ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 9 della legge
 20 novembre 1971, n.  1062  (Norme  penali  sulla  contraffazione  od
 alterazione  di  opere  d'arte),  promosso  con ordinanza emessa il 3
 gennaio 1985 dal Giudice istruttore  del  Tribunale  di  Firenze  nel
 procedimento penale a carico di La Bianca Ermenegildo, iscritta al n.
 114 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 143- bis dell'anno 1985;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 gennaio 1988 il giudice
 relatore Giovanni Conso.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso del procedimento a carico di La Bianca Ermenegildo,
 imputato del reato di cui agli artt. 3 e 5 della  legge  20  novembre
 1971,  n. 1062, per la vendita di un dipinto falsamente attribuito al
 pittore cubano Wilfredo  Lam,  nel  frattempo  deceduto,  il  giudice
 istruttore   del   Tribunale   di   Firenze  -  premesso  di  essersi
 reiteratamente rivolto al Ministro per i beni culturali e  ambientali
 al  fine  di  ottenere  le indicazioni necessarie per addivenire alla
 nomina  di  un  perito,  ma  di  non  aver   mai   potuto   espletare
 l'accertamento  tecnico perche' le persone di volta in volta indicate
 dal Ministro avevano tutte declinato l'incarico, dichiarando  di  non
 conoscere l'opera originale del Lam - ha, con ordinanza del 3 gennaio
 1985, denunciato, in riferimento agli artt. 104, primo comma,  e  24,
 secondo comma, della Costituzione, l'illegittimita' dell'art. 9 della
 legge 20 novembre 1971, n. 1062. E', infatti, tale articolo a rendere
 "obbligatorio   per   l'autorita'   giudiziaria   di  avvalersi,  nei
 procedimenti penali come quello di specie,  di  periti  indicati  dal
 Ministero  della  Pubblica  Istruzione  (oggi  Ministero  per  i beni
 culturali e ambientali) e cio' fino a quando non sia istituito l'albo
 dei consulenti tecnici in materia d'opere d'arte, la cui costituzione
 al momento e' ancora al di la' da venire".
    2.  -  A  risultare  violato sarebbe, anzitutto, l'art. 104, primo
 comma, della Costituzione, in quanto  la  norma  denunciata,  con  il
 vietare   al   giudice   -   obbligato  a  rivolgersi  ad  un  organo
 amministrativo  -  la  scelta  del  perito,  "determina  una  lesione
 dell'autonomia e indipendenza della magistratura": lesione tanto piu'
 grave, ove "si consideri che, non  essendo  possibile  al  Magistrato
 supplire alla mancata o inidonea designazione del perito da parte del
 Ministero per i beni culturali e ambientali", il  divieto  di  nomina
 del  perito  da parte del giudice finisce con l'attribuire "di fatto"
 alla pubblica amministrazione la facolta'  "di  bloccare  e  impedire
 l'espletamento  della  funzione  giurisdizionale  sino  ad arrivare a
 sottrarre l'imputato al giudizio di innocenza o di  colpevolezza  ove
 ad  esempio  intervenga  la  prescrizione come si sta verificando nel
 caso di specie".
    Anche il diritto di difesa dell'imputato, "sotto la specie del suo
 diritto  ad  una   pronta   definizione   della   propria   posizione
 processuale",  risulterebbe  leso  ("come si sta verificando nel caso
 concreto") dalla possibilita' di designazione da parte del  Ministero
 "di  periti  incompetenti,  con  una  conseguente stasi processuale a
 tempo indeterminato".
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143- bis del 1985.
    La  parte  privata non si e' costituita ne' ha spiegato intervento
 il Presidente del Consiglio dei ministri.
                        Considerato in diritto:
   1.  - Ad avviso del giudice a quo, l'art. 9 della legge 20 novembre
 1971, n. 1062, violerebbe gli artt.104, primo comma,  e  24,  secondo
 comma, della Costituzione.
    La  norma  denunciata,  "vietando  al  magistrato  di scegliere il
 perito cui affidare la perizia pittorica e obbligandolo nel  contempo
 a  rivolgersi  ad  un organo amministrativo" per averne l'indicazione
 della  persona   alla   quale   conferire   il   relativo   incarico,
 comporterebbe,  da un lato, "una lesione all'autonomia e indipendenza
 della   magistratura,   che,   nell'espletamento    della    funzione
 giurisdizionale,    non   puo'   essere   subordinata...   a   organi
 amministrativi" e, dall'altro, "una  lesione  al  diritto  di  difesa
 dell'imputato",  potendosi  verificare una "stasi processuale a tempo
 indeterminato", qualora, come nel caso di specie, i  periti  via  via
 indicati   dal  ministro  competente  su  richiesta  del  giudice  si
 dichiarino tutti non in grado di accettare l'incarico.
