 esonerativi dall'assicurazione generale obbligatoria.
    L'esercizio  della facolta' di cui al comma precedente deve essere
 comunicato al datore di lavoro almeno sei mesi prima  della  data  di
 conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia.
    Per gli assicurati che alla data di entrata in vigore del presente
 decreto prestano ancora attivita' lavorativa, pur avendo  maturato  i
 requisiti  per avere diritto alla pensione di vecchiaia, si prescinde
 dalla comunicazione al datore di lavoro di cui al  comma  precedente.
 Tale  disposizione  si  applica  anche agli assicurati che maturano i
 requisiti previsti entro i sei mesi successivi alla entrata in vigore
 del  presente  decreto.  In  tale  caso la comunicazione al datore di
 lavoro deve essere effettuata non oltre la data  in  cui  i  predetti
 requisiti vengono maturati.
    Nei  confronti  dei  lavoratori che esercitano l'opzione di cui ai
 commi precedenti e con  limiti  in  essi  fissati,  si  applicano  le
 disposizioni   della   legge  15  luglio  1966,  n.  604,  in  deroga
 all'articolo 11 della legge stessa.
    Qualora  i lavoratori abbiano esercitato l'opzione di cui ai commi
 precedenti, la pensione di vecchiaia decorre  dal  primo  giorno  del
 mese successivo a quello nel quale e' stata presentata la domanda.
    Nel  caso che venga esercitata l'opzione di cui al primo comma, la
 cessazione del rapporto di lavoro  per  avvenuto  raggiungimento  del
 requisito  di anzianita' contributiva di cui al comma stesso avviene,
 in ogni caso, senza obblighi di preavviso per alcuna delle parti".
    Il  D.L.  n.  791  del 1981, giusta il disposto del suo art. 6, e'
 entrato  in  vigore  il  giorno  successivo  a   quello   della   sua
 pubblicazione  nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 31 dicembre 1981
 (G.U. n. 358), e quindi il 1› gennaio 1982.
    Nel caso oggetto del giudizio a quo, il ricorrente Pesole Pasquale
 aveva  maturato  i  requisiti  per  aver  diritto  alla  pensione  di
 vecchiaia  il  9 gennaio 1982, sicche' egli - rileva l'ordinanza - ha
 avuto a disposizione appena otto giorni per decidere se esercitare  o
 meno la predetta facolta' di opzione.
    Il  Pretore  rimettente,  reputando  insufficiente  tale  termine,
 impugna la disposizione di cui al  terzo  comma,  ultima  parte,  del
 citato art. 6, e sostiene che essa da' luogo - per gli assicurati che
 maturano i predetti requisiti entro i sei mesi dall'entrata in vigore
 del  decreto  (e  cioe'  entro il 1› luglio 1982) - ad ingiustificata
 disparita' di trattamento: a) rispetto agli assicurati che alla  data
 del  1› gennaio 1982 continuavano a prestare attivita' lavorativa pur
 avendo maturato il diritto alla pensione di vecchiaia,  i  quali  non
 erano  tenuti ad effettuare alcuna comunicazione di opzione al datore
 di lavoro; b)  soprattutto,  rispetto  a  coloro  che  maturino  tale
 diritto  dopo  i sei mesi (cioe' dopo il 1› luglio 1982), che hanno a
 disposizione un periodo maggiore.  La  disposizione  sarebbe  percio'
 incostituzionale  in  quanto  non  consente  uno  spatium deliberandi
 sufficiente, ed analogo a quello concesso a questi ultimi.
    2. - Il medesimo art. 6 e' stato altresi' impugnato dal Pretore di
 Torino, sempre in riferimento all'art. 3 Cost. con  ordinanza  emessa
 il  27  dicembre 1982 (ma pervenuta a questa Corte il 24 maggio 1984:
 r.o. n. 582/1984): questa volta, pero', nella parte in  cui  (secondo
 comma)  prevede che l'esercizio della facolta' di opzione deve essere
 comunicato al datore di lavoro almeno sei mesi prima  della  data  di
 conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia.
    Nel  caso  di  specie,  il  ricorrente Rignanese Francesco avrebbe
 compiuto i sessant'anni di  eta'  -  senza  pero'  aver  raggiunto  i
 quarant'anni  di  contribuzione  -  l'11  luglio  1982,  sicche' egli
 avrebbe dovuto esercitare l'opzione entro il precedente 11 gennaio ed
 avendo  quindi  a  disposizione,  dalla data di entrata in vigore del
 D.L. n. 791 del 1981, appena 10  giorni.  Le  sue  richieste  del  19
 febbraio  e  17  maggio  1982  al datore di lavoro (S.p.a. Pneumatici
 Pirelli) di proseguire l'attivita' sino  al  sessantacinquesimo  anno
 erano state respinte perche' tardive.
