ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 5 e 17 della
 legge 29 ottobre 1971, n. 889 (Norme in materia di previdenza per gli
 addetti  ai  pubblici servizi di trasporto), promossi con le seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 21 maggio 1983 dal Pretore di Bari nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Del Vecchio Gaspare ed altri
 e  l'I.N.P.S.,  iscritta  al  n.  784  del  registro ordinanze 1983 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60  dell'anno
 1984;
      2)  n.  3  ordinanze  emesse il 28 settembre 1983 dal Pretore di
 Benevento nei procedimenti civili vertenti  tra  Ambrosini  Rosalina,
 Gilardi  Camillo  e  Battaglia  Antonio e l'I.N.P.S., iscritte ai nn.
 961, 962 e  963  del  registro  ordinanze  1983  e  pubblicate  nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 dell'anno 1984;
      3) ordinanza emessa il 4 luglio 1985 dal Tribunale di Foggia nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Albanese Donato ed  altri  e
 l'I.N.P.S.,  iscritta  al  n.  668  del  registro  ordinanze  1985  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  9,  prima
 serie speciale dell'anno 1986;
    Visti gli atti di costituzione di Del Vecchio Gaspare ed altro, di
 Baido Umberto e dell'I.N.P.S. nonche'  gli  atti  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
    Uditi  gli  avvocati  Luciano  Ventura  per Del Vecchio Gaspare ed
 altro, Franco Agostini per Baido Umberto e Paolo Boer per  l'I.N.P.S.
 e  l'Avvocato  dello  Stato  Antonio Palatiello per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Pretore di Bari, nel procedimento civile promosso da Baido
 Umberto e altri nei confronti dell'I.N.P.S., quale gestore del  fondo
 di  previdenza  per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto, per
 sentir  dichiarare  compreso  nella  retribuzione   pensionabile   il
 compenso  per  lavoro  prestato oltre l'orario contrattuale in base a
 turni fissi e continuativi, ha sollevato, con ordinanza emessa il  21
 maggio   1983   (R.O.   n.   784/83),   questione   di   legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36, 38, 42 e  53  Cost.,
 degli  artt.  5  e  17  della legge 29 ottobre 1971, n. 889 (Norme in
 materia  di  previdenza  per  gli  addetti  ai  pubblici  servizi  di
 trasporto),  in  quanto escludono, per costante interpretazione della
 giurisprudenza  di  legittimita',  la  pensionabilita'  del  compenso
 erogato  per  lo  straordinario  prestato in base a turni obbligatori
 predisposti  dall'azienda  per  esigenze  normali  e  permanenti  del
 servizio.
   Osserva   il  giudice  a  quo  che  tale  lavoro  non  puo'  essere
 considerato in senso stretto "straordinario", in  quanto  costituisce
 in  realta'  una  prestazione obbligatoria, ordinaria e continuativa,
 che viene retribuita con una  percentuale  fissa  della  retribuzione
 determinata  secondo  la qualifica. Pertanto, detta retribuzione, che
 viene assoggettata alle  trattenute  previdenziali,  dovrebbe  essere
 considerata pensionabile.
    Gli   artt.   20   e  21  della  legge  28  luglio  1961,  n.  830
 assoggettavano a retribuzione il compenso per il lavoro straordinario
 di  turno,  ma  lo escludevano dalla retribuzione pensionabile: detta
 interpretazione  era  stata,  peraltro,  disattesa   dalla   costante
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,  che aveva affermato il
 princi'pio secondo il quale la retribuzione per lavoro  straordinario
 di  turno costituisce il corrispettivo di prestazioni continuative ed
 obbligatorie effettuate  oltre  l'orario  contrattuale,  al  fine  di
 soddisfare esigenze ordinarie e costanti di servizio, e doveva quindi
 essere fatta rientrare tra gli elementi accessori di cui alla lettera
 c) del citato art. 20, inclusi nella retribuzione pensionabile.
    Detta  situazione  si e' modificata dopo l'entrata in vigore della
 legge n. 889 del 1971, che ha fornito, all'art. 5, ultimo comma,  una
 nuova  definizione  del  lavoro  straordinario, indicato come "quello
 effettuato in eccedenza alla durata normale del lavoro  previsto  dai
 vigenti  contratti collettivi". Ed al riguardo il Supremo Collegio ha
 ritenuto che l'art. 5 abbia carattere innovativo  ed  ha  escluso  la
 pensionabilita'  del  compenso  erogato per lo straordinario di turno
 (Cass., sez. un., 26 novembre 1981, n. 6281).
