ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 184, primo e
 secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14
 gennaio  1987  dal Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente
 tra Bitetto Giuseppe e Zenzola  Isabella,  iscritta  al  n.  271  del
 registro  ordinanze  1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1987;
    Visto l'atto di costituzione di Zenzola Isabella;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
    Udito l'avv. Benito Marrone per Zenzola Isabella.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  del 14 gennaio 1987 il Tribunale di Bari ha
 sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  184,
 primo comma, cod.civ. per contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma,
 29, secondo comma, e 42,  secondo  comma,  Cost.,  e  dell'art.  184,
 secondo comma, per contrasto con l'art. 24, primo comma, Cost.
    Nell'ambito della disciplina della comunione legale dei beni tra i
 coniugi l'art. 184, primo comma, dispone che "gli atti compiuti da un
 coniuge  senza  il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo
 non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili  o  beni
 mobili  elencati  nell'art.  2683".  La  norma si riferisce agli atti
 previsti dall'art. 180, secondo comma, e piu' precisamente agli  atti
 di  disposizione  di  beni  della comunione, cioe' alienazioni oppure
 negozi costitutivi  di  diritti  reali  o  di  diritti  personali  di
 godimento.
    Al  giudice  a quo la norma "non appare inserita razionalmente nel
 sistema". A suo avviso la deroga al principio  di  inefficacia  degli
 atti  di  disposizione  compiuti  dal non dominus, "ispirata soltanto
 alla tutela dei terzi", si pone "in contrasto con l'art. 42,  secondo
 comma,  Cost.,  perche'  indebolisce  il  diritto  di  proprieta' del
 coniuge sul bene  comune  a  scapito  della  famiglia  e  quindi  con
 pregiudizio  della funzione sociale della proprieta'"; offende l'art.
 29, secondo comma, risultandone  "praticamente  violata  la  dignita'
 giuridica  del coniuge il cui consenso e' stato pretermesso", nonche'
 l'art. 24, "in  quanto  non  appare  giustificata  ne'  razionale  la
 compressione  del  diritto  di difesa derivante dall'avere sanzionato
 con l'annullabilita', con una misura  cioe'  molto  meno  grave,  una
 situazione   che   sarebbe  stato  in  linea  coi  principi  generali
 sanzionare con l'inefficacia".
    Finalmente  la  norma denunziata e' ritenuta non conforme all'art.
 3, sembrando  "ingiustificata  la  diversita'  di  trattamento  della
 comunione  legale  rispetto  alla  comunione  ordinaria,  nonche' dei
 coniugi tra loro, in quanto il coniuge  il  cui  consenso  sia  stato
 pretermesso  patisce  un trattamento deteriore rispetto all'altro che
 abbia disposto del bene comune violando i suoi diritti".
    2.  -  I dubbi di costituzionalita' espressi in relazione al primo
 comma dell'art. 184 si rafforzano, sempre a giudizio del Tribunale di
 Bari, ove la norma sia valutata anche alla luce del secondo comma, il
 quale accentua lo sbilanciamento della tutela a favore dei terzi e  a
 danno del coniuge pretermesso.
    Comunque   il   secondo   comma  e'  fatto  oggetto  di  ulteriore
 impugnazione  autonoma,  in  via   subordinata,   come   norma   che,
 assoggettando   l'azione  di  annullamento  a  un  breve  termine  di
 decadenza (un anno), decorrente dalla data di trascrizione dell'atto,
 comprime eccessivamente il diritto di difesa del coniuge pretermesso,
 in contrasto con l'art. 24 Cost. Per evitare che  eventuali  atti  di
 alienazione,  posti  in  essere  a  sua  insaputa,  diventino  a  lui
 definitivamente  opponibili  nel  breve  termine  stabilito,  ciascun
 coniuge  si  trova  gravato  dall'onere  non  ragionevole di eseguire
 periodiche ravvicinate ispezioni dei registri immobiliari.
    3.  -  Nel  giudizio  dinanzi alla Corte si e' costituita la parte
 privata  interessata  all'accoglimento  delle   questioni.   Non   e'
 intervenuta  la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nell'imminenza
 della discussione della causa la  parte  privata  ha  depositato  una
 memoria  in  cui  insiste per la declaratoria di illegittimita' delle
 norme    impugnate,    sottolineandone    ulteriormente    l'asserita
 contrarieta'   ai  principi  costituzionali  concernenti  la  parita'
 giuridica dei coniugi e la tutela del diritto di difesa  del  coniuge
 pretermesso.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale,  sollevata
 d'ufficio dal Tribunale di Bari in ordine al  primo  comma  dell'art.
 184 cod. civ., e' infondata.
