ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222 ("Revisione della disciplina della invalidita' pensionabile") promossi con ordinanze emesse il 28 ottobre 1985 dal Pretore di Campobasso, il 25 ottobre 1985 dal Pretore di Pavia, il 4 febbraio 1986 dal Pretore di Salerno, il 21 febbraio 1986 dal Pretore di Lecce, il 13 marzo 1986 dal Tribunale di Rimini, il 27 febbraio 1986 dal Pretore di Ancona, il 26 giugno 1986 dal Tribunale di Pavia, il 23 giugno 1986 dal Pretore di Milano, il 14 ottobre 1986 dal Pretore di Genova, il 5 novembre 1986 dal Tribunale di Pistoia, il 16 gennaio 1987 dal Pretore di Bologna, il 28 gennaio 1987 dal Pretore di Torino, il 17 dicembre 1986 dal Tribunale di Pistoia (n. 2 ordinanze), il 4 febbraio 1987 dal Pretore di Brindisi, il 20 settembre 1986 dal Pretore di Frosinone, il 13 marzo 1987 dal Pretore di Pavia, il 7 gennaio e il 4 febbraio 1987 dal Tribunale di Pistoia, il 10 marzo 1987 dal Pretore di Genova e il 13 marzo e il 6 aprile 1987 dal Pretore di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 853 e 905 del registro ordinanze 1985, nn. 271, 288, 357, 415, 603, 689 e 834 del registro ordinanze 1986 e nn. 3, 84, 107, 113, 114, 155, 181, 230, 238, 239, 248, 265 e 266 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16, 22, 36, 35, 38, 43, 51 e 57 dell'anno 1986 e nn. 7, 8, 14, 15, 20, 22, 26, 27 e 29 dell'anno 1987; Visti gli atti di costituzione di Cuomo Maria, Altieri Italia, Agu' Maria, Tomaino Angela, Gramignazzo Giorgina, Samaroli Adele, Papini Asmara e dell'I.N.P.S. nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Uditi gli avvocati Salvatore Cabibbo per Gramignazzo Giorgina, Franco Agostini per Samaroli Adele e Papini Asmara e Luigi Maresca per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconalfi per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - In ventidue procedimenti promossi da lavoratori iscritti al regime dell'assicurazione generale obbligatoria, al fine di ottenere l'accertamento del proprio diritto alla pensione di inabilita' o all'assegno di invalidita', diversi giudici ordinari hanno sollevato la questione di legittimita' costituzionale della norma contenuta nell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222 che vieta la liquidazione dei predetti trattamenti a coloro che presentino la relativa domanda successivamente al compimento dell'eta' pensionabile. Poiche' le pretese azionate davanti ai giudici remittenti concernevano per l'appunto domande che l'istituto assicuratore aveva respinto in ragione del suddetto divieto, la rilevanza della questione, nella maggior parte dei casi, e' ritenuta in re ipsa, senza alcun riferimento all'applicabilita' temporale del nuovo regime introdotto dalla legge n. 222 del 1984 alle fattispecie in esame. Tale aspetto, in relazione al momento di presentazione della domanda o del sorgere dello stato invalidante, viene invece considerato nelle ordinanze dei Pretori di Pavia (r.o. n. 905 del 1985 e n. 230 del 1987), di Milano (r.o. n. 689 del 1986) e di Torino (r.o. n. 107 del 1987), mentre, nessuna motivazione sulla rilevanza o concreta indicazione dell'oggetto del giudizio offre l'ordinanza del Tribunale di Rimini in data 13 marzo 1986 (r.o. n. 357 del 1986). La norma impugnata e' censurata con esclusivo riferimento o all'art. 3 (Pretore di Campobasso ord. 28 ottobre 1985 n. 835 del 1985), o all'art. 38 della Costituzione (Pretore di Pavia 25 ottobre 1985 r.o. n. 905 del 1985 e 13 marzo 1987 r.o. n. 230 del 1987, Tribunale di Rimini 13 marzo 1986 r.o. n. 357 del 1986, Tribunale di Pavia 26 giugno 1986 r.o. n. 603 del 1986, Pretore di Milano 23 giugno 1986 r.o. n. 689 del 1986, Pretore di Genova 14 ottobre 1986 r.o. n. 834 del 1986, Pretore di