ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge
 23 maggio 1950, n. 253 (Disposizioni per le locazioni e  sublocazioni
 di  immobili  urbani)  art.  14 della legge 15 settembre 1964, n. 756
 (Norme in materia di contratti agrari) e art.  1  del  d.l.C.p.S.  1›
 aprile  1947,  n.  273 (Proroga dei contratti agrari) promossi con le
 seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 3 giugno 1983 dalla Corte di Cassazione
 sul ricorso proposto da De Nitto Erasmo contro Di Ianni  Raffaele  ed
 altra,  iscritta  al  n. 156 del registro ordinanze 1984 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 dell'anno 1984;
      2)  ordinanza emessa il 20 marzo 1986 dal Tribunale di Parma nel
 procedimento civile vertente tra Bandini  Aldo  e  Fornari  Luigi  ed
 altri,  iscritta  al  n. 524 del registro ordinanze 1986 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  50,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1987;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Fornari  Luigi nonche' l'atto
 d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  dicembre  1987  il Giudice
 relatore Renato Dell'Andro;
    Udito l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Con ordinanza del 3 giugno 1983 (Reg. ord. 156/84) la Corte
 di Cassazione ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale,
 in  riferimento all'art. 44 Cost., dell'art. 11 della legge 23 maggio
 1950, n. 253, in quanto non  prevede  un  equo  indennizzo  a  favore
 dell'affittuario  di  fondo  rustico  per  l'ipotesi della cessazione
 della proroga legale del contratto d'affitto  del  fondo  determinata
 dall'esigenza  del  concedente  di  costruire sul terreno un edificio
 d'abitazione.
    La  Corte  osserva che l'art. 44 Cost. contempla, da una parte, il
 processo di produzione e, dall'altra, quello di  distribuzione  della
 ricchezza  con conseguente esigenza d'un razionale sfruttamento delle
 risorse economiche  e  dell'instaurazione  d'equi  rapporti  sociali,
 senza  fissare  peraltro  alcuna  gerarchia  tra  i fini (economici e
 sociali) perseguiti, strettamente connessi tra loro e  reciprocamente
 condizionati. In tale prospettiva, la cessazione della proroga legale
 dei  contratti  agrari  per  il  soddisfacimento  d'un   apprezzabile
 interesse con risvolti pubblicistici, quale la costruzione di edifici
 per  abitazione,  puo'  ricondursi  alla   finalita'   di   razionale
 sfruttamento  del  suolo  considerata  dall'art.  44 Cost. Non appare
 pero' in armonia  con  questa  disposizione,  e  in  particolare  con
 l'esigenza  di  equi  rapporti  sociali,  la  cessazione del rapporto
 agrario senza un'adeguata valutazione  della  contrapposta  posizione
 del  conduttore.  Stabilire,  infatti,  la  cessazione  della proroga
 legale senz'alcun indennizzo per il coltivatore significa sacrificare
 la  posizione  di quest'ultimo e privilegiare l'attivita' edilizia in
 modo incompatibile  con  la  detta  finalita'  tutelata  dalla  norma
 costituzionale.
    La  Cassazione  ricorda quindi come la sent. n. 107 del 1974 della
 Corte  Costituzionale  abbia  dichiarato   illegittima   la   mancata
 previsione  d'un equo indennizzo nel caso di cessazione della proroga
 legale per radicali trasformazioni agrarie progettate dal concedente.
 Tale  orientamento dovrebbe essere esteso anche al caso di specie, in
 quanto  la  diversa  destinazione  del  fondo  (costruzione  edilizia
 anziche'  trasformazione  agraria)  non  esclude  che  si  tratti  di
 situazioni sostanzialmente identiche.
    Ne'  in  senso contrario puo' valere la successiva sent. n. 30 del
 1977  che  non  ritenne  illegittima  la  mancata   previsione   d'un
 indennizzo nel caso di cessazione della proroga legale per intenzione
 del concedente di coltivare direttamente il fondo, in quanto la Corte
 ritenne  che  in  tal  caso l'eccezione alla proroga del contratto si
 giustifica non in funzione d'un investimento di  capitali  nel  fondo
 bensi'   d'un   ritorno   della   terra  al  proprietario  (anch'egli
 coltivatore diretto) sicche' vengono  in  contrapposizione  interessi
 non gia' diversi ma omogenei per la comune attinenza all'esplicazione
 d'un'attivita' lavorativa sul fondo.
