ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 175 del d.l.
 del Presidente della Regione Sicilia 29 ottobre 1955, n. 6,  recepito
 nella  legge  della  Regione  Sicilia  15 marzo 1963, n. 16 avente ad
 oggetto "Ordinamento amministrativo degli Enti locali  nella  Regione
 siciliana",  promosso  con  ordinanza  emessa il l9 giugno 1986 dalla
 Corte di Cassazione sul ricorso proposto da D'Amore Francesca  contro
 Bucolo  Giuseppe  ed altri, iscritta al n. 359 del registro ordinanze
 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  34,
 prima serie speciale dell'anno 1987;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 13 gennaio 1988 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Corte  Suprema di Cassazione, prima sezione civile, con
 ordinanza  del  9  luglio  1986  ha  sollevato   una   questione   di
 costituzionalita'  avverso  l'art.  175  del  Decreto Legislativo del
 Presidente della Regione Sicilia, 29 ottobre 1955, n. 6, recepito poi
 dall'art.  1  della  legge  regionale  15  marzo  1963,  n.  16,  per
 violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione.
    La  questione  ha origine da un giudizio instaurato per contestare
 la validita' dell'elezione al Consiglio del Comune di Giardini  Naxos
 di un candidato che si trovava in una situazione di lite pendente con
 il predetto Comune  e  che  aveva  rinunciato  alle  proprie  pretese
 giudiziali   soltanto   dopo   la   convalida  dell'elezione  stessa.
 L'annullamento dell'elezione era stato chiesto  dalla  parte  attrice
 sulla base del predetto art. 175 d. Leg. Pr. Reg. Sic., che, al primo
 comma, si limita a  disporre:  "Le  condizioni  previste  come  causa
 d'ineleggibilita'    o   d'incompatibilita'   (...)   rendono   nulla
 l'elezione, se preesistono; determinano la decadenza dall'ufficio  se
 sopravvengono".
    Sin   dal   giudizio   d'appello,   il   convenuto   ha   eccepito
 l'incostituzionalita' della predetta disposizione per  contrasto  con
 gli  artt.  3  e 51 Cost., in quanto quella norma non permette che le
 cause    d'ineleggibilita'    o    d'incompatibilita'    preesistenti
 all'elezione   possano   essere  rimosse  anche  posteriormente  alla
 convalida dell'intervenuta elezione. Soltanto  la  Corte  Suprema  di
 Cassazione,  tuttavia,  nel successivo grado del giudizio ha ritenuto
 la questione non manifestamente infondata.
    Dopo aver rilevato che la condizione della lite pendente era stata
 fatta rientrare, in virtu'  di  una  sentenza  additiva  della  Corte
 costituzionale   (sent.   n.   162   del   1985),   nelle   cause  di
 incompatibilita' (anziche' in  quelle  di  ineleggibilita',  come  la
 classificava invece la legislazione siciliana) e che la legge statale
 n. 154 del 1981, non solo consente  che  le  cause  d'incompatibilta'
 siano  rimosse  anche  dopo  la  convalida dell'elezione (art. 6), ma
 prevede pure, allo scopo,  un  procedimento  in  contraddittorio  con
 l'interessato (art. 7), la Corte di Cassazione ha sollevato questione
 di costituzionalita' dell'art. 175 d. leg. Pr.  Reg. Sic.  n.  6  del
 1955  per  violazione  degli  artt.  3 e 51 Cost. sotto i due profili
 appena menzionati.
    A sostegno della propria prospettazione, il giudice a quo ricorda,
 piu' in particolare, che, in materia di  regole  per  l'accesso  alle
 cariche   elettive   locali,   la  giurisprudenza  costituzionale  ha
 costantemente dato un rilievo prevalente alle esigenze di uniformita'
 nazionale,  sempreche'  queste  non vengano a collidere con il nucleo
 forte   dell'autonomia   regionale.   Sicche',   si   legge    ancora
 nell'ordinanza  di  rimessione,  pur  se  attribuita  alla competenza
 legislativa esclusiva, come nel caso  della  Sicilia,  la  disciplina
 regionale  dell'esercizio  o  del  godimento  di  un diritto politico
 fondamentale, come  quello  di  elettorato  passivo,  puo'  apportare
 deroghe   alla   disciplina   nazionale  soltanto  ove  queste  siano
 ragionevolmente giustificate da esigenze o  da  interessi  del  tutto
 peculiari  alla  regione  interessata.  Ma  al  giudice  a quo quello
 dell'art. 175 d. leg. Pr. Reg. Sic. n. 6 del 1955 non sembra un  caso
 rientrante  in  quest'ultima fattispecie, poiche' sono tutt'altro che
 evidenti  le  ragioni  in  grado  di  giustificare  in  Sicilia   una
 disciplina   piu'   restrittiva,   soprattutto   sotto   il   profilo
 procedimentale, per la rimozione delle cause d'incompatibilita'.
