ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 (Disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani) art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 (Norme in materia di contratti agrari) e art. 1 del d.l.C.p.S. 1 aprile 1947, n. 273 (Proroga dei contratti agrari) promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 3 giugno 1983 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da De Nitto Erasmo contro Di Ianni Raffaele ed altra, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 dell'anno 1984; 2) ordinanza emessa il 20 marzo 1986 dal Tribunale di Parma nel procedimento civile vertente tra Bandini Aldo e Fornari Luigi ed altri, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visto l'atto di costituzione di Fornari Luigi nonche' l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 15 dicembre 1987 il Giudice relatore Renato Dell'Andro; Udito l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1.1. - Con ordinanza del 3 giugno 1983 (Reg. ord. 156/84) la Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 44 Cost., dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253, in quanto non prevede un equo indennizzo a favore dell'affittuario di fondo rustico per l'ipotesi della cessazione della proroga legale del contratto d'affitto del fondo determinata dall'esigenza del concedente di costruire sul terreno un edificio d'abitazione. La Corte osserva che l'art. 44 Cost. contempla, da una parte, il processo di produzione e, dall'altra, quello di distribuzione della ricchezza con conseguente esigenza d'un razionale sfruttamento delle risorse economiche e dell'instaurazione d'equi rapporti sociali, senza fissare peraltro alcuna gerarchia tra i fini (economici e sociali) perseguiti, strettamente connessi tra loro e reciprocamente condizionati. In tale prospettiva, la cessazione della proroga legale dei contratti agrari per il soddisfacimento d'un apprezzabile interesse con risvolti pubblicistici, quale la costruzione di edifici per abitazione, puo' ricondursi alla finalita' di razionale sfruttamento del suolo considerata dall'art. 44 Cost. Non appare pero' in armonia con questa disposizione, e in particolare con l'esigenza di equi rapporti sociali, la cessazione del rapporto agrario senza un'adeguata valutazione della contrapposta posizione del conduttore. Stabilire, infatti, la cessazione della proroga legale senz'alcun indennizzo per il coltivatore significa sacrificare la posizione di quest'ultimo e privilegiare l'attivita' edilizia in modo incompatibile con la detta finalita' tutelata dalla norma costituzionale. La Cassazione ricorda quindi come la sent. n. 107 del 1974 della Corte Costituzionale abbia dichiarato illegittima la mancata previsione d'un equo indennizzo nel caso di cessazione della proroga legale per radicali trasformazioni agrarie progettate dal concedente. Tale orientamento dovrebbe essere esteso anche al caso di specie, in quanto la diversa destinazione del fondo (costruzione edilizia anziche' trasformazione agraria) non esclude che si tratti di situazioni sostanzialmente identiche. Ne' in senso contrario puo' valere la successiva sent. n. 30 del 1977 che non ritenne illegittima la mancata previsione d'un indennizzo nel caso di cessazione della proroga legale per intenzione del concedente di coltivare direttamente il fondo, in quanto la Corte ritenne che in tal caso l'eccezione alla proroga del contratto si giustifica non in funzione d'un investimento di capitali nel fondo bensi' d'un ritorno della terra al proprietario (anch'egli coltivatore diretto) sicche' vengono in contrapposizione interessi non gia' diversi ma omogenei per la comune attinenza all'esplicazione d'un'attivita' lavorativa sul fondo. L'ipotesi ora in esame e' invece analoga a quella esaminata con la sent. n. 107 del 1974, perche' in entrambi i casi si contrappongono interessi non omogenei e si profila un conflitto capitale-lavoro che richiede un armonico bilanciamento per assicurare l'equita' dei rapporti sociali. Ne' va dimenticata la tendenza legislativa all'attribuzione d'un indennizzo al conduttore del fondo espropriato, tendenza che ha trovato espressione sia in materia d'esproprio (dove e' ormai regola generale il riconoscimento d'un autonomo indennizzo a favore del conduttore del