    Poiche'  e'  il  primo  comma  dell'art. 9 della legge 20 novembre
 1971, n. 1062,  a  stabilire  che,  nei  procedimenti  per  reati  di
 contraffazione od alterazione di opere d'arte, "fino a quando non sia
 istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di  opere  d'arte,
 il giudice deve avvalersi di periti indicati dal Ministro" per i beni
 culturali e per l'ambiente (subentrato  al  Ministro  della  pubblica
 istruzione in forza dell'art.2 del decreto-legge 14 dicembre 1974, n.
 657, convertito nella legge 29 gennaio  1975,  n.  5),  la  questione
 sottoposta  al  vaglio  della  Corte coinvolge, ovviamente, una parte
 soltanto dell'articolo impugnato dall'ordinanza di rimessione.
    2. - La questione e' fondata.
    Il principio di indipendenza della magistratura, sancito dal primo
 comma dell'art.104 della Costituzione con riguardo ad  ogni  giudice,
 singolo   o   collegiale,   in   stretta  correlazione  all'autonomia
 dell'ordine giudiziario, garantita dal medesimo comma, e  in  diretta
 derivazione dall'art.101, secondo comma, della Costituzione, non puo'
 non considerarsi scalfito da una norma  che  condiziona  ad  un  atto
 vincolante  di un'autorita' amministrativa l'esercizio della funzione
 giurisdizionale in un momento particolarmente delicato del  processo,
 quale e' quello della scelta del perito.
    L'indipendenza  del  giudice  penale  risulta  compromessa proprio
 dall'impossibilita' di provvedere direttamente,  una  volta  ritenuta
 necessaria  la  perizia  artistica,  alla nomina dell'esperto, stante
 l'obbligo di rivolgersi all'autorita' amministrativa competente e  di
 seguirne le indicazioni, senz'alcun altro margine di discrezionalita'
 che quello, per giunta eventuale, di esprimere una preferenza  quando
 la   designazione  ministeriale  comprenda  piu'  nominativi  in  via
 alternativa.
    La  deviazione  dalle  regole  generali  fissate nell'art. 314 del
 codice di procedura penale, che demandano al giudice la libera scelta
 del  perito,  va  ben al di la' delle deroghe in precedenza apportate
 dal legislatore a  questa  fondamentale  disposizione.  Cosi',  nelle
 ipotesi  previste  dagli  artt.1 e 2 della legge 27 febbraio 1958, n.
 190, subentrati agli artt.44 e 45 del regio decreto-legge 15  ottobre
 1925, n. 2033, tutti ritenuti non in contrasto con gli artt. 24 e 102
 della Costituzione dalle sentenze n. 63 del 1963 e n. 149  del  1974,
 la   limitazione   nella   scelta  del  perito,  da  effettuarsi  tra
 "determinati  istituti",  prescinde  dall'intervento   di   qualsiasi
 autorita'  amministrativa,  trattandosi  di "istituti" indicati dalla
 stessa legge.
    3.  -  A  difesa  della  norma  censurata  non basta richiamare le
 esigenze cui ha inteso far fronte la legge 20 novembre 1971, n. 1062.
 Se esse possono valere a giustificare l'introduzione di una deroga al
 consueto regime di scelta del perito, non altrettanto  si  puo'  dire
 riguardo  al  particolare  tipo  di  deroga  previsto per la prima ed
 immediata applicazione della nuova normativa sulla contraffazione  ed
 alterazione di opere d'arte.