Frosinone 20 settembre 1986 n. 181 del 1987), ovvero per violazione di entrambi i parametri costituzionali (Pretore di Salerno 4 febbraio 1986 r.o. n. 271 del 1986, Pretore di Lecce 21 febbraio 1986 r.o. n. 288 del 1986, Tribunale di Pistoia 5 novembre 1986 r.o. n. 3 del 1987, 17 dicembre 1986 r.o. n. 113 del 1987 e n. 114 del 1987, 7 gennaio 1987 r.o. n. 238 del 1987 e 4 febbraio 1987 r.o. n. 239 del 1987, Pretore di Bologna 16 gennaio 1987, r.o. n. 84 del 1987, Pretore di Torino 28 gennaio 1987 r.o. n. 107 del 1987, 13 marzo 1987 r.o. n. 265 del 1987 e 6 aprile 1987 r.o. n. 266 del 1987, Pretore di Brindisi 4 febbraio 1987 r.o. n. 155 del 1987, Pretore di Genova 10 marzo 1987 r.o. n. 248 del 1987), oltre che dell'art. 53 Cost. (Pretore di Ancona 27 febbraio 1986 r.o. n. 415 del 1986). 2. - L'esclusione della copertura del rischio di inabilita' o invalidita' dopo il compimento dell'eta' pensionabile determinerebbe, ad avviso dei giudici remittenti, una lesione del principio di eguaglianza per l'ingiustificata disparita' di trattamento che si verrebbe a creare, fra categorie di soggetti che, avendo entrambe e a prescindere dal fattore dell'eta', il diritto di lavorare e l'obbligo di versare i relativi contributi, si trovano nella medesima condizione e sono tuttavia discriminate in relazione al mero raggiungimento di una determinata eta'. Tale discriminazione non potrebbe poi giustificarsi neanche con la eventuale previsione di una garanzia per il lavoratore invalido di fruire comunque di altri redditi o trattamenti previdenziali, (pensione di vecchiaia o pensione sociale), aspetto questo del tutto ignorato dalla disposizione impugnata. Un'ulteriore ed irrazionale disparita' di trattamento fra soggetti che, per invalidita' e requisiti contributivi, versano in identica situazione, si determinerebbe anche in relazione al diverso momento in cui puo' insorgere lo stato invalidante o viene presentata la relativa domanda, nonche' in riferimento al diverso limite di eta' pensionabile stabilito per i lavoratori dipendenti (55 e 60 anni) e per i lavoratori autonomi (65 anni), ovvero alla diversa consistenza della posizione contributiva che gli iscritti ad una medesima gestione maturano nel tempo. 3. - La disposizione denunciata, inoltre, ad avviso dei giudici remittenti violerebbe anche il secondo comma dell'art. 38 della Costituzione privando il lavoratore invalido della relativa tutela e, addirittura, di ogni altra tutela previdenziale nell'ipotesi in cui non abbia ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia o alla pensione sociale. Le argomentazioni poste a sostegno della questione, variamente prospettata possono cosi' sintetizzarsi: a) la norma censurata non realizza affatto il principio di gradualita' nell'attuazione della tutela previdenziale, ed infatti il requisito negativo che essa prescrive non e' collegato alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia ma bensi' al raggiungimento dell'eta' pensionabile. D'altra parte, lo stesso legislatore, all'art. 1, decimo comma, della legge n. 222 del 1984, ha espressamente stabilito che al compimento dell'eta' prescritta per il diritto a pensione di vecchiaia, l'assegno di invalidita' si trasforma in pensione di vecchiaia soltanto in presenza dei necessari requisiti di assicurazione e contribuzione; b) nella fattispecie sottoposta all'esame della Corte si realizza invece una vera e propria ipotesi di mancata tutela del lavoratore invalido che nulla ha a che vedere con la discrezionalita' di cui il legislatore gode nella determinazione delle modalita' di attuazione del sistema previdenziale; c) gli unici limiti che la Costituzione consente di porre alla tutela assicurativa sono quelli attinenti alla specifica