fondo) sia nella legge di riforma dei contratti agrari 3 maggio 1982, n. 203, la quale ha sancito l'attribuzione d'un indennizzo al conduttore (anche se non coltivatore) in tutti i casi di risoluzione incolpevole del contratto. In definitiva, la paritaria rilevanza degli interessi costituzionalmente protetti dall'art. 44 Cost., l'orientamento manifestato dalla Corte con la sent. 107 del 1974 e l'evoluzione legislativa in tema d'esproprio e nello specifico settore dei contratti agrari sono tutti elementi che, ponendo in risalto la posizione del conduttore-coltivatore, esprimono l'esigenza d'un'adeguata tutela della stessa e quindi la necessita' d'un indennizzo volto a compensare il sacrificio per la perdita del diritto alla proroga legale in vista dell'interesse del concedente e della collettivita'. Ne deriva che l'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253, in quanto non prevede alcuna forma d'indennizzo a favore del conduttore estromesso dal fondo per la causa ivi contemplata, appare alterare quell'equilibrio dei rapporti sociali costituzionalmente garantito dall'art. 44 Cost. e si pone, pertanto, in contrasto con quest'ultimo. Sulla rilevanza la Cassazione osserva che nella specie non puo' operare la sopravvenuta legge 3 maggio 1982, n. 203, in quanto questa non si applica (art. 53) ai rapporti oggetto di controversia definita con sentenza passata in giudicato, con sentenza gia' esecutiva o mediante transazione ai sensi dell'art. 23 legge n. 11 del 1971: nella specie, la sentenza d'appello oggetto del ricorso in Cassazione e' appunto esecutiva ex lege. 1.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo il rigetto della questione e sottolineando le differenze tra il caso di specie e quello di cui alla sent. n. 107 del 1974. In quell'occasione, infatti, si discuteva del rilascio dell'intero fondo, ossia della cessazione totale della proroga legale. Nella specie, invece, la norma denunciata prevede una mera esclusione della proroga "soltanto" per una parte del fondo pari al doppio dell'area che dovra' occupare l'edificio d'abitazione del proprietario, lasciando intatto il diritto del concessionario per la rimanente parte. Il legislatore ha quindi ritenuto preminente l'interesse del proprietario a costruire la propria casa d'abitazione rispetto all'interesse del concessionario a continuare a beneficiare, per effetto della proroga legale, d'una parte ben limitata del fondo medesimo. E tale valutazione del legislatore, nell'ambito della sua discrezionalita', appare certamente ragionevole ed ispirata ad evidenti ragioni sociali, nel quadro d'un saggio contemperamento degli opposti interessi. Inesattamente, quindi, il giudice a quo s'e' richiamato alla sent. n. 107 del 1974 in presenza, nella specie, della cessazione della proroga legale limitatamente ad una parte del fondo che ben puo' ritenersi insignificante. Ne' varrebbe dire che tale parte potrebbe invece essere determinante, in quanto, in tal caso, si tratterebbe d'un problema di fatto e cioe' di scelta dell'ubicazione dell'area sulla quale dovrebbe insistere l'erigenda casa e certo non involgerebbe un problema di costituzionalita' della norma denunciata. 2.1. - Con ordinanza del 20 marzo 1986 (Reg. ord. n. 524/86) il Tribunale di Parma ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 44 Cost., dell'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 e dell'art. 1 del d.l.C.p.S. 1 aprile 1947, n. 273, nella parte in cui non prevedono la corresponsione d'un equo indennizzo all'affittuario nei confronti del quale venga meno la proroga per la mutata destinazione del podere da agricola ad urbanistica. Il Tribunale premette in fatto che nella specie il ricorrente era affittuario d'un fondo d'ettari 11,34 di proprieta' dei convenuti; che era stato chiesto la risoluzione della proroga legale del contratto d'affitto relativamente ad Ha 4.54,18, comprese nel piano di fabbricazione del comune e destinate a zona residenziale d'espansione; che il conduttore non s'era opposto al rilascio, avendo il terreno perduto la destinazione agraria e con verbale di conciliazione s'era impegnato a rilasciare il fondo con riserva di chiedere l'indennizzo, che costituiva appunto l'oggetto della domanda proposta. Nel merito il Tribunale si limita ad osservare