ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 1224
 del codice civile, 429, terzo comma, del codice di procedura civile,
 150 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e
 dell'art. 1, terzo comma, lett. b, della legge 27 maggio 1959, n. 324
 ("Miglioramenti economici al personale statale"), come sostituito
 dall'art. 1 della legge 3 marzo 1960, n. 185 ("Modificazioni alla
 legge 27 maggio 1959, n. 324"), promossi con le seguenti ordinanze:
   1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1984 dal Tribunale di Firenze nel
 procedimento civile vertente tra l'I.N.A.D.E.L. e Raddi Luciano ed
 altri, iscritta al n. 1342 del registro ordinanze 1984 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91 bis dell'anno 1985;
   2) ordinanza emessa il 4 luglio 1985 dal Tribunale amministrativo
 regionale della Liguria sul ricorso proposto da Mazzotta Cesare ed
 altro contro l'E.N.P.A.S., iscritta al n. 804 del registro ordinanze
 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17/1
 s.s. dell'anno 1986;
   3) ordinanza emessa il 13 giugno 1985 dal Tribunale amministrativo
 regionale della Liguria sul ricorso proposto da Chiesa Angelo contro
 l'E.N.P.A.S., iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1986 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17/1 s.s.; .
 dell'anno 1986;
   4) ordinanza emessa il 28 marzo 1985 dal Tribunale amministrativo
 regionale della Liguria sul ricorso proposto da Biso Alessandra
 contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altri, iscritta al
 n. 340 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 30/1 s.s. dell'anno 1986.
   Visto l'atto di costituzione di Biso Alessandra nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
   uditi l'avv. Carlo Rienzi per Biso Alessandra e l'avvocato dello
 Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                               Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza in data 17 ottobre 1984, il Tribunale di Firenze
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale del combinato
 disposto dell'art. 1224 cod. civ. e dell'art. 429, terzo comma, cod.
 proc. civ., in quanto esclude un criterio automatico per il
 risarcimento del danno da svalutazione in caso di tardivo pagamento
 di crediti previdenziali.
 Il tribunale giudicava sull'appello proposto dall'I.N.A.D.E.L.
 avverso la sentenza con cui il Pretore di Firenze aveva accolto la
 domanda proposta per ottenere il ristoro del danno da svalutazione
 per l'indennita' premio di servizio corrisposta a pubblici dipendenti
 con ritardi di tre-quattro anni.
 Il giudice a quo premette che allo stato della vigente normativa e
 della interpretazione che ne e' data l'appello dovrebbe essere
 accolto. Per principio saldamente acquisito alla giurisprudenza della
 Corte di Cassazione, l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. non si
 applica ai crediti previdenziali. Ugualmente consolidato e' il
 principio che vuole sottoposto alla disciplina dell'art. 1224,
 secondo comma, cod. civ. il danno da svalutazione per i crediti
 previdenziali adempiuti tardivamente.
 Il consolidato indirizzo giurisprudenziale implica dunque soltanto
 la possibilita' di ricorrere "a presunzioni siffatte che consentano
 al giudice di pervenire, caso per caso e con esclusione di ogni
 automatismo, ad una determinazione che secondo il suo prudente
 apprezzamento rispecchi l'effettiva incidenza dell'inadempimento -
 nel cui corso intervenga la svalutazione monetaria sul patrimonio del
 singolo creditore: .... del modesto consumatore, con riferimento alle
 normali e personali necessita' di impiegare il denaro per gli
 ordinari bisogni della vita e quindi con riferimento agli indici
 ufficiali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e
 impiegati" (secondo le formulazioni di Cass., sez. unite, 4 luglio
 1979, n. 3776, richiamata dal tribunale).
 Occorre dunque allegare un diverso pregiudizio particolare, come
 quello di aver dovuto, per i propri bisogni di vita, far ricorso al
 credito a condizioni onerose, di essere stato costretto, per
 sostenersi, ad alienare beni idonei a salvaguardare dalla
 svalutazione, di non aver potuto investire le somme dovute in modo
 tale da assicurare questo stesso risultato, e cosi' via.
 Tale disciplina, cosi' ricostruita, appare peraltro al Tribunale di
 Firenze in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Per effetto di
 essa, infatti, viene tutelato solo quel creditore le cui condizioni
 economiche consentono di destinare la somma non gia' agli acquisti di
 beni diretti a soddisfare le comuni esigenze della vita, com'e' scopo
 dell'istituto previdenziale, ma ad investimenti o ad operazioni
 creditizie, tali che salvaguardino dalla svalutazione.
   Verrebbe quindi danneggiato irrimediabilmente proprio colui al
 quale, per effetto del ritardo nell'erogazione previdenziale, non
 resta altro da fare che comprimere la soddisfazione delle proprie
 esigenze di vita.