    Quanto  alla  rilevanza  della questione, il giudice a quo osserva
 che, poiche' la legge statale  n.  154  del  1981  non  puo'  trovare
 diretta applicazione all'interno dell'ordinamento regionale siciliano
 (come, del resto, ha  riconosciuto  la  stessa  Corte  Costituzionale
 nella  sent.  n.  162  del  1985), il giudizio dovrebbe essere deciso
 proprio sulla base della disposizione impugnata. Sicche' soltanto una
 pronunzia  di  incostituzionalita' di quest'ultima potrebbe indurre i
 giudici  di  merito  ad  applicare  principi   che   non   comportino
 un'illegittima  disparita'  di  trattamento,  a  danno  dei cittadini
 siciliani, nella fruizione del diritto di elettorato passivo.
    2. - Nessuna delle parti del processo a quo, ne' il Presidente del
 Consiglio dei Ministri si sono costituiti nel presente giudizio.
                         Considerato in diritto
    1. - La questione di costituzionalita' posta al giudizio di questa
 Corte riguarda l'art. 175 del d. leg. Pr. Reg. Sic. 29 ottobre  1955,
 n. 6, recepito poi dalla legge reg. sic. 15 marzo 1963, n. 16. Questa
 disposizione, adottata nell'esercizio di una  competenza  legislativa
 esclusiva,   e'   sospettata  di  illegittimita'  costituzionale  nei
 confronti degli artt. 3 e 51 Cost., in quanto, nel prevedere  che  le
 cause  d'incompatibilita'  preesistenti  all'elezione  alla carica di
 consigliere comunale rendano nulla  l'elezione  stessa,  dispone  una
 disciplina piu' restrittiva rispetto a quella nazionale (artt. 6 e 7,
 l. 23 aprile 1981, n. 154),  che  invece  prevede,  per  la  medesima
 ipotesi, la conseguenza della decadenza dall'ufficio e una disciplina
 procedimentale a garanzia dell'interessato.
    La questione e' fondata.
    2.  - Con un orientamento costante e da tempo consolidato (cfr. ad
 es., sentt. nn. 105 del 1957, 26 del 1965, 60 del 1966, 108 del 1969,
 189  del  1971, 45 del 1977, 171 del 1984, 20 e 162 del 1985), questa
 Corte ha dato del diritto di accesso alle cariche elettive, garantito
 a tutti i cittadini dall'art. 51 Cost., un'interpretazione tendente a
 massimizzarne  la  parita'  di  godimento  su  tutto  il   territorio
 nazionale  e con riferimento a ogni tipo di elezione, comprese quelle
 regionali, comunali o locali.
    Piu'  precisamente,  proprio  in  riferimento a precedenti giudizi
 relativi alla Sicilia - che, come tutte le altre regioni ad autonomia
 differenziata,  ha  in  materia  una competenza legislativa esclusiva
 (art. 15 St. Sic.) - questa Corte ha affermato che la disciplina  sui
 requisiti   di   accesso   alle  cariche  elettive  (anche  comunali)
 "dev'essere strettamente limitata  dai  principi  della  legislazione
 statale"  (sentt.  nn.  105 del 1957, 26 del 1965, 171 del 1984), dal
 momento  che  l'"esigenza  di  uniformita'  in  tutto  il  territorio
 nazionale  ben puo' discendere dall'identita' di interessi che comuni
 e province rappresentano nei  confronti  delle  rispettive  comunita'
 locali,  quale  che  sia la regione di appartenenza" (sent. n. 20 del
 1985). Di modo che deroghe ai principi e ai  criteri  adottati  nella
 legislazione  statale  sul diritto fondamentale di elettorato passivo
 sono  ammissibili  soltanto  in  presenza  di  condizioni  del  tutto
 peculiari  alla  regione  interessata  e,  in  ogni  caso, per motivi
 adeguati e ragionevoli,  "finalizzati  comunque  alla  tutela  di  un
 interesse  generale"  (sentt. nn. 108 del 1969, 189 del 1971, 171 del
 1984).
   Come  ha  correttamente  argomentato il giudice a quo, il ricordato
 orientamento giurisprudenziale, lungi  dal  degradare  la  competenza
 legislativa  esclusiva  a  una  di  tipo  concorrente,  risponde a un
 preciso principio costituzionale, che, come  tale,  e'  in  grado  di
 limitare anche l'esercizio di una competenza legislativa regionale di
 natura primaria.