    L'ipotesi ora in esame e' invece analoga a quella esaminata con la
 sent. n. 107 del 1974, perche' in entrambi i casi  si  contrappongono
 interessi  non omogenei e si profila un conflitto capitale-lavoro che
 richiede un  armonico  bilanciamento  per  assicurare  l'equita'  dei
 rapporti sociali.
    Ne'  va  dimenticata la tendenza legislativa all'attribuzione d'un
 indennizzo al conduttore  del  fondo  espropriato,  tendenza  che  ha
 trovato  espressione sia in materia d'esproprio (dove e' ormai regola
 generale il riconoscimento d'un  autonomo  indennizzo  a  favore  del
 conduttore del fondo) sia nella legge di riforma dei contratti agrari
 3 maggio 1982, n.  203,  la  quale  ha  sancito  l'attribuzione  d'un
 indennizzo  al  conduttore (anche se non coltivatore) in tutti i casi
 di risoluzione incolpevole del contratto.
    In    definitiva,   la   paritaria   rilevanza   degli   interessi
 costituzionalmente  protetti  dall'art.  44   Cost.,   l'orientamento
 manifestato  dalla  Corte  con  la  sent. 107 del 1974 e l'evoluzione
 legislativa  in  tema  d'esproprio  e  nello  specifico  settore  dei
 contratti  agrari  sono  tutti  elementi  che,  ponendo in risalto la
 posizione   del    conduttore-coltivatore,    esprimono    l'esigenza
 d'un'adeguata  tutela  della  stessa  e  quindi  la  necessita'  d'un
 indennizzo volto a  compensare  il  sacrificio  per  la  perdita  del
 diritto  alla proroga legale in vista dell'interesse del concedente e
 della collettivita'.
    Ne  deriva  che  l'art.  11 della legge 23 maggio 1950, n. 253, in
 quanto non prevede alcuna forma d'indennizzo a favore del  conduttore
 estromesso  dal  fondo  per la causa ivi contemplata, appare alterare
 quell'equilibrio dei rapporti  sociali  costituzionalmente  garantito
 dall'art.   44   Cost.   e   si  pone,  pertanto,  in  contrasto  con
 quest'ultimo.
    Sulla  rilevanza  la  Cassazione osserva che nella specie non puo'
 operare la sopravvenuta legge 3 maggio 1982, n. 203, in quanto questa
 non si applica (art. 53) ai rapporti oggetto di controversia definita
 con sentenza passata in giudicato,  con  sentenza  gia'  esecutiva  o
 mediante  transazione  ai  sensi  dell'art.  23 legge n. 11 del 1971:
 nella specie, la sentenza d'appello oggetto del ricorso in Cassazione
 e' appunto esecutiva ex lege.
    1.2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri
 chiedendo il rigetto della questione e  sottolineando  le  differenze
 tra  il caso di specie e quello di cui alla sent. n. 107 del 1974. In
 quell'occasione,  infatti,  si  discuteva  del  rilascio  dell'intero
 fondo,  ossia  della  cessazione  totale  della proroga legale. Nella
 specie, invece, la norma denunciata prevede una mera esclusione della
 proroga  "soltanto"  per una parte del fondo pari al doppio dell'area
 che  dovra'  occupare  l'edificio  d'abitazione   del   proprietario,
 lasciando  intatto  il  diritto  del  concessionario per la rimanente
 parte.
    Il  legislatore  ha  quindi  ritenuto  preminente  l'interesse del
 proprietario  a  costruire  la  propria  casa  d'abitazione  rispetto
 all'interesse  del  concessionario  a  continuare  a beneficiare, per
 effetto della proroga legale, d'una  parte  ben  limitata  del  fondo
 medesimo.  E  tale valutazione del legislatore, nell'ambito della sua
 discrezionalita',  appare  certamente  ragionevole  ed  ispirata   ad
 evidenti  ragioni  sociali,  nel  quadro  d'un saggio contemperamento
 degli opposti interessi.
    Inesattamente, quindi, il giudice a quo s'e' richiamato alla sent.
 n. 107 del 1974 in presenza, nella  specie,  della  cessazione  della
 proroga  legale  limitatamente  ad  una  parte del fondo che ben puo'
 ritenersi insignificante. Ne' varrebbe dire che tale  parte  potrebbe
 invece  essere  determinante,  in quanto, in tal caso, si tratterebbe
 d'un problema di fatto e cioe' di  scelta  dell'ubicazione  dell'area
 sulla   quale   dovrebbe   insistere  l'erigenda  casa  e  certo  non
 involgerebbe un problema di costituzionalita' della norma denunciata.