 Il tribunale conclude ricordando che la sentenza n. 162 del 1977,
 con cui la Corte costituzionale escluse l'illegittimita' dell'art.
 429, terzo comma, cod. proc. civ., venne resa sul presupposto della
 diversita' dei crediti previdenziali rispetto ai crediti di lavoro,
 tale da escludere un vincolo alla "parificazione, quanto al diritto
 di rivalutazione, tra i crediti di lavoro e i crediti da pensione".
   Diversa invece e' la prospettazione nel caso presente.
   2. - L'ordinanza e' stata ritualmente comunicata, notificata e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 91 bis del 17 aprile 1985. Non
 si sono registrati interventi ne' costituzioni di parte.
   3. - Con ordinanza in data 13 giugno 1985, il Tribunale
 amministrativo regionale della Liguria ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale:
   a) dell'art. 1, terzo comma, lett. b), della legge 27 maggio 1959,
 n. 324, come sostituito dall'art. 1 della legge 3 marzo 1960, n. 185,
 nella parte in cui esclude la computabilita' della indennita'
 integrativa speciale agli effetti della indennita' di buonuscita
 E.N.P.A.S., in relazione agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo
 comma, e 97 della Costituzione;
   b) degli artt. 1224 cod. civ., 429, terzo comma, cod. proc. civ., e
 150 disp. attua. cod. proc. civ., nella parte in cui escludono la
 rivalutazione automatica del credito relativo alla indennita' di
 buonuscita E.N.P.A.S., in relazione agli artt. 3, 36, primo comma,
 38, secondo comma, 97, 24 e 113 della Costituzione.
   Adito dall'ex dipendente dello Stato Angelo Chiesa, il giudice a
 quo, con sentenza della stessa data dell'ordinanza, respingeva la
 domanda del ricorrente diretta ad ottenere la riliquidazione
 dell'indennita' di buonuscita E.N.P.A.S. sulla base di una maggiore
 anzianita' nonche' il pagamento degli interessi legali e della
 rivalutazione monetaria sulla somma gia' liquidatagli, ritenendo al
 tempo stesso inaccoglibile, alla stregua della legislazione vigente,
 le domande aventi ad oggetto il computo nella base contributiva
 dell'indennita' integrativa speciale, nonche' della rivalutazione
 monetaria su tale ultima voce di credito, se dovuta.
 L'ordinanza motiva anzitutto in ordine alla rilevanza delle
 questioni, osservando che mentre e' di tutta evidenza quella
 attinente al computo dell'indennita' integrativa speciale, non puo'
 negarsi neppure quella attinente alla rivalutazione monetaria,
 nonostante il suo rapporto di accessorieta' alla prima. Se e' vero
 infatti che la Corte potra' passare all'esame della questione
 relativa al credito accessorio soltanto all'esito positivo della
 questione inerente al credito principale, "e' anche vero che dal
 punto di vista del giudice a quo la rilevanza va riguardata con
 riferimento al contenuto complessivo della domanda giudiziale e dei
 diversi capi in cui essa si articola".
 Nel merito, il Tribunale amministrativo regionale della Liguria
 svolge anzitutto considerazioni di carattere generale sull'istituto
 dell'indennita' di buonuscita nel quadro dei cosiddetti trattamenti
 di fine rapporto nel settore del lavoro pubblico e in quello del
 lavoro privato.
 Osserva in particolare che, dal punto di vista del lavoratore
 percipiente, tutte le indennita' di fine rapporto presentano la
 duplice valenza funzionale di retribuzione differita e di trattamento
 previdenziale, come e' stato sostanzialmente riconosciuto dalla
 stessa Corte costituzionale (sentenze n. 82 del 1973 e n. 46 del
 1983).
   In secondo luogo, la disciplina legislativa dei due istituti tende
 progressivamente ad avvicinarsi; inoltre la contrapposizione tra
 carattere retributivo e previdenziale corrisponde anche ad una
 dicotomia di modelli strutturali compresenti nel settore allargato
 del pubblico impiego. Esistono infatti, specialmente nel rapporto
 d'impiego substatale vere e proprie indennita' di anzianita' facenti
 capo direttamente all'ente datore di lavoro, senza l'intermediazione
 di alcun fondo ne' altra struttura a carattere previdenziale,
 indennita' che hanno trovato una loro organica disciplina nell'art.
 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70.
 In riferimento a tutte le anzidette situazioni, considerate alla
 stregua dell'art. 3 Cost., si deduce la ingiustificata disparita' di
 trattamento dei lavoratori pubblici rispetto a quelli privati. Ma e',
 per quanto detto, soprattutto all'interno del settore pubblico che la
 discriminazione assumerebbe connotati di autentica e inaccettabile
 iniquita'. Si ricorda d'altra parte l'esistenza di un filone
 giurisprudenziale che, muovendo dalla connotazione in termini
 retributivi dell'indennita' di anzianita' prevista, per i dipendenti
 substatali, dall'art. 13 della legge n. 70 del 1975, postula il
 superamento in via interpretativa del divieto di computo
 dell'indennita' integrativa speciale.