    Il  diritto di elettorato passivo e', infatti, un diritto politico
 fondamentale che l'art.  51  Cost.  riconosce  e  garantisce  a  ogni
 cittadino  con  i  caratteri  propri  dell'inviolabilita' ( ex art. 2
 Cost.). Si tratta, pertanto, di un diritto che,  essendo  intangibile
 nel  suo  contenuto di valore, puo' essere unicamente disciplinato da
 leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di  realizzare
 altri  interessi  costituzionali altrettanto fondamentali e generali,
 senza porre discriminazioni sostanziali tra  cittadino  e  cittadino,
 qualunque  sia  la regione o il luogo di appartenenza. Questo vincolo
 costituzionale, comune a tutti i "diritti dell'uomo e del  cittadino"
 di  carattere  inviolabile,  trova  una precisa espressione, riguardo
 alla materia in questione, nella riserva di  legge  rinforzata  posta
 dall'art. 51 Cost., in virtu' della quale il legislatore e' tenuto ad
 assicurare che il diritto di elettorato passivo sia  goduto  da  ogni
 cittadino "in condizioni di eguaglianza".
    Poiche',  in  forza  dell'art.  2  Cost.,  e'  proprio dei diritti
 inviolabili di essere  automaticamente  incorporati,  quantomeno  nel
 loro   contenuto   essenziale,   anche  negli  ordinamenti  giuridici
 autonomi, speciali o comunque diversi da quello statale,  sulla  base
 dei  principi  costituzionali  appena  menzionati  deriva  un preciso
 limite alle possibilita' del legislatore  regionale  di  disciplinare
 l'esercizio del diritto di elettorato passivo, pur nell'ambito di una
 competenza di tipo esclusivo. Egli, infatti, puo' disporre regole  in
 deroga  ai  principi  vigenti  nell'ordinamento  generale  (statale),
 soltanto in presenza di situazioni del tutto peculiari  alla  regione
 di  cui  si  tratta  e,  in  ogni  caso, in modo che non ne risultino
 irragionevoli discriminazioni nel godimento dell'anzidetto diritto  o
 restrizioni non giustificate dal fine di garantire interessi generali
 parimenti meritevoli di tutela costituzionale.
    3.  - Applicando questi principi al caso di specie, ne consegue la
 fondatezza dei dubbi di costituzionalita' prospettati dal  giudice  a
 quo.
    Nei  limiti  della  rilevanza della questione, l'art. 175, d. leg.
 Pr.  Reg.  Sic.  21  ottobre  1955,  n.  6,  viene  innanzitutto   in
 considerazione  relativamente  alla  norma la quale stabilisce che le
 cause di incompatibilita' "rendono nulla l'elezione, se preesistono".
 Nel  caso,  infatti,  si  tratta  di  un'ipotesi  di  un  eletto a un
 consiglio di un Comune che, nel momento dell'elezione, si trovava  in
 una   situazione  di  lite  pendente  con  il  predetto  Comune:  una
 situazione che, quantunque originariamente classificata come causa di
 ineleggibilita' (art. 5, n. 6, decreto leg. Pres. Reg. Sic. 20 agosto
 1960,  n.   3),   e'   stata   riqualificata   come   un'ipotesi   di
 incompatibilita'  in  conseguenza  di  una  decisione di questa Corte
 (sent. n. 162 del 1985).
    Per  la  parte  in  cui  dispone  che  le cause d'incompatibilita'
 preesistenti all'elezione  rendono  nulla  quest'ultima,  l'impugnato
 art.  175 si pone in contrasto tanto con la corrispondente disciplina
 statale,    quanto    con    la    ratio     stessa     dell'istituto
 dell'incompatibilita'.
    Sotto  il primo profilo, va ricordato che la legge 23 aprile 1981,
 n.  154,  la  quale  determina  le  norme  statali  in   materia   di
 ineleggibilita'  e  di incompatibilita' nelle elezioni regionali e in
 quelle locali  (provinciali,  comunali,  circoscrizionali),  dispone,
 all'art. 6, comma secondo, che "le cause di incompatibilita', sia che
 esistano al momento dell'elezione  sia  che  sopravvengano  ad  essa,
 importano  la  decadenza  dalle  cariche  (...)".  Rispetto  a questa
 disposizione, la norma  impugnata  pone  una  disciplina  molto  piu'
 restrittiva,  che  comporta  un'obiettiva e sostanziale disparita' di
 trattamento tra chi e' eletto in un comune siciliano e chi invece  lo
 e'  in  un  altro  comune  assoggettabile  alla legislazione statale:
 mentre il primo, infatti, risulta irregolarmente eletto  senza  poter
 sanare   o  rimuovere  successivamente  la  causa  d'incompatibilita'
 esistente al momento dell'elezione,  l'altro  invece  e'  considerato
 regolarmente  eletto  e sottoponibile soltanto a una dichiarazione di
 decadenza  dalla  carica  (ad  opera  del   Consiglio   comunale   di
 appartenenza)  ove  non  rimuova  entro  un certo termine, ovviamente
 successivo all'elezione, il motivo di incompatibilita'.
