ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 87, primo comma, e 140, ultimo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 ("Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette"), promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1986 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall' Amministrazione Finanziaria dello Stato contro Toscano Raffaele, iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore; Ritenuto in fatto 1. - La Corte di Cassazione - nel corso di un giudizio promosso da un ex dipendente di esattoria d'imposta di consumo, il quale lamentava l'assoggettamento ad imposta complementare delle somme percepite dall'I.N.A. (presso il quale era stato costituito un apposito fondo) a titolo d'indennita' di anzianita' e premio di fedelta' - con ordinanza 27 marzo 1985, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 87, primo comma, e 140, ultimo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, che prevedevano l'assoggettamento all'imposta complementare delle indennita' di fine rapporto. Nell'ordinanza di rimessione si precisava che tale normativa era applicabile al caso di specie - trattandosi di somme percepite nel 1973 - a norma dell'art. 83 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che aveva mantenuto in vigore le norme impugnate in relazione alle indennita' riscosse sino al 31 dicembre di tale anno. Si deduceva la non manifesta infondatezza della questione, in relazione agli artt. 38 e 53 Cost. sotto il profilo che si assume ad oggetto della tassazione, con le stesse modalilta' di ogni altro reddito da lavoro dipendente, un capitale percepito una tantum. Tale capitale e' destinato a far fronte ad una situazione, qual'e' quella della cessazione del rapporto lavorativo, meritevole di speciale considerazione. La specifica diversificazione delle indennita' di fine rapporto rispetto ad ogni altro compenso, rimarrebbe totalmente misconosciuta, con grave incongurenza rispetto alla tutela assicurata dall'art. 38 Cost.. Detta tutela dovrebbe realizzarsi anche con l'evitare che risorse specificamente destinate ad uno scopo previdenziale siano assunte ad indice di capacita' contributiva e fatte oggetto di prelievo fiscale senza l'adozione di criteri tali da salvaguardare detto scopo. Essendo entrata in vigore la legge 26 settembre 1985, n. 482, che ha modificato il trattamento tributario delle indennita' di fine rapporto, la Corte costituzionale, con ordinanza 17 dicembre 1985, n. 351 ha restituito gli articoli al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza. Con ordinanza 21 novembre 1986 la Corte di cassazione ha rimesso gli atti a questa Corte per l'esame della questione sollevata con la precedente ordinanza. Ha posto in rilievo la Cassazione che la legge n. 482 del 1985, ha efficacia parzialmente retroattiva, ma ha modificato le modalita' di tassazione stabilite dal d.P.R. n. 597 del 1973 (relativo all'IRPEF) e non anche quelle stabilite dal d.P.R. n. 645 del 1958 (che disciplinava, tra l'altro, l'imposta complementare), con il conseguente permanere della rilevanza della questione sollevata. Dinanzi a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Nell'atto d'intervento si osserva che la normativa impugnata non contrasta con l'art. 53 Cost., giacche' gli emolumenti di fine rapporto costituiscono reddito e sono indici rivelatori di ricchezza e in relazione ad essi il legislatore puo' legittimamente disporre l'assoggettamento ad imposizione. Neppure sarebbe violato l'art. 38 Cost., in quanto esso garantisce ai lavoratori adeguati mezzi finanziari per la vecchiaia e la disoccupazione, ma non impedisce una ragionevole imposizione sulle risorse a cio' destinate. Quanto alla ragionevolezza in concreto dell'imposizione sulle indennita' di fine rapporto, prevista dall'art. 140 del d.P.R. n. 645 del 1958, l'Avvocatura generale dello Stato rileva che, a norma dell'ultimo comma di tale articolo, l'imposta complementare su dette indennita' si applicava "separatamente dagli altri redditi del contribuente, con un'aliquota corrispondente al quoziente dell'indennita' globale percepita divisa per il numero degli anni di servizio prestato". In tal modo la tassazione, oltre a non risentire dell'influenza nella determinazione della base imponibile degli altri redditi del percettore, non si ragguagliava all'intero ammontare dell'indennita', ma ad una quota di essa, tanto minore quanto maggiore fosse stata la durata del rapporto di lavoro. Criterio questo adottato, nella sostanza, dalla legge n. 482 del 1985 che la Corte costituzionale ha ritenuto legittimo nella sentenza 7 luglio 1986, n. 178. Considerato in diritto 2. - La Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 87, primo comma, e 140, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, in quanto prevedevano l'assoggettamento all'imposta complementare delle indennita' di fine rapporto (indennita' di anzianita' e premio di fedelta') erogate dall'I.N.A. - presso il quale era stato costituito un apposito fondo - ai dipendenti delle esattorie delle imposte di consumo. Nell'ordinanza di rimessione se ne deduce il contrasto con gli artt. 53 e 38 Cost., sotto il profilo che le norme impugnate avrebbero assoggettato ad imposizione dette indennita' con le stesse modalita' previste per ogni altro reddito da lavoro dipendente, senza tener conto delle loro particolari finalita' previdenziali. 