ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, ultimo comma, della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Princi'pi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1982 dal T.A.R. del Lazio su ricorsi riuniti proposti dalla Federazione Italiana della Caccia ed altra contro il Presidente del Consiglio dei ministri ed altro, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273- bis dell'anno 1985; Visti gli atti di costituzione della Lega per l'abolizione della Caccia, della Federazione Italiana Caccia e dell'Unione Nazionale Enalcaccia Pesca e Tiro nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo; Udito l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1 - Con ordinanza 8 novembre 1982 (pervenuta, pero', a questa Corte il 5 giugno 1985) il T.A.R. del Lazio sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.11, u.c., della l. 27 dicembre 1977 n. 968, con riferimento agli articoli 95, 97 e 117 Cost. Riferiva nell'ordinanza il Tribunale amministrativo che la Federazione Italiana della Caccia, e con successivo ricorso anche l'Unione nazionale Enalcaccia Pesca e Tiro, avevano impugnato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 giugno 1982 con il quale erano state apportate variazioni all'elenco delle specie di uccelli cacciabili, contemplato nel secondo comma del citato art. 11. Osservava il Giudice rimettente che il Presidente del Consiglio deriva tale suo potere dall'ultimo impugnato comma del richiamato art. 11, dove appunto e' detto che "possono essere disposte variazioni dell'elenco delle specie cacciabili, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito l'Istituto nazionale di biologia della selvaggina e il comitato di cui all'art. 4"; vale a dire il comitato tecnico venatorio nazionale. Facendo propri taluni rilievi dei ricorrenti, il T.A.R. esprimeva dubbi di legittimita' costituzionale su tale ultimo comma per i seguenti motivi. Innanzitutto perche' l'art. 95 Cost., attribuendo al Presidente del Consiglio eminenti funzioni costituzionali, non fa alcun cenno a specifiche funzioni amministrative: ne', d'altra parte, e' stata mai data attuazione, per quanto si riferisce all'organizzazione della Presidenza del Consiglio, al precetto contenuto nella prima parte dell'art. 97 Cost. Sicche', in mancanza di una legge che la disciplini, sembrerebbe arbitraria l'attribuzione delle funzioni in contesto. Peraltro, lo stesso procedimento seguito per l'adozione delle varianti appare al giudice rimettente confermare l'adombrato profilo d'illegittimita'. Il decreto, infatti, e' stato emanato "sulla proposta del Ministro dell'agricoltura e foreste" (che lo ha poi controfirmato) contrariamente alle previsioni della legge. In buona sostanza, la generica ed ampia formulazione, con cui il comma impugnato attribuisce al Presidente del Consiglio il potere in contestazione, sarebbe tale - secondo l'ordinanza - da consentirgli anche di innovare i criteri di classificazione e le scelte di fondo operate dal legislatore, derogando, percio', ai principi generali delineati dalla legge. Cio', pero', si porrebbe anche in contrasto con le norme contenute nell'art. 117 della Costituzione che ripartisce fra Stato e Regioni le attribuzioni nelle materie ivi elencate, tra cui la caccia. In virtu' di tale disposto, mentre spetta alla Regione la normazione di dettaglio nell'ambito dei principi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato, e' evidente che la determinazione di questi ultimi e' coperta chiaramente da riserva di legge, con esclusione di qualsiasi atto di normazione secondaria. E', percio', da escludere che il Presidente del Consiglio possa innovare ai principi generali dettati dalla legge sulla caccia, mediante l'emanazione di un suo decreto. 2 - L'ordinanza e' stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata. Innanzi a questa Corte si sono costituite la Federazione e l'Unione ricorrenti, ma la loro costituzione risulta fuori termine. Si e', invece, regolarmente costituita la Lega per l'abolizione della caccia, che era gia' intervenuta nel giudizio "a quo". E' pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dell'Avvocatura Generale dello Stato. 