ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3 del d.l.lgt. 21 novembre 1945, n. 722 (Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali) e 8 della legge 8 aprile 1952, n. 212 (Revisione del trattamento economico dei dipendenti statali), promosso con ordinanza emessa il 23 gennaio 1980 dalla Corte dei Conti - Sezioni Riunite, sul ricorso proposto da D'Ottavi De Castro Rita, iscritta al n. 465 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 dell'anno 1980; Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Greco; Ritenuto in fatto La Corte dei Conti, a sezioni riunite, in sede di esame del ricorso proposto da una dipendente della Corte medesima avverso il provvedimento in data 12 maggio 1976, col quale il Segretario Generale ne aveva respinto l'istanza diretta ad ottenere la quota di aggiunta di famiglia per un figlio a carico - non fruibile dal marito della ricorrente perche' lavoratore autonomo - ha sollevato, con ordinanza in data 23 gennaio 1980, in relazione agli artt. 3, 29, secondo comma, e 37 Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 3 del d.l.lgt. 21 novembre 1945 n. 722 e 8 della legge 8 aprile 1952 n. 212, nella parte in cui non riconoscono all'impiegata statale coniugata, per il periodo anteriore al 18 dicembre 1977 - data di entrata in vigore della legge 9 dicembre 1977 n. 903, abrogativa in parte qua di dette disposizioni - il diritto agli assegni familiari nel caso che il di lei marito appartenga alla categoria dei lavoratori autonomi. La rilevanza della questione e' stata affermata in considerazione del descritto oggetto del ricorso e nonostante la ricordata abrogazione delle norme censurate, posto che questa non opera retroattivamente e non consente, percio', il riconoscimento del diritto all'assegno in contestazione per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore. Nel merito, la Corte ha asservato che le disposizioni in questione consentono l'attribuzione del menzionato trattamento alla dipendente statale coniugata soltanto nel caso di assenza o di inabilita' del marito o che questi non sia provvisto di risorse per provvedere al mantenimento proprio e della famiglia (art. 3 del d.l.lgt. n. 722/1945) ovvero nel caso in cui la dipendente medesima sia separata legalmente dal marito senza assegno alimentare o questi sia disoccupato (art. 8 l. n. 212/1952): ipotesi tutte estranee alla fattispecie, in cui il marito della ricorrente risulta percettore di reddito da lavoro autonomo. La limitazione a tali casi della suddetta attribuzione e' apparsa alla Corte in contrasto con l'art. 3 in quanto non prevista per il dipendente statale di sesso maschile, cui e', invece, incondizionatamente riconosciuto il diritto agli assegni familiari, sempre che ricorrano in capo a lui i prescritti requisiti e quale che sia la condizione del coniuge o il rapporto con esso: ad esso, quindi, spetta tale diritto anche se la moglie appartenga alla categoria dei lavoratori autonomi, mentre identica spettanza e' esclusa nel caso inverso, ricorrente appunto nella fattispecie. Si tratta di una discriminazione per sole ragioni di sesso, riconducibile ad una concezione che poneva il padre capo-famiglia in una posizione di preminenza rispetto alla donna e che lo stesso legislatore gia' nel 1975 (con la legge n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia) ha ripudiato attuando il principio della parita' dei coniugi nel regime familiare ed imponendo ad entrambi l'obbligo del mantenimento dei figli in proporzione alle loro sostanze e secondo la loro capacita' di lavoro professionale o casalingo. La censurata limitazione, inoltre, discrimina fra lavoro maschile e lavoro femminile riconoscendo, a parita' di condizioni, solo al primo idoneita' a produrre effetti economicamente e giuridicamente piu' rilevanti, sicche' puo' dubitarsi della sua conformita' all'art. 37 Cost., interpretato anche alla luce della Convenzione O.I.L. del 27 giugno 1951 n. 100, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 22 maggio 1956 n. 741. Infine, ad avviso della Corte remittente, risulta violato anche il principio di uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, di cui all'art. 29, secondo comma Cost.: tale eguaglianza