 La questione sarebbe non manifestamente infondata anche in
 riferimento all'art. 97 Cost., per violazione dei principi di
 imparzialita', efficienza e buon andamento della pubblica
 amministrazione, principi ai quali espressamente si richiama l'art. 3
 della gia' richiamata legge-quadro.
 L'ordinanza esamina quindi la questione sollevata circa il regime
 legislativo, che esclude l'automatica rivalutazione del credito
 avente ad oggetto l'indennita' di buonuscita E.N.P.A.S., alla stregua
 della giurisprudenza costituzionale e del giudice ordinario ed
 amministrativo; rileva in particolare che il combinato disposto degli
 artt. 1224 cod. civ., 429, terzo comma, cod. proc. civ., quale
 ricostruito dalla menzionata giurisprudenza, sotto piu' profili
 appare in contrasto con i principi costituzionali.
 In primo luogo, esso discriminerebbe senza razionale
 giustificazione crediti funzionalmente omogenei tra loro, pur se
 differenziati sotto il profilo della struttura e delle modalita'
 erogative. Ne' sarebbe possibile riproporre nella materia il
 principio della inestensibilita' al pubblico impiego di scelte
 normative prefigurate con riguardo al rapporto di lavoro privato, una
 volta constatato che il principio della rivalutazione dei crediti
 retributivi, anche nell'ambito pubblico, costituisce ormai jus
 receptum nella giurisprudenza sia ordinaria che amministrativa.
   L'esigenza di sostentamento cui l'indennita' di fine rapporto e'
 destinata ad assolvere finisce col risultare pressocche' vanificata
 quando il pagamento avvenga con considerevole ritardo e con moneta
 svilita. Ne deriverebbe una evidente lesione del principio di
 proporzionalita' tra il salario differito (in valore reale) e la
 qualita' e la quantita' del lavoro a suo tempo prestato (garantito
 dagli artt. 36 e 38 Cost.).
 La disciplina impugnata contrasterebbe anche con il disposto
 dell'art. 97 Cost., posto che ogni gratuita indulgenza connessa
 all'inerzia dei pubblici debitori si risolverebbe in un avallo
 legislativo a fenomeni di inefficienza, vischiosita' burocratica e
 cattiva amministrazione.
 Sarebbero violati, infine, gli artt. 24 e 113 Cost.
 Il creditore di emolumenti a carattere previdenziale, infatti, per
 un verso e' costretto, non fruendo di alcun meccanismo rivalutativo
 automatico, a fornire in giudizio la prova del maggior danno; per
 l'altro, non puo' far valere la relativa pretesa nel giudizio
 proposto con riguardo al credito principale, dovendo proporre dinanzi
 al giudice ordinario una diversa ed ulteriore questione patrimoniale,
 a carattere lato sensu risarcitorio.
   4. - L'ordinanza emessa il 13 giugno 1985 dal Tribunale
 amministrativo regionale della Liguria e' stata ritualmente
 comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 17,
 prima serie speciale, del 30 aprile 1986.
   Nel giudizio e' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
 ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello
 Stato, che ha concluso per l'infondatezza delle questioni.
   5. - Con riguardo alla esclusione dell'indennita' integrativa
 speciale dal calcolo della contingenza, l'Avvocatura generale dello
 Stato richiama anzitutto le sentenze n. 26 del 1980 e n. 46 del 1983,
 secondo le quali la valutazione comparativa delle situazioni inerenti
 a rapporti di lavoro pubblico e privato e nell'ambito dello stesso
 settore pubblico non puo' essere limitata a singole disposizioni dei
 due sistemi, in quanto le norme particolari non possono essere avulse
 dal complesso cui ineriscono.
   Circa l'auspicata rivalutazione automatica del credito
 previdenziale, l'Avvocatura rileva anzitutto "la singolarita' della
 delibazione della rilevanza subordinata all'accoglimento della
 questione riguardante la base contributiva dell'indennita' di
 buonuscita".
   Nel merito, ricordato che la norma sulla rivalutazione automatica
 non costituisce espressione di un principio generale
 dell'ordinamento, osserva che il sistema normativo impugnato, quale
 ricostruito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte
 di cassazione, e' stato riconosciuto costituzionalmente legittimo da
 Corte cost. n. 52 del 1986.