3. - Va premesso che, a norma del R.D. 20 ottobre 1939, n. 1863, erano iscritti al Fondo di previdenza del personale addetto alle gestioni delle imposte di consumo, tutti i dipendenti delle aziende di gestione (art. 3). In caso di cessazione dal servizio, l'iscritto (o i superstiti) avevano diritto ad un trattamento pensionistico (art. 11, n. 1) nonche' "ad un capitale comprensivo dell'indennita' per anzianita' di servizio". In relazione a tali prestazioni era previsto il versamento di un contributo complessivo pari al 12,50 per cento della retribuzione (art. 4), di cui il 7,50 per cento per le prestazioni pensionistiche ed il residuo per le prestazioni assicurative (art. 11), affidate all'Istituto nazionale assicurazioni (art. 30). La materia fu riordinata dalla legge 2 aprile 1958, n. 377, che all'art. 2 previde tra gli scopi del Fondo quello di "garantire agli iscritti ed ai loro superstiti e aventi diritto, mediante un sistema di assicurazione e capitalizzazione, un capitale comprensivo dell'indennita' di anzianita' e dell'integrazione dovuta a termini di legge, dei contratti collettivi di lavoro di categoria e dei regolamenti aziendali vigenti all'atto della cessazione del rapporto di lavoro". L'assicurazione anzi detta continuo' ad essere affidata all'I.N.A. e in relazione ad essa fu previsto il versamento, a totale carico del datore di lavoro, di un contributo pari al 7,30 per cento della retribuzione (artt. 10 e 40). Tale normativa fu modificata dalla legge 29 luglio 1971, n. 587 (artt. 14 e segg.), che confermo' le prestazioni su dette, nella loro sostanza, ponendole pero' a carico del Fondo. Si prescriveva che questo avrebbe tenuto una gestione separata di esse; a tale gestione sarebbero affluiti i contributi, sempre a totale carico del datore di lavoro, la cui misura venne aumentata, prevedendosi anche che per il futuro la misura di detti contributi potesse essere variata, in relazione al fabbisogno del Fondo, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il tesoro (art. 32). Soppresse le imposte di consumo, con d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 649 furono emanate norme per l'inquadramento del personale delle aziende di gestione nel Ministero delle finanze, prevedendosi (art. 17) al riguardo che "nulla e' innovato per quanto concerne i trattamenti di pensione e di anzianita' e le relative contribuzioni". Con legge 24 febbraio 1963, n. 156,fu istituito (art.2) anche, in favore del personale addetto alle gestioni delle imposte di consumo, un premio di fedelta' per l'ipotesi di risoluzione del rapporto d'impiego ad iniziativa del datore di lavoro o di morte del lavoratore. Per la copertura del relativo onere (art. 4) fu mantenuto in vigore ed elevato nell'ammontare il contributo (originariamente del 2,37 per cento, aumentato al 3,50 per cento della retribuzione) istituito dalla legge 28 febbraio 1953, n. 149 in via temporanea. Tale contributo era anch'esso esclusivamente a carico dei datori di lavoro (art. 3 legge n. 149 del 1953). 4. - La normativa impugnata riguarda il sistema d'imposizione diretta vigente prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria e dell'istituzione, con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, dell'IRPEF. Il d.P.R. n. 645 del 1958, agli artt. 130 e seguenti, disciplinava l'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo. Ai fini di tale imposizione, l'art. 140, ultimo comma, prevedeva che sulle indennita' di licenziamento, anzianita', previdenza e su ogni altra somma percepita una volta tanto in relazione ad un cessato rapporto di lavoro, l'imposta fosse "liquidata separatamente dagli altri redditi del contribuente, sullo stesso ammontare soggetto all'imposta di ricchezza mobile, con l'aliquota corrispondente al quoziente dell'indennita' globale percepita, divisa per il numero degli anni di servizio prestati". L'art. 87, primo comma, del d.P.R. nel testo di cui alla legge n. 168 del 1962, disponeva che, ai fini della sottoposizione all'imposta di R.M., le indennita' di anzianita' e di previdenza fossero assimilate al reddito di lavoro subordinato e l'art. 89 stabiliva che per le indennita' di anzianita' e di previdenza corrisposte una volta tanto in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, la quota esente fosse di lire quarantamila per ogni anno di servizio prestato. Con la riforma tributaria si e' proceduto alla eliminazione delle preesistenti imposte dirette a carattere reale, sostituendosi ad esse, nonche' alle imposte di ricchezza mobile e complementare, l'IRPEF. Anche nel nuovo sistema, peraltro, tutte le indennita' dovute in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro sono state sottoposte a tassazione, con le modalita' previste dagli artt. 12 e 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. Essendo state prospettate alcune questioni di legittimita' costituzionale di tali ultime norme, il legislatore emano' la legge 26 settembre 1985, n. 482, con la quale il trattamento tributario delle indennita' di fine rapporto disposto dal d.P.R. n. 597 del 1973 fu in parte modificato, con effetto parzialmente retroattivo. 