posizione del lavoratore e consistenti in una apprezzabile durata della sua attivita' (requisiti contributivi) e nella sussistenza del rapporto assicurativo al momento in cui si verifica l'evento protetto; il mancato raggiungimento dell'eta' pensionabile costituisce pertanto un limite non omogeneo alla tutela costituzionale; d) l'esclusione della tutela previdenziale posta in essere dalla norma denunciata risulta ancor piu' incongruente se si considera che, da un lato, il diritto al lavoro non incontra limiti in ragione dell'eta' e, che, dall'altro, il nostro ordinamento prescrive l'obbligo contributivo prescindendo da ogni riferimento all'eta' del lavoratore (artt. 27 l. 4 aprile 1952, n. 218 e 1 d.P.R. 27 aprile 1957, n. 818); e) la norma denunciata infine costringerebbe a continuare a lavorare, o ad impegnare improbabili risorse finanziarie per effettuare versamenti volontari, una categoria di soggetti che, per eta' e condizioni di salute, non ha piu' una consistente capacita' lavorativa. 4. - La negazione dell'assegno di invalidita' all'assicurato in eta' pensionabile, che non ha maturato il diritto ad altri trattamenti previdenziali, violerebbe, ad avviso del Pretore di Ancona, (r.o. n. 415 del 1986), anche l'art. 53 Cost., in quanto la non utilizzazione della contribuzione obbligatoriamente versata si risolverebbe in un prelievo fiscale attuato senza alcun riferimento alla capacita' contributiva. 5. - In tutti i giudizi conseguenti alle ordinanze di rimessione si e' costituito l'I.N.P.S.. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, fatta eccezione per i giudizi introdotti con le ordinanze dei Pretori di Brindisi (r.o. 155/87), di Frosinone (r.o. 181/87), di Pavia (r.o. 230/87), di Torino (r.o. 266/87) e dei Tribunali di Pistoia (r.o. 239/87) e Rimini (r.o. 356/86). Infine nei giudizi promossi dai Pretori di Salerno (r.o. 271/86), di Lecce (r.o. 288/86), di Ancona (r.o. 415/86), di Bologna (r.o. 84/87), di Torino (r.o. 265 e 266/87) e dal Tribunale di Pistoia (r.o. 239/87) si sono costituite le parti attrici dei procedimenti a quibus. 6. - Nei vari atti depositati dalla difesa di quest'ultime si ribadiscono sostanzialmente le argomentazioni svolte dai giudici remittenti, sottolineandone l'una o l'altra. Soltanto in relazione al giudizio promosso dal Tribunale di Pistoia con ordinanza del 4 febbraio 1987 (r.o. 239/87), si prospetta la probabile irrilevanza della questione sollevata sul presupposto che la parte attrice avesse presentato domanda in via amministrativa in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 222 del 1984. In tal caso, infatti, la norma impugnata, non avendo effetto retroattivo, non risulterebbe applicabile. Nel merito, si insiste sui profili discriminatori della norma censurata nei rapporti tra soggetti che, pur trovandosi nella medesima situazione di invalidita' e di contribuzioni, vedono riconosciuto il loro diritto al trattamento pensionistico soltanto in ragione di un elemento di natura meramente temporale. 7. - Nei suoi atti difensivi l'Istituto assicuratore ha eccepito l'irrilevanza delle questioni sotto i seguenti profili: a) in relazione a quasi tutti i giudizi promossi dinanzi a questa Corte, per il mancato accertamento preliminare, da parte del giudice a quo, dell'esistenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione ovvero dello stato di invalidita' o di entrambi i presupposti; b) per i giudizi conseguenti alle ordinanze di rimessione dei Pretori di Pavia (r.o. 905/85 e 230/87), di Milano (r.o. 689/86) e di Torino (r.o. 265 e 266/87), nonche' dei Tribunali di Rimini (r.o. 357/86), di Pavia (r.o. 603/86) e di Pistoia (r.o. 3/87, 238 e 239/87), in dipendenza della erronea ritenuta applicabilita' della norma