che le norme impugnate, nella parte in cui non prevedono la corresponsione d'un equo indennizzo all'affittuario nei confronti del quale venga meno la proroga per la mutata destinazione del podere da agricola ad urbanistica, contrastano con l'art. 44 Cost. diretto a stabilire, tra l'altro, equi rapporti sociali, in quanto vengono ad essere vanificati interessi legittimi dell'affittuario, che deve lasciare il podere non per sua scelta ma perche' la permanenza e' divenuta incompatibile con la realizzazione delle previsioni dello strumento urbanistico comunale, che il proprietario intende realizzare. La questione e' poi rilevante in quanto la legge 3 maggio 1982, n. 203 e' inapplicabile nella specie, essendo il rapporto d'affitto cessato prima dell'entrata in vigore della stessa legge a seguito di transazione giudiziale tra le parti seguita dal rilascio del fondo. 2.2. - Si e' costituito dinanzi alla Corte il sig. Luigi Fornari, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Bertosa, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e in ogni caso infondata. Osserva il Fornari che nella specie e' pacifico che si tratta di cessazione della proroga legale per avere il terreno perduto la primitiva destinazione agraria per assumere, a seguito di provvedimenti dell'autorita' amministrativa, quella di area fabbricabile. La domanda pertanto non e' minimamente fondata sul disposto dell'art. 1 del d.l.C.p.S 1 aprile 1947, n. 273 ove e' prevista appunto la decadenza dalla proroga in due diverse fattispecie: a) se il concedente, che sia o sia stato coltivatore diretto, intenda coltivare direttamente il fondo (c.d. diritto di ripresa); b) se il concedente voglia compiere nel fondo radicali ed immediate trasformazioni agrarie, la cui esecuzione sia incompatibile con la continuazione del contratto ed il cui piano sia gia' stato dichiarato attuabile ed utile dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura. Le norme denunciate non hanno quindi alcuna incidenza sulla soluzione del giudizio a quo. Nel caso in esame, infatti, non si tratta di trasformazione agraria, approvata dall'Ispettorato, ma di perdita della qualita' agricola d'un terreno per effetto d'un provvedimento amministrativo. Inoltre, nella specie, il rilascio del terreno e prima ancora la risoluzione del contratto hanno avuto luogo per effetto di conciliazione giudiziale, cosicche' non puo' ritenersi che il coltivatore sia stato "costretto" a cessare la coltivazione ma solo che ha "voluto" cessarla. Nel merito, il Fornari osserva che nessun richiamo puo' farsi alla legge n. 203 del 1982, ora in vigore, perche' la previsione in essa contenuta all'art. 43 e' giustificata dal porsi nell'ambito d'un ordinamento contrattuale caratterizzato non da una proroga a tempo indeterminato (e pertanto passibile di decadenza in qualsiasi momento, al verificarsi di determinate ipotesi) bensi' da una durata prefissata (artt. 1, secondo comma, e 2) e tale, pertanto, da ingenerare nell'affittuario la legittima aspettativa in tale senso e da indurlo a fare, in vista di tale durata, programmi finanziari e investimenti. In ogni caso, l'art. 1 del d.l.C.p.S. 1 aprile 1947, n. 273, per quanto concerne l'ipotesi sub b) e' gia' stato dichiarato incostituzionale (sent. n. 107 del 1974) nella parte in cui non prevedeva l'equo indennizzo. Non si comprende quindi come possa dichiararsene l'illegittimita' per un'ipotesi di cessazione della proroga legale da tale norma non prevista, ossia non si vede come la Corte possa "inventare" un ipotetico capo c) che preveda la cessazione della proroga legale per perdita della caratteristica di "agrarieta'" del terreno, per poi dichiararlo incostituzionale. L'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756, da parte sua, si limita a prorogare "fino a nuova disposizione" i contratti gia' precedentemente prorogati: non si vede, pertanto, sotto il profilo in interesse, quale aspetto di tale semplice proroga possa violare i principii costituzionali. Inoltre, se si considera la diversita' tra la fattispecie di cessazione della proroga legale di cui all'art. 1, lett. b) del d.l.C.p.S. 1 aprile 1947, n. 273 e quella in esame si vede come un diverso trattamento sia pienamente giustificato e comunque rientri nelle prerogative di scelta politica