ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96, lett. f), del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), promossi con le seguenti ordinanze: a) ordinanza emessa il 26 ottobre 1983 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la Banca d'Italia e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 1987; b) ordinanze emesse il 14 giugno 1985 (n. due ordinanze) dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra la Banca d'Italia e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, iscritti ai nn. 408 e 409 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 1987; c) ordinanze emesse il 14 giugno 1985 (n. due ordinanze) dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili vertenti tra la Banca d'Italia e il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni iscritti ai nn. 406 e 407 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 1987 e ordinanza emessa il 18 marzo 1986 dalla Corte d'Appello di Roma nel procedimento civile vertente tra la Banca d'Italia e Losito Maria Pia ed altro, iscritta al n. 723 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59, 1a serie speciale, dell'anno 1986; Visti gli atti di costituzione della Banca d'Italia nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini e Giorgio Sangiorgio per la Banca d'Italia e l'Avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza in data 26 ottobre 1983, pervenuta a questa Corte il 28 agosto 1987 (R.O. 405/87), il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 28 e 113 Cost., degli artt. 6, 28, 48 e 93 del D.P.R. 19 marzo 1973, n. 156, detto "codice postale" ("Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni"), "nella parte in cui stabiliscono che il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni non e' tenuto a nessuna forma di risarcimento, oltre all'indennita' prevista dall'art. 28 dello stesso D.P.R., nel caso di mancato recapito di raccomandate con le quali siano stati spediti vaglia cambiari o, in genere, titoli di credito commutanti titoli di spesa dello Stato". L'incidente di costituzionalita' e' insorto nel corso di un giudizio instaurato da Vulpiani Ovidio contro la Banca d'Italia per sentirla condannare al pagamento della somma portata da un vaglia cambiario non trasferibile, il quale, spedito per posta in piego raccomandato mai recapitato al destinatario, era stato pagato dalla stessa Banca a una persona diversa spacciatasi per il legittimato mediante un documento di identita' falso. A sua volta la Banca d'Italia aveva citato in garanzia il Ministero delle Poste per essere da questo manlevata in caso di accoglimento della domanda attrice. Costituendosi in giudizio, il Ministero replico' di essere esonerato da responsabilita' per il risarcimento dei danni in virtu' del combinato disposto degli artt. 6, 28, 48, 93 del D.P.R. n. 156 del 1973, a norma dei quali, in caso di perdita di corrispondenza raccomandata, salva la prova della forza maggiore, esso e' tenuto soltanto al versamento di una indennita' pari al decuplo dei diritti di raccomandazione con esclusione di ogni risarcimento ulteriore. Al Tribunale le dette norme sembrano in contrasto anzitutto con l'art. 3, primo comma Cost., in quanto conservano un privilegio dell'Amministrazione postale spiegabile solo storicamente, ma ormai privo di fondamento razionale di fronte al principio dello Stato di diritto, secondo cui lo Stato, quando gestisce un pubblico servizio, e' in linea di massima soggetto, nei rapporti con gli utenti, al regime comune della responsabilita' contrattuale. Le perplessita' aumentano, sempre ad avviso del giudice a quo, ove si consideri che alcune leggi in materia di contabilita' di Stato prevedono che i titoli di spesa dello Stato siano d'ufficio commutati in vaglia cambiari della Banca d'Italia da inviare al domicilio del creditore in piego raccomandato. Il collegamento di tali leggi con quelle denunziate del codice postale delinea "un sistema che sottrae lo Stato debitore ai rischi concernenti il mancato soddisfacimento del creditore", accollandoli "al creditore medesimo e alla banca incaricata di emettere il vaglia e di provvedere al suo pagamento". Oltre che il principio di eguaglianza, dalle norme in questione sarebbe violato anche l'art. 28 Cost., considerato che l'Amministrazione viene esonerata da responsabilita' per il risarcimento dei danni anche nel caso che la perdita della raccomandata sia dovuta a un fatto criminoso commesso da suoi dipendenti nell'esercizio delle loro mansioni, mentre la norma costituzionale "esige che la' dove sia responsabile il funzionario o dipendente debba esserlo negli stessi limiti lo Stato (Corte cost. n. 2 del 1968)". "Se poi, soggiunge il Tribunale, dovesse ritenersi che l'irresponsabilita' del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni si estenda anche ai dipendenti, sarebbe allora prospettabile il dubbio che le norme in esame contrastino anche con l'art. 113 Cost.", in quanto pongono limiti di responsabilita' "che sottraggono determinati atti o comportamenti della pubblica amministrazione al sindacato giurisdizionale". 