impugnata anche alle domande in via amministrativa presentate prima dell'entrata in vigore della legge n. 222 del 1984. Viene in proposito, menzionata una recente giurisprudenza della Cassazione che escluderebbe la predetta applicabilita'; Deduce poi nel merito che dal principio, pacifico in dottrina e giurisprudenza, della unitarieta' e complessita' del rapporto assicurativo obbligatorio, discenderebbe il corollario dell'alternativita' delle prestazioni pensionistiche. Essendo infatti l'assicurazione obbligatoria unica per i due distinti eventi dell'invalidita' e della vecchiaia, l'avverarsi dell'uno precluderebbe il diritto al conseguimento della prestazione relativa al verificarsi dell'altro. Poiche', peraltro, la pensione di vecchiaia (prevista al compimento di una certa eta' che il legislatore ha collegato ad un apprezzabile decadimento fisico tale da non consentire un normale guadagno) coprirebbe anche il rischio di invalidita' verificatosi dopo l'eta' pensionabile, le prestazioni collegate allo stato di bisogno derivante dalla diminuita capacita' di lavoro resterebbero precluse dal raggiungimento di tale limite. La tesi esposta troverebbe conferma anche nell'art. 1, 10 comma, e 2, legge 222/84, che rispettivamente prevedono la trasformazione dell'assegno di invalidita' in pensione di vecchiaia, e, con criteri mutuati da quest'ultima, la quantificazione della pensione di inabilita'. L'ente previdenziale ritiene infine che la temporanea carenza di tutela per un soggetto che, pur avendo versato un certo numero di contributi, non riesca a perfezionare i requisiti per il diritto a prestazioni previdenziali e debba cosi' attendere un periodo piu' o meno lungo per il conseguimento delle prestazioni medesime, versando ulteriori contributi che consentano il perfezionamento dei requisiti di legge, costituisca un fenomeno connaturale all'uso della discrezionalita' legislativa nell'attuazione della tutela previdenziale. 8. - L'Avvocatura dello Stato, in relazione al giudizio introdotto dal Pretore di Campobasso con ordinanza del 28 ottobre 1985 (r.o. 853/85), eccepisce la possibile irrilevanza della questione sollevata. Ed infatti, non precisando il giudice a quo a qual titolo la ricorrente ultrasessantenne gia' godrebbe di un'adeguata posizione assicurativa, ben potrebbe la stessa consistere in una pensione di vecchiaia, rendendo cosi' giustificabile, in virtu' di quanto prescrive il 10 comma dell'art. 1 della legge 222/84, il mancato riconoscimento dell'assegno di invalidita'. Nel merito degli altri giudizi, l'Avvocatura osserva che la ratio della norma sospettata di incostituzionalita' va rinvenuta nell'esigenza di contrastare un fenomeno di dilatazione e di abuso delle pensioni di invalidita'. La disciplina anteriore alla legge 222/84 consentiva infatti ad un soggetto in eta' pensionabile, ma privo dei requisiti di anzianita' contributiva per il riconoscimento della pensione di vecchiaia, di fruire del trattamento di invalidita', al di fuori delle finalita' originarie dell'istituto. La prefissione di un termine oltre il quale non si ha piu' diritto al trattamento di invalidita' risulterebbe invece coerente con la esigenza di tutelare il lavoratore "di fronte ad eventi che lo colpiscono nel lasso di tempo in cui e' da ritenersi sia effettivamente e concretamente presente sul mercato del lavoro", il che costituisce la ratio specifica dell'istituto. L'Avvocatura nega infine la possibilita' di una violazione dell'art. 53 Cost., esulando dalla materia previdenziale ogni aspetto impositivo. Considerato in diritto 1. - Con ventidue ordinanze emesse da diverse autorita' giudiziarie e' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984 n. 222, il quale stabilisce che l'assegno