5. - Questa Corte ha gia' deciso, con le sentenze 7 luglio 1986, n. 178 e 19 novembre 1987, n. 400, questioni in parte analoghe a quelle ora in esame. Con la prima di tali decisioni e' stata dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482, sollevata sotto il profilo che tali norme, considerando reddito le indennita' di buonuscita corrisposte dall'E.N.P.A.S. ed assoggettandole ad imposizione fiscale, avrebbero violato gli artt. 38 e 53 Cost., poiche' dette indennita' avrebbero natura previdenziale e, quindi, non potrebbero essere assunte ad indice di capacita' contributiva. In proposito la Corte ha affermato che per capacita' contributiva, ai sensi dell'art. 53 Cost., deve intendersi l'idoneita' del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione risulta collegata. Presupposto che consite in un qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalita' sotto il profilo della arbitrarieta' o irrazionalita'. Secondo la citata sentenza, pur tenendosi conto della garanzia apprestata in materia previdenziale dall'art. 38 della Costituzione, l'allegata natura previdenziale dell'indennita' di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S., non ne esclude la tassabilita', se non nei limiti minimi indispensabili ad assicurarne le finalita' previdenziali, secondo valutazioni che competono al legislatore. Illegittima e' stata invece ritenuta la sottoposizione delle indennita' di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. allo stesso trattamento tributario delle indennita' di fine rapporto dovute in relazione al contratto di lavoro privato. Infatti, la circostanza che alla formazione delle indennita' erogate dall'E.N.P.A.S. concorrano anche i contributi del pubblico dipendente, oltre che dello Stato, e' un elemento che deve essere congruamente valutato dal punto di vista fiscale. Con la sentenza 19 novembre 1987, n. 400, facendosi applicazione di detti princi'pi, sono stati dichiarati non fondati, riguardo agli artt. 87, primo comma, 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, del d.P.R. n. 645 del 1958 i profili di incostituzionalita' sollevati contestandosi in radice la sottoposizione delle indennita di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. alle imposte di R.M. e complementare. Con la stessa sentenza, in applicazione di quei princi'pi, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli artt. 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, anzi detti, nella parte in cui non prevedevano, riguardo alle indennita' di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S., che dall'imponibile da assoggettare ad imposta fosse detratta una somma pari alla percentuale dell'indennita' di buonuscita corrispondente al rapporto esistente, alla data del collocamento a riposo, tra il contributo del 2,50 per cento posto a carico del pubblico dipendente e l'aliquota complessiva del contributo previdenziale obbligatorio versato al Fondo di previdenza dell'E.N.P.A.S.. 6. - Alla stregua di quanto statuito nelle due sopra menzionate decisioni, appare infondata la questione di legittimita' costituzionale - sollevata dalla Corte di cassazione in riferimento agli artt. 38 e 53 Cost. - degli artt. 87, primo comma e 140, ultimo comma, del d.P.R. 29 gennnaio 1958, n. 645, nella parte in cui assoggettano ad imposta complementare anche le indennita' di anzianita' e il premio di fedelta' dei dipendenti delle esattorie delle imposte di consumo. Invero - come sopra si e' detto - la percezione delle indennita' di fine rapporto, costituisce indice di capacita' contributiva e ben puo' pertanto, il legislatore, assoggettarla a tassazione tenendo conto, con valutazioni che gli sono riservate nei limiti della razionalita', della destinazione di quelle indennita' a far fronte alle esigenze del lavoratore connesse con la cessazione del rapporto di lavoro e deve esentare dalla tassazione la quota di quelle indennita' eventualmente corrispondente ai contributi versati dal lavoratore. Come sopra si e' visto, i contributi diretti ad alimentare le indennita' di fine rapporto dei dipendenti delle esattorie delle imposte di consumo erano poste interamente a carico dei datori di lavoro: pertanto nessuna esenzione doveva essere disposta sotto tale profilo. Quanto alla destinazione di quelle indennita' alle esigenze di vita del lavoratore connesse con la cessazione del rapporto di lavoro, di essa teneva conto adeguato il combinato disposto degli artt. 87, primo comma (nel testo di cui alla legge 4 dicembre 1962, n. 1682) e 140, ultimo comma, del d.P.R. n. 645 del 1958. In base ad esso le indennita' di anzianita' e di previdenza erano assimilate a reddito di lavoro subordinato, ai fini dell'assoggettamento all'imposta complementare, ma questa era liquidata separatamente dagli altri redditi del contribuente, con l'aliquota corrispondente al quoziente dell'indennita' globale percepita, divisa per il numero degli anni di servizio prestati e detratta una somma fissa (art. 89, ultimo comma) per ogni anno di servizio. Detto meccanismo - analogo a quello istituito dalla legge 26 settembre 1985, n. 482 e ritenuto legittimo con la sentenza n. 178 del 1986 - dava rilievo alla durata del rapporto di lavoro e apprestava un congegno d'imposizione del tutto particolare rispetto ai normali meccanismi di tassazione dei redditi, adeguando la tassazione alle speciali caratteristiche delle indennita' di fine rapporto, cosi' da renderla del tutto conforme ai principi stabiliti dagli artt. 38 e 53 Cost.