3 - Contesta innanzitutto la Lega che il comma impugnato violi l'art. 95 Cost. perche' questo garantisce le funzioni essenziali del Presidente, ma non esclude che la legge ordinaria possa attribuirgli altri compiti che non contraddicano l'eminente figura e la posizione generale che gli compete nel sistema. Il che, infatti, si e' regolarmente verificato per numerose disparate funzioni fin da tempi lontani. Ne' potrebbe trarsi argomento alcuno dall'invocato parametro di cui all'art. 97 Cost., perche' la disciplina necessaria per l'esercizio del potere di cui all'ultimo comma dell'art. 11 impugnato e' dettato negli aspetti essenziali di formazione dell'atto: ed il procedimento seguito e' proprio quello indicato dalla legge. Infatti il Comitato tecnico nazionale e' costituito presso il Ministero dell'agricoltura e foreste, per cui non puo' stupire che pareri, impulsi e proposte trovino la mediazione del Ministero di cui il Comitato e' organo: tanto piu' che allo stesso Comitato spetta di formulare al Governo proposta in merito all'adeguamento della legislazione nazionale alle norme comunitarie ed alle convenzioni internazionali concernenti l'esercizio della caccia (art. 4, penultimo comma, legge n. 968 del 1977). Nemmeno avrebbe pregio - ad avviso della Lega - la censura secondo cui l'atto del Presidente potrebbe perfino innovare ai principi dettati dalla legge, attesa la sua amplissima discrezionalita', perche' e' la legge stessa che all'art. 8 precisa i criteri cui deve restare subordinato ogni eventuale divieto. Cosi' che l'esercizio del potere del Presidente, lungi dal possedere la temuta discrezionalita', e' strettamente vincolato a quei principi e si sostanzia in un mero accertamento di presupposti che comporta valutazioni tecniche e fattuali. 4 - Sostanzialmente condividendo tali assunti rileva in particolare l'Avvocatura Generale che l'attribuzione conferita al Presidente del Consiglio appare di rango cosi' elevato da non porsi in contrasto con la fisionomia costituzionale dell'organo. Sul piano della legittimita' costituzionale, non puo' censurarsi la scelta di collocare a tale livello un potere decisionale che e' posto a salvaguardia di un interesse generale dello Stato cosi' come descritto dall'art. 1 della legge n. 968 del 1977, che dichiara la fauna selvatica patrimonio indisponibile dello Stato. Quanto poi all'argomento che il T.A.R. ritiene di desumere dal fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato su proposta del Ministro per l'Agricoltura e Foreste, con la controfirma del medesimo, fa rilevare l'Avvocatura che, se pure si dovesse ritenere che l'atto emanato si discosti dal modello legale, potrebbero al piu' trarsene conseguenze sul piano della legittimita' del provvedimento, ma non su quello della legittimita' costituzionale della legge. Infine, per quanto concerne il riferimento all'art. 117 Cost., osserva l'Avvocatura Generale che, a ben vedere, la determinazione delle specie cacciabili non e' inscrivibile nella materia della caccia, avendo piuttosto la funzione di delimitare dall'esterno l'oggetto dell'attivita' venatoria demandata al governo regionale. Invero, cosi' come non contrasta con l'art. 117 Cost. Il disposto dell'art. 1 della legge n. 968 del 1977, dove la fauna selvatica e' dichiarata patrimonio statale e non regionale, parimenti non invade la competenza regionale la riserva allo Stato del potere di stabilire quale parte di questo patrimonio e' ammesso ad un uso pubblico quale l'esercizio venatorio. Considerato in diritto 1 - L'ultimo comma dell'art. 11 della legge impugnata non sembra meritare le censure d'illegittimita' costituzionale che ad esso vengono mosse. 2 - Seguendo l'ordine stesso delle doglianze, va detto subito che gli argomenti desunti dagli art.li 95 e 97 Cost. non hanno consistenza. E' evidente, infatti, che l'attribuzione ex art. 95 Cost. al Presidente del Consiglio di funzioni costituzionali non esclude che la legge possa assegnargli anche compiti di natura amministrativa, specie se si riferiscono a interessi generali non facilmente classificabili nell'ambito delle competenze dei singoli ministeri: e, del resto, numerosissimi sono tali compiti amministrativi che tuttora sussistono, per gran parte previsti da leggi lontanissime, anche precedenti al rafforzamento e all'accentramento di poteri nel Presidente introdotti dalla dittatura, e molti anzi attribuiti ex novo da leggi della Repubblica. Ne' rileva, ai fini del presente giudizio, che non siano state ancora emanate le disposizioni di legge per l'organizzazione della Presidenza del Consiglio ex art. 97 Cost. Cio' non ha, infatti, finora impedito il funzionamento dell'Organo dello Stato, regolato da prassi e convenzioni, anche costituzionali, e