    Tali  esigenze emergono con chiarezza dai lavori preparatori della
 legge. Premesso che "La produzione dei falsi, che era tempo  addietro
 marginale  e  quindi  individuabile  ed  eliminabile  facilmente, sta
 dilagando ed ha assunto in piu' casi un carattere  semi-industriale",
 con  tanto di "laboratori che notoriamente servono alla produzione di
 falsi  destinati  al  mercato"  (relazione  al  disegno   di   legge,
 comunicato  alla  Presidenza  del  Senato il 21 novembre 1969, n. 960
 della V legislatura), si  e'  posto,  fra  l'altro,  l'accento  sulla
 necessita'  di  "stare bene attenti a chi affidare la possibilita' di
 stabilire se l'opera d'arte sia  o  non  sia  falsa",  occorrendo  la
 certezza   "che   i  periti  in  questione  siano  all'altezza  della
 situazione" (intervento del Sottosegretario per la grazia e giustizia
 alla  IV  Commissione  del  Senato in sede legislativa, seduta del 20
 luglio  1971,  pag.  884),  tanto  piu'  date  le  gravi  conseguenze
 derivanti  dalla riscontrata falsita' dell'opera (pena detentiva fino
 a quattro anni,  confisca  obbligatoria,  divieto  di  vendita  senza
 limiti  di tempo delle cose confiscate nelle aste dei corpi di reato,
 pubblicazione plurima della sentenza di condanna).
    Per  soddisfare  queste innegabili, apprezzabilissime, esigenze il
 legislatore del 1971 ha mostrato di  ritenere  soluzione  preferibile
 quella  consistente  nella  scelta  del  perito  da parte del giudice
 all'interno di un apposito "albo dei consulenti tecnici in materia di
 opere  d'arte",  sul  modello  di  quanto  avviene nelle controversie
 individuali di lavoro e nelle controversie in materia di previdenza e
 di  assistenza  obbligatoria  (artt.  424,  primo comma, e 445, primo
 comma, del codice di procedura civile), non  senza  qualche  analogia
 con quanto previsto dall'art. 21 del regio decreto 28 maggio 1931, n.
 602 (Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale), che,
 nei  procedimenti  per  falsita'  in  biglietti  di banca o in monete
 metalliche, richiede sia nominato perito  dall'autorita'  giudiziaria
 "un  tecnico  della  Direzione  generale della Banca d'Italia o della
 Direzione  generale  del  Tesoro".  Trattandosi,  peraltro,  di   una
 soluzione che non puo' prescindere dalla previa individuazione di una
 precisa cerchia di legittimati e, piu' specificamente,  dalla  previa
 istituzione di un nuovo albo, operazione certo non attuabile in tempi
 brevi, il legislatore del 1971 ha optato, nell'immediatezza, per  una
 soluzione indicata come provvisoria ("fino a quando non sia istituito
 l'albo"): quella, appunto, che impone al  giudice  di  rivolgersi  al
 Ministro per i beni culturali e per l'ambiente, "tenuto a sentire, in
 relazione alla natura dell'opera o dell'oggetto, di cui si assume  la
 non  autenticita',  la  designazione  della  competente  sezione  del
 Consiglio  Superiore  delle  belle  arti",  e   di   attenersi   alla
 conseguente indicazione ministeriale.
    A  parte  ogni  considerazione  sull'ormai lungo periodo trascorso
 dall'entrata in vigore della legge 20 novembre 1971, n.  1062,  senza
 che siano stati compiuti passi concreti verso l'istituzione dell'albo
 dei periti in materia artistica (tutte le proposte ed  i  disegni  di
 legge  presentati  di  legislatura  in legislatura sono rimasti senza
 seguito, fatta eccezione per un solo caso, in  cui  si  e'  pervenuti
 all'approvazione da parte di un ramo del Parlamento: v. Assemblea del
 Senato, seduta del 27 gennaio 1977,  votazione  ed  approvazione  del
 disegno  di  legge  n.  120  della  VII  legislatura,  pag. 3084), la
 soluzione  prescelta,  sia  pure  in  via  transitoria,  dalla  norma
 censurata  e' inaccettabile a livello di legittimita' costituzionale,
 proprio  per  il  fatto  che  al  giudice  viene  imposto,   anziche'
 semplicemente    consentito,    di    richiedere    ad   un'autorita'
 amministrativa l'indicazione del perito.
    Il   comma  all'esame  di  questa  Corte  va,  quindi,  dichiarato
 illegittimo nella parte in cui si rivolge al giudice  in  termini  di
 obbligo ("deve avvalersi") e non di facolta' ("puo' avvalersi").
    Resta  con  cio'  assorbita l'ulteriore censura rivolta alla norma
 denunciata sotto il profilo del  contrasto  con  l'art.  24,  secondo
 comma, della Costituzione.