   6. - Con ordinanza in data 28 marzo 1985, il Tribunale
 amministrativo regionale della Liguria, dopo aver accolto in parte il
 ricorso proposto da una ex funzionaria dello Stato per ottenere
 dall'E.N.P.A.S. la riliquidazione del trattamento di quiescenza e
 dell'indennita' di buonuscita, ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 Cost.,
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1224 cod. civ.;
 429, terzo comma, cod. proc. civ., e 150 disp. attuaz. cod. proc.
 civ., nella parte in cui escludono la rivalutazione automatica del
 credito di pensione e per indennita' di buonuscita E.N.P.A.S.
   Le argomentazioni svolte riproducono in parte e in parte si
 ricollegano a quelle innanzi esposte nell'ordinanza 13 giugno del
 1985. Si rileva in particolare che l'esigenza di protezione del
 potere di acquisto delle somme dovute al lavoratore sussiste anche
 per il pensionato allo stesso modo e con la stessa intensita', una
 volta ammesso, come la Corte costituzionale ha statuito con sentenza
 n. 162 del 1977, che "le pensioni, al pari dei crediti di lavoro,
 hanno funzione di sostentamento, e quindi il ritardo, a volte
 rilevante, nella loro liquidazione e corresponsione, costituisce un
 danno e un disagio per il creditore e per la sua famiglia".
   7. - L'ordinanza 28 marzo 1985 e' stata ritualmente comunicata,
 notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 30, 1 s.s., del
 25 giugno 1986.
 Nel giudizio si e' costituita la parte privata, limitandosi a
 chiedere che la proposta questione venga ritenuta fondata.
 E' altresi' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri,
 rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale
 ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, riportandosi ai
 motivi svolti nell'atto di intervento relativo all'ordinanza in data
 13 giugno 1985.
   8. - Con ordinanza in data 4 luglio 1985, il Tribunale
 amministrativo regionale della Liguria, dopo aver accolto in parte il
 ricorso proposto da due ex dipendenti statali per il pagamento da
 parte dell'E.N.P.A.S. degli interessi dovuti in relazione alla
 tardiva corresponsione dell'indennita' di buonuscita, ha sollevato di
 nuovo questione di legittimita' costituzionale della normativa che
 impedisce la rivalutazione monetaria del credito previdenziale.
   A sostegno della decisione il giudice a quo svolge le
 argomentazioni gia' contenute nell'ordinanza in data 13 giugno 1985.
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 17, 1a s.s., del 30 aprile
 1986.
   Nel giudizio e' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
 ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello
 Stato, la quale ha concluso per la non fondatezza della questione,
 riportandosi quanto ai motivi all'atto di intervento relativo
 all'ordinanza in data 13 giugno 1985.
                         Considerato in diritto
    10.  - Con l'ordinanza in data 13 giugno 1985 (R.O. n. 804/85), il
 Tribunale amministrativo regionale per la Liguria  ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  1,  terzo  comma, lett. b), della legge 27 maggio 1959, n.
 324, come sostituito dall'art. 1 della legge 3 marzo  1960,  n.  185,
 nella   parte   in  cui  esclude  la  computabilita'  dell'indennita'
 integrativa  speciale  agli  effetti  dell'indennita'  di  buonuscita
 E.N.P.A.S.
    La  questione,  pur  riguardando  articoli di legge diversi, e' in
 tutto analoga a quella dichiarata inammissibile con  la  sentenza  25
 febbraio  1988,  n.  220  -  in relazione agli artt. 3, 36 e 38 della
 Costituzione  -  sotto  il  profilo  che  detta  esclusione   rientra
 nell'esercizio  di  discrezionalita'  legislativa  non censurabile da
 questa Corte. Ricorrendo  l'eadem  ratio  decidendi,  non  sussistono
 motivi  per  discostarsi  da  tale  decisione, del tutto inconferente
 essendo il richiamo all'art. 97  della  Costituzione,  che  non  puo'
 riguardare   in   alcuna   maniera   la   misura   delle  prestazioni
 previdenziali dei pubblici dipendenti.
    Nello  stesso  giudizio, il Tribunale amministrativo regionale per
 la Liguria ha sollevato altresi',  subordinatamente  all'accoglimento
 della  precedente e in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38,
 secondo  comma,  97,  24  e  113  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt. 1224 cod. civ., 429, terzo
 comma, cod. proc. civ. e 150 disp. attuaz.  cod.  proc.  civ.,  nella
 parte  in  cui  escludono  la  rivalutazione  automatica  del credito
 relativo alla indennita' di buonuscita E.N.P.A.S.
    La   questione,  essendo  proposta  in  via  subordinata  rispetto
 all'accoglimento  di  quella  relativa  alla   computabilita'   della
 indennita'  integrativa  speciale  agli  effetti  della indennita' di
 buonuscita E.N.P.A.S., che per le ragioni gia'  esposte  va  ritenuta
 inammissibile, deve a sua volta essere dichiarata inammissibile.