da talune vecchie leggi interpetrate in adeguamento alla Costituzione. Mentre poi la procedura per l'attuazione della funzione amministrativa in esame e' specificamente prevista nel comma impugnato, ed il relativo potere decisionale e' ben collocato a livello cosi' elevato, trattandosi di salvaguardare un interesse generale dello Stato (art. 1 della legge). A tale proposito, anzi, va subito respinta l'idea che si tratti di procedura anomala per essere stato il decreto in parola emanato su proposta del Ministro dell'Agricoltura e foreste, che lo ha controfirmato. Non va dimenticato, infatti, che il Comitato di cui all'art. 4 che deve essere sentito, ai sensi dell'art. 11, per l'emanazione del Decreto da parte del Presidente del Consiglio, e' il Comitato tecnico-venatorio nazionale, costituito appunto presso il Ministero dell'agricoltura e foreste. E' comprensibile che il Presidente del Consiglio non prenda spontanee iniziative in una materia cosi' squisitamente tecnica, se non quando riceva segnalazioni circa la necessita' di variazioni all'elenco, proprio da parte dei due enti (Istituto nazionale di biologia della selvaggina e Comitato venatorio nazionale) che egli comunque e' tenuto a sentire quando intenda procedere a seguito di segnalazioni pervenutegli da altre fonti. Non puo' stupire, pertanto, che, quando il Comitato venatorio nazionale ritenga opportuno di assumersi l'iniziativa di una segnalazione in materia, lo faccia attraverso l'intermediazione del Ministro, del cui Dicastero e' organo, secondo prassi amministrativa consolidata. Del resto, e' la legge stessa che, proprio nel penultimo comma del richiamato art. 4, prevede poteri propositivi da parte del Comitato in tema di adeguamento della legislazione nazionale alle norme comunitarie e alle Convenzioni internazionali concernenti l'esercizio della caccia, come bene e' stato ricordato dalla Lega per l'abolizione della caccia nella sua memoria: ed il contestato Decreto del Presidente 4 maggio 1982 fa appunto riferimento alla Direttiva comunitaria n. 79/409/CEE del 2 aprile 1979. Parimenti corretto, comunque, in proposito e' il rilievo dell'Avvocatura Generale, secondo cui, quand'anche si dovesse ritenere che l'atto emanato si discosti dal modello legale, potrebbero al piu' trarsene conseguenze sul piano della legittimita' del provvedimento. In realta', le anomalie denunziate - ammesso che abbiano rilevanza pregiudizievole - riguarderebbero la regolarita' del procedimento amministrativo, ma non entrerebbero in conflitto con alcuna norma costituzionale, considerato che, comunque, il potere e' stato esercitato dal Presidente del Consiglio e che i due enti tecnici hanno espresso il loro avviso. 3 - Piu' penetrante si direbbe, invece, prima facie la preoccupazione relativa all'ampia e generica formulazione del comma impugnato che - secondo l'ordinanza di rimessione - sarebbe tale da consentire al Presidente del Consiglio di innovare alle scelte di fondo operate dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili, cosi' derogando ai principi generali delineati dalla legge. Ma si tratta soltanto di impressioni dovute all'apparente sommarieta' della tecnica di normazione. In realta', invece, gia' nel corpo stesso della disposizione vi e' un elemento significativo che ne orienta l'interpetrazione e la collega alla ratio della legge. Si vuol alludere al parere obbligatorio, anche se non vincolante, di due organi tecnici che sta alla base del provvedimento del Presidente: il parere dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina e quello del Comitato tecnico venatorio nazionale. Pareri che vanno messi in relazione ad uno dei principi fondamentali dettati dalla legge in esame, quello di cui al primo comma dell'art. 8, secondo cui "l'esercizio della caccia e' consentito purche' non contrasti con l'esigenza di conservazione della selvaggina e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole". E' evidente a questo punto che l'obbligo del Presidente del Consiglio di sentire i due citati Istituti prima di emettere qualunque provvedimento di variazione delle specie cacciabili, e' voluto dal legislatore proprio in funzione della specifica competenza di quegli Enti in materia di biologia della selvaggina e di problemi venatori, da cui il Presidente attinge gli elementi per esprimere le valutazioni del caso nell'ambito del principio generale di cui al primo comma dell'art. 8. Cio' dimostra che si tratta di