ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione Toscana approvata il 21 febbraio 1978 e riapprovata il 26 aprile 1978, avente per oggetto: "Abbandono dei diritti di credito di modico valore", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 17 maggio 1978, depositato in Cancelleria il 23 maggio successivo ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1978; Udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1988 il Giudice relatore Aldo Corasaniti; Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il ricorrente; Ritenuto in fatto Con ricorso in data 13 maggio 1978 il Presidente del Consiglio dei ministri proponeva questione di legittimita' costituzionale in via principale nei confronti di legge della Regione Toscana concernente l'abbandono dei diritti di credito di modico valore, approvata il 21 febbraio 1978 e riapprovata, in seguito a rinvio governativo, il 26 aprile del medesimo anno. La legge impugnata, che consta di un solo articolo, consente l'abbandono da parte della Regione dei diritti di credito di importo non superiore alle lire 2.500, mediante delibere cumulative adottate dalla Giunta regionale. Secondo il ricorrente, questa normativa, motivata da esigenze di per se' non irragionevoli di economicita' (consentendo l'abbandono di crediti il cui importo e' superato dal costo di esazione), contrasterebbe con il principio di eguaglianza, in quanto risulterebbe, senza giustificazione, diversa dalla normativa statale sull'annullamento dei crediti di modico valore; violerebbe il principio di inderogabilita' delle pene pecuniarie, parificando agli effetti del possibile abbandono tutti i crediti regionali, senza distinguere in base alla loro natura; violerebbe inoltre il rigoroso principio di legalita' di cui al secondo comma dell'art. 25 della Costituzione, riferibile anche alle sanzioni amministrative, non prevedendo rigorosi criteri di esercizio del potere di abbandonare crediti anche per pene pecuniarie; violerebbe, per questo motivo, anche il principio di imparzialita' e di eguaglianza fra cittadini; violerebbe infine il principio di buon andamento, non tenendo conto della specifica ed irrinunciabile funzione delle sanzioni amministrative pecuniarie. La Regione non si e' costituita. Considerato in diritto 1. - Con il ricorso di cui in epigrafe il Governo impugna una legge della Regione Toscana riapprovata il 26 aprile 1978 (Abbandono dei diritti di credito di modico valore), che prevede la possibilita' per la Giunta regionale di abbandonare, con deliberazione cumulativa, crediti di importo non superiore a lire 2.500. Secondo il ricorrente la normativa impugnata sarebbe in violazione: del principio di eguaglianza, in quanto si tratterebbe di normativa ingiustificatamente difforme da quella dello Stato sull'annullamento dei propri crediti; del principio di legalita' delle pene (art. 25, comma secondo, Cost.), applicabile anche alla fattispecie, principio rispetto al quale risulterebbe incompatibile il potere assolutamente discrezionale, ivi previsto, di abbandono del credito; del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), in quanto si sarebbe trascurato di considerare il rilievo che assume il carattere sanzionatorio dei crediti collegati a pena pecuniaria; del principio di imparzialita' (art. 97 Cost.), perche' difetterebbe l'indicazione dei criteri in osservanza dei quali la Giunta regionale dovrebbe deliberare l'abbandono del credito; del principio fondamentale della legislazione dello Stato di irrinunziabilita' delle pretese collegate all'esercizio di un potere sanzionatorio (art. 117 Cost.). Le questioni non sono fondate. 2. - Non sussiste la pretesa violazione del principio di eguaglianza. Il riconoscimento stesso, infatti, di una competenza legislativa delle Regioni in date materie comporta l'eventualita', legittima alla stregua del sistema costituzionale, di una disciplina regionale delle stesse materie divergente da quella nazionale, nei limiti, come e' ovvio, segnati dall'art. 117 della Costituzione per le Regioni a Statuto ordinario e dagli Statuti speciali per le Regioni ad autonomia differenziata. 3. - La normativa statale in materia di annullamento dei crediti di modico valore (l. 1 luglio 1955, n. 553) prevede la facolta', che compete al Ministro e agli Intendenti di Finanza (art. 1), di annullare i crediti di valore non superiore a lire 500, quando siano di dubbia e difficile esazione. E' escluso l'annullamento dei soli crediti derivanti dalle sanzioni penali della multa e dell'ammenda (art. 4), oltreche' di quelli d'imposta, per i quali rimangono ferme le relative norme di riscossione. Possono, inoltre, essere annullati i crediti di importo superiore, quando siano assolutamente inesigibili e previo parere favorevole dell'Avvocatura erariale (ora dello Stato) quando il loro importo superi le lire 1.200.000 e del Consiglio di Stato, quando superi le lire 9.600.000 (art. 265 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, "Regolamento per l'esecuzione della legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilita' generale dello Stato", come modificato con d.P.R. 30 giugno 1972, n. 422). Norme particolari sono in vigore per l'annullamento dei debiti dei sottufficiali e dei militari di truppa che abbiano lasciato il servizio senza diritto ad alcun assegno a carico dello Stato (r.d. 10 febbraio 1927, n. 443; d.lgs. 21 aprile 1948, n. 715) e per i crediti di dubbia e difficile esazione dell'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato (d.P.R. 27 marzo 1952, n. 534). Si puo' escludere, in base a queste norme, l'esistenza di un principio della legislazione dello Stato di non annullabilita' dei crediti relativi a sanzioni amministrative; un principio del genere sussiste solo per i crediti relativi a sanzioni penali (multa ed ammenda) ai sensi dell'art. 4, l. n. 553 del 1955; e del resto le sanzioni amministrative, a differenza da quelle penali, non si pongono come strumento di difesa dei valori essenziali del sistema, come tali non misurabili sul terreno della convenienza economica, ma vengono a costituire un momento ed un mezzo per la cura dei concreti interessi pubblici affidati all'amministrazione. 4. - Quanto ora detto conduce ad escludere la riferibilita' della riserva di legge, prevista dall'art. 25, comma secondo, della Costituzione per le sanzioni penali, alle sanzioni amministrative. Non puo' peraltro disconoscersi che anche rispetto alle sanzioni amministrative ricorre l'esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o alla non applicazione) di esse, e cio' in riferimento sia al princi'pio di imparzialita' (art. 97 della Costituzione), espressamente invocato dal ricorrente, sia al princi'pio di cui all'art. 23 Cost., implicitamente invocato con il denunziare la mancata previsione, ad opera della legge regionale, di criteri siffatti. Ma e' innegabile che la normativa impugnata fornisce sufficienti indicazioni anche ai fini ora indicati. Il limite quantitativo assai modico e' gia', sotto questo profilo, una garanzia, ma, oltre a cio', la medesima ragion d'essere della norma, che e' quella di evitare all'amministrazione costi non proporzionati ai ricavi, contiene l'univoco riferimento a una valutazione delle possibili difficolta' di esazione, come criterio per deliberare l'abbandono del credito. Ne' puo' ritenersi violato il princi'pio di buon andamento (art. 97 Cost.) per la mancata considerazione della specifica funzione della sanzione amministrativa. La deterrenza di una sanzione, infatti, non e' l'unico modo con il quale puo' assicurarsi l'efficienza di un comando amministrativo: comunque tale deterrenza e' male invocata per le sanzioni di modico valore ed e' inadeguata allo scopo nei casi di difficile esigibilita' del credito, vale a dire di verificata incapacita' del debitore di adempiere la relativa obbligazione o addirittura di inettitudine del suo patrimonio ad essere utilmente aggredito in executivis.