    Tale  interpretazione,  ad avviso del giudice a quo, pone problemi
 di legittimita' costituzionale della norma contenuta nel citato  art.
 5, e delle altre disposizioni che stabiliscono la non pensionabilita'
 di parte della retribuzione imponibile ai  fini  contributivi  ed  in
 particolare di quella per lavoro straordinario (art. 17, legge n. 889
 del 1971).
    Per   l'assicurazione   generale   obbligatoria   dei   lavoratori
 dipendenti,  la  retribuzione  imponibile   corrisponde,   ai   sensi
 dell'art.   12   della  legge  30  aprile  1969,  n.  153,  a  quella
 pensionabile, e deve comprendere tutto cio' che il prestatore d'opera
 riceve   dal   datore  di  lavoro  in  denaro  o  in  natura  e  come
 corrispettivo dell'attivita' espletata.
    Nella   fattispecie,   la  non  coincidenza  tra  la  retribuzione
 imponibile e quella pensionabile viene quindi a violare il princi'pio
 di corrispettivita' che deve sussistere tra le stesse.
    Sarebbero  violati,  in  tal  modo,  gli  artt.  36 e 38 Cost., in
 quanto,  mentre   l'imposizione   provoca   una   diminuzione   della
 retribuzione,  la  non  pensionabilita'  di  parte della retribuzione
 riduce il trattamento pensionistico in violazione dell'art. 38  Cost.
    Sarebbe  violato,  altresi',  l'art.  3 Cost., in quanto, seguendo
 l'interpretazione del S.C., si viene  ad  attribuire  un  trattamento
 pensionistico  identico a lavoratori che hanno effettuato prestazioni
 diverse ed hanno ricevuto retribuzioni differenziate.
    Osserva,  infine,  il  giudice  a quo che non sarebbe legittimo da
 parte dell'I.N.P.S. trattenere parte dei contributi versati sia dalle
 aziende   che   dai   lavoratori,  senza  computarli  ai  fini  delle
 prestazioni  da  erogare,  e  che  in  detto  comportamento  potrebbe
 ravvisarsi violazione degli artt. 42 e 53 Cost.
    2.  - Si sono costituiti davanti a questa Corte Baido Umberto, Del
 Vecchio Gaspare e Giovannelli Emanuele,  sollecitando  l'accoglimento
 della questione.
    Si  e'  altresi'  costituito l'I.N.P.S., contestando la fondatezza
 della questione.
    Dopo   aver  sottolineato  l'articolata  specificita'  dei  regimi
 previdenziali presenti nell'ordinamento italiano, osserva  l'Istituto
 che,  per  vari aspetti, il personale delle aziende di trasporto gode
 di  un  trattamento  previdenziale  privilegiato  (a   36   anni   di
 anzianita',  la  pensione  e'  ragguagliata  al  90  per  cento della
 retribuzione dell'ultimo anno, mentre nel regime generale a  36  anni
 la  pensione  e'  pari al 72 per cento della retribuzione media degli
 ultimi cinque anni).
    Rileva ancora l'I.N.P.S. che, ai sensi dell'art. 33 della legge n.
 889 del 1971, l'iscritto ha facolta' di  optare  per  il  trattamento
 garantito  dall'assicurazione  generale,  in luogo di quello previsto
 dal fondo speciale.
    In  particolare,  circa  la  dedotta  lesione  dell'art.  3 Cost.,
 osserva  l'Istituto  che  l'esclusione  del   compenso   per   lavoro
 straordinario,  lungi  dal  costituire un fattore di discriminazione,
 risponde ad esigenze di uniformita' di trattamento nell'ambito  delle
 stesse qualifiche.
    Quanto  alla violazione degli artt. 42 e 53 Cost., l'I.N.P.S. pone
 in risalto come la censura pecchi di sommarieta' e genericita'  nella
 sua formulazione.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato   dall'Avvocatura   dello   Stato,   che   ha   dedotto
 l'infondatezza della questione.
