ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, 8, 9 e 11
 della legge della Regione Umbria 21 ottobre 1981, n. 69
 (Norme sul sistema formativo regionale) promosso con ordinanza emessa
 il 15  ottobre  1986  dal  T.A.R.  dell'Umbria  sui  ricorsi  riuniti
 proposti  dall'Istituto  Tecnico Industriale "E. Fermi" di Perugia ed
 altri  contro  il  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  ed  altra,
 iscritta  al  n.  214  del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  24,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1987;
    Visti  gli  atti di costituzione dell'Istituto Tecnico Industriale
 "E. Fermi" di Perugia e della Regione Umbria;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  dicembre  1987  il Giudice
 relatore Renato Dell'Andro;
    Uditi   gli   avvocati  Claudio  Rossano  per  l'Istituto  Tecnico
 Industriale "E. Fermi" di Perugia e Alarico  Mariani  Marini  per  la
 Regione Umbria;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  Amministrativo  Regionale  dell'Umbria,  con
 ordinanza 15 ottobre 1986 ha sollevato, in riferimento agli artt. 33,
 terzo  e  quarto  comma,  e  117,  primo comma, Cost. ed in relazione
 all'art. 2, ultimo comma,  della  legge  21  dicembre  1978,  n.  845
 (Legge-quadro  in  materia  di formazione professionale) questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 7, 8,  9  e  11  della  legge
 della  Regione  Umbria  21  ottobre  1981,  n.  69 (Norme sul sistema
 formativo regionale).
   In  primo luogo, la legge regionale umbra n. 69 del 1981, ad avviso
 del giudice a quo, violerebbe l'art.  117,  primo  comma,  Cost,  per
 inosservanza  del  principio  di  cui all'art. 2, ultimo comma, della
 legge n. 845 del 1978, in base al quale l'esercizio dell'attivita' di
 formazione professionale e' libero. Quindi la legge impugnata sarebbe
 viziata d'illegittimita' costituzionale nel disporre l'esclusione  di
 soggetti   privati   dall'esercizio   dell'attivita'   di  formazione
 professionale e nel precludere ai privati di chiedere ed ottenere che
 la frequenza di dette scuole comporti effetti legali.
    Peraltro,  il  sistema  introdotto  dalle  disposizioni  impugnate
 appare al giudice remittente in contrasto  con  l'art.  33,  terzo  e
 quarto  comma, Cost., ove e' previsto il diritto, per enti e privati,
 d'istituire scuole ed istituti di istruzione senza oneri per lo Stato
 e si riconosce liberta' d'insegnamento alle scuole medesime, con cio'
 garantendo la coesistenza di  due  aree  di  istruzione,  pubblica  e
 privata - nel rispetto dei limiti di legge - comunque equipollenti.
    2.  -  Si e' costituito in giudizio l'Istituto Tecnico Industriale
 "E. Fermi" di  Perugia  che  ha  concluso  per  la  fondatezza  della
 questione.
    In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  la  difesa  dell'Istituto
 "E.Fermi" ha fatto pervenire alla Corte  memoria  illustrativa  nella
 quale,  con  piu'  ampio  svolgimento, ha insistito nelle conclusioni
 dell'atto di costituzione.
    3.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio  anche  la  Regione Umbria
 chiedendo il rigetto della questione.
    In  primo luogo, la Regione contesta che l'attivita' di formazione
 professionale  di  cui  alla  legge  impugnata  integri   l'esercizio
 dell'attivita' scolastica ex art. 33 Cost. ed incida, di conseguenza,
 sui diritti tutelati da tale disposizione costituzionale. La  nozione
 giuridica  di  scuola  ai  fini della tutela costituzionale, infatti,
 comprenderebbe  soltanto  quelle  organizzazioni  che  forniscano   o
 "producano"  istruzione  e  che consentano di conseguire un titolo di
 studio secondo l'ordinamento dettato  dallo  Stato  per  l'istruzione
 pubblica.  In  particolare, le attivita' di formazione professionale,
 non  presenterebbero  alcuno  dei  requisiti  necessari  per   essere
 comprese nella nozione costituzionale di "scuola".