    Il termine cosi' concesso sarebbe irragionevolmente esiguo (attesi
 anche i "notori" ritardi nella diffusione della Gazzetta Ufficiale) e
 discriminatorio  rispetto  a  coloro  che maturano i requisiti per la
 pensione di vecchiaia entro il 30 giugno 1982, i quali  -  assume  il
 giudice  a  quo - hanno a disposizione sei mesi anziche' dieci giorni
 (come il ricorrente): onde la dedotta violazione dell'art. 3 Cost.
   3.  -  Intervenendo nel primo di tali giudizi in rappresentanza del
 Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato da un
 lato  nega  la  dedotta disparita' di trattamento, osservando che uno
 spatium deliberandi ancora minore degli otto giorni  ivi  considerati
 potrebbe  risultare  riservato  a chi matura la pensione pochi giorni
 dopo il  30  giugno  1982;  dall'altro,  assume  che  in  materia  di
 congruita'  dei  termini va riconosciuto al legislatore la piu' ampia
 discrezionalita'.
    A  tali  deduzioni  l'Avvocatura  rinvia  nell'atto  di intervento
 relativo al secondo giudizio, in quanto concernente, a suo avviso, la
 medesima questione.
    4.  -  Decidendo  sul  ricorso  di  Ballerini  Osvaldo  avverso la
 deliberazione dell'INPS di liquidazione della pensione di vecchiaia a
 decorrere  dal  primo  giorno  del mese successivo a quello nel quale
 egli aveva presentato la domanda di pensione (cioe'  dal  1›  ottobre
 1983)  anziche'  -  come da lui richiesto - dal primo giorno del mese
 successivo a quello in cui aveva maturato il diritto a  pensione  per
 il  conseguimento  della prescritta contribuzione (cioe' dal 1› marzo
 1983), il Pretore di Firenze, rilevata la correttezza della decisione
 dell'Istituto in quanto trattavasi di lavoratore che aveva esercitato
 la facolta' di opzione di cui al predetto art. 6 l. n. 54  del  1982,
 ha  sollevato  d'ufficio,  con  ordinanza  del 27 novembre 1986 (r.o.
 197/87), questione di costituzionalita' del  quinto  comma  di  detta
 disposizione,  in  quanto  appunto  prevede che, in caso di esercizio
 dell'opzione, "la pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno  del
 mese successivo a quello nel quale e' stata presentata la domanda".
    Il  Pretore  pone  a raffronto tale disposizione con quella di cui
 all'art. 6, primo comma, della legge 23  aprile  1981,  n.  155  che,
 abrogando  implicitamente l'art.18 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488,
 prevede invece che "La pensione  di  vecchiaia  a  carico  del  Fondo
 pensioni  lavoratori  dipendenti...decorre  dal primo giorno del mese
 successivo  a  quello  nel  quale  l'assicurato  ha  compiuto  l'eta'
 pensionabile,  ovvero,  nel  caso  in  cui  a tale data non risultino
 soddisfatti i requisiti di anzianita'  assicurativa  e  contributiva,
 dal  primo  giorno  del  mese  successivo a quello in cui i requisiti
 suddetti vengono raggiunti".
    Premesso   che   sarebbe  irrilevante  che  il  secondo  comma  di
 quest'ultimo articolo consenta la liquidazione a decorrere dal  primo
 giorno  del  mese successivo a quello di presentazione della domanda,
 essendo questa una mera facolta' dell'interessato, il giudice  a  quo
 ravvisa   nella   evidenziata   differenziazione  di  disciplina  una
 violazione dell'art. 3, in collegamento con l'art. 38, Cost.. Da essa
 deriva  infatti  per  i  lavoratori  optanti un trattamento deteriore
 rispetto a quelli per i quali non e' sorta la necessita' di  opzione,
 i   quali   godono  della  pensione  con  decorrenza  dalla  data  di
 maturazione  del  diritto  anche  ove  presentino  domande  in  epoca
 successiva:  differenziazione che sarebbe ingiustificata "giacche' in
 entrambi i casi si tratta  della  tutela  del  medesimo  diritto  nei
 confronti  di  soggetti  qualificati dai medesimi requisiti sul piano
 lavorativo e previdenziale,  con  l'unica  differenza,  assolutamente
 irrilevante, che ai primi la legge ha consentito la conservazione del
 posto di lavoro onde assicurare loro, come agli  altri,  la  pienezza
 della tutela previdenziale.