    Il   Tribunale  muove  dalla  premessa  che  la  disciplina  della
 comunione legale dei beni tra  coniugi  debba  essere  ricostruita  e
 valutata  confrontandola  con l'istituto generale della comproprieta'
 regolato dagli artt. 1100 segg. cod. civ. (c.d. comunione ordinaria),
 cioe'  applicando lo schema logico regola-eccezione. A questa stregua
 il primo comma dell'art. 184 e' giudicato una norma derogatoria  alla
 regola  di  inefficacia  dell'atto di disposizione a non domino, e in
 particolare dell'atto di disposizione  della  cosa  comune  posto  in
 essere  da  un comproprietario senza la partecipazione (diretta o per
 procura) degli altri. L'incidente di costituzionalita' e' stato cosi'
 impostato  come  questione di legittimita' dell'affievolimento che la
 supposta deroga al principio nemo plus iuris ecc., "ispirata soltanto
 alla  tutela  dei terzi", arreca al diritto di proprieta' del coniuge
 pretermesso  e  insieme  all'interesse   della   famiglia,   tutelati
 rispettivamente  dagli artt. 42 e 29 Cost., nonche' come questione di
 giustificatezza della norma secondo i parametri degli artt.  3  e  24
 Cost.
    Ma  la  corretta metodologia insegna che la "regola" (nel senso di
 dottrina) dogmatica di un istituto giuridico deve essere  tratta  non
 da  categorie  precostituite,  ma ex iure quod est, cioe' dalle norme
 positive che sostanziano l'istituto medesimo. Dalla disciplina  della
 comunione   legale  risulta  una  struttura  normativa  difficilmente
 riconducibile alla comunione ordinaria. Questa e' una  comunione  per
 quote,  quella  e'  una comunione senza quote; nell'una le quote sono
 oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti  (arg.  ex
 art.  2825  cod.civ.)  e  delimitano  il  potere  di  disposizione di
 ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell'altra i coniugi non sono
 individualmente  titolari di un diritto di quota, bensi' solidalmente
 titolari, in quanto tali, di un diritto avente  per  oggetto  i  beni
 della  comunione  (arg.  ex art. 189, secondo comma). Nella comunione
 legale la quota non e' un elemento strutturale,  ma  ha  soltanto  la
 funzione  di  stabilire  la  misura  entro cui i beni della comunione
 possono essere aggrediti dai creditori  particolari  (art.  189),  la
 misura  della responsabilita' sussidiaria di ciascuno dei coniugi con
 i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190),
 e  infine  la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il
 passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194).
    Ne  consegue  che,  nei  rapporti coi terzi, ciascun coniuge ha il
 potere di disporre dei beni della comunione. Il consenso  dell'altro,
 richiesto   dal   modulo  dell'amministrazione  congiuntiva  adottato
 dall'art.  180,  secondo  comma,  per  gli  atti   di   straordinaria
 amministrazione,  non  e'  un negozio (unilaterale) autorizzativo nel
 senso di atto attributivo di un potere, ma  piuttosto  nel  senso  di
 atto  che  rimuove  un  limite all'esercizio di un potere. Esso e' un
 requisito di regolarita' del procedimento di formazione dell'atto  di
 disposizione,  la  cui  mancanza,  ove  si  tratti di bene immobile o
 mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio.
   2.  -  Assodato che l'art. 184, primo comma, non e' tecnicamente un
 caso di acquisto da un alienante non legittimato, bensi' un  caso  di
 acquisto  a  domino  in  base  a  un  titolo viziato, il principio di
 inefficacia delle alienazioni  a  non  domino  non  puo'  fornire  il
 tertium  comparationis  rispetto  al  quale  possa  prospettarsi  una
 violazione dell'art. 3 Cost. in danno del coniuge pretermesso.  Anzi,
 se  si  pone mente che nel diritto privato i vizi del procedimento di
 formazione  di  un  atto  negoziale  sono  rilevanti  come  causa  di
 invalidita' solo nei casi espressamente previsti dalla legge, non per
 regola generale, la norma in  esame  appare  -  tutt'al  contrario  -
 disposta  a maggiore tutela dell'altro coniuge, non gia' in eccessivo
 favore dei terzi. Senza di essa il coniuge pretermesso dovrebbe, come
 nel  caso  regolato  nel terzo comma dell'art. 184, accontentarsi del
 diritto obbligatorio alla riparazione del danno.
    3. - Quanto alle altre norme costituzionali evocate nell'ordinanza
 di rimessione, le censure di  costituzionalita'  sono  manifestamente
 inconsistenti.  La  disposizione  denunziata  contiene  una  norma di
 diritto sostanziale, e come tale non incide  sul  diritto  di  difesa
 garantito dall'art. 24; non tocca l'eguaglianza dei coniugi garantita
 dall'art.  29,  perche'  tratta  allo  stesso  modo  sia  l'atto   di
 disposizione  compiuto dal marito senza il consenso della moglie, sia
 l'atto di disposizione compiuto dalla moglie senza  il  consenso  del
 marito;   non   mortifica   il  diritto  di  proprieta'  del  coniuge
 pretermesso, ne' l'interesse della famiglia cui sono destinati i beni
 della  comunione  (destinazione  che  non  va confusa con la funzione
 sociale della  proprieta'),  ma  anzi  li  protegge  appunto  con  la
 sanzione   di   invalidita'   dell'alienazione  stipulata  dall'altro
 coniuge.