2. - Si e' costituita in giudizio la Banca d'Italia con un atto che richiama integralmente le deduzioni presentate in un altro giudizio, di identico contenuto, del quale si dira' piu' avanti. 3. - E' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Richiamandosi a precedenti pronunce di questa Corte (sent. n. 190 del 1984; ord. n. 277 del 1986), l'Avvocatura dello Stato fa osservare, in via pregiudiziale, che "il Tribunale, per poter esaminare il merito della controversia sottoposta alla sua cognizione, avrebbe dovuto preliminarmente verificare la proponibilita' dell'esperita azione in relazione alla previsione normativa del previo reclamo in via amministrativa da presentare nel termine decadenziale di sei mesi dall'impostazione". Domanda, pertanto, che la questione di legittimita' costituzionale sollevata dall'ordinanza in epigrafe sia dichiarata inammissibile. 4. - La medesima questione e' stata nuovamente sollevata dal Tribunale di Roma con due ordinanze in data 14 giugno 1985, pervenute alla Corte il 28 agosto 1987 (R.O. nn. 408 e 409/87), in analoghi giudizi promossi da Manicuti Giorgio e Anania Morelli Carmela contro la Banca d'Italia, e integrati, su istanza di quest'ultima, dalla chiamata in garanzia del Ministero delle Poste. In questi due casi e' stato accertato che la Banca d'Italia non aveva provveduto, nel termine di decadenza di sei mesi dall'impostazione delle raccomandate, a proporre il reclamo in via amministrativa previsto dagli artt. 20, 91 e 96 lett. f) del codice postale come condizione di proponibilita' dell'azione giudiziaria contro l'Amministrazione postale. Pertanto, le ordinanze ora in esame rimettono alla Corte anche le norme appena citate del decreto n. 156 del 1973 per una verifica di costituzionalita' "nella parte in cui stabiliscono che i reclami in via amministrativa per le corrispondenze raccomandate devono essere presentati entro sei mesi dalla data dell'impostazione e che l'Amministrazione delle Poste e' liberata da ogni responsabilita' per la perdita di oggetti raccomandati quando il mittente non abbia presentato il detto reclamo". Esse violerebbero: a) l'art. 3 Cost., "non giustificandosi il termine breve (sei mesi dall'impostazione) con motivi di interesse superiore o con criteri di ragionevolezza", tenuto conto specialmente della "natura contrattuale riconosciuta dalla piu' recente dottrina e giurisprudenza al rapporto tra utente e Amministrazione delle Poste"; b) gli artt. 24 e 113 Cost., secondo i quali "la tutela giurisdizionale dei diritti non puo' soffrire esclusioni o limitazioni che ne rendano impossibile o difficile l'esercizio", vanificando la domanda di giustizia. Nel merito le due ordinanze seguono una linea argomentativa analoga a quella gia' elaborata dallo stesso Tribunale nell'ordinanza 26 ottobre 1983, sopra riferita al n. 1. Aggiungono che "non puo' legittimamente argomentarsi, come sostiene l'Avvocatura, che la Banca aveva la possibilita' di scelta tra la spedizione per raccomandata e quella per assicurata, atteso che norme per essa vincolanti (...) prescrivevano all'epoca dei fatti la spedizione raccomandata, ne' la Banca per i principi regolatori della responsabilita' contabile avrebbe potuto agire diversamente o recuperare le maggiori spese della spedizione per assicurata". 