    11.  -  Il  Tribunale  di  Firenze impugna gli artt. 1224, secondo
 comma, cod. civ. e 429, terzo comma, cod. proc. civ.  e  censura,  in
 riferimento  all'art.  3 della Costituzione, la mancata previsione di
 un criterio automatico per il risarcimento del danno da  svalutazione
 in  caso di tardivo pagamento di crediti previdenziali (nella specie,
 si  verteva  in  tema  di  indennita'  premio  di   servizio   dovuta
 dall'I.N.A.D.E.L.).
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Liguria  con le
 ordinanze 28 marzo 1985 (R.O. n. 8/86)  e  4  luglio  1985  (R.O.  n.
 340/86)  impugna, oltre agli artt. 1224 cod. civ. e 429, terzo comma,
 cod. proc. civ., anche l'art. 150 disp. attuaz.  cod.  proc.  civ.  e
 censura,  in  riferimento  agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo
 comma,  97,  24  e  113  della   Costituzione,   l'esclusione   della
 rivalutazione  automatica  del  credito  relativo  alla indennita' di
 buonuscita E.N.P.A.S.
    Pur  tenuto  conto  delle  rispettive  peculiarita',  le questioni
 risultano analoghe e possono essere congiuntamente decise.
    12.  - Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria invoca
 vari parametri  costituzionali,  ma  il  fulcro  dell'argomentazione,
 riferita specificamente alla indennita' di buonuscita E.N.P.A.S., sta
 nella discriminazione, che si assume  ingiustificata,  in  danno  del
 dipendente statale.
    Nell'ambito  del rapporto di lavoro privato, le indennita' di fine
 rapporto,  avendo  natura  retributiva,  ricadono  nella   previsione
 dell'art.  429,  terzo  comma, cod. proc. civ. e fruiscono quindi, in
 caso  di   tardivo   pagamento,   della   rivalutazione   automatica.
 Altrettanto avviene - osserva il giudice a quo - per alcune categorie
 di pubblici dipendenti, le cui indennita' di  anzianita'  fanno  capo
 direttamente  all'ente  datore  di lavoro, senza l'intermediazione di
 alcun fondo ne' di altra struttura a carattere previdenziale.
    In tale situazione, risultano irrazionalmente discriminati crediti
 che sono tra loro omogenei,  pur  quando  si  diversifichino  per  la
 qualita' del soggetto debitore e per le modalita' di erogazione.
   La disparita' risulta particolarmente evidente e grave - si osserva
 ancora - ove si consideri per un verso che da anni  si  assiste  alla
 progressiva  assimilazione  della  indennita'  di buonuscita a quelle
 aventi natura retributiva e per l'altro che e' ormai per jus receptum
 riconosciuta  la  rivalutabilita'  del credito di lavoro del pubblico
 dipendente.
    La  prospettazione  del  Tribunale amministrativo regionale per la
 Liguria, pur riferendosi a  dati  di  fatto  reali  e  pur  cogliendo
 aspetti di indubbio rilievo, non puo' essere condivisa.
    La  Corte  ha gia' affermato che la previsione della rivalutazione
 automatica del credito si lega a  specifiche  finalita'  riconosciute
 caso  per caso dalla legge e non puo' quindi considerarsi espressione
 di un principio generale dell'ordinamento (v., in tema di crediti  di
 lavoro, la sentenza 21 luglio 1981, n. 139).
    Quanto  poi al diverso regime dei crediti di lavoro e di quelli di
 natura previdenziale, la Corte non  ravvisa  motivi  per  discostarsi
 dalla propria precedente giurisprudenza e segnatamente dalla sentenza
 22 dicembre 1977, n. 162. Come poneva in luce  tale  decisione,  sono
 infatti  innegabili  le  diversita' tra le due categorie di credito e
 non puo' sotto questo aspetto censurarsi  che  il  legislatore  abbia
 distintamente  disciplinato  le  conseguenze  derivanti  dal  ritardo
 nell'adempimento.
    Altrettanto deve dirsi circa la addotta discriminazione tra alcune
 categorie di pubblici dipendenti: la Corte ha gia' deciso  nel  senso
 della non comparabilita' tra loro di singole previsioni previdenziali
 appartenenti a differenti sistemi normativi (sentt. 11 febbraio 1988,
 n. 220; 10 marzo 1983, n. 46 e 13 marzo 1980, n. 26).