    2.1.  -  Con  ordinanza del 20 marzo 1986 (Reg. ord. n. 524/86) il
 Tribunale  di  Parma   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in riferimento all'art. 44 Cost., dell'art. 14 della
 legge 15 settembre 1964, n. 756  e  dell'art.  1  del  d.l.C.p.S.  1›
 aprile   1947,   n.   273,  nella  parte  in  cui  non  prevedono  la
 corresponsione d'un equo indennizzo all'affittuario nei confronti del
 quale  venga meno la proroga per la mutata destinazione del podere da
 agricola ad urbanistica.
    Il  Tribunale premette in fatto che nella specie il ricorrente era
 affittuario d'un fondo d'ettari 11,34 di  proprieta'  dei  convenuti;
 che  era  stato  chiesto  la  risoluzione  della  proroga  legale del
 contratto d'affitto relativamente ad Ha 4.54,18, comprese  nel  piano
 di   fabbricazione   del  comune  e  destinate  a  zona  residenziale
 d'espansione; che il conduttore non s'era opposto al rilascio, avendo
 il   terreno  perduto  la  destinazione  agraria  e  con  verbale  di
 conciliazione s'era impegnato a rilasciare il fondo  con  riserva  di
 chiedere l'indennizzo, che costituiva appunto l'oggetto della domanda
 proposta.
    Nel  merito  il  Tribunale  si  limita  ad  osservare che le norme
 impugnate, nella parte in cui non prevedono  la  corresponsione  d'un
 equo indennizzo all'affittuario nei confronti del quale venga meno la
 proroga  per  la  mutata  destinazione  del  podere  da  agricola  ad
 urbanistica, contrastano con l'art. 44 Cost. diretto a stabilire, tra
 l'altro,  equi  rapporti  sociali,  in  quanto  vengono   ad   essere
 vanificati interessi legittimi dell'affittuario, che deve lasciare il
 podere non per sua  scelta  ma  perche'  la  permanenza  e'  divenuta
 incompatibile  con  la realizzazione delle previsioni dello strumento
 urbanistico comunale, che il proprietario intende realizzare.
    La questione e' poi rilevante in quanto la legge 3 maggio 1982, n.
 203 e' inapplicabile nella  specie,  essendo  il  rapporto  d'affitto
 cessato  prima dell'entrata in vigore della stessa legge a seguito di
 transazione giudiziale tra le parti seguita dal rilascio del fondo.
    2.2.  - Si e' costituito dinanzi alla Corte il sig. Luigi Fornari,
 rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Bertosa, chiedendo  che  la
 questione  sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e in
 ogni caso infondata.
    Osserva  il  Fornari che nella specie e' pacifico che si tratta di
 cessazione della proroga legale  per  avere  il  terreno  perduto  la
 primitiva   destinazione   agraria   per   assumere,   a  seguito  di
 provvedimenti   dell'autorita'   amministrativa,   quella   di   area
 fabbricabile.  La  domanda  pertanto  non  e' minimamente fondata sul
 disposto dell'art. 1 del d.l.C.p.S 1› aprile  1947,  n.  273  ove  e'
 prevista   appunto   la   decadenza  dalla  proroga  in  due  diverse
 fattispecie: a) se il concedente, che sia  o  sia  stato  coltivatore
 diretto,  intenda  coltivare  direttamente  il fondo (c.d. diritto di
 ripresa); b) se il concedente voglia compiere nel fondo  radicali  ed
 immediate trasformazioni agrarie, la cui esecuzione sia incompatibile
 con la continuazione del contratto ed il cui  piano  sia  gia'  stato
 dichiarato   attuabile   ed  utile  dall'Ispettorato  compartimentale
 dell'agricoltura.
    Le  norme  denunciate  non  hanno  quindi  alcuna  incidenza sulla
 soluzione del giudizio a quo. Nel caso  in  esame,  infatti,  non  si
 tratta  di  trasformazione agraria, approvata dall'Ispettorato, ma di
 perdita  della  qualita'  agricola  d'un  terreno  per  effetto  d'un
 provvedimento amministrativo.
