ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 23, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) promossi con ordinanze emesse il 24 settembre e il 1 ottobre 1981 dal Tribunale di Rovigo, iscritte rispettivamente ai nn. 692 e 717 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 33 e 47 dell'anno 1982; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1988 il Giudice relatore Renato Dell'Andro; Ritenuto che il Tribunale di Rovigo, con ordinanze del 24 settembre (reg. ord. n. 692/81) e del 1 ottobre 1981 (reg. ord. n. 717/81) ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) - nella parte in cui considera espressamente clandestine sia le armi comuni da sparo non catalogate ai sensi dell'art. 7 della stessa legge sia le armi comuni e le canne sprovviste dei numeri, dei contrassegni e delle sigle di cui al successivo art. 11 e, nell'ambito delle ipotesi di cui al n. 2, non distingue il caso di chi cancelli dolosamente il numero di matricola gia' impresso da quello di colui che per ignoranza della legge (sopravvenuta alla regolare denuncia dell'arma) non abbia provveduto nel termine prescritto a far imprimere un numero di matricola - sotto il profilo che non sarebbe ragionevole assoggettare ad una medesima pena due ipotesi in cui le condizioni obiettive e subiettive sono evidentemente diverse ed in cui le condotte penalmente rilevanti presentano un diverso grado di antigiuridicita'; che in entrambi i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate; Considerato che, per l'identita' delle questioni, i giudizi possono essere riuniti; che - quanto alla denunziata parificazione fra le armi comuni da sparo non catalogate ai sensi dell'art. 7 della legge 18 aprile 1975, n. 110, e le armi comuni e le canne sprovviste dei numeri, dei contrassegni e delle sigle di cui al successivo art. 11 - in entrambe le ipotesi unico e' lo scopo ultimo dell'incriminazione, diretta in ogni caso a garantire l'interesse generale a che tutte le armi esistenti nello Stato siano - mediante la catalogazione o l'immatricolazione - piu' agevolmente controllabili da parte dell'autorita' di polizia; e che, pertanto, non e' irrazionale che il legislatore, nella sua discrezionalita', abbia unificato le predette ipotesi in un'unica previsione normativa; che analoghe considerazioni valgono anche in ordine alla denunziata parificazione fra chi cancelli dolosamente il numero di matricola gia' impresso sull'arma e chi, per ignoranza della legge (sopravvenuta alla regolare denuncia dell'arma) non abbia provveduto nel termine prescritto a far imprimere un numero di matricola, in quanto - a parte il fatto che in realta' la condotta di chi dolosamente cancelli il numero di matricola gia' impresso sull'arma e' prevista e punita, separatamente dalla detenzione, dal secondo periodo del quarto comma dell'impugnato art. 23 - in entrambe le ipotesi l'incriminazione e' diretta ad impedire la detenzione di armi altamente insidiose, perche' piu' agevoli da portare o nascondere; che, d'altra parte, come affermato, ad es., dalla sent. n. 171 del 1986, non per il solo rilievo che due ipotesi siano diverse nel loro disvalore esiste manifesta irragionevolezza della loro previsione unitaria, in quanto e' pur sempre rimesso al giudice, nell'esercizio della discrezionalita' di cui agli artt. 132 e 133 c.p., determinare la pena fra i limiti minimo e massimo tenendo conto della qualita' e quantita' dell'oggettiva antigiuridicita' delle diverse fattispecie; e nel caso in esame, dato l'ampio margine tra il minimo e il massimo edittale (reclusione da sei mesi a cinque anni e multa da lire duecentomila a lire due milioni) il giudice ha ogni possibilita' di adeguare la misura della pena alle particolarita' delle concrete fattispecie; che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;