5. - In entrambi i giudizi e' intervenuta la Presidenza del Consiglio, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato. La prima questione, con cui si mette in dubbio la legittimita' degli artt. 20, 91 e 96 lett. f) del codice postale, e' ritenuta infondata dall'Avvocatura. A suo avviso, l'onere di tempestivo reclamo all'Amministrazione "soddisfa ad un tempo la comune esigenza di non ritardare gli indispensabili accertamenti di fatto, anche per l'eventuale recupero della corrispondenza se ancora possibile, e di consentire all'utente l'indennizzo previsto dall'ordinamento, ove ne ricorrano i presupposti, attraverso un procedimento semplice e non dispendioso". Il termine di sei mesi puo' ritenersi sufficientemente ampio per escludere che l'onere del reclamo sia tale da rendere impossibile o difficile l'esercizio del diritto, e quindi da offendere le garanzie costituzionali. Quanto alla questione di merito, poiche' essa e' oggetto di rimessione condizionata, dovrebbe reputarsi percio' solo inammissibile. Comunque, essa e' dall'Avvocatura ritenuta infondata. Premesso che "l'istituto della raccomandazione, a differenza di quello dell'assicurazione, non e' volto a garantire il contenuto degli invii, il quale rimane del tutto ignoto all'Amministrazione, ma semplicemente a dare prova che un certo plico e' stato impostato presso un certo ufficio postale a una certa data ed e' arrivato a destinazione", l'Avvocatura sostiene, in linea generale, che l'esenzione dell'Amministrazione postale da responsabilita' per danni e' giustificata dall'"esigenza di non gravare il servizio pubblico del costo di disservizi, ineliminabili dato l'elevatissimo numero degli addetti e delle prestazioni da rendere (...), e dal cui rischio l'utente ha d'altra parte deciso di non cautelarsi", come invece potrebbe scegliendo la forma dell'assicurazione. Del resto, aggiunge l'interveniente, la previsione della responsabilita' dell'Amministrazione in limiti ben definiti e circoscritti e' comune alla legislazione dei paesi aderenti all'Unione Postale Universale e per il servizio postale internazionale e' sancita dalla vigente Convenzione postale universale, resa esecutiva in Italia dal d.p.r. n. 358 del 1981. Passando a trattare la questione nella piu' ristretta dimensione in cui e' proposta dal giudice a quo, l'Avvocatura nega rilevanza al fatto che la forma della raccomandazione postale sia in certi casi prevista dalla legge come unico modo di invio agli aventi diritto di vaglia cambiari commutanti titoli di spesa dello Stato. In questi termini la questione sarebbe male impostata. Non le disposizioni del codice postale, che esentano l'Amministrazione da responsabilita' per i danni derivati dall'inadempimento dell'obbligazione di trasporto assunta verso l'utente, dovevano essere impugnate, bensi', semmai, le norme della contabilita' di Stato o di altre leggi le quali prevedono la novazione di debiti dello Stato mediante emissione di vaglia cambiari della Banca d'Italia e a questa prescrivono di avvalersi del servizio postale nella forma della raccomandazione per l'invio dei vaglia agli aventi diritto, riversando sulla banca il rischio del furto o dello smarrimento del titolo. Pertanto, a detta dell'Avvocatura, la questione, cosi' come e' stata posta, sarebbe irrilevante prima ancora che infondata. In ogni caso, quanto al merito, vengono richiamate le precedenti osservazioni generali circa la ragionevolezza della disciplina speciale di cui si discorre. In relazione all'art. 28 Cost., l'Avvocatura rimprovera al tribunale di dimenticare "che la normativa in esame non esclude ma limita la responsabilita'", cosi' che, entro il limite di legge, e' rispettato il principio di responsabilita' civile dello Stato per i fatti illeciti compiuti dai suoi funzionari e dipendenti nell'esercizio delle loro funzioni. Infine, l'Avvocatura ritiene ultroneo il richiamo dell'art. 113 Cost., sul riflesso che "la questione dei limiti di responsabilita' attiene al piano dei diritti sostanziali, come tale estraneo all'area di incidenza delle garanzie assicurate dall'anzidetta norma". 6. - In entrambi i giudizi si e' costituita la Banca d'Italia con un atto di contenuto identico a quello menzionato sotto al n. 8. 7. - La questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6, 28, 48, 93 del d.P.R. n. 156 del 1973 e' stata sollevata, sempre in riferimento agli artt. 3, 28 e 113 Cost., da altre due ordinanze del Tribunale di Roma in data 14 giugno 1985 (esse pure pervenute alla Corte solo il 28 agosto 1987, e iscritte nel R.O. del 1987, ai nn. 406 e 407), nonche' dalla Corte d'appello di Roma con ordinanza 18 marzo 1986 (R.O. n. 723 del 1986), in riferimento agli artt. 3 e 28 Cost.: ordinanze emesse nel corso di giudizi analoghi ai precedenti, instaurati rispettivamente da Di Gilio Rita, Finocchi Aleandro e Losito Maria Pia contro la Banca d'Italia, e integrati, su istanza di