    5. - Nel giudizio cosi' instaurato il Presidente del Consiglio dei
 ministri non e' intervenuto.
    Si  e'  invece  costituito  l'INPS  che, dopo aver rilevato che la
 disciplina vigente prevede decorrenze diverse  per  i  vari  tipi  di
 pensione  (di  vecchiaia  e  ai  superstiti:  dalla  maturazione  del
 diritto; di invalidita', di anzianita' e sociale: dalla presentazione
 della  domanda),  assume  che, essendo il diritto di opzione precluso
 dalla presentazione  di  una  domanda  di  pensione  (oltre  che  dal
 godimento  di  questa),  se  la  pensione di vecchiaia decorresse dal
 compimento  dell'eta'  pensionabile  -  fosse,   cioe',   retrodatata
 rispetto  alla  presentazione  della  relativa domanda - essa sarebbe
 conseguita  pur  consentendosi,  medio   tempore,   la   prosecuzione
 dell'attivita'  lavorativa. Il fatto, poi, che col diritto di opzione
 venga rafforzata la garanzia di  stabilita'  dell'occupazione  e  del
 conseguente  diritto  ad  una  retribuzione  piena  giustificherebbe,
 secondo la difesa dell'INPS,  un  affievolimento  della  garanzia  di
 adeguatezza   della   prestazione   pensionistica  e  renderebbe  non
 comparabile tale posizione  rispetto  a  quella  dei  lavoratori  non
 optanti,  per  i  quali,  col  compimento dell'eta' pensionabile e la
 cessazione   dell'attivita'   lavorativa,   alla   retribuzione    si
 sostituisce  la  pensione. Posta tale differenziazione, la denunciata
 diversita' di disciplina  si  giustificherebbe  con  la  facolta'  di
 adeguamento  di  questa  alle particolarita' delle singole situazioni
 riconosciuta al legislatore.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  decreto-legge  22 dicembre 1981, n. 791, convertito con
 modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, detta disposizioni
 in  materia  previdenziale,  ritenute urgenti in attesa della riforma
 del sistema pensionistico.
    Tra  esse  l'art.  6  prevede  la  possibilita',  per i lavoratori
 iscritti  all'assicurazione  generale  obbligatoria  e  che   abbiano
 raggiunto  l'eta'  pensionabile  senza  pero' conseguire l'anzianita'
 contributiva massima prevista dai singoli ordinamenti, di optare  per
 la  prosecuzione del rapporto di lavoro sino al conseguimento di tale
 condizione o per incrementare  la  propria  anzianita'  contributiva,
 comunque   non   oltre   il   sessantacinquesimo  anno  di  eta'.  La
 possibilita' di effettuare tale opzione e' condizionata al fatto  che
 gli interessati non abbiano ottenuto o non richiedano la liquidazione
 di una pensione a carico  dell'INPS  o  di  trattamenti  sostitutivi,
 esclusivi od esonerativi dell'assicurazione generale obbligatoria.
   Con questa norma la legge si ripromette di favorire quei prestatori
 di lavoro  che  per  varie  ragioni  (ad  es.,  attivita'  lavorativa
 discontinua  o  iniziata  tardivamente) hanno maturato una anzianita'
 assicurativa  ridotta,  consentendo  loro  di  conseguire  -  ove  ne
 ravvisino  la  convenienza  -  una pensione di maggior livello. A tal
 fine lo stesso articolo 6, al quarto comma, prevede che - in caso  di
 opzione  per  la  prosecuzione  del  rapporto di lavoro - a questo si
 applicheranno le norme di cui alla legge 15 luglio 1966,  n.  604,  e
 cio'  in  deroga all'art. 11 della stessa legge che tale applicazione
 esclude nei  riguardi  dei  prestatori  di  lavoro  in  possesso  dei
 requisiti  di  legge  per  aver  diritto  alla pensione di vecchiaia:
 sicche' nei confronti di costoro,  in  quanto  esercitino  l'opzione,
 opera la garanzia contro il licenziamento ad nutum.