del legislatore. Infatti le radicali trasformazioni agrarie costituiscono un atto della volonta' del concedente del tutto discrezionale, cosi' che lo stesso sa che, se intende darvi corso, per ottenere la liberazione del fondo deve corrispondere un'equa indennita' al coltivatore. Nella fattispecie in esame, invece, per effetto d'un provvedimento dell'autorita' amministrativa, configurabile come factum principis, indipendente dalla volonta' del concedente, al terreno viene mutata la destinazione da agraria ad urbanistica e questo solo fatto determina il venir meno del contratto agrario. Il tutto quindi avviene in modo indipendente da un'eventuale futura utilizzazione delle aree per edificazione, circostanza questa ininfluente ai fini del venir meno della proroga. In sostanza, mentre nell'ipotesi gia' sanzionata d'illegittimita' la cessazione della proroga dipendeva dalla volonta' e dall'iniziativa del concedente, nell'ipotesi in esame essa dipende esclusivamente dalla P.A., la quale agisce unicamente per propri fini istituzionali. Trattasi, pertanto, di situazioni del tutto diverse. In ogni caso non si comprende perche' un provvedimento amministrativo dovrebbe comportare a carico d'un privato, estraneo alla formazione della volonta' dell'ente, l'obbligo di provvedere all'indennizzo del pregiudizio che ad altro soggetto privato deriva dall'impossibilita' di continuare sul fondo l'impresa agricola a seguito di tale provvedimento. Considerato in diritto 1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze di cui in narrativa sono analoghe e possono, pertanto, essere decise con unica sentenza. 2. - L'ordinanza emessa dal Tribunale di Parma (sezione delle controversie agrarie) il 20 marzo 1986 (Reg. Ord. 524/86) va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. Il Tribunale di Parma solleva, incidentalmente, questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 44 Cost., degli artt. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 e 1 del d.l.C.p.S. 1 aprile 1947, n. 273 per la parte in cui non prevedono la corresponsione d'un equo indennizzo all'affittuario nei confronti del quale venga meno la proroga legale per la mutata destinazione del podere da agricola ad urbanistica. La domanda sulla quale il predetto Tribunale e' stato chiamato a giudicare non e', tuttavia, riconducibile ad una delle ipotesi di cui all'art. 1 del d.l.C.p.S. 1 aprile 1947, n. 273. Quest'ultimo articolo prevede, infatti, la decadenza dalla proroga legale in due ipotesi del tutto diverse da quella sottoposta al vaglio del giudice a quo; e, cioe', prevede il caso che il concedente o locatore che sia o sia stato coltivatore diretto od i cui figli siano o siano stati coltivatori diretti, dichiari di voler coltivare direttamente il fondo (ipotesi individuata dal predetto articolo sub a) e quello del concedente che voglia compiere nel fondo radicali ed immediate trasformazioni agrarie la cui esecuzione sia incompatibile con la continuazione del contratto ed il cui piano sia gia' stato dichiarato attuabile ed utile dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura (ipotesi che nel citato articolo e' indicata sub b). La fattispecie all'esame del giudice a quo attiene, invece, all'accertamento della decadenza dalla proroga legale per avere il terreno, condotto in affitto, perduto la primitiva destinazione agraria per assumere quella di area fabbricabile. In entrambe le ipotesi di cui all'art. 1 del citato d.l.C.p.S. si tratta di decadenza dovuta ad una continuazione dell'attivita' agraria (da parte del concedente o locatore o per radicali ed immediate trasformazioni agrarie) mentre nella fattispecie all'esame del giudice a quo la decadenza dalla proroga legale attiene, si potrebbe aggiungere, all'opposto, alla cessazione della destinazione "agraria" del fondo in contestazione. Poiche' l'art. 14 della legge 15 settembre 1964, n. 756 si limita a prorogare i contratti agrari in corso alla data d'entrata in vigore della stessa legge; e poiche', ove s'entrasse nell'esame del merito della controversia, dovrebbero esser riconosciuti od esclusi indennizzi riferiti alla fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo, che non e' per nulla riconducibile alle ipotesi di cui all'art. 1 del d.l.C.p.S. del 1 aprile 