quest'ultima, mediante chiamata in garanzia del Ministero delle Poste. In questi tre casi la Banca aveva fornito la prova di avere proposto tempestivo reclamo all'Amministrazione postale, cosi' che non si e' posta la pregiudiziale sopra riferita ai nn. 3, 4 e 5 in punto di rilevanza della questione. Un'altra pregiudiziale, concernente la legge n. 1575 del 1962, e' stata sciolta dalla Corte d'appello nel senso dell'applicabilita' di tale legge nonostante la mancata emanazione del decreto del Ministro del Tesoro che avrebbe dovuto stabilire i limiti e le modalita' della commutazione dei debiti dello Stato in vaglia cambiari non trasferibili della Banca d'Italia. Nel merito le argomentazioni svolte nelle tre ordinanze, e cosi' pure le controdeduzioni dell'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono del tutto analoghe a quelle sopra esposte ai nn. 1 e 3. 8. - In tutti i giudizi si e' costituita la Banca d'Italia, precisando anzitutto che le norme denunziate non prevedono una limitazione di responsabilita', cosi' che si possa dire che "una responsabilita'" pur sempre esiste, bensi' prevedono un esonero (totale) dell'Amministrazione postale da responsabilita' per danni nei confronti dell'utenza, non potendosi riconoscere natura di risarcimento (limitato) alla "forma anomala di riparazione" rappresentata dal pagamento di un'indennita' fissa pari a dieci volte l'importo dei diritti di raccomandazione. In secondo luogo, la Banca afferma la mancanza di ogni giustificazione razionale dell'esenzione da responsabilita' per danni dell'Amministrazione postale, esenzione che non si puo' intendere "se non come un privilegio del fisco, che risale a tempi passati, quando le amministrazioni dello Stato avevano l'abitudine diffusa di non pagare". Conclude chiedendo che pure questo privilegio venga fatto cadere. Considerato in diritto 1. - I giudizi promossi dalle sei ordinanze in esame hanno analogo contenuto, e pertanto devono essere riuniti e decisi con unica sentenza. 2. - La questione di legittimita' costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R. n. 156 del 1973 e' fondata. Secondo una formula tralaticia, ricorrente nella giurisprudenza meno recente e ripresa dall'Avvocatura dello Stato, l'esenzione dell'Amministrazione delle Poste da responsabilita' per danni verso l'utenza si giustificherebbe per la necessita' "di garantire all'Amministrazione la piu' ampia discrezionalita' nell'organizzazione del pubblico servizio", ponendola "al riparo da sanzioni risarcitorie per inconvenienti e imperfezioni nell'adempimento delle prestazioni, inseparabili dalle scelte organizzative da essa fatte, le quali possono anche tradursi nel mancato rispetto di regole di servizio da parte del dipendente, delle quali, per la complessita' dell'organizzazione e la difficolta' dei controlli, non e' possibile garantire l'assoluta e costante osservanza". Ma una simile giustificazione, improntata a una concezione del servizio postale come servizio puramente amministrativo, non regge di fronte all'art. 43 Cost., che ha istituito uno stretto collegamento tra la nozione di servizio pubblico essenziale e la nozione di impresa. Se ne deduce che tutti i servizi pubblici essenziali devono essere organizzati e gestiti in forma di impresa, ossia, come dispone l'art. 2 della legge 17 maggio 1985 n. 210 per il servizio ferroviario, "con criteri di economicita'", i quali comportano la conformazione dei rapporti con gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al regime del diritto privato. A questo regime, che tende a convertirsi in "diritto comune a pubblici e privati operatori", indifferente alla diversa natura degli interessi in gioco, e' stata ricondotta, in ossequio alla direttiva costituzionale, la responsabilita' per inadempimento dell'Amministrazione ferroviaria dalla legge 7 ottobre 1977, n. 754. Solo una discrezionalita' organizzativa responsabilizzata secondo criteri di economicita' puo' assicurare, tra l'altro, una seria politica delle assunzioni improntata esclusivamente a rigorosi requisiti di professionalita'. L'eccezione confermata dal d.P.R. n. 156 del 1973 in favore dell'Amministrazione delle Poste, la cui discrezionalita' organizzativa non e' correlata col principio di responsabilita', si spiega solo come retaggio storico di un privilegio risalente alle origini del servizio postale. Questo e' nato agli inizi del secolo XVII come servizio "aulico", affidato a