    Le  ordinanze di rimessione dei Pretori di Bari e Torino investono
 le disposizioni, contenute nel  secondo  e  terzo  comma  del  citato
 articolo 6, relative ai tempi e modalita' per l'esercizio del diritto
 di opzione cosi' attribuito agli assicurati. Il sistema normativo che
 da  esse  discende  e'  fondato su una disposizione generale (secondo
 comma) che stabilisce che l'opzione deve essere comunicata al  datore
 di  lavoro  almeno  sei mesi prima del conseguimento del diritto alla
 pensione di vecchiaia; e su due deroghe a tale disposizione  previste
 - in via transitoria - nel terzo comma.
    Con  la prima di queste si consente a coloro che avessero maturato
 prima dell'entrata in vigore del decreto-legge (1› gennaio  1982),  i
 requisiti  per  la pensione, di usufruire della opzione senza inviare
 la relativa comunicazione al datore di  lavoro;  con  la  seconda  si
 prescrive  a  coloro  che maturano i medesimi requisiti nei primi sei
 mesi successivi all'entrata in vigore  del  decreto  legge  (e  cioe'
 entro  il  1›  luglio  1982)  di  dare comunicazione della opzione al
 datore di lavoro non oltre  la  data  in  cui  i  predetti  requisiti
 vengono maturati.
    2.  -  Come  specificato  in narrativa, i Pretori di Bari e Torino
 contestano la conformita' al principio  di  uguaglianza,  e  piu'  in
 generale  la ragionevolezza del sistema normativo sopra delineato per
 i suoi aspetti di diritto transitorio, in quanto nella prima fase  di
 applicazione  della  legge  comporta  l'assegnazione ai lavoratori di
 termini per l'esercizio  dell'opzione  che  possono  risultare  cosi'
 ristretti da renderlo impossibile od eccessivamente difficile.
    In  particolare,  la  disposizione (terzo comma, ultima parte) che
 impone ai lavoratori che maturino i requisiti per aver  diritto  alla
 pensione  di  vecchiaia  entro  i  sei mesi successivi all'entrata in
 vigore  del  decreto  (cioe'  entro  il  1›  luglio  1982)  di   dare
 comunicazione  dell'opzione  non  oltre  la  data  di maturazione dei
 requisiti medesimi comporta - come denuncia il Pretore di Bari - che,
 ove questa si verifichi nei primi giorni del gennaio 1982, lo spatium
 deliberandi risulti ristrettissimo o al limite inesistente.
    La   disposizione   generale  del  secondo  comma,  a  sua  volta,
 prevedendo che l'opzione debba  essere  comunicata  almeno  sei  mesi
 prima   della  data  di  conseguimento  del  diritto  a  pensione  di
 vecchiaia, comporta un analogo pregiudizio - secondo quando rileva il
 Pretore  di  Torino  -  per  coloro  che  tale diritto conseguano nel
 periodo immediatamente successivo al primo semestre  di  applicazione
 della legge (cioe' al 1› luglio 1982), posto che anche per costoro lo
 spatium deliberandi risulta ristretto ai primi giorni successivi alla
 data di entrata in vigore del decreto.
    3. - Nel valutare tali censure, occorre in primo luogo considerare
 che, introducendo, col predetto art. 6, l'istituto del  pensionamento
 "posticipato",  il  legislatore ha mirato, da un lato a garantire una
 pensione di importo piu' adeguato alle esigenze di vita ai lavoratori
 in  possesso  di  un'anzianita'  assicurativa  ridotta, dall'altro ad
 evitare alle casse degli enti  previdenziali  l'aggravio  conseguente
 all'onere  di  integrazione  al  minimo  delle  pensioni  di  modesto
 importo. Di qui il particolare favor per tale istituto, manifestatosi
 sia  col  rendere  automatica  l'opzione per i lavoratori che avevano
 gia'  maturato  la  pensione  e  continuavano  a  prestare  attivita'
 lavorativa,  sia con l'estensione da tre a sei mesi - operata in sede
 di conversione del decreto - del termine per l'esercizio dell'opzione
 per i lavoratori che maturavano i relativi requisiti nella prima fase
 successiva all'entrata in vigore del decreto medesimo.
    E'  da  considerare, inoltre, che, in tale prima fase, l'esercizio
 dell'opzione poteva dar luogo a difficolta' e comportare  valutazioni
 non  poco  complesse:  sia perche' trattavasi di un diritto del tutto
 nuovo - e non a caso  i  giudici  a  quibus  richiamano  al  riguardo
 l'eventualita'  di  ritardi nella diffusione del testo del decreto ai
 fini della concreta conoscibilita' di  esso  -;  sia  perche'  questo
 presupponeva  la  conoscenza  di  dati  di  fatto  (circa  la propria
 situazione contributiva e l'importo della pensione  conseguibile)  di
 cui  il singolo lavoratore poteva ragionevolmente non disporre, anche
 perche' prima del decreto non ne aveva  impellente  necessita';  sia,
 infine,  perche'  la  decisione  se  proseguire  o  meno  l'attivita'
 lavorativa costituisce evidentemente una scelta che richiede adeguata
 ponderazione.