    4.  -  In  via  autonoma,  subordinatamente  al  non  accoglimento
 dell'incidente sollevato in merito al primo comma,  il  Tribunale  di
 Bari,  su  istanza  di parte, impugna il secondo comma dell'art. 184,
 sul  riflesso  che  "il  legislatore,  stabilendo  che  l'azione   di
 annullamento   spettante   al  coniuge  il  cui  consenso  sia  stato
 pretermesso debba essere esercitata in ogni caso  nel  breve  termine
 (di prescrizione) di un anno dalla data della trascrizione dell'atto,
 ha - senza giustificato motivo - mortificato il diritto di difesa del
 coniuge" in violazione dell'art. 24 Cost.
    Nemmeno tale questione e' fondata.
    Occorre  premettere  che  l'alienazione  di un bene immobile della
 comunione, da parte di un coniuge senza il  consenso  dell'altro,  e'
 praticamente  possibile  solo  se  nei  registri immobiliari il fondo
 risulti intestato esclusivamente al nome  dell'alienante.  In  questo
 caso  il sistema di "pubblicita' negativa" - introdotto dalla riforma
 del diritto di famiglia per la comunione legale dei beni tra coniugi,
 nel  senso  che  essa  e' opponibile ai terzi quando i registri dello
 stato civile non indichino un regime (convenzionale) diverso  produce
 un  grave  intralcio  alla speditezza del commercio immobiliare.  Per
 appurare la reale situazione  giuridica  dell'immobile  i  terzi  non
 possono  limitarsi  a  ispezionare  i registri immobiliari, ma devono
 estendere le loro ricerche  ai  registri  dello  stato  civile,  meno
 facilmente accessibili e anche meno affidabili. Nel caso di specie il
 coniuge alienante aveva acquistato l'immobile dichiarando  falsamente
 nel  rogito  di  essere  separato  dalla  moglie, e cosi' riuscendo a
 procurarsi un titolo che  gli  consenti'  di  trascrivere  l'acquisto
 soltanto a suo nome: tutto cio' grazie anche a una lacuna della legge
 sull'ordinamento  dello  stato   civile,   la   quale   non   prevede
 l'annotazione,  a  margine  dell'atto  di  matrimonio, del decreto di
 omologazione della separazione consensuale dei  coniugi,  qualificata
 dall'art. 190 cod.civ. come causa di scioglimento della comunione dei
 beni.
    Rendendosi  conto  di  questo  aspetto del sistema pregiudizievole
 alla certezza dei rapporti giuridici (al quale ha parzialmente  posto
 riparo  la  nuova  disciplina  della  nota  di  trascrizione  dettata
 nell'art. 2659 dalla legge 27 febbraio 1985, n. 52), il  legislatore,
 nel  secondo comma dell'art. 184, ha sostituito la prescrizione breve
 di un anno alla prescrizione quinquennale cui,  per  regola  generale
 (art.   1442,   primo  comma,  cod.civ.),  e'  soggetta  l'azione  di
 annullamento dei contratti. Il bilanciamento degli opposti  interessi
 -  del  coniuge  pretermesso  alla conservazione del suo diritto, dei
 terzi alla sicurezza del traffico giuridico - non appare  lesivo  del
 diritto di difesa del primo, restandogli pur sempre un lasso di tempo
 sufficientemente ampio per impugnare l'alienazione.
    E'  vero,  come  osserva l'ordinanza di rimessione, che il coniuge
 non intestatario dell'immobile "avra' la necessita', per evitare  che
 eventuali  atti  di  alienazione divengano a lui opponibili nel breve
 termine stabilito, di eseguire periodiche ravvicinate  ispezioni  dei
 registri  immobiliari".  Ma e' un onere che, pur fastidioso, non puo'
 dirsi eccessivamente gravoso al punto di offendere  l'art.  24  Cost.
 Comunque,   a   parte  il  rilievo  che  nella  normalita'  dei  casi
 difficilmente l'alienazione dell'immobile potra' passare  inosservata
 per  oltre  un  anno al coniuge il cui consenso e' stato pretermesso,
 quest'ultimo - una volta accertata, in  esito  a  una  ispezione  dei
 registri immobiliari, la trascrizione di un acquisto separato al nome
 dell'altro - ha sempre la possibilita' di ottenere una  sentenza  che
 accerti  l'appartenenza  dell'immobile  alla  comunione,  e quindi un
 titolo per  domandare  l'integrazione  della  trascrizione  anche  al
 proprio nome.