    Inoltre,  nella  specie, il rilascio del terreno e prima ancora la
 risoluzione  del  contratto  hanno  avuto  luogo   per   effetto   di
 conciliazione   giudiziale,  cosicche'  non  puo'  ritenersi  che  il
 coltivatore sia stato "costretto" a cessare la coltivazione  ma  solo
 che ha "voluto" cessarla.
    Nel merito, il Fornari osserva che nessun richiamo puo' farsi alla
 legge n. 203 del 1982, ora in vigore, perche' la previsione  in  essa
 contenuta  all'art.  43  e'  giustificata  dal porsi nell'ambito d'un
 ordinamento contrattuale caratterizzato non da una  proroga  a  tempo
 indeterminato   (e  pertanto  passibile  di  decadenza  in  qualsiasi
 momento, al verificarsi di determinate ipotesi) bensi' da una  durata
 prefissata  (artt.  1,  secondo  comma,  e  2)  e  tale, pertanto, da
 ingenerare nell'affittuario la legittima aspettativa in tale senso  e
 da  indurlo  a  fare, in vista di tale durata, programmi finanziari e
 investimenti.
    In ogni caso, l'art. 1› del d.l.C.p.S. 1› aprile 1947, n. 273, per
 quanto  concerne  l'ipotesi  sub  b)   e'   gia'   stato   dichiarato
 incostituzionale  (sent.  n.  107  del  1974)  nella parte in cui non
 prevedeva l'equo indennizzo.  Non  si  comprende  quindi  come  possa
 dichiararsene  l'illegittimita'  per  un'ipotesi  di cessazione della
 proroga legale da tale norma non prevista, ossia non si vede come  la
 Corte   possa  "inventare"  un  ipotetico  capo  c)  che  preveda  la
 cessazione della proroga legale per perdita della  caratteristica  di
 "agrarieta'"  del  terreno,  per  poi  dichiararlo  incostituzionale.
 L'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756,  da  parte  sua,  si
 limita  a  prorogare  "fino  a  nuova  disposizione" i contratti gia'
 precedentemente prorogati: non si vede, pertanto, sotto il profilo in
 interesse,  quale  aspetto  di  tale semplice proroga possa violare i
 principii costituzionali.
    Inoltre,  se  si  considera  la  diversita'  tra la fattispecie di
 cessazione della proroga legale di  cui  all'art.  1,  lett.  b)  del
 d.l.C.p.S.  1›  aprile 1947, n. 273 e quella in esame si vede come un
 diverso trattamento sia pienamente giustificato  e  comunque  rientri
 nelle  prerogative  di  scelta  politica  del legislatore. Infatti le
 radicali trasformazioni agrarie costituiscono un atto della  volonta'
 del  concedente  del tutto discrezionale, cosi' che lo stesso sa che,
 se intende darvi corso, per ottenere la liberazione  del  fondo  deve
 corrispondere un'equa indennita' al coltivatore. Nella fattispecie in
 esame,  invece,  per  effetto   d'un   provvedimento   dell'autorita'
 amministrativa,  configurabile  come  factum  principis, indipendente
 dalla  volonta'  del  concedente,  al   terreno   viene   mutata   la
 destinazione  da agraria ad urbanistica e questo solo fatto determina
 il venir meno del contratto agrario. Il tutto quindi avviene in  modo
 indipendente  da  un'eventuale  futura  utilizzazione  delle aree per
 edificazione, circostanza questa ininfluente ai fini del  venir  meno
 della proroga.
    In  sostanza, mentre nell'ipotesi gia' sanzionata d'illegittimita'
 la   cessazione   della   proroga   dipendeva   dalla   volonta'    e
 dall'iniziativa  del  concedente,  nell'ipotesi in esame essa dipende
 esclusivamente dalla P.A., la quale agisce unicamente per propri fini
 istituzionali.  Trattasi,  pertanto, di situazioni del tutto diverse.
 In ogni caso non si comprende perche' un provvedimento amministrativo
 dovrebbe  comportare  a carico d'un privato, estraneo alla formazione
 della volonta' dell'ente, l'obbligo di provvedere all'indennizzo  del
 pregiudizio  che ad altro soggetto privato deriva dall'impossibilita'
 di  continuare  sul  fondo  l'impresa  agricola  a  seguito  di  tale
 provvedimento.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  questioni sollevate dalle ordinanze di cui in narrativa
 sono analoghe e possono, pertanto, essere decise con unica  sentenza.