1947; risulterebbe, in ogni caso, irrilevante, nella specie, il riconoscere od il negare indennizzi riferibili a fattispecie tipiche, quali quelle delineate nel citato articolo, del tutto diverse da quella, concreta, per la quale e' stato iniziato il procedimento a quo. Tutto cio' e' confermato dal rilievo per il quale ne' nell'atto introduttivo del primitivo ricorso dei concedenti, diretto ad ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto d'affitto (ed a seguito del quale si e' verificata la conciliazione giudiziale, con riserva dell'affittuario di chiedere l'indennizzo) ne' nel successivo ricorso dell'affittuario diretto ad ottenere il pagamento, da parte dei concedenti, dell'indennizzo in discussione, si e' fatto riferimento, secondo quanto viene riferito dall'ordinanza rimettente, alle disposizioni impugnate in questa sede. Non v'e' dubbio, in conclusione, che dal giudice a quo sono state censurate norme non applicabili alla specie al suo esame: ogni decisione di merito assunta in questa sede sarebbe, pertanto, irrilevante. La questione sollevata dal giudice a quo va, dunque, dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. 3. - L'ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione il 3 giugno 1983 (Reg. Ord. 156/84) - ritenuta inapplicabile la sopravvenuta legge 3 maggio 1982, n. 203, essendo gia' intervenuta, nella specie, una sentenza esecutiva ex lege - solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253, nella parte in cui non prevede un equo indennizzo in favore dell'affittuario di fondo rustico nell'ipotesi di cessazione della proroga legale del contratto d'affitto determinata dall'esigenza del concedente di costruire sul terreno un edificio d'abitazione. La sollevata questione va dichiarata fondata limitatamente all'ipotesi, sottoposta all'esame del giudice remittente, nella quale e' stato chiesto, intendendo il proprietario costruire sul fondo "edifici di abitazione", il rilascio dell'intero fondo. Il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 prevede espressamente un'ipotesi d'esenzione "parziale" dalle proroghe e vincoli previsti dalle leggi sui contratti agrari. Il citato comma, infatti, recita: "Sono esenti dalle proroghe e vincoli previsti dalle leggi sui contratti agrari i terreni... sui quali il proprietario intenda costruire edifici di abitazione, limitatamente ad un'area pari al doppio di quella che dovra' occupare il fabbricato". E se si considera esclusivamente la fattispecie tipica di esenzione "parziale" dalle proroghe legali d'un determinato fondo sul quale il proprietario intenda costruire edifici d'abitazione, non e' ravvisabile contrasto, censurabile in questa sede, con l'art. 44 Cost. Ne' e' da ritenere la predetta fattispecie analoga a quella esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 107 del 1974, sotto il profilo della quantita' del sacrificio imposto al concessionario. Per vero, qualche dubbio di legittimita' sorge anche per l'ipotesi tipicamente prevista dal primo comma della norma impugnata: e' ben vero, infatti, che quest'ultima prevede l'esenzione dalla proroga legale soltanto per una parte del fondo, lasciando intatto il diritto del concessionario per la rimanente; ma nelle ipotesi in cui, in concreto, il doppio dell'area che dovra' occupare "il fabbricato" s'estenda fino a ridurre la parte del fondo lasciato al concessionario ad un'entita' insignificante e tale da sostanzialmente impedire al medesimo il raggiungimento dei fini contrattuali, la continuazione della titolarita' formale del diritto del concessionario su di una "parte" del fondo non varrebbe ad impedire la sostanziale vanificazione del diritto stesso. Tuttavia, da un canto, non e' in questa sede censurabile la discrezionale scelta del legislatore, che ha ritenuto preminente l'interesse del proprietario a costruire sul fondo "edifici d'abitazione" rispetto all'interesse del concessionario a continuare a beneficiare della proroga legale sull'intero fondo (e tale scelta non e' manifestamente irrazionale, tenuto conto del valore assunto nei tempi attuali dall'esigenza di costruzioni adibibili ad abitazione) e d'altro canto spettera' al giudice di merito stabilire se, in concreto, il richiesto rilascio di gran parte o della massima, quasi integrale, parte del fondo