    Ha  infatti  rilevato l'interveniente che la legge n. 889 del 1971
 non ha innovato la preesistente disciplina, che  escludeva  anch'essa
 il  lavoro straordinario dalla base pensionabile, ma si e' limitata a
 fornire una nuova definizione del lavoro straordinario.
    Circa  la  lesione  degli  artt.  3,  36  e 38 Cost., ha osservato
 l'Avvocatura dello Stato che gli artt. 5 e 17 della legge n. 889  del
 1971  rispondono  all'esigenza  di  scoraggiare  il ricorso al lavoro
 straordinario, e che l'esclusione del relativo  compenso  dalla  base
 pensionabile  non  rende  deteriore  il  sistema  previdenziale degli
 addetti ai pubblici servizi di trasporto rispetto agli altri  regimi.
    4.  -  Il Pretore di Benevento, con tre ordinanze identiche emesse
 il 28 settembre 1983 nei procedimenti civili vertenti  tra  Ambrosini
 Rosolina  e I.N.P.S. (R.O. n. 961/83), tra Gilardi Camillo e I.N.P.S.
 (R.O. n. 962/83) e tra Battaglia Antonio e I.N.P.S. (R.O. n. 963/83),
 e concernenti tutti la computabilita' nella retribuzione pensionabile
 del compenso per il lavoro straordinario prestato in maniera fissa  e
 continuativa,  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 5 e 17  della  legge  n.
 889 del 1971, in quanto tale computabilita' escludono.
    Ad avviso del giudice a quo la suddetta normativa realizza infatti
 una ingiustificata disparita' di trattamento:
      a)  tra  lavoratori collocati in pensione prima o dopo l'entrata
 in vigore della legge n. 889 del  1971  (innovativa,  sul  punto,  in
 senso  restrittivo,  rispetto  alla  legge  28  luglio  1961, n. 830,
 nell'interpretazione resa dalla  giurisprudenza),  che  pure  versano
 nella identica condizione di aver prestato lavoro straordinario fisso
 e continuativo;
      b)  tra  lavoratori  che  prestino  lavoro straordinario fisso e
 continuativo  in  base  a  contratti  collettivi  aziendali  che   lo
 considerino  compreso  nel  normale orario di lavoro (con conseguente
 computabilita' ai fini pensionistici, secondo costante giurisprudenza
 di  legittimita'),  e lavoratori che eguali prestazioni effettuino in
 base a turni di lavoro disposti dal datore di lavoro ed accettati  di
 fatto  (per  i  quali  detta  computabilita' e' esclusa, ritenendo la
 Cassazione non equiparabile tale ipotesi  a  quella  suindicata),  in
 base  al  dato  puramente  formale  costituito  dalla  diversa natura
 dell'atto che ha dato luogo alla prestazione.
    5.  -  Nei  tre  giudizi  davanti  a questa Corte si e' costituito
 l'I.N.P.S., contestando la fondatezza della questione.
    Osserva  l'Istituto che la legge n. 889 del 1971 non ha introdotto
 un trattamento previdenziale deteriore, ma si e' limitata  a  fornire
 un piu' corretto criterio di individuazione del lavoro straordinario;
 che, in ogni caso, rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore
 determinare  l'ammontare  delle  prestazioni  previdenziali  e  delle
 variazioni di esse nel  corso  del  tempo;  che  la  possibilita'  di
 modificare  la  durata  del  normale  orario di lavoro prevista dalla
 contrattazione  nazionale  va  riconosciuta  soltanto   ad   espressa
 disposizione di accordo collettivo aziendale.
    6.  - Il Tribunale di Foggia, nel procedimento civile vertente tra
 Albanese Donato e altri nei confronti dell'I.N.P.S. e concernente  la
 computabilita'   ai   fini  pensionistici  del  lavoro  straordinario
 continuativo di turno, ha sollevato, con ordinanza emessa il 4 luglio
 1985  (R.O.  n. 668/85), questione di legittimita' costituzionale, in
 riferimento agli artt. 36, comma primo, e 38, comma  secondo,  Cost.,
 degli  artt.  5,  ultimo  comma,  e  17 della legge n. 889, in quanto
 escludono tale computo.
   Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  venendo  meno, nel computo delle
 indennita' accessorie rilevanti ai fini  pensionistici,  il  compenso
 per lavoro straordinario prestato con continuita':
      a)  viene  elisa  una  componente  costante  della retribuzione,
 quantitativamente  apprezzabile,  con  conseguente  incidenza   sulla
 adeguatezza  della  retribuzione  stessa, garantita ex art. 36 Cost.,
 nonche' su  quella  del  trattamento  pensionistico,  che  di  quello
 connesso   all'attivita'  lavorativa  costituisce  proiezione  (Corte
 cost., sent. n. 302 del 1983);
      b)   viene   altresi'  leso  il  princi'pio  fondamentale  della
 corrispettivita' e proporzionalita' tra trattamento  pensionistico  e
 quantita'  del  lavoro,  desumibile  dall'estensione  della  garanzia
 dettata espressamente dall'art.  36  Cost.  per  la  retribuzione  al
 trattamento pensionistico.
    7.   -  Si  e'  costituito  davanti  a  questa  Corte  l'I.N.P.S.,
 contestando la fondatezza della questione.
    Osserva  l'Istituto  che i diversi regimi pensionistici rispondono
 alla funzione di garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita entro
 fasce  di  reddito  ritenute  volta  a  volta congrue dal legislatore
 ordinario, senza instaurare una diretta correlazione tra  reddito  da
 retribuzione e pensione.
    Il  princi'pio  di  proporzionalita'  tra  retribuzione e pensione
 attraverso il collegamento tra art. 36 e art. 38  Cost.,  non  sembra
 possa  essere  affermato, poiche' l'art. 38 Cost. non detta espliciti
 criteri di proporzionalita' della  pensione  dal  momento  che  detto
 articolo,  al  comma  secondo,  attraverso  la  soppressione, in sede
 costituente,  dell'espressione  "in  ragione  del  lavoro  prestato",
 intende  lasciare  al legislatore ordinario la liberta' di fissare il
 rapporto  tra  retribuzione  e  pensione  secondo  criteri  valutati,
 momento per momento, come piu' opportuni.
    Tale princi'pio risulta affermato dalla Corte costituzionale (Ord.
 n. 44 del 1985), che ha dichiarato la  manifesta  infondatezza  della
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma terzo,
 della legge n. 889 del 1971, il quale dispone la  non  computabilita'
 di  talune variazioni retributive intervenute nel biennio antecedente
 la cessazione dal servizio. In tale occasione, e' stato  ribadito  il
 princi'pio  della valutazione discrezionale del legislatore (Sent. n.
 62 del 1980) in ordine ai livelli pensionistici, per cui  e'  compito
 della  legge  ordinaria stabilire se "il livello della pensione debba
 poter attingere il  traguardo  della  integrale  coincidenza  con  la
 retribuzione goduta all'atto della cessazione dal servizio".
                         Considerato in diritto
    1. - Le ordinanze dei Pretori di Bari (R.O. n. 784/83) e Benevento
 (R.O. nn. 961, 962 e 963/83) e  del  Tribunale  di  Foggia  (R.O.  n.
 668/85) impugnano tutte gli artt. 5 e 17 della legge 29 ottobre 1971,
 n. 889, intitolata "Norme in materia di previdenza per gli addetti ai
 pubblici  servizi  di  trasporto".  I giudizi possono pertanto essere
 riuniti e definiti con unica decisione.
    2.   -  Dispone  l'art.  5  della  legge  n.  889/1971  che  nella
 retribuzione degli addetti ai pubblici servizi di trasporto  soggetta
 a  contributo  previdenziale  e'  ricompreso  il "compenso per lavoro
 straordinario, anche se corrisposto in misura forfettaria" (lett. e).
 L'ultimo  comma  del predetto articolo precisa, al riguardo, che "per
 lavoro straordinario si intende quello effettuato in  eccedenza  alla
 durata normale del lavoro prevista dai vigenti contratti collettivi".
    A  sua  volta,  l'art.  17 della stessa legge stabilisce, al primo
 comma, che gli elementi costitutivi della retribuzione sulla quale si
 determina  la misura della pensione sono soltanto quelli indicati nel
 precedente art. 5, con esclusione di quello di cui alla lett.  e),  e
 cioe' del compenso per lavoro straordinario.
    Ad  avviso  dei  giudici  a  quibus  dal  combinato disposto delle
 suindicate  norme  deriva  l'esclusione  dalla   base   pensionabile,
 nonostante  l'assoggettamento  a  contribuzione,  del compenso per il
 lavoro prestato oltre l'orario contrattuale, anche se con continuita'
 e secondo turni prestabiliti.