    La  Regione  Umbria  contesta, inoltre, la fondatezza dell'assunto
 dell'ordinanza di rinvio, in base al quale  la  disciplina  regionale
 della  formazione professionale escluderebbe i privati dall'esercizio
 del diritto "di liberta' della scuola", in quanto,  privilegiando  le
 strutture  pubbliche,  non  consentirebbe il riconoscimento legale di
 attivita' formative di privati, che possono essere  disciplinate  dal
 legislatore  regionale ma non soppresse. In contrario, si osserva che
 la  legge  quadro  statale  ha  stabilito  per  le  Regioni   precise
 direttive,  tra le quali vi sono quelle di "organizzare il sistema di
 formazione professionale sviluppando le iniziative pubbliche....", di
 "assicurare  il  controllo  sociale  della  gestione  delle attivita'
 formative attraverso la partecipazione  dei  rappresentanti  di  enti
 locali..."  e  d'attuare  i  programmi  "direttamente nelle strutture
 pubbliche, che devono essere interamente utilizzate..."  e,  mediante
 convenzione,   nelle   strutture   di  enti  d'emanazione  sindacale,
 imprenditoriale o cooperativa o con imprese e loro consorzi.
    Il legislatore statale avrebbe pertanto stabilito un criterio, per
 l'esercizio dei poteri regionali in materia, in base al quale, da  un
 lato,  l'organizzazione delle attivita' in questione sarebbe affidata
 in via prioritaria alle  strutture  degli  enti  pubblici  locali  e,
 dall'altro,   l'intervento   in   tale   sistema  formativo  mediante
 convenzione con le strutture pubbliche  sarebbe  consentito  solo  ad
 alcuni   soggetti  privati,  i  quali  sono  individuati  in  ragione
 dell'interesse concorrente al perseguimento dei  fini  di  formazione
 professionale cosi' come stabilito dalla stessa legge quadro.
    A  tale  scelta  discrezionale  del legislatore statale si sarebbe
 uniformata la legge regionale dell'Umbria,  che  affida  l'attuazione
 dei  piani  di  attivita' formative alle associazioni intercomunali e
 prevede che tali enti pubblici possano avvalersi mediante convenzione
 della  cooperazione  di  soggetti privati e delle relative strutture.
 Tale sistema, pur con i limiti che, in ogni caso,  l'art.  33,  terzo
 comma,  Cost.  non esclude, riconosce ai privati un ruolo concorrente
 nell'attivita' di formazione, che si concreta nell'esercizio di corsi
 professionali  in seno a strutture private convenzionate, con effetti
 equipollenti a quelli dei corsi attuati nelle strutture pubbliche.
    Per  quanto  concerne,  infine, l'assunta violazione dell'art. 117
 Cost., la Regione Umbria osserva che non sembra che l'art. 2,  ultimo
 comma,  della legge quadro enunci un principio della stessa natura di
 quello affermato dall'art. 33, terzo comma,  Cost.  All'ultimo  comma
 dell'art.  2  non potrebbe attribuirsi, infatti, il significato di un
 riconoscimento del diritto di privati d'esercitare  liberamente  tale
 attivita'  ma  piuttosto  quello  di  enunciazione  del principio che
 l'oggetto delle attivita' di  formazione  professionale  puo'  essere
 ricercato liberamente in relazione ai fini cui esse sono preordinate,
 con piena discrezionalita' circa la  individuazione  di  forme  e  di
 contenuti   idonei,   essendo   palese  il  carattere  essenziale  di
 permanente adattamento  di  tali  interventi  rispetto  alla  realta'
 dinamica del mondo del lavoro e delle attivita' economiche.
    Sotto   altro   aspetto  la  Regione  ribadisce  che  e'  inesatta
 l'affermazione in base alla  quale  la  legge  regionale  si  sarebbe
 limitata  a  riservare  alle  attivita'  formative svolte dai privati
 l'effimero  riconoscimento  d'un  attestato  di  frequenza  privo  di
 giuridica  validita'  mentre  la  legge  regionale ha disciplinato il
 regime  convenzionale  nell'ambito  del  quale  i  soggetti   privati
 indicati  dal  legislatore ordinario possono concorrere in un sistema
 coordinato di parita' con le strutture  pubbliche  all'esercizio  del
 servizio pubblico.
                         Considerato in diritto
    1. - Va anzitutto precisato l'oggetto del presente giudizio.
    Il  giudice  remittente ha ritenuto sottoporre all'esame di questa
 Corte, sospettandone l'illegittimita'  costituzionale,  soltanto  gli
 artt.  7, 8, 9 e 11 della legge della Regione Umbria 21 ottobre 1981,
 n. 69: e cio' in riferimento agli artt. 33, terzo e quarto  comma,  e
 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 2, ultimo comma, della
 legge 21 dicembre 1978, n.  845.