costituisca ipotesi da ritenersi analoga a quella del chiesto rilascio dell'intero fondo, ipotesi che si va a dichiarare costituzionalmente illegittimo. Ed infatti, il primo comma dell'articolo impugnato, come il giudice a quo esattamente rileva (dichiarando la rilevanza, nella specie al suo esame, dell'ora citato comma) puo' esser invocato anche nell'ipotesi di richiesta da parte del proprietario di rilascio dell'intero fondo. Ed e' da tener presente che, appunto, in prima ed in seconda sede, nel procedimento a quo, e' stato richiesto il rilascio dell'intero fondo e che le sentenze di primo e secondo grado hanno pronunciato il rilascio dell'intero fondo. Ed in questa ipotesi il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253 e' violativo dell'art. 44 Cost., che espressamente prevede la possibilita' che la legge imponga obblighi e vincoli alla proprieta' terriera privata anche al fine di stabilire "equi rapporti sociali". Ed equo contemperamento sociale di opposti interessi e' appunto quello che, mentre consente al proprietario la facolta' di richiedere il rilascio dell'intero fondo, al fine di costruirvi "edifici d'abitazione", riconosce al conduttore, nei casi di totale risoluzione incolpevole del contratto agrario, tenuto conto del danno che indubbiamente tale risoluzione arreca, e senza sua colpa, al conduttore, un equo indennizzo. Non puo' dirsi, invero, in armonia con la direttiva costituzionale, contenuta nell'art. 44 Cost., la totale cessazione del rapporto agrario prorogato ex art. 11 della legge 253 del 1950 senza adeguata valutazione della contrapposta posizione del conduttore. Se e' vero che non e' censurabile, in questa sede, la scelta legislativa che privilegia l'interesse del proprietario e della collettivita' alla costruzione di case d'abitazione sull'interesse del conduttore alla continuazione del rapporto agrario, integralmente considerato, e' altresi' vero che tale scelta non puo' non tener conto del sacrificio che il conduttore viene a subire e non prevedere il pagamento, a quest'ultimo, da parte del proprietario, d'un equo indennizzo: diversamente viene violata la precitata direttiva costituzionale di cui all'art. 44 Cost. Esattamente il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte n. 107 del 1974 al fine di rilevare l'estensibilita' al caso sottoposto al suo esame della disciplina della fattispecie sulla quale si e' pronunciata l'ora indicata sentenza. Intanto, in entrambi i casi si tratta di "totale rilascio del fondo": ma, di piu', benche' l'ipotesi all'esame del giudice a quo attenga al rilascio del fondo, da parte del conduttore, per la costruzione, ad opera del proprietario, di case d'abitazione mentre quella decisa dalla precitata sentenza riguardava l'abbandono del fondo, da parte del conduttore, per radicali trasformazioni agrarie, nell'una e nell'altra ipotesi vi e' un conflitto tra capitale e lavoro che richiede un armonico bilanciamento al fine d'assicurare equi rapporti sociali. Ed e' stata, appunto, questa Corte che, con la sentenza n. 30 del 1977, nel rigettare l'istanza tesa a far riconoscere come dovuto un indennizzo nell'ipotesi di cessazione della proroga agraria in relazione al dichiarato proposito del concedente di coltivare direttamente il fondo, ha tenuto a differenziare quest'ultima ipotesi (in cui si contrappongono interessi omogenei, entrambi diretti all'esplicazione di un'attivita' lavorativa sul fondo) da quella esaminata dalla sentenza n. 107 del 1974, che riguarda, invece, una contrapposizione tra capitale e lavoro (che va armonicamente bilanciata al fine d'assicurare equi rapporti sociali) e che e' certamente simile a quella oggi all'esame del giudice a quo. Va, infine, sottolineato che l'evoluzione legislativa in materia, e soprattutto la riforma dei contratti agrari introdotta con la legge 3 maggio 1982, n. 203 (che ha sancito l'attribuzione d'un indennizzo al conduttore in tutti i casi di risoluzione incolpevole del contratto agrario e, nell'ipotesi di destinazione edilizia del fondo, in conformita' degli strumenti urbanistici, ha anche previsto altre provvidenze a favore del conduttore) ulteriormente confortano nel riconoscere parzialmente viziato da illegittimita' costituzionale il primo comma dell'art. 11 della legge 23 maggio 1950, n. 253.