    Il  legislatore,  per la verita', sembra aver avvertito tutto cio'
 quando ha previsto che la disposizione  sull'operativita'  automatica
 dell'opzione  in  favore  di  chi  aveva  gia'  maturato il diritto a
 pensione "si applica anche agli assicurati che maturano  i  requisiti
 previsti  entro  i  sei  mesi  successivi  all'entrata  in vigore del
 presente decreto". Ma e' poi caduto nella singolare contraddizione di
 prevedere   ad   un  tempo  che  in  tal  caso  "si  prescinde  dalla
 comunicazione al datore di lavoro" e, subito dopo, che, invece,  tale
 comunicazione  "deve  essere  effettuata  non  oltre la data in cui i
 predetti requisiti vengono maturati".
    Tale  contraddizione  segnala  l'irrazionalita'  intrinseca  della
 disposizione ora richiamata. Innanzitutto, perche' essa contrasta col
 gia'   evidenziato   intento   legislativo   di   favorire,  anziche'
 ostacolare,  l'esercizio  dell'opzione,  intento  che   evidentemente
 doveva essere assistito da idonee previsioni proprio nella prima fase
 di  applicazione  del  nuovo  istituto.  In  secondo  luogo,  perche'
 omettendola  non  si  sarebbe in alcun modo pregiudicata la posizione
 del datore di lavoro, che avrebbe visto  nascere  direttamente  dalla
 legge  un effetto - prosecuzione del rapporto - cui egli era comunque
 esposto per volonta' unilaterale del lavoratore, essendo l'opzione un
 diritto  potestativo  di  costui.  Infine,  perche'  anche  l'opposta
 situazione di cessazione del rapporto si sarebbe del pari  verificata
 per   unilaterale   iniziativa   del   lavoratore,  in  virtu'  della
 presentazione  della  domanda  di  pensione  (o  dell'ottenimento  di
 questa: art. 6, primo comma) ovvero di una manifestazione di volonta'
 contraria  alla  prosecuzione  di  esso:  sicche'  la   comunicazione
 richiesta  dalla  norma  impugnata  ben poteva considerarsi implicita
 nella continuazione del rapporto e nel difetto  di  presentazione  di
 detta domanda.
    3.1.   -   Non  sussistevano,  quindi,  apprezzabili  ragioni  per
 differenziare la situazione di chi al momento di  entrata  in  vigore
 del  decreto  aveva  gia'  maturato  i  requisiti  per la pensione di
 vecchiaia da quella di chi  li  maturava  nei  sei  mesi  successivi.
 Conclusione, questa, che tanto piu' si impone se si considera la gia'
 rilevata manifesta inidoneita' del termine  apposto  a  garantire  in
 tutte  le  situazioni considerate un adeguato spatium deliberandi. Se
 e' vero, infatti, che l'esercizio di un  diritto  puo'  essere  dalla
 legge  regolato e sottoposto a limiti, e' anche vero che - secondo la
 costante giurisprudenza  di  questa  Corte  -  questi  devono  essere
 compatibili con la funzione del diritto di cui si tratta e non devono
 comportare che ne resti  sostanzialmente  escluso  o  reso  oltremodo
 difficoltoso  l'esercizio (cfr., da ultimo, sent. n. 203 del 1985). E
 le gia' evidenziate caratteristiche di delicatezza e complessita' che
 l'esercizio  del  diritto  di opzione comporta conducono ad escludere
 che possa ritenersi congruo un termine - quale quello in questione  -
 che  non  sia ragionevolmente adeguato rispetto a tutte le situazioni
 ricadenti nel suo ambito.
    4.   -   Le  medesime  ragioni  finora  svolte  conducono  ad  una
 declaratoria di parziale incostituzionalita' anche del secondo  comma
 dell'art. 6, in quanto riferito a coloro che maturano i requisiti per
 il conseguimento del diritto a  pensione  di  vecchiaia  nel  secondo
 semestre  successivo  all'entrata  in vigore del decreto, ai quali la
 norma impone di dar comunicazione dell'opzione almeno sei mesi prima,
 con  cio'  rendendo  estremamente  difficoltoso  l'esercizio  di tale
 diritto per coloro che maturino i requisiti  nel  primo  periodo  del
 suddetto semestre.