    Nessuna  censura e' stata sollevata, in questa sede, ne' in ordine
 alla legge regionale 31  maggio  1977,  n.  33  (con  la  quale,  fra
 l'altro,  sono state revocate tutte le autorizzazioni all'istituzione
 di  scuole  o  corsi  per  operatori  socio-sanitari  precedentemente
 concesse)  ne'  in  relazione  ai requisiti che le scuole o corsi ora
 ricordati devono possedere al fine d'ottenere che la frequenza  nelle
 predette  scuole  comporti "effetti legali". Questi ultimi, invece, a
 parere del giudice remittente, non potrebbero essere conseguiti dagli
 alunni  che frequentano scuole o corsi privati per la preclusione che
 gli artt. 7, 8, 9 e 11 della legge regionale 21 ottobre 1981,  n.  69
 porrebbero  ai  privati  di  chiedere  e  d'ottenere appunto i citati
 "effetti legali". Gli articoli ora ricordati disporrebbero, a  parere
 del  giudice  a quo, altresi' l'esclusione dei soggetti privati dalle
 attivita' di  formazione  professionale  indicate  nell'ordinanza  di
 rimessione.
    2.  -  La  censura  sollevata  dal  giudice remittente, cosi' come
 delimitata, non puo', nella  sua  globalita',  trovare  accoglimento.
 Essa  va  accolta  soltanto  in relazione al primo comma dell'art. 11
 della legge regionale n. 69 del 1981; di questo comma  va  dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'inciso "purche' in armonia con
 le indicazioni della programmazione regionale".
    Non  puo',  infatti,  ritenersi  ne' che le disposizioni impugnate
 dispongano  "l'esclusione  di  soggetti  privati  dall'esercizio"  di
 alcune  "attivita'  di  formazione  professionale"  ne' che le stesse
 disposizioni "precludano ai privati di chiedere ed  ottenere  che  la
 frequenza  di scuole private comporti "effetti legali" (cosi' come si
 esprime il giudice a quo).
    Ed  infatti:  l'art.  7  della  legge regionale n. 69 del 1981, in
 ottemperanza della legge quadro statale  21  dicembre  1978,  n.  845
 (cfr.  soprattutto  gli artt. 3 e 5) stabilisce, in particolare, cio'
 che il piano annuale delle  attivita'  di  formazione  professionale,
 predisposto  dalla  giunta  regionale sulla base delle proposte delle
 associazioni   intercomunali,    deve    contenere    per    ottenere
 l'approvazione  (e  le determinazioni relative alle "ripartizioni dei
 finanziamenti tra i soggetti attuatori degli  interventi")  da  parte
 del  Consiglio  regionale.  L'art.  8  della  stessa  legge regionale
 provvede, poi, a stabilire le "modalita' d'attuazione delle attivita'
 di formazione professionale": nello stesso articolo, mentre si affida
 l'organizzazione   delle   predette   attivita'   alle   associazioni
 intercomunali, di cui alla legge regionale 19 dicembre 1979, n. 65, a
 province, comuni ed altri enti pubblici, non solo non si escludono  i
 privati  dal  concorso  in  detta  organizzazione ma espressamente si
 prevedono speciali "accordi", "convenzioni"  tra  gli  enti  pubblici
 organizzatori ed imprese private (secondo comma) enti, associazioni e
 centri  privati  "i  quali  siano  emanazione  delle   organizzazioni
 maggiormente  rappresentative  sul  piano  nazionale  dei  lavoratori
 dipendenti  o  autonomi,  degli  imprenditori  ovvero  dei  movimenti
 associativi  di  carattere  cooperativo  o  con finalita' formative e
 sociali" (terzo comma).
    Or  non  puo'  certo esser precluso alla Regione, nell'indicare le
 "modalita' d'attuazione" delle attivita' di formazione professionale,
 stabilire  precisi  criteri  di  scelta degli enti pubblici e privati
 chiamati  ad  organizzare  o  concorrere  alla  realizzazione   delle
 predette  attivita',  finanziate,  almeno in prevalenza, dalla stessa
 Regione. Come non puo' esser precluso a quest'ultima stabilire  (cfr.
 quarto  comma dell'art. 8 della legge regionale in esame) i requisiti
 dei quali devono essere forniti e le  condizioni  alle  quali  devono
 rispondere  i  soggetti privati per essere ammessi alla stipula delle
 predette convenzioni: basta leggere alcuni dei citati requisiti  (es.
 avere  come  fine la formazione professionale; disporre di strutture,
 capacita' organizzative ed attrezzature idonee; non perseguire  scopi
 di  lucro;  garantire il controllo sociale delle attivita'; applicare
 al  personale  il  contratto  nazionale  di   lavoro   di   categoria
 avvalendosi  di  quello  ricompreso  nelle ivi indicate "graduatorie"
 ecc.) per rendersi conto che si  tratta  di  requisiti  e  condizioni
 mirati   a   garantire,  oltre  alla  serieta'  ed  efficienza  delle
 attivita', i diritti dei docenti e degli allievi.