    13.  -  Il  Tribunale  di  Firenze  ricorda  anzitutto  che  nella
 giurisprudenza della Corte di cassazione e' saldamente  acquisito  il
 principio  che  vuole  sottoposto  alla  disciplina  dell'art.  1224,
 secondo comma,  cod.  civ.  il  danno  da  svalutazione  per  crediti
 previdenziali  adempiuti  tardivamente.  Tale  consolidato  indirizzo
 implica la possibilita'  di  ricorrere  a  presunzioni  siffatte  che
 consentano al giudice di pervenire, caso per caso e con esclusione di
 ogni automatismo, ad una determinazione che rispecchi le  conseguenze
 dell'adempimento sul patrimonio del singolo creditore. Per il modesto
 consumatore cio' avviene con riferimento  alle  normali  e  personali
 necessita' di impiegare il denaro per gli ordinari bisogni della vita
 e quindi con riferimento agli indici ufficiali dei prezzi al  consumo
 per le famiglie di operai e di impiegati.
    Il  riferimento  agli  ordinari bisogni del modesto consumatore (e
 l'affermata connessa esclusione  di  ogni  automatismo  risarcitorio)
 implica del pari - prosegue il giudice a quo - l'escludere che si sia
 inteso far consistere lo specifico pregiudizio nel minore  potere  di
 acquisto  di  beni di consumo che la somma dovuta possiede al momento
 del tardivo pagamento. Occorre dunque allegare un diverso pregiudizio
 particolare,  come  quello  di  aver  dovuto, per i propri bisogni di
 vita, far ricorso al credito a condizioni onerose,  di  essere  stato
 costretto,  per  sostenersi,  ad alienare beni idonei a salvaguardare
 dalla svalutazione, di non aver potuto investire le  somme  spettanti
 in modo tale da assicurare questo stesso risultato, e cosi' via.
    La  conseguenza  che  ne  deduce  il  Tribunale  di Firenze e' che
 verrebbe danneggiato irrimediabilmente proprio colui  al  quale,  per
 effetto  del  ritardo  nella  erogazione previdenziale, non resta che
 comprimere la  soddisfazione  delle  proprie  esigenze  di  vita.  Si
 realizzerebbe  una  disparita'  di  trattamento fra creditori che non
 potrebbe  trovare  giustificazione  alla  luce   del   principio   di
 uguaglianza.
    14.  -  Se  lo stato della giurisprudenza fosse esattamente quello
 che il Tribunale di Firenze assume a base  della  propria  ordinanza,
 sarebbe  difficile  non  convenire sulla esistenza di una irrazionale
 disparita' di trattamento.
    Vi sono tuttavia elementi per giungere a conclusioni diverse.
    La  stessa  sentenza,  cui  fa  richiamo  il giudice a quo (Cass.,
 Sezioni unite civili, 4 luglio 1979, n. 3776) ha  ritenuto  di  poter
 assicurare  in  via  generale  una  maggiore tutela rispetto al danno
 normalmente causato dalla svalutazione monetaria, attenuando  l'onere
 della  prova  imposto dall'art. 1224, secondo comma, cod. civ. con il
 ricorso a presunzioni  correlate  alla  qualita'  del  creditore.  E'
 infatti  notorio  -  come  testualmente  rileva  la  sentenza  - "che
 ciascuna  categoria  di  creditori,  e  piu'  in  generale   ciascuna
 categoria  di  persone,  pur nella grande varieta' dei possibili modi
 d'impiego del denaro, adotta in materia modi coerenti con le qualita'
 professionali,   con   i   bisogni   che  le  personali  possibilita'
 finanziarie consentono di soddisfare, con le abitudini derivate dalla
 mentalita'  e  dall'ambiente  di  vita:  i  quali modi si prestano ad
 essere considerati sistematici e percio' ripetibili".
    Fermo  dunque  l'onere della corrispondente allegazione - prosegue
 la Corte di cassazione - e in mancanza  di  allegazioni  e  prove  di
 diverso  contenuto,  relative  ad  eventuali investimenti particolari
 specificamente programmati, il maggior danno che in  generale  deriva
 al  creditore  dal  fatto  che  la somma dovuta abbia, al momento del
 tardivo pagamento, un potere di acquisto minore di  quello  che  essa
 aveva  alla  scadenza della relativa obbligazione puo' essere desunto
 da presunzioni siffatte che consentano al giudice di pervenire,  caso
 per caso, e con esclusione di ogni automatismo, ad una determinazione
 che, secondo il suo  prudente  apprezzamento  (formato  eventualmente
 anche  con valutazioni equitative, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ.)
 rispecchi l'effettiva incidenza dell'inadempimento -  nel  cui  corso
 intervenga  la  svalutazione  monetaria  - sul patrimonio del singolo
 creditore.
    Da  queste  premesse  la  Corte  di  cassazione  fa discendere una
 differenziata  casistica,  indicando  per   ciascuna   categoria   di
 creditori i possibili criteri di determinazione presuntiva del danno.