va, invero, riferita ad ogni aspetto della vita familiare e percio' concernente la produzione del cosi' detto "salario familiare", menzionato dall'art. 36 Cost. ed esso stesso soggetto al regime paritario garantito dall'art. 37, con riferimento ai rapporti di lavoro. Conseguentemente escludere il diritto della donna lavoratrice alla corresponsione degli assegni familiari di cui il marito non puo' beneficiare significa, attesa la configurabilita' di questi come componenti della retribuzione lato sensu intesa, riconoscere alla prima una condizione minus quam perfecta rispetto a quella del secondo, in sostanziale elusione del principio suddetto. Considerato in diritto 1. - Il dubbio di legittimita' costituzionale investe gli artt. 3 del d.l.lgt. 21 novembre 1945, n. 722 (Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali) e 8 della legge 8 aprile 1952, n. 212 (Revisione del trattamento economico dei dipendenti statali), nella parte in cui non riconoscono all'impiegata statale coniugata, per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge 9 dicembre 1977, n. 903, il diritto alle quote di aggiunta di famiglia per figli a carico, nel caso che il di lei marito presti attivita' lavorativa, anche se questa non dia titolo alla corresponsione di assegni familiari. 2. - La censura muove dalla constatazione del deteriore trattamento in tal modo riservato alla lavoratrice coniugata rispetto all'uomo cui gli assegni in questione competono, invece, in ogni caso, anche se la moglie lavori - per pervenire alla conclusione dell'assoluta mancanza di giustificazione, con riguardo sia al regime familiare che a quello previdenziale di tale disciplina, che appare, quindi, differenziata solo in relazione al sesso. Di qui appunto la prospettazione della violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) sia in generale, sia in particolare, per cio' che riguarda la reciproca posizione dei coniugi nel matrimonio (art. 29 Cost.) e la condizione della donna lavoratrice (art. 37 Cost.). 3. - La questione e' fondata. La censurata disparita' di trattamento e' venuta meno con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 9 dicembre 1977, n. 903, che, nel sancire la parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, ha eliminato anche in materia di assegni familiari ogni disparita' tra i coniugi, statuendo all'art. 9 che il relativo trattamento puo' essere corrisposto, in alternativa, alla donna lavoratrice alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore. Cio', pero', non toglie, stante la irretroattivita' della sopravvenuta legge, che il regime di diseguaglianza si debba considerare persistente fino alla data suddetta. Come ha gia' ritenuto questa Corte (sent. n. 105/'80), in riferimento all'analoga disposizione di cui all'art. 3, primo comma, del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, il regime differenziato in questione si fonda sul presupposto della priorita' della posizione del padre nell'ambito familiare e si pone, percio', in contraddizione con l'esigenza di equiparazione della moglie al marito, nel matrimonio e nella famiglia. Esigenza che gia' prima di riflettersi nella disciplina dettata dalla legge di riforma del diritto di famiglia n. 151 del 1975 (alla cui logica si e' poi ispirata la legge n. 903 del 1977 sulla parita' tra uomo e donna in materia di lavoro e rapporti connessi), risultava, sul piano del fondamento normativo, direttamente dal principio di parita' dei coniugi sancito dagli artt. 3 e 29 della Costituzione (v. Corte cost., sent. n. 6/'80). Pertanto, in considerazione del contrasto con il detto principio di parita' e, di conseguenza, con gli artt. 3 e 29 Cost., va dichiarata l'illegittimita' delle norme censurate, nella parte in cui non prevedono che le quote di aggiunta di famiglia spettanti per figli a carico possano essere corrisposte (cosi' come, per gli assegni familiari in genere, discende ora dall'art. 9 della citata legge n. 903/'77), alla dipendente statale, anche nel caso in cui il di lei marito svolga attivita' lavorativa che, come quella autonoma (art. 2, lett. f del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797), non dia titolo alla corresponsione degli assegni suddetti.