    2.  -  L'ordinanza  emessa  dal  Tribunale di Parma (sezione delle
 controversie  agrarie)  il  20  marzo  1986  (Reg.  Ord.  524/86)  va
 dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.
    Il  Tribunale  di  Parma  solleva,  incidentalmente,  questione di
 legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 44 Cost.,  degli
 artt. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 e 1› del d.l.C.p.S. 1›
 aprile  1947,  n.  273  per  la  parte  in  cui  non   prevedono   la
 corresponsione d'un equo indennizzo all'affittuario nei confronti del
 quale venga meno la proroga legale per  la  mutata  destinazione  del
 podere da agricola ad urbanistica.
    La  domanda  sulla quale il predetto Tribunale e' stato chiamato a
 giudicare non e', tuttavia, riconducibile ad una delle ipotesi di cui
 all'art.  1›  del  d.l.C.p.S.  1›  aprile  1947, n. 273. Quest'ultimo
 articolo prevede, infatti, la decadenza dalla proroga legale  in  due
 ipotesi  del tutto diverse da quella sottoposta al vaglio del giudice
 a quo; e, cioe', prevede il caso che il concedente o locatore che sia
 o  sia  stato  coltivatore diretto od i cui figli siano o siano stati
 coltivatori diretti, dichiari  di  voler  coltivare  direttamente  il
 fondo  (ipotesi individuata dal predetto articolo sub a) e quello del
 concedente che  voglia  compiere  nel  fondo  radicali  ed  immediate
 trasformazioni  agrarie  la  cui  esecuzione sia incompatibile con la
 continuazione del contratto ed il cui piano sia gia' stato dichiarato
 attuabile  ed utile dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura
 (ipotesi che nel citato articolo e' indicata sub b).  La  fattispecie
 all'esame  del  giudice a quo attiene, invece, all'accertamento della
 decadenza dalla proroga legale per  avere  il  terreno,  condotto  in
 affitto,  perduto  la  primitiva  destinazione  agraria  per assumere
 quella di area fabbricabile. In entrambe le ipotesi di cui all'art. 1
 del   citato   d.l.C.p.S.  si  tratta  di  decadenza  dovuta  ad  una
 continuazione dell'attivita'  agraria  (da  parte  del  concedente  o
 locatore  o  per radicali ed immediate trasformazioni agrarie) mentre
 nella fattispecie all'esame del giudice  a  quo  la  decadenza  dalla
 proroga  legale  attiene,  si  potrebbe aggiungere, all'opposto, alla
 cessazione della destinazione "agraria" del fondo in contestazione.
    Poiche'  l'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 si limita
 a prorogare i contratti agrari in corso alla data d'entrata in vigore
 della  stessa  legge; e poiche', ove s'entrasse nell'esame del merito
 della  controversia,  dovrebbero  esser   riconosciuti   od   esclusi
 indennizzi riferiti alla fattispecie sottoposta all'esame del giudice
 a quo, che non  e'  per  nulla  riconducibile  alle  ipotesi  di  cui
 all'art.  1  del d.l.C.p.S. del 1› aprile 1947; risulterebbe, in ogni
 caso,  irrilevante,  nella  specie,  il  riconoscere  od  il   negare
 indennizzi  riferibili  a fattispecie tipiche, quali quelle delineate
 nel citato articolo, del tutto diverse da quella,  concreta,  per  la
 quale e' stato iniziato il procedimento a quo.
    Tutto  cio'  e'  confermato dal rilievo per il quale ne' nell'atto
 introduttivo  del  primitivo  ricorso  dei  concedenti,  diretto   ad
 ottenere  la dichiarazione di risoluzione del contratto d'affitto (ed
 a seguito del quale si e' verificata la conciliazione giudiziale, con
 riserva dell'affittuario di chiedere l'indennizzo) ne' nel successivo
 ricorso dell'affittuario diretto ad ottenere il pagamento,  da  parte
 dei   concedenti,   dell'indennizzo   in  discussione,  si  e'  fatto
 riferimento, secondo quanto viene riferito dall'ordinanza rimettente,
 alle disposizioni impugnate in questa sede.
    Non  v'e' dubbio, in conclusione, che dal giudice a quo sono state
 censurate norme non  applicabili  alla  specie  al  suo  esame:  ogni
 decisione  di  merito  assunta  in  questa  sede  sarebbe,  pertanto,
 irrilevante. La questione sollevata dal giudice  a  quo  va,  dunque,
 dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.