    Per  stare  a  cio'  che  specificamente  rileva  in  ordine  alla
 questione di legittimita' costituzionale in esame, circa la categoria
 del  modesto  consumatore  la  Corte  di  cassazione pone in luce "le
 normali e  personali  necessita'  di  impiegare  il  denaro  per  gli
 ordinari  bisogni  della vita" e quindi il "riferimento (cio' che nel
 caso puo' costituire il criterio  residuale  piu'  attendibile)  agli
 indici  ufficiali  dei  prezzi al consumo per le famiglie di operai e
 impiegati".
    Tornando,  poi,  sulla  questione,  la  stessa Corte di cassazione
 (sent. 5 aprile 1986, n. 2368) ha precisato che la condizione di mero
 consumatore   e,  dunque,  di  soggetto  che  ne'  risparmia  ne'  fa
 investimenti di alcun genere, consente di presumere l'esistenza di un
 danno  inerente  all'impiego  del  denaro  per  il  consumo e percio'
 verosimilmente  corrispondente  al  maggior  costo  (in   espressione
 monetaria)  dei beni di consumo, il cui acquisto al tempo di scadenza
 dell'obbligazione ugualmente avrebbe sottratto la somma agli  effetti
 dell'inflazione.
    Per  questa categoria di creditori e' del tutto appropriato, nella
 determinazione forfettaria del  danno,  il  riferimento  agli  indici
 ISTAT,  riguardanti  appunto le variazioni dei prezzi in relazione al
 consumo delle famiglie di operai e impiegati.
    I principi enunciati hanno trovato importanti applicazioni, sempre
 ad opera della Corte di cassazione (cfr.  sent.  3  maggio  1986,  n.
 3004), proprio in tema di prestazioni previdenziali.
    Il  creditore  previdenziale  -  si  e'  infatti  affermato  -  si
 inquadra, almeno di regola,  nella  figura  del  cosiddetto  "modesto
 consumatore" e fruisce quindi di una presunzione peculiare rispetto a
 quelle che assistono le altre figure di creditori: fondandosi proprio
 sul  fatto  che  il  "modesto  consumatore"  spende  tutto  il denaro
 disponibile per le esigenze di vita (e cioe' per procurarsi  beni  di
 consumo  e  servizi)  e  costituendo tali spese una utilizzazione del
 denaro  sottratta  agli  effetti  della  svalutazione  monetaria,  la
 presunzione  porta  a  ritenere  che  questo  piu'  utile impiego per
 effetto  dell'inadempimento  del   debitore   rimanga   precluso   al
 creditore,  il  quale  dovra'  ricorrere  ad una maggior quantita' di
 moneta per procurarsi i necessari beni di consumo e servizi.
    Se  ne  deduce  che  per tale categoria di creditori "la prova del
 danno non  abbisogna  di  particolari  allegazioni  e  di  specifiche
 dimostrazioni,  operando  la  ridetta  presunzione  sulla  base della
 dedotta qualita' personale del  creditore  (es.:  modesto  impiegato,
 pensionato)  e  della natura del credito (es.: stipendio, prestazione
 previdenziale, ecc.)". La presunzione di danno e' dunque  "senz'altro
 giustificata  quando  abbia ad oggetto ratei di pensione o, comunque,
 prestazioni di non notevole importo (es.:  importi  differenziali  di
 indennita')";  non lo e' altrettanto solo quando "si verta in tema di
 prestazioni di rilevante importo (es.: indennita' di fine rapporto di
 notevole ammontare ed erogate in unica soluzione)".
    15.  -  Sebbene  la giurisprudenza continui a riferirsi a "criteri
 personalizzati",  appare   evidente   come   in   tema   di   crediti
 previdenziali le conclusioni raggiunte vadano alquanto oltre e creino
 un tessuto interpretativo, in presenza del quale questa Corte ritiene
 che si possa sfuggire, nel nuovo quadro complessivo determinato dalle
 decisioni  dei  giudici  ordinari  e  amministrativi,  a  censure  di
 illegittimita',  in  riferimento  cosi'  all'art.  3 come all'art. 38
 della Costituzione.
    In   altri   termini,  le  enunciazioni  riportate  inducono  alla
 conclusione  che  le  somme  percepite  a   titolo   di   prestazione
 previdenziale  sono  per  loro  natura,  piu'  che per le particolari
 qualita' personali del  singolo  creditore  considerato,  normalmente
 destinate alle comuni esigenze di vita ed in quanto tali sensibili al
 danno conseguente alla svalutazione monetaria.
    In  caso di tardivo pagamento deve dunque provvedersi ad eliminare
 tale danno, pur quando sia  impossibile  allegare  la  prova  di  uno
 specifico pregiudizio.