privati ai quali il monarca concedeva, in compenso, la licenza di svolgere un servizio analogo per i sudditi, in regime di monopolio. Piu' tardi, quando lo Stato moderno si riservo' il servizio postale come strumento di acquisizione di un'entrata, i privilegi precedentemente accordati dal sovrano ai Mastri delle sue Poste, si consolidarono in un privilegio del fisco, comprendente anche l'immunita' da responsabilita' per danni verso l'utenza. La sua conservazione non ha alcuna giustificazione nell'ordinamento attuale, dove il servizio postale non puo' essere piu' considerato un bene patrimoniale dell'erario e si configura invece, secondo il criterio organizzativo impartito dall'art. 43 Cost., come un'impresa gestita dallo Stato in regime di monopolio, ossia come una forma di partecipazione dello Stato all'attivita' economica. 3. - L'ingiustificatezza del privilegio si accentua nei casi ai quali i giudici remittenti hanno circoscritto la sollevata questione di legittimita' costituzionale. In questi casi la forma della raccomandazione postale non e' liberamente scelta ne' dai creditori (destinatari), ne' dalla Banca d'Italia (mittente) come mezzo di trasmissione dei vaglia cambiari, cosi' che si possa dire, come afferma l'Avvocatura, che gli utenti assumono un rischio cui possono sottrarsi optando per la forma dell'"assicurazione". Invero, la legge 23 ottobre 1962 n. 1575, rovesciando l'impostazione del precedente d.P.R. 25 gennaio 1962, n. 71 (alla quale e' tornato il d.P.R. 10 febbraio 1984, n. 21, lasciandone fuori pero' i rimborsi IRPEF, che continuano ad essere regolati dalla legge 31 maggio 1977, n. 247), attribuiva agli Uffici ordinatori della spesa la facolta' di disporre d'ufficio la commutazione dei titoli di spesa dello Stato in vaglia cambiari non trasferibili emessi dalla Banca d'Italia, indipendentemente da una richiesta del creditore: e cio', come e' scritto nella relazione al disegno di legge, allo scopo di ottenere una "semplificazione del sistema di pagamento dello Stato". Il secondo e il terzo comma dell'articolo unico della legge n. 1575 del 1962, da integrare col primo comma dell'art. 2 del d.P.R. n. 71 dello stesso anno, prescrivevano che i vaglia fossero spediti dalle Tesorerie di Stato all'indirizzo dei creditori in piego raccomandato, a spese delle Amministrazioni interessate. Disponeva, infine, il quinto comma che "l'emissione dei vaglia cambiari estingue il debito dello Stato". Dal complesso di questa disciplina risulta che: a) lo Stato e' autorizzato a novare unilateralmente il proprio debito sostituendolo con una obbligazione pecuniaria di pari ammontare incorporata in un vaglia cambiario emesso dalla Banca d'Italia; b) il servizio di corrispondenza raccomandata, esercitato dall'Amministrazione postale, e' indicato obbligatoriamente alla Banca d'Italia come mezzo di adempimento dell'obbligo di trasferire al creditore il possesso del vaglia, necessario per ottenere il pagamento della somma da esso portata. L'integrazione del meccanismo approntato dalla legge n. 1575 del 1962 con le norme del codice postale relative all'istituto della "raccomandazione" fa emergere una irrazionale disparita' di trattamento in contrasto con l'art. 3 Cost.: mentre nel rapporto tra Banca d'Italia e creditore l'inadempimento dell'obbligo di consegna del vaglia e' regolato dalla norma generale dell'art. 1218 cod. civ., onde la Banca si libera da responsabilita' solo con la prova del caso fortuito, invece nel rapporto tra Banca d'Italia e Amministrazione delle Poste l'obbligo di trasporto e di consegna del vaglia al destinatario, assunto dalla seconda verso la prima, e' regolato da norme speciali che esonerano l'amministrazione da responsabilita' per il risarcimento dei danni, con la conseguenza, non coerente con la ratio della legge n. 1575, di far ricadere il rischio dell'operazione sulla Banca. 4. - L'Avvocatura obietta che, diversamente dal servizio della corrispondenza assicurata, l'Amministrazione postale, cui la Banca d'Italia affida la raccomandata contenente il vaglia cambiario, non si obbliga a consegnare al destinatario il vaglia, ma soltanto un plico chiuso, del quale ignora il contenuto. Si puo' replicare anzitutto che la distinzione tra raccomandazione e assicurazione attiene propriamente alla prova del danno derivato dalla perdita del plico, ma non rileva sul piano del diritto sostanziale: in entrambi i casi, salvi per le raccomandate i divieti di cui all'art. 83 del d.P.R. n. 156 del 1973, l'Amministrazione postale assume contrattualmente l'obbligazione di trasportare e consegnare al destinatario il plico intatto nella sua originaria consistenza. In secondo luogo non va trascurato il rilievo che nel caso di specie il modello delle buste usate dalla Banca d'Italia per la spedizione dei vaglia cambiari commutanti debiti dello Stato e' corredato di segni esteriori che rendono chiaramente riconoscibili il contenuto della busta e la funzione cui la raccomandata - secondo legge - e' deputata. 