    Si  e'  gia' evidenziato (al par. 2) che la situazione di costoro,
 in termini di spatium deliberandi, e' identica a quella dei  soggetti
 considerati nell'ultima parte del terzo comma. E poiche' la pronuncia
 ablativa di questo comporta per costoro, sia pure per  implicito,  la
 fruizione  di un periodo per decidere dilatabile fino a sei mesi (che
 e' tra l'altro il termine minimo concesso a chi  maturi  i  requisiti
 dopo  il  1›  gennaio  1983),  l'esigenza  che  risultino  parificate
 situazioni sotto tale profilo analoghe, nonche'  quella  -  correlata
 alla  prima - di assicurare coerenza al sistema normativo conseguente
 alla suddetta pronuncia ablativa, comportano  che  debba  dichiararsi
 l'incostituzionalita'  del secondo comma in esame, nella parte in cui
 non dispone che il termine per la comunicazione al datore  di  lavoro
 ivi previsto non possa comunque scadere prima che siano trascorsi sei
 mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge.
    5.  -  Infondata  deve invece ritenersi la questione sollevata dal
 Pretore di Firenze, il quale dubita - in riferimento agli artt.  3  e
 38  Cost.  -  della legittimita' del quinto comma dello stesso art. 6
 della l. n. 54 del 1982, a termini del quale la pensione di vecchiaia
 decorre,  per  l'assicurato che abbia effettuato l'opzione prevista e
 regolata dai precedenti commi dello stesso articolo, dal primo giorno
 del  mese  successivo  a  quello  nel  quale  e'  stata presentata la
 domanda.
    Il giudice a quo pone a raffronto tale disciplina sulla decorrenza
 della pensione con quella stabilita in via generale dall'art. 6 della
 legge  23 aprile 1981, n. 155, che fa invece decorrere il trattamento
 pensionistico  di  vecchiaia  dalla  data  del  compimento  dell'eta'
 pensionabile,  ovvero  del  successivo  perfezionamento  dei relativi
 requisiti di anzianita' assicurativa e contributiva:  ed  assume  che
 siffatta differenziazione indurrebbe una disparita' di trattamento in
 danno  dei  lavoratori  optanti,  non  giustificata  da  apprezzabili
 differenze   sul   piano   lavorativo  e  previdenziale  rispetto  ai
 lavoratori per i quali non e' sorta la necessita' di opzione.
    5.1. - Con la disposizione di cui all'art. 6 l. n. 155 del 1981 il
 legislatore - innovando al sistema previgente di cui all'art. 18  del
 d.P.R.  n.  488  del  1968  - ha inteso sganciare dalla presentazione
 della  domanda  -  salvo  diversa  richiesta  dell'interessato  -  la
 procedura   di   liquidazione   della  pensione  di  vecchiaia,  onde
 consentire una tempestiva programmazione delle relative operazioni di
 calcolo ed accelerare cosi' la corresponsione di quanto dovuto.
    Cio', pero', presuppone che la decorrenza sia ancorata ad elementi
 certi, noti all'ente erogatore, quali appunto il compimento dell'eta'
 pensionabile  ovvero  il  perfezionamento dei prescritti requisiti di
 anzianita' assicurativa e di contribuzione, ove  non  sodddisfatti  a
 tale epoca.
    Nella  disciplina  di  cui  all'art.  6  della  l. n. 54 del 1982,
 viceversa, manca un evento certo  al  quale  ancorare  la  decorrenza
 della pensione, posto che, fermo il limite massimo del compimento del
 sessantacinquesimo anno  di  eta',  al  lavoratore  optante  e'  data
 facolta'  di  scegliere  se proseguire l'attivita' lavorativa fino al
 raggiungimento dell'anzianita' contributiva massima utile ovvero "per
 incrementare la propria anzianita' contributiva".
    Poiche'  in  questa ultima ipotesi la decisione del lavoratore non
 e' ancorata a dati  determinabili  a  priori  ed  essa  e'  posta  in
 alternativa   alle  altre  due  (massima  anzianita'  contributiva  o
 compimento del sessantacinquesimo anno), risulta evidente che in  tal
 caso mancano i presupposti per una predeterminazione della decorrenza
 della pensione che sia svincolata dalla domanda dell'interessato:  il
 che  giustifica pienamente la deroga al principio generale introdotta
 con la norma impugnata.