    3. - L'ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione il 3 giugno 1983
 (Reg. Ord. 156/84) - ritenuta inapplicabile la sopravvenuta  legge  3
 maggio  1982,  n.  203,  essendo  gia' intervenuta, nella specie, una
 sentenza esecutiva  ex  lege  -  solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253, nella
 parte  in  cui   non   prevede   un   equo   indennizzo   in   favore
 dell'affittuario  di  fondo  rustico nell'ipotesi di cessazione della
 proroga legale del contratto d'affitto determinata dall'esigenza  del
 concedente di costruire sul terreno un edificio d'abitazione.
    La   sollevata   questione  va  dichiarata  fondata  limitatamente
 all'ipotesi, sottoposta all'esame del giudice remittente, nella quale
 e'  stato  chiesto,  intendendo  il  proprietario costruire sul fondo
 "edifici di abitazione", il rilascio dell'intero fondo.
    Il  primo  comma  dell'art.  11 della legge 23 maggio 1950, n. 253
 prevede  espressamente  un'ipotesi   d'esenzione   "parziale"   dalle
 proroghe  e  vincoli  previsti  dalle  leggi sui contratti agrari. Il
 citato comma, infatti, recita: "Sono esenti dalle proroghe e  vincoli
 previsti  dalle  leggi sui contratti agrari i terreni... sui quali il
 proprietario intenda costruire edifici di  abitazione,  limitatamente
 ad   un'area  pari  al  doppio  di  quella  che  dovra'  occupare  il
 fabbricato".
    E   se  si  considera  esclusivamente  la  fattispecie  tipica  di
 esenzione "parziale" dalle proroghe legali d'un determinato fondo sul
 quale  il proprietario intenda costruire edifici d'abitazione, non e'
 ravvisabile contrasto, censurabile in  questa  sede,  con  l'art.  44
 Cost.  Ne'  e'  da  ritenere la predetta fattispecie analoga a quella
 esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 107 del  1974,  sotto  il
 profilo della quantita' del sacrificio imposto al concessionario.
    Per vero, qualche dubbio di legittimita' sorge anche per l'ipotesi
 tipicamente prevista dal primo comma della norma  impugnata:  e'  ben
 vero,  infatti,  che  quest'ultima  prevede l'esenzione dalla proroga
 legale soltanto per una parte del fondo, lasciando intatto il diritto
 del  concessionario  per  la  rimanente;  ma nelle ipotesi in cui, in
 concreto, il doppio dell'area che  dovra'  occupare  "il  fabbricato"
 s'estenda   fino   a   ridurre   la   parte  del  fondo  lasciato  al
 concessionario ad un'entita' insignificante e tale da sostanzialmente
 impedire  al  medesimo  il  raggiungimento  dei fini contrattuali, la
 continuazione   della   titolarita'   formale   del    diritto    del
 concessionario  su  di una "parte" del fondo non varrebbe ad impedire
 la sostanziale vanificazione del diritto stesso.
    Tuttavia,  da  un  canto,  non  e'  in  questa sede censurabile la
 discrezionale scelta del  legislatore,  che  ha  ritenuto  preminente
 l'interesse   del   proprietario   a  costruire  sul  fondo  "edifici
 d'abitazione" rispetto all'interesse del concessionario a  continuare
 a  beneficiare  della proroga legale sull'intero fondo (e tale scelta
 non e' manifestamente irrazionale, tenuto conto  del  valore  assunto
 nei   tempi   attuali   dall'esigenza  di  costruzioni  adibibili  ad
 abitazione) e d'altro canto spettera' al giudice di merito  stabilire
 se, in concreto, il richiesto rilascio di gran parte o della massima,
 quasi integrale, parte del fondo  costituisca  ipotesi  da  ritenersi
 analoga  a quella del chiesto rilascio dell'intero fondo, ipotesi che
 si va a dichiarare costituzionalmente illegittimo.
    Ed  infatti,  il  primo  comma  dell'articolo  impugnato,  come il
 giudice a quo esattamente rileva  (dichiarando  la  rilevanza,  nella
 specie al suo esame, dell'ora citato comma) puo' esser invocato anche
 nell'ipotesi di richiesta  da  parte  del  proprietario  di  rilascio
 dell'intero  fondo. Ed e' da tener presente che, appunto, in prima ed
 in seconda sede, nel  procedimento  a  quo,  e'  stato  richiesto  il
 rilascio dell'intero fondo e che le sentenze di primo e secondo grado
 hanno pronunciato il rilascio dell'intero fondo. Ed in questa ipotesi
 il  primo  comma  dell'art.  11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 e'
 violativo  dell'art.  44  Cost.,   che   espressamente   prevede   la
 possibilita'  che la legge imponga obblighi e vincoli alla proprieta'
 terriera privata anche al fine di stabilire "equi rapporti  sociali".