    Tale disciplina e' ritenuta lesiva:
     A)   dell'art.   3   Cost.,   poiche'  determina  un  trattamento
 pensionistico eguale per lavoratori che  hanno  eseguito  prestazioni
 diverse  e conseguito retribuzioni diverse, cosi' penalizzando coloro
 che hanno effettuato lavoro straordinario di turno (Pret. Bari,  R.O.
 n. 784/83);
     B) ancora dell'art. 3 Cost., poiche' determina una ingiustificata
 disparita' di trattamento fra lavoratori collocati in pensione  prima
 o  dopo  l'entrata  in vigore della legge n. 889/1971, della quale e'
 postulata la portata peggiorativa rispetto alla precedente  legge  28
 luglio 1961, n. 830, che avrebbe ammesso la computabilita' nella base
 pensionabile dello straordinario di turno (Pret. Benevento, R.O.  nn.
 961, 926 e 963/83);
     C) ancora dell'art. 3 Cost., poiche' determina una ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  tra  lavoratori  che   prestino   lavoro
 straordinario  di  turno in base a contratti collettivi aziendali che
 lo  considerano  compreso  nel  normale  orario  di  lavoro   -   con
 conseguente inserimento nella base pensionabile - e lavoratori che lo
 stesso lavoro straordinario prestino in via di fatto - con esclusione
 del  computo  ai  fini  pensionistici,  in  quanto trattasi di lavoro
 effettuato in eccedenza alla durata normale  prevista  dal  contratto
 nazionale - (Pret. Benevento, R.O. nn. 961, 962 e 963/83);
     D)  degli artt. 36 e 38 Cost., poiche' determina una apprezzabile
 riduzione   dell'adeguatezza   della    pensione    e    della    sua
 proporzionalita'  rispetto  alla quantita' del lavoro prestato (Pret.
 Bari, R.O. n. 784/83; Trib. Foggia, R.O. n. 668/85);
     E)  degli  artt.  42 e 53 Cost., poiche' le contribuzioni versate
 sul compenso per lavoro straordinario  non  sono  computate  ai  fini
 delle prestazioni da erogare (Pret. Bari, R.O. n. 784/83).
    3. - Le questioni non sono fondate.
    Va  anzitutto  rilevato,  per puntualizzare il quadro normativo di
 riferimento, che anche la  previgente  legge  n.  830/1961  escludeva
 (art.  21,  in  relazione  al  precedente art. 20, lett. e) il lavoro
 straordinario degli addetti ai pubblici servizi  di  trasporto  dalla
 base pensionabile.
   La  giurisprudenza,  tuttavia, riteneva che il lavoro straordinario
 "di turno", per la sua stabilita'  e  continuita',  rientrasse  nella
 voce  "elementi  accessori spettanti con continuita'" (art. 20, lett.
 c), e  fosse  quindi  compreso  nella  base  pensionabile  (Cass.  26
 novembre 1977, n. 5164).
    La legge n. 889/1971 (artt. 5 e 17) ha confermato l'esclusione del
 lavoro straordinario dalla base pensionabile, ma ha fornito  di  esso
 una  precisa  definizione ("e' lavoro straordinario quello effettuato
 in eccedenza alla durata normale  del  lavoro  prevista  dai  vigenti
 contratti  collettivi"),  che  rende  irrilevante  ogni apprezzamento
 circa la sua saltuarieta' o continuita'.
    In  tal senso e' la giurisprudenza di legittimita' e sulla base di
 tale  "diritto  vivente"  sono  state  sollevate  le   questioni   di
 legittimita' costituzionale all'esame di questa Corte.