5. - Infine l'Avvocatura eccepisce che, in ogni caso, non le norme del codice postale che sollevano l'Amministrazione da responsabilita' per danni dovevano essere impugnate, bensi' le norme della contabilita' di Stato o di altre leggi, le quali prevedono la commutazione d'ufficio dei debiti dello Stato in vaglia cambiari da spedire ai creditori in piego raccomandato, cosi' ponendo a carico della Banca d'Italia e/o dello stesso creditore il rischio dello smarrimento o della sottrazione del titolo. Da questo punto di vista la questione sarebbe male impostata, e quindi inammissibile. Ma nemmeno tale eccezione appare plausibile. Come si e' detto, la disciplina della commutazione dei debiti dello Stato secondo la legge n. 1575 del 1962 e' integrata dalle norme del codice postale (r.d. n. 645 del 1936, vigente all'epoca di emanazione della legge, poi sostituito dal d.P.R. n. 156 del 1973), concernenti la responsabilita' dell'Amministrazione per la perdita della lettera raccomandata con cui il vaglia cambiario e' stato spedito al creditore. Percio' la questione di costituzionalita', in riferimento all'art. 3 Cost., e' stata posta correttamente dai giudici remittenti con riguardo non alle norme che prevedono la commutazione e impongono all'Amministrazione delle Poste un servizio di raccomandate in favore delle Tesorerie di Stato ai fini della trasmissione dei vaglia cambiari agli aventi diritto, ma appunto alle norme del codice postale nella parte in cui mantengono il privilegio di irresponsabilita' per danni dell'Amministrazione anche quando essa e' chiamata dalla legge al detto servizio. 6. - Le questioni di costituzionalita' in riferimento agli artt. 28 e 113 Cost. rimangono assorbite. 7. - Le ordinanze del Tribunale di Roma indicate in epigrafe sub b) hanno sollevato anche la questione di costituzionalita', in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., degli artt. 20, 91 e 96 lett. f) del codice postale, nella parte in cui, in caso di perdita di una corrispondenza raccomandata, subordinano l'azione giudiziaria contro l'Amministrazione postale alla previa presentazione di un reclamo in via amministrativa entro il termine decadenziale di sei mesi dalla data di impostazione: reclamo di cui l'Amministrazione ha eccepito la mancata tempestiva presentazione da parte della Banca d'Italia. La questione, nella specie, e' irrilevante, e pertanto va dichiarata inammissibile. Invero le norme impugnate si riferiscono all'azione giudiziaria esercitata in via principale dal mittente contro l'Amministrazione, mentre nei due casi in esame l'azione principale e' esercitata, contro il mittente (Banca d'Italia), dal destinatario dei vaglia cambiari, il quale pretende che il pagamento sia ripetuto a sue mani. Nel processo l'Amministrazione e' stata chiamata in garanzia, su istanza della Banca, la quale intende esercitare nel medesimo processo l'azione di regresso (o rivalsa) per l'eventualita' che sia accolta la domanda principale (art. 106 cod. proc.civ.). A questa azione, la quale trova ingresso in conseguenza della dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme del codice postale che la escludono, la condizione di procedibilita' prevista dagli artt. 20, 91 e 96 lett. f) del codice postale non e' evidentemente applicabile, trattandosi di un'azione che accede a una causa principale promossa contro il mittente da un terzo il cui diritto di agire non e' soggetto alla detta condizione. Per la ragione svolta nel numero precedente risulta assorbita l'eccezione di inammissibilita' opposta dall'Avvocatura dello Stato nel giudizio promosso dall'ordinanza indicata in epigrafe sub a): poiche' l'azione di rivalsa della Banca non e' soggetta alla condizione del previo tempestivo reclamo in via amministrativa, non ha rilevanza il fatto che il giudice a quo abbia omesso di accertare se tale condizione sia stata o no osservata.