    Sfuggono  a  tale regime le somme di rilevante importo corrisposte
 in unica soluzione; nel qual  caso  trovano  applicazione  -  secondo
 quanto ha espressamente statuito la gia' richiamata sentenza 3 maggio
 1986,  n.  3004  -  regole  e  criteri   concernenti   il   creditore
 occasionale.
    Tenuto   conto   della   obbiettiva  destinazione  presuntivamente
 riconosciuta alla prestazione previdenziale,  le  qualita'  personali
 del  singolo  creditore  possono  al  piu'  valere  in  senso opposto
 rispetto a quanto finora si e'  sovente  enunciato;  e  cioe'  non  a
 corroborare  la  presunzione  ma  solo a farla cadere, ove risulti la
 presenza di condizioni economiche tali  da  rendere  indifferente  la
 prestazione  previdenziale rispetto al soddisfacimento degli ordinari
 bisogni di vita.
    Tale  constatazione  si fonda anch'essa su un elemento obbiettivo,
 costituito dalla  concezione  della  moneta  come  bene  fungibile  e
 strumento  di  scambio, dotata, dunque, di valore nella misura in cui
 sia reso possibile al creditore di adoperarla utilmente a tale scopo.
 L'asserito  conseguente  costo sociale della stabilita' monetaria non
 e' necessariamente destinato a passare attraverso  la  soluzione  che
 sacrifichi  il  creditore,  cui  il  tempestivo  adempimento appresta
 soltanto "i mezzi per vivere".
    16.  -  Autonomo  rispetto  al  tema  della svalutazione e' quello
 relativo agli interessi dovuti in caso  di  ritardo  nell'adempimento
 della  prestazione  previdenziale.  Nei  presenti giudizi, in sede di
 discussione orale, si e' fatto ampio  riferimento  al  problema,  sul
 quale  pare  opportuno  rilevare soltanto che, secondo l'orientamento
 della giurisprudenza, la decorrenza dei termini fissati  dalla  legge
 determina  automaticamente  la  mora,  con  la  corresponsione  degli
 interessi legali; si  viene  cosi'  a  derogare  ai  princi'pi  circa
 l'emissione  del  titolo  di  spesa  come  elemento  per  la piena ed
 incondizionata  operativita'  del  credito   verso   lo   Stato.   La
 giurisprudenza,  riferendosi  proprio alle indennita' di buonuscita e
 di  fine  servizio,   erogate   rispettivamente   dall'E.N.P.A.S.   e
 dall'I.N.A.D.E.L.,  ha  statuito  che la decorrenza dei termini posti
 dall'art. 26 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032  (modificato  dall'art.
 7,  ultimo  comma,  l. 20 marzo 1980, n. 75) legittima la pretesa dei
 dipendenti dello Stato degli interessi legali; mentre  al  premio  di
 servizio (dovuto ai dipendenti locali) ha ritenuto applicabile l'art.
 7 della l. 11 agosto 1973, n. 533. Tale norma, incidendo direttamente
 proprio  sui  tempi del meccanismo di liquidazione della prestazione,
 vale a costituire automaticamente in mora l'ente (in parallelo con la
 previsione  dell'art.  1219  n. 2 cod. civ.) allo scadere del termine
 previsto,  decorrente  dalla  richiesta  del  dipendente,  senza  che
 l'I.N.A.D.E.L.  si  sia pronunciato, con l'effetto conseguente di far
 decorrere da tale data (anziche' da quella della domanda  giudiziale)
 gli   interessi   moratori   sul   suo   credito,   pur  in  mancanza
 dell'emissione del mandato di pagamento.
    Siffatto principio, nell'ambito suo proprio, pone in luce un altro
 separato  profilo  dell'assetto  giurisprudenziale  in   materia   di
 inadempimento  dell'obbligazione  previdenziale;  in  tale  quadro si
 collocano le considerazioni, innanzi esposte,  di  questa  Corte  sul
 tema  della  svalutazione,  che  non sono toccate da questo ulteriore
 riflesso.
    17.  -  Per  quanto si e' detto, il sistema legislativo vigente e'
 suscettibile di una  interpretazione  che  raggiunge  proprio  quegli
 scopi  di  tutela  del  modesto creditore previdenziale cui tendono i
 giudici remittenti.
    Avuto  riguardo  a  tale  interpretazione,  e  non  sussistendo la
 addotta disparita'  di  trattamento,  le  questioni  sollevate  vanno
 dichiarate  infondate in riferimento al principio di eguaglianza, cui
 si e'  dedicato  specifico  esame.  L'efficacia  della  tutela  cosi'
 assicurata  esime peraltro dal considerare partitamente le censure di
 legittimita'   mosse   in   relazione   agli   ulteriori    parametri
 costituzionali  invocati nelle ordinanze del Tribunale amministrativo
 regionale per la Liguria.