    Il trattamento deteriore che la norma impugnata riserva all'eletto
 in un comune siciliano, oltre a non  essere  giustificato  da  alcuna
 peculiarita'  propria  della  regione  interessata,  appare del tutto
 irragionevole  e  incongruente  rispetto   alla   ratio   sottostante
 all'istituto  dell'incompatibilita'.  Quest'ultimo,  infatti,  mira a
 impedire che una persona, risultata validamente eletta, ricopra certe
 cariche   o   svolga   certe   attivita'   che   la  legge  considera
 inconciliabili con lo svolgimento del mandato per cui quella  persona
 e' stata eletta. Sicche' e' proprio del regime delle incompatibilita'
 non influire sulla validita'  dell'elezione,  ma  di  prevedere,  per
 l'eletto  che  al  momento  dell'elezione  si trovi in una situazione
 impeditiva, un obbligo di rimozione della relativa causa e,  soltanto
 nel  caso che cio' non sia fatto in tempo utile, di essere dichiarato
 decaduto dalla carica. Sotto questo profilo,  l'impugnato  art.  175,
 nel   prevedere   per   le  cause  di  incompatibilita'  preesistenti
 all'elezione la nullita' dell'elezione stessa, opera un'irragionevole
 e arbitraria equiparazione dell'incompatibilita' al distinto istituto
 dell'ineleggibilita'.
    Per  i  motivi ora detti, il menzionato art. 175 appare viziato di
 illegittimita' costituzionale nella parte in cui prevede,  in  ordine
 alle cause di incompatibilita' esistenti al momento dell'elezione, la
 nullita' di quest'ultima anziche' la decadenza dalla carica.
    4.  -  Il giudice a quo sospetta d'incostituzionalita' il medesimo
 art. 175 sotto l'ulteriore profilo della violazione degli artt.  3  e
 51  Cost.,  in  quanto  non  prevede,  per  l'eletto che versi in una
 situazione di incompatibilita', le garanzie procedurali disposte,  in
 via generale, dall'art. 7, l. 23 aprile 1981, n. 154.
    Anche sotto tale profilo, la questione e' fondata.
    In  effetti,  mentre  l'impugnato  art. 175 si limita a stabilire,
 all'ultimo comma, che "la  decadenza  e'  dichiarata  dai  rispettivi
 Consigli, sentiti gli interessati, con preavviso di dieci giorni", al
 contrario l'art. 7 della legge n. 154 del 1981 dispone nei commi  3-8
 una serie di garanzie a tutela del diritto fondamentale di elettorato
 passivo, con specifico riferimento alla persona eletta che  si  trovi
 in  una  situazione  di  incompatibilita'.  Piu' in particolare, esso
 prevede  un  procedimento  che  consta  delle   seguenti   fasi:   a)
 attivazione  del  procedimento  d'ufficio  o  su istanza di qualsiasi
 elettore;  b)   contestazione   della   causa   di   incompatibilita'
 all'interessato  da  parte del Consiglio d'appartenenza; c) rimozione
 della causa o, in caso contrario,  formulazione  di  osservazioni  da
 parte  dell'interessato  nei  successivi  dieci  giorni; d) decisione
 definitiva del Consiglio entro i dieci giorni successivi, con diffida
 all'interessato,  in  caso di accertamento positivo, ad effettuare la
 rimozione  della  causa  (ove  non  sia  stata  gia'   rimossa);   e)
 dichiarazione  della decadenza dalla carica ad opera del Consiglio di
 appartenenza  nei  dieci  giorni   successivi,   con   notifica   del
 provvedimento  allo stesso consigliere decaduto entro i cinque giorni
 successivi, onde permettergli la possibilita' di  un'adeguata  tutela
 giurisdizionale.
    Come   appare   evidente,  con  riferimento  alla  stessa  ipotesi
 disciplinata dalla norma di legge siciliana  oggetto  della  presente
 impugnazione,   la  legislazione  statale,  a  differenza  di  quella
 regionale, prevede un sistema di contestazione della causa impeditiva
 che  e'  ispirato al principio del contraddittorio ed e' assistito da
 garanzie procedurali a  favore  dell'interessato.  Si  tratta  di  un
 sistema  indubbiamente  piu' rispondente al principio costituzionale,
 desumibile dall'art. 24 Cost., secondo il quale nessuno  puo'  essere
 comunque  impedito  nell'esercizio  o  nel  godimento  di  un diritto
 inviolabile senza il "giusto procedimento" previsto dalla  legge:  un
 sistema  la  cui  mancata  previsione  nella  legislazione  siciliana
 genera, in ogni caso, un'illegittima disparita'  di  trattamento  nel
 godimento  del  diritto  fondamentale di elettorato passivo, in danno
 degli eletti nei consigli comunali della Sicilia che versino  in  una
 situazione di incompatibilita' prevista dalla legge.