valutazioni tecniche e fattuali, di cui la legge ha perentoriamente segnato i criteri, e che, per cio' stesso, escludono il temuto ampio potere discrezionale, ed ogni possibilita' di innovare o di derogare alle scelte di fondo operate dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili. 4 - Il decreto impugnato innanzi al Giudice amministrativo e' esemplare di tali limiti. La premessa fa innanzitutto riferimento alle indicazioni - come gia' si e' accennato - della direttiva comunitaria che suggerisce la riduzione della pressione venatoria nei confronti di alcune specie dell'avifauna minore, ma anche alla documentazione in campo scientifico relativa alla diminuzione di talune specie su quasi tutta l'area europea da esse interessata: documentazione che evidentemente proviene dagli Enti competenti. Cosi' come dagli stessi Enti e' data attestazione circa la potenziale nocivita' per l'agricoltura e per altre specie selvatiche, della cornacchia grigia, della ghiandaia e della gazza, o della rarita' in Italia della Limosa lapponica (Pittima minore). Ne' e' esatto che il legislatore abbia cancellato dalla legge la nozione di nocivita' per talune specie, che' anzi, da una parte, ha conferito proprio al Comitato venatorio nazionale compiti di studio e di ricerca, fra l'altro, per "la tutela delle produzioni agricole", (art. 4, comma terzo) e, dall'altra, ha attribuito alle Regioni il controllo delle specie di cui all'art. 11 per il caso che "moltiplicandosi eccessivamente, arrechino danni gravi alle colture agricole e al patrimonio faunistico..." (art. 12, secondo comma). Proprio, dunque, quella nocivita' "in particolare per l'agricoltura e per altre specie selvatiche" che il Decreto ha preso in considerazione al comma quinto, dietro suggerimento degli enti specializzati. 5 - Appare chiaro, allora, a questo punto, che la funzione attribuita al Presidente del Consiglio ha quello stesso carattere amministrativo di aggiornamento, in relazione a dati tecnici e di fatto forniti dai competenti istituti, che possiedono analoghi atti dell'Esecutivo diretti all'aggiornamento o all'approvazione o addirittura alla formazione di tabelle contenenti elenchi relativi ad altre materie. Cosi' per le sostanze stupefacenti (cfr. sent. 13 gennaio 1972 n. 9), per i giochi non d'azzardo (sent. 20 giugno 1972 n.113) o per le malattie professionali (sent. 24 giugno 1981 n. 127). In tali casi, questa Corte ha avvertito che si tratta di "atti amministrativi" nei quali "non si configura alcuna delega da parte del legislatore": ha precisato, anzi, la Corte che "nel nostro ordinamento e' riscontrabile una certa proclivita' del legislatore a collocare in un testo legislativo, in aggiunta alla parte normativa, anche dati della realta', individuati in base a criteri tecnici. Accade sovente in tali casi che il legislatore demandi poi all'Esecutivo, o all'organo dell'Esecutivo competente per materia, di apportare a quei dati gli aggiustamenti che l'esperienza, una piu' matura riflessione, il progresso tecnico rendono consigliabili" (sent. n. 127 del 1981). In altri termini, si tratta di elementi o di situazioni che non possono essere tutti e compiutamente predeterminati nella normazione primaria. In tal caso, il legislatore formula un elenco, di per se stesso ampiamente indicativo di un certo orientamento nella scelta della selvaggina cacciabile, e detta principi rigorosi, in relazione ai quali, ed entro l'ambito dei quali, conferisce poi all'Esecutivo o ad un suo organo il potere di adeguarli ai mutamenti inevitabili che la realta' subisce nel tempo. Da tutto cio' appare anche evidente che l'art. 117 Cost. non viene in causa, perche' allo Stato resta ferma la competenza per l'emanazione di principi e disposizioni generali concernenti l'intero territorio nazionale, mentre le Regioni (salvo le competenze esclusive stabilite dagli Statuti speciali di talune Regioni e province autonome - art. 5, ultimo comma) provvedono ai piani annuali o pluriennali territoriali, e intervengono con atti normativi a vietare o a ridurre la caccia per periodi prestabiliti e per determinate specie sulla base delle importanti e motivate ragioni indicate nell'art. 12. La competenza amministrativa del Presidente del Consiglio e' estranea a tutto questo, essendo prevista esclusivamente nei limiti di aggiornamento e di adeguamento degli elenchi nazionali, suggeriti dagli organi tecnici nello stretto ambito dei rigorosi criteri fissati dalla legge.