    Ne'  la  Regione  puo'  esser  vincolata,  una  volta  ammesso  il
 "riconoscimento" di corsi di formazione professionale,  finanziati  e
 gestiti  da  enti  pubblici  (cfr.  art.  9  della  legge in esame) a
 concedere lo stesso riconoscimento anche agli  enti  privati,  quando
 gia' questi ultimi sono ammessi a stipulare accordi o convenzioni, ai
 sensi del precedente art. 8, con gli enti pubblici organizzatori.
    La  "presa  d'atto",  da  parte  della Regione, di cui all'art. 11
 della legge n. 69 del 1981, riguarda, pertanto, unicamente  "i  corsi
 liberi  a  carattere  professionale  organizzati  da  scuole  ed enti
 privati o da imprese nell'ambito dei  propri  programmi  produttivi".
 Nessuno  impedisce, e tantomeno gli artt. 7, 8, 9 e 11 della legge in
 esame, che gli enti privati ed  imprese,  se  forniti  dei  richiesti
 requisiti,  oltre  od  "al di fuori" dell'organizzazione, per proprio
 conto, di corsi liberi ai sensi dell'art. 11,  partecipino,  a  mezzo
 delle   convenzioni  piu'  volte  ricordate,  a  corsi  ed  attivita'
 finanziate dalla Regione.
    Un  motivo d'incostituzionalita' e', invece, ravvisabile nel primo
 comma dell'art. 11 della legge in esame. Non e',  invero,  consentito
 alla   Regione   subordinare   la   presa  d'atto  dei  corsi  liberi
 all'"armonia" dei medesimi con le "indicazioni  della  programmazione
 regionale":  tale  subordinazione  pone  ai  privati  una  condizione
 violativa del diritto di cui al terzo comma dell'art. 33 Cost.
    A  parte  quest'ultimo  rilievo, le disposizioni impugnate, mentre
 rispettano il dettato di cui all'art. 33, terzo  comma,  Cost.,  sono
 estranee  alla  comprensione  dell'art.  33,  quarto comma, Cost., in
 quanto non investono questioni attinenti ai "requisiti"  (diritti  ed
 obblighi)  delle  scuole  non  statali che chiedono la parita' e che,
 come si e' sopra indicato, non sono oggetto  del  presente  giudizio.
 Ne'  e'  sostenibile che la disciplina di cui agli artt. 7, 8, 9 e 11
 della legge in esame indirettamente venga ad "impedire" la  richiesta
 e  la  concessione della "parita'", di cui all'art. 33, quarto comma,
 Cost., quando, nelle disposizioni impugnate, oltre ai corsi liberi di
 cui   all'art.  11  della  legge  in  esame,  e'  anche  previsto  il
 coinvolgimento di enti ed imprese private  nello  stesso  svolgimento
 delle  attivita'  di  formazione professionale organizzate dagli enti
 pubblici e finanziate dalla Regione. Mentre non e' per nulla precluso
 agli  stessi  enti  ed  imprese  private,  ove forniti dei prescritti
 requisiti, di  richiedere  la  parita'  ai  sensi  del  quarto  comma
 dell'art. 33 Cost.
    Le   disposizioni   impugnate   (a   parte   la   citata   censura
 d'illegittimita' parziale del primo comma dell'art. 11)  non  violano
 neppure  l'art. 117, primo comma, Cost. L'art. 2, quarto comma, della
 legge statale 21 dicembre  1978,  n.  845,  secondo  l'assunto  della
 difesa   della   Regione  Umbria,  dovrebbe  essere  interpretato  in
 coordinazione con i commi precedenti (con i quali  si  definiscono  i
 contenuti  delle  attivita'  di formazione professionale con riguardo
 alle categorie di potenziali utenti ed ai settori d'intervento)  come
 enunciazione  del  principio secondo cui i contenuti, l'oggetto delle
 attivita' di formazione professionale ("l'esercizio", appunto,  delle
 stesse  attivita')  sono discrezionalmente determinati secondo i fini
 ai quali le attivita' sono preordinate. Non e'  questa  la  sede  per
 precisare  l'esatta interpretazione del precitato art. 2: quand'anche
 esso venga "letto" come affermazione d'un principio, applicativo alla
 formazione professionale, del piu' generale principio di cui al terzo
 comma  dell'art.  33  Cost.,  ugualmente  deve  concludersi  che   le
 disposizioni   impugnate   non   violano,   per  le  ragioni  innanzi
 sottolineate, neppure l'art. 2 della legge quadro 21  dicembre  1978,
 n.  845  e,  di  conseguenza,  non  contravvengono  al dettato di cui
 all'art. 117, primo comma, Cost.