di invalidita' e la pensione di inabilita', previsti dalla legge stessa, non possano essere liquidati agli iscritti nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, che presentino domanda successivamente al compimento dell'eta' pensionabile. In una delle ordinanze si sostiene che la norma impugnata violerebbe l'art. 3 Cost., in altre l'art. 38, secondo comma, in altre ancora entrambi i parametri costituzionali predetti, ed in altra, infine, l'art. 53 Cost. 1.2 - In riferimento all'art. 3 Cost., si sostiene nelle varie ordinanze di rimessione, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, che si creerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento fra due categorie di soggetti, che sarebbero discriminate in ragione del mero raggiungimento dell'eta' pensionabile, laddove entrambe hanno il diritto di lavorare e l'obbligo di versare i contributi. Tale discriminazione sarebbe ancora piu' evidente, si rileva, quando il lavoratore, pur avendo raggiunto l'eta' pensionabile, non goda di altri redditi ne' di altri trattamenti previdenziali come la pensione di vecchiaia o quella sociale. Ulteriore ingiustificata disparita' viene ravvisata in relazione sia al diverso momento in cui puo' insorgere lo stato invalidante o viene presentata la relativa domanda, sia al diverso limite di eta' pensionabile stabilito fra i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi, sia alla diversa consistenza della posizione contributiva che gli iscritti ad una medesima gestione maturano nel tempo. In riferimento all'art. 38 Cost., secondo comma, si sostiene che la norma denunciata priverebbe il lavoratore invalido della relativa tutela e, addirittura, di ogni altra tutela previdenziale, nell'ipotesi in cui non abbia ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia o quella sociale. Per quel che riguarda infine l'art. 53 Cost., si rileva che la mancata utilizzazione della contribuzione obbligatoriamente versata si risolverebbe, per chi non abbia maturato altri trattamenti previdenziali, in un prelievo fiscale attuato senza alcun riferimento alla capacita' contributiva. 2. - Previa riunione per connessione di tutti i giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe, deve essere in primo luogo disattesa l'eccezione di inammissibilita' sollevata dall'INPS che, costituita in tutti i giudizi conseguenti alle ordinanze di rimessione, ha dedotto, in relazione alla maggior parte di esse, l'irrilevanza della questione, per essere mancato, da parte dei giudici a quibus, il preliminare accertamento circa l'esistenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione, ovvero dello stato di invalidita' o di entrambi i presupposti. In proposito e' sufficiente osservare che, nell'ordine logico delle questioni da affrontare da parte del giudice, adito per il riconoscimento del diritto al trattamento di invalidita', e' da ritenersi senz'altro prioritaria quella che concerne il possesso del requisito dell'eta', cioe' di un requisito di carattere generale direttamente rilevabile, la cui mancanza preclude ogni ulteriore accertamento circa il possesso degli altri requisiti da valutarsi invece, caso per caso, in base a ben piu' complessa indagine. 3. - E' invece manifesta l'inammissibilita' della questione sollevata dal Tribunale di Rimini (reg. ord. n. 357 del 1986), in quanto l'ordinanza di rimessione non e' motivata ne' sul punto della rilevanza ne' su quella della non manifesta infondatezza, come prescrive l'art. 23 della legge 11 marzo 1957, n. 87. 