    4.  -  Venendo  all'esame della questione sub A), osserva la Corte
 che la violazione del princi'pio  di  eguaglianza  all'interno  della
 categoria degli addetti ai pubblici servizi di trasporto, prospettata
 sotto  il  profilo  dell'ingiustificata   erogazione   dello   stesso
 trattamento  pensionistico  a  lavoratori  che  non  abbiano prestato
 lavoro straordinario, e a lavoratori che tale lavoro  abbiano  invece
 effettuato,  non  ricorre.  Infatti,  come  ha  osservato giustamente
 l'I.N.P.S., l'esclusione del compenso  per  lavoro  straordinario  di
 turno  dalla base pensionabile appare giustificata: a) da esigenze di
 praticita' e sollecitudine  nella  liquidazione  della  pensione,  in
 quanto  essa  evita  difficili accertamenti di prestazioni lavorative
 rese oltre l'orario normale di lavoro; b) da esigenze di perequazione
 tra  lavoratori  di  pari  qualifica, in quanto la cennata esclusione
 evita che le prestazioni di lavoro oltre l'orario normale,  legate  a
 necessita'   settoriali   specifiche,   determinino   differenze   di
 trattamento pensionistico; c) da esigenze di  sicurezza  in  tema  di
 trasporti,  in  quanto  la  cennata esclusione disincentiva il lavoro
 straordinario, suscettivo, per la sua natura usurante, di mettere  in
 pericolo la detta sicurezza.
    5.  - Neppure sussiste la violazione del princi'pio di eguaglianza
 per ingiustificata disparita' di trattamento tra lavoratori collocati
 in pensione prima e dopo l'entrata in vigore della legge n. 889/1971,
 come dedotta sub B). Invero, la giurisprudenza di questa Corte (sent.
 n.   349/1985)   ritiene  consentita  la  modifica  della  disciplina
 pensionistica, purche' le variazioni non siano irrazionali. E,  nella
 specie,   la   modifica   conseguente   alla  disciplina  del  lavoro
 straordinario  contenuta  nella  legge  n.  889/1971  deve  ritenersi
 giustificata  dalla  validita'  e indilazionabilita' degli obbiettivi
 perseguiti dalla detta disciplina, come individuati nel precedente n.
 4.
    6.  - Quanto alla questione di cui alla lett. C), osserva la Corte
 che la dedotta disparita' di trattamento tra lavoratori che  prestino
 lavoro   straordinario  di  turno  in  base  a  contratti  collettivi
 aziendali (che riconducono tali ore di lavoro nell'ambito dell'orario
 normale)  e  lavoratori  che  lo prestino in via di fatto, accettando
 cosi' le disposizioni  aziendali,  non  e'  utilmente  prospettabile.
 Essa,  infatti,  non  deriva  dalla legge impugnata (che riserva alla
 contrattazione collettiva  la  determinazione  della  durata  normale
 dell'orario  di lavoro), ma dal concreto esplicarsi, in via di fatto,
 delle relazioni tra aziende e lavoratori.
    7.  -  In  punto  di  dedotta violazione degli artt. 36 e 38 Cost.
 (questione  sub  D),  e'  sufficiente   ricordare,   per   ravvisarne
 l'insussistenza,  che  questa  Corte  ha  piu' volte affermato che il
 princi'pio della  proporzionalita'  ed  adeguatezza  della  pensione,
 enunciato  dai  suindicati parametri costituzionali, non comporta che
 "il livello della pensione...  debba  poter  attingere  il  traguardo
 della integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della
 cessazione  del  servizio"  (sentt.  n.  26/1980;  n.  349/1985;   n.
 173/1986; ord. n. 44/1985).
    8.  -  Per  quanto  attiene, infine, alla pretesa violazione degli
 artt. 42 e 53 Cost. (questione sub E) per effetto dell'esclusione  di
 una  parte  della  retribuzione,  assoggettata a contribuzione, dalla
 base pensionabile, osserva la Corte che il  richiamo  dei  suindicati
 parametri costituzionali appare evidentemente non pertinente.
    La  disciplina  censurata non incide, infatti, sull'istituto della
 proprieta',  al  quale  e'  rivolto  l'art.  42  Cost.,  poiche'  non
 determina ablazione di beni, ma disciplina un particolare aspetto del
 trattamento  pensionistico  degli  addetti  ai  servizi  pubblici  di
 trasporto (cfr. sent. n. 349/1985).
    Ne'  puo'  venire in considerazione l'art. 53 Cost., poiche', come
 questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato  (sentt.  n.  349/1985;  n.
 173/1986),   la   contribuzione   previdenziale   non  ha  natura  di
 imposizione tributaria, ma  di  prestazione  patrimoniale  diretta  a
 concorrere   agli  oneri  finanziari  del  regime  previdenziale  dei
 lavoratori.