 Ed  equo  contemperamento  sociale  di  opposti  interessi e' appunto
 quello che, mentre consente al proprietario la facolta' di richiedere
 il  rilascio  dell'intero  fondo,  al  fine  di  costruirvi  "edifici
 d'abitazione",  riconosce  al  conduttore,   nei   casi   di   totale
 risoluzione incolpevole del contratto agrario, tenuto conto del danno
 che indubbiamente tale risoluzione arreca,  e  senza  sua  colpa,  al
 conduttore, un equo indennizzo.
   Non puo' dirsi, invero, in armonia con la direttiva costituzionale,
 contenuta nell'art. 44  Cost.,  la  totale  cessazione  del  rapporto
 agrario  prorogato ex art. 11 della legge 253 del 1950 senza adeguata
 valutazione della contrapposta posizione del conduttore. Se  e'  vero
 che  non  e'  censurabile,  in questa sede, la scelta legislativa che
 privilegia l'interesse del proprietario e  della  collettivita'  alla
 costruzione  di  case d'abitazione sull'interesse del conduttore alla
 continuazione del rapporto  agrario,  integralmente  considerato,  e'
 altresi' vero che tale scelta non puo' non tener conto del sacrificio
 che il conduttore viene a subire e  non  prevedere  il  pagamento,  a
 quest'ultimo,  da  parte  del  proprietario,  d'un  equo  indennizzo:
 diversamente viene violata la precitata direttiva  costituzionale  di
 cui all'art. 44 Cost.
    Esattamente  il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte
 n. 107  del  1974  al  fine  di  rilevare  l'estensibilita'  al  caso
 sottoposto  al  suo  esame  della  disciplina della fattispecie sulla
 quale si e' pronunciata l'ora indicata sentenza. Intanto, in entrambi
 i casi si tratta di "totale rilascio del fondo": ma, di piu', benche'
 l'ipotesi all'esame del giudice a quo attenga al rilascio del  fondo,
 da   parte   del   conduttore,  per  la  costruzione,  ad  opera  del
 proprietario,  di  case  d'abitazione  mentre  quella  decisa   dalla
 precitata  sentenza  riguardava  l'abbandono  del fondo, da parte del
 conduttore,  per  radicali   trasformazioni   agrarie,   nell'una   e
 nell'altra  ipotesi  vi  e'  un  conflitto  tra capitale e lavoro che
 richiede un armonico bilanciamento al fine d'assicurare equi rapporti
 sociali.
    Ed  e' stata, appunto, questa Corte che, con la sentenza n. 30 del
 1977, nel rigettare l'istanza tesa a far riconoscere come  dovuto  un
 indennizzo  nell'ipotesi  di  cessazione  della  proroga  agraria  in
 relazione  al  dichiarato  proposito  del  concedente  di   coltivare
 direttamente il fondo, ha tenuto a differenziare quest'ultima ipotesi
 (in  cui  si  contrappongono  interessi  omogenei,  entrambi  diretti
 all'esplicazione  di  un'attivita'  lavorativa  sul  fondo) da quella
 esaminata dalla sentenza n. 107 del 1974, che riguarda,  invece,  una
 contrapposizione   tra   capitale  e  lavoro  (che  va  armonicamente
 bilanciata al fine d'assicurare  equi  rapporti  sociali)  e  che  e'
 certamente simile a quella oggi all'esame del giudice a quo.
    Va,  infine, sottolineato che l'evoluzione legislativa in materia,
 e soprattutto la riforma dei contratti agrari introdotta con la legge
 3  maggio 1982, n. 203 (che ha sancito l'attribuzione d'un indennizzo
 al  conduttore  in  tutti  i  casi  di  risoluzione  incolpevole  del
 contratto agrario e, nell'ipotesi di destinazione edilizia del fondo,
 in conformita' degli strumenti urbanistici, ha anche  previsto  altre
 provvidenze  a  favore  del  conduttore) ulteriormente confortano nel
 riconoscere parzialmente viziato da illegittimita' costituzionale  il
 primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253.