4. - Fondata e' poi l'eccezione di inammissibilita' per irrilevanza, dedotta dall'INPS, in relazione ad alcune ordinanze di rimessione, nonche' da una delle altre parti private costituite - relativamente alla ordinanza che la concerne - nell'assunto che la norma denunciata non si applicherebbe nell'ipotesi di presentazione della domanda in via amministrativa prima della sua entrata in vigore. Al riguardo va rilevato che, nel senso della inapplicabilita' di tale disposizione, relativamente alle domande presentate in via amministrativa anteriormente al 1 luglio 1984, data di entrata in vigore della legge, e' la giurisprudenza della Cassazione (v. sent., Sez. Lav., n. 5486 del 22 giugno 1987 e n. 6219 del 15 luglio 1987) e, quindi, la posizione dei lavoratori che si trovino in tale condizione e' regolata dalla normativa precedente. Ne consegue l'inammissibilita', per irrilevanza della questione, in quanto risulta dagli atti che ricorre tale evenienza, relativamente ai giudizi sollevati con le ordinanze nn. 905 del 1985, 603 e 689 del 1986, 3, 238, 265 e 266 del 1987, adottate rispettivamente dal Pretore di Pavia, dal Tribunale di Pavia, dal Pretore di Milano, dal Tribunale di Pistoia e dal Pretore di Torino. 5. - La questione, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. ed all'art. 38, comma secondo, Cost., e' fondata. Al fine della soluzione della questione prospettata, occorre premettere che la legge n. 222 del 1984 ha completamente innovato al sistema precedente in tema di trattamenti previdenziali connessi alla invalidita', dei lavoratori iscritti all'Assicurazione per l'invalidita' di vecchiaia, e superstiti (I.V.S.) dell'I.N.P.S., disciplinando nell'art. 1 l'assegno di invalidita', connesso alla diminuita capacita' lavorativa, e nell'art. 2 un nuovo trattamento, la pensione di inabilita', connesso al grado di assoluta incapacita'. Entrambi gli articoli richiamati, nel disciplinare gli anzidetti istituti, si occupano delle ipotesi di incompatibilita' dei trattamenti anzidetti con altri trattamenti previdenziali, coordinandoli fra loro e prevedendo in particolare, quanto all'assegno di invalidita' (art. 1, comma decimo, della legge n. 222 del 1984), la sua incumulabilita' con la pensione di vecchiaia, in quanto si stabilisce che, al momento del raggiungimento dell'eta' pensionabile, tale assegno si trasforma in pensione di vecchiaia e si precisa altresi' che gli anni in cui il lavoratore abbia goduto di tale assegno sono computabili ai fini della costituzione della posizione assicurativa. Naturalmente rimangono anche in vigore le norme che regolano l'incumulabilita' della pensione sociale. Cosi' individuata, negli artt. 1 e 2 della legge in parola, che non formano oggetto dell'incidente sollevato, la fonte normativa relativa al coordinamento fra trattamenti di invalidita' e pensione di vecchiaia, cui percio' esclusivamente si deve far riferimento per determinare il regime della incumulabilita' fra tali trattamenti, risulta agevole la soluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della stessa legge, il quale vieta che, dopo il raggiungimento dell'eta' pensionabile, il lavoratore possa chiedere il riconoscimento dei trattamenti di invalidita'. Orbene, la norma denunciata non puo' sottrarsi alle censure prospettate, perche' come e' stato ben messo in evidenza nelle ordinanze di rimessione, nella ipotesi in cui al raggiungimento di tale eta', il lavoratore non abbia ancora i requisiti contributivi per conseguire la pensione di vecchiaia - non venendo percio' in tale ipotesi in evidenza alcun profilo di incumulabilita', mancandone il presupposto - il divieto che tale norma pone lo priverebbe di ogni tutela previdenziale e cio' in palese contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost. 6. - La dichiarazione di illegittimita' costituzionale nei sensi anzidetti consente l'assorbimento delle questioni sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali.