ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 53 e 80 del
 r.d. 20 settembre 1934, n. 2011 ("Approvazione del testo unico  delle
 leggi  sui  consigli  provinciali  dell'economia  corporativa e sugli
 uffici  provinciali   dell'economia   corporativa"),   promossi   con
 ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 15 febbraio 1983 dal Tribunale di Bologna
 nel procedimento civile  vertente  tra  la  Camera  di  commercio  di
 Bologna  e l'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilita',
 iscritta al n. 395 del registro ordinanze  1983  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 dell'anno 1983;
     2)  ordinanza emessa il 24 settembre 1984 dal Tribunale di Genova
 nel procedimento civile vertente tra il Consorzio di credito  per  le
 opere  pubbliche  e la Camera di commercio, industria, artigianato ed
 agricoltura di Genova, iscritta al n.  1329  del  registro  ordinanze
 1984  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119
 bis dell'anno 1985;
      3) n. 3 ordinanze emesse il 17 giugno 1986 della Corte d'appello
 di Milano nei procedimenti civili vertenti tra a s.p.a.  Dalmine,  la
 s.p.a.  Italsider,  la  s.p.a.  Finsider  e  la  Camera di commercio,
 industria, artigianato ed agricoltura di Milano, iscritte ai nn. 710,
 711  e  712  del  registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 58 prima serie speciale dell'anno 1986;
    Visti  gli  atti  di  costituzione del Consorzio di credito per le
 opere pubbliche, della Camera di commercio di  Genova,  delle  s.p.a.
 Dalmine,  Italsider e Finsider, della Camera di commercio di Milano e
 della s.p.a. Nuova Italsider;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1988  il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi  l'avv.  Franco  G. Scoca per il Consorzio di credito per le
 opere pubbliche, gli avvocati Fabrizio Lemme e Michele  Savarese  per
 le s.p.a. Dalmine, Italsider e Finsider, gli avvocati Ezio Antonini e
 Valerio Onida per la Camera di commercio di Milano e l'avv.  Fabrizio
 Lemme per la s.p.a. Nuova Italsider;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo,
 emesso su ricorso della Camera di commercio di Bologna per la mancata
 corresponsione  di diritti inerenti ai servizi di borsa, il Tribunale
 di Bologna, con ordinanza in data  15  febbraio  1983,  ha  impugnato
 dinanzi  a questa Corte la norma - art. 53 t.u. 20 settembre 1934, n.
 2011 - che si  limita  a  prevedere  tali  diritti,  demandandone  la
 determinazione a provvedimenti dell'autorita' amministrativa.
    Ritiene  il  Tribunale  remittente  che  gli  stessi  presentino i
 caratteri propri della prestazione patrimoniale imposta, ed  infatti:
 sia    le   modalita'   di   determinazione   del   loro   ammontare,
 unilateralmente  fissato  dall'amministrazione  in  base  a   criteri
 predeterminati  (nel  caso  di specie L.10.000 quale diritto fisso, e
 L.1.000 quale diritto proporzionale per ogni miliardo di capitale  in
 circolazione),  sia  la  conseguente impossibilita' di commisurare la
 prestazione pecuniaria alla quantita' e qualita'  del  servizio  reso
 dall'ente  gestore,  sia  infine  la  necessita',  per  accedere alla
 quotazione ufficiale, di  rivolgersi  esclusivamente  ad  un  soggeto
 pubblico,  impedirebbero di qualificarli come corrispettivi di natura
 privata. In altri termini, l'utente,  qualora  decida  di  richiedere
 l'ammissione  dei  propri  titoli  in  borsa,  deve  sottostare ad un
 rapporto     interamente     imposto,     corrispondendo      diritti
 obbligatoriamente dovuti ed autoritativamente fissati.
    Cosi' qualificatane la natura, la norma che si limita a prevederne
 l'istituzione, demandandone poi la concreta attuazione all'autorita',
 si porrebbe in contrasto con la riserva di legge, seppur relativa, di
 cui all'art. 23 Cost., la cui  osservanza  richiede,  ad  avviso  del
 giudice  a  quo, che siano almeno predeterminati, in via legislativa,
 criteri  idonei  a   quantificare   la   misura   della   prestazione
 patrimoniale imposta.
    2.  -  Nell'ambito di un analogo giudizio di opposizione a decreto
 ingiuntivo,  il  Tribunale  di  Genova,  con  ordinanza  in  data  24
 settembre  1984,  ha  sollevato  identica  questione  di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  53  r.d.  20  settembre  1934,  n.   2011,
 ritenendola,  anche  in  questo  caso,  rilevante  in  relazione agli
 effetti che un'eventuale  caducazione  della  norma  produrrebbe  sul
 decreto  presidenziale  (1›  giugno  1978, n. 318) posto a fondamento
 della pretesa creditoria.
    Il  dubbio  di  legittimita' costituzionale della norma impugnata,
 nella parte in cui difetta di una  qualsiasi  previsione  di  criteri
 idonei  a  determinare la misura della prestazione, o a circoscrivere
 comunque la discrezionalita' dell'ente impositore, non  potrebbe  poi
 essere  superato,  ad avviso del giudice a quo, dalla possibilita' di
 ragguagliare l'imposizione alla spesa effettiva che l'ente e'  tenuto
 a sostenere per l'erogazione del servizio, in quanto di tale criterio
 non vi  sarebbe  alcuna  traccia  nelle  norme  che  disciplinano  la
 prestazione imposta.
    3.  -  La  stessa questione, infine e' stata sollevata anche dalla
 Corte di appello di Milano con tre ordinanze  di  identico  contenuto
 emesse,  in  data  17  giugno 1986, nel corso di altrettanti giudizi,
 sempre concernenti la mancata corresponsione di diritti  inerenti  ai
 servizi di borsa.
    Nell'escludere che le prestazioni in oggetto costituiscano il mero
 corrispettivo di un servizio gestito in forma imprenditoriale  da  un
 soggetto  pubblico,  la Corte remittente impugna, insieme all'art. 53
 del r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, anche  l'art.  80  dello  stesso
 testo  unico,  nella parte in cui richiamando il r.d. 4 gennaio 1925,
 n. 29, prevede l'istituzione dei diritti inerenti ai servizi di borsa
 senza    pero'   individuare   alcun   criterio   di   determinazione
 dell'ammontare del diritto o almeno del suo limite massimo.
    4.  -  Si  sono  costituiti, dinanzi a questa Corte, gli enti e le
 societa' debitrici  dei  diritti  di  quotazione,  chiedendo  che  la
 questione venisse dichiarata fondata.
   In  particolare,  l'Istituto  di credito per le imprese di pubblica
 utilita'  (I.C.I.P.U.,  ora  Consorzio  di  credito  per   le   opere
 pubbliche, C.R.E.D.I.O.P.), ribadendo ed ampliando, le argomentazioni
 svolte dai giudici a quibus circa la natura giuridica dei diritti  di
 quotazione,  la  loro  sottoposizione  alla  riserva  di legge di cui
 all'art. 23 Cost., e l'ambito di tale riserva, ha  osservato  che  il
 testo  unico  approvato  con  r.d.  n.  2011 del 1934, non risultando
 emanato in  forza  di  una  norma  delega,  costituirebbe  una  fonte
 meramente ricognitiva, e, pertanto, le disposizioni in esso contenute
 avrebbero il valore e la forza di legge solo in  quanto  riproduttive
 di  precedenti norme di eguale forza e valore. Di conseguenza, quella
 parte dell'art. 53 che si riferisce ai diritti  delle  borse  valori,
 non  trovando  alcuna  rispondenza  nelle  disposizioni previste come
 oggetto di coordinamento (artt. 19 Legge 18 aprile 1926, n. 731, e 3,
 quarto  comma,  Legge  3  gennaio 1929, n. 16), risulterebbe priva di
 fondamento legislativo.
    Nell'ipotesi   in  cui  venisse  invece  riconosciuto  alla  norma
 impugnata il valore di fonte giuridica, allora, la disciplina in essa
 contenuta, non prevedendo, nemmeno indirettamente, il presupposto dal
 quale sorge l'obbligo della prestazione, si porrebbe in contrasto con
 il principio della riserva di legge costituzionalmente garantito.
    In riferimento poi alla giurisprudenza di questa Corte che ritiene
 rispettato tale principio anche in assenza di un'espressa indicazione
 legislativa  dei criteri, limiti o controlli sufficienti a delimitare
 l'ambito di discrezionalita' dell'amministrazione, purche' gli stessi
 siano  ricavabili  dalla  destinazione della prestazione ovvero dalla
 composizione  e  dal  funzionamento   degli   organi   competenti   a
 determinarne  la  misura, (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del 1963, 67 del
 1973, 51 del 1960 e 21 del 1969), la parte osserva  che,  benche'  si
 possa  ritenere  che  i diritti di quotazione, destinati a coprire le
 spese di un servizio reso dalle camere di commercio, possano  trovare
 nel  costo  di  tale  servizio  un  sufficiente  limite all'eventuale
 arbitrio dell'amministrazione, tuttavia non risulterebbe  chiaramente
 individuato  il  servizio  del  quale  la prestazione imposta intende
 bilanciare il costo, ne tantomeno  il  criterio  per  commisurare  la
 prima   al  secondo.  Inoltre,  il  d.P.R.  31  marzo  1975  n.  138,
 trasferendo alla  Consob  la  titolarita'  della  maggior  parte  dei
 servizi  di  borsa,  avrebbe  profondamente modificato il sistema dei
 rapporti tra camere di commercio e borse, sistema nel quale i diritti
 di quotazione trovavano la loro ragion d'essere quanto meno sul piano
 sostanziale.  In  relazione,   infine,   alla   composizione   e   al
 funzionamento  dell'organo  competente  a  stabilire  la misura della
 prestazione, ne' il Presidente della Repubblica, ne' il Ministro  del
 tesoro  proponente  assicurerebbero,  di  fatto, nell'esercizio della
 loro  funzione  (non  assistita  da   garanzie   procedimentali)   il
 soddisfacimento di esigenze esclusivamente tecniche.
    Ad eccezione della Italsider s.p.a., tardivamente costituitasi, le
 altre societa', parti nei giudizi pendenti presso la Corte  d'appello
 di   Milano,   hanno   osservato   come   sia  ormai  consolidata  in
 giurisprudenza l'opinione che i diritti di quotazione spettanti  alle
 camere  di  commercio debbano considerarsi tasse in senso tecnico, in
 conformita' al concetto di "prestazione patrimoniale imposta" accolto
 da  questa  Corte,  ogni qualvolta si tratti di prestazioni istituite
 con atto  dell'autorita',  e  a  prescindere  dalla  circostanza  che
 l'erogazione  del  servizio  sia  rimessa  o  meno  alla volonta' del
 privato.
    Le  societa'  osservano  poi  che la norma impugnata non esaurisce
 certo quelle esigenze di specificita' piu' volte  sottolineate  dalla
 giurisprudenza  di questa Corte in relazione ai limiti che dovrebbero
 essere    imposti    alla    discrezionalita'    dell'amministrazione
 nell'individuare  i  soggetti  passivi e l'ammontare del tributo. Ne'
 d'altra parte, tale  carenza  legislativa  (che  potrebbe  comportare
 anche l'individuazione della base imponibile negli importi negoziati,
 e dei soggetti passivi negli azionisti in sede  di  negoziazione  dei
 titoli)  puo'  essere  superata  - come ritenuto dal giudice di primo
 grado - da una "supposizione" logica, e cioe'  che  avendo  avuto  le
 camere  di  commercio  il  potere  di  ammettere  i titoli societari,
 soggetto passivo dell'imposizione debba considerarsi la societa'  nel
 suo  complesso,  ed oggetto di essa la quotazione in borsa dei titoli
 rappresentativi del capitale nella sua interezza. La  tesi,  infatti,
 oltre  che  priva  di  fondamento, in quanto venuto meno il potere di
 ammissione,   trasferito   dal   1974   alla   Consob,   risulterebbe
 costituzionalmente  inaccettabile, dal momento che affiderebbe ad uno
 strumento diverso da quello legislativo il potere  di  delimitare  la
 discrezionalita'    dell'amministrazione,    privando   altresi'   il
 legislatore della possibilita' di commisurare il carico tributario in
 modo  uniforme  nei  confronti  dei soggetti passivi, con conseguente
 violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
    5.  - Delle varie camere di commercio si e' costituita nei termini
 solo quella di Milano chiedendo che la questione  venisse  dichiarata
 infondata.
    L'ente  ha in proposito rilevato come, in base alla giurisprudenza
 di  questa  Corte  concernente  l'art.  23  Cost.,  i   limiti   alla
 discrezionalita'   dell'amministrazione   possano  anche  non  essere
 previsti con lo strumento legislativo, a condizione pero'  che  siano
 desumibili  dal contesto della disciplina in cui la norma primaria si
 inserisce ovvero da altri elementi.
    In  tal  senso,  la  camera  di  commercio sostiene che il sistema
 normativo  conterrebbe  una  disciplina  del  tutto  sufficiente   ad
 individuare   l'oggetto   ed  i  presupposti  della  prestazione.  In
 particolare,   l'elemento   oggettivo   di   riferimento,   per    la
 commisurazione  dei diritti non potrebbe che essere l'intero capitale
 della societa', dal momento che la quotazione riguarda i  titoli  nel
 loro  insieme  e  prescinde  del tutto dall'effettiva negoziazione in
 borsa di una parte o meno dei medesimi.
    Inoltre,   poiche'   i   diritti  di  quotazione  sarebbero  stati
 configurati dalla  legge,  fin  dall'inizio,  come  entrate  volte  a
 finanziare  i  servizi  di borsa, (art. 7 r.d. n. 29 del 1925 e artt.
 nn. 52 e 32, e 4 t.u. n. 2011 del 1934), la determinazione della loro
 misura  sarebbe  circoscritta  dal  perseguimento di tale scopo, che,
 costituendo un elemento di carattere essenzialmente tecnico,  risulta
 senz'altro  idoneo  a  delimitare  adeguatamente  la discrezionalita'
 dell'amministrazione.
    Altri   limiti   idonei   ad  escludere  la  possibilita'  che  la
 discrezionalita' amministrativa possa trasmodare in arbitrio  vengono
 infine  ravvisati nell'esistenza di garanzie procedimentali (delibera
 della Giunta camerale, proposta dal Ministero del tesoro, decreto del
 Presidente  della  Repubblica),  nonche' nella fissazione dei diritti
 mediante l'adozione di un atto a carattere generale.
    6.  -  Con memorie depositate nell'imminenza della discussione, le
 parti hanno ribadito, ampliandole e precisandole,  le  argomentazioni
 gia' svolte negli atti di costituzione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  cinque  ordinanze  di autorita' giudiziarie diverse e'
 sollevata questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
 all'art.  23 Cost., dell'art. 53 del t.u. 20 settembre 1934, n. 2011,
 il quale prevede al secondo comma le modalita' per la istituzione dei
 diritti inerenti ai servizi delle borse di commercio.
    In   una   delle  ordinanze  e'  sollevata  questione,  sempre  in
 riferimento all'art. 23 Cost., anche dell'art. 80 della stessa legge,
 il  quale  dispone  che  restano  in vigore, fra gli altri, il r.d. 4
 gennaio 1925, n. 29, che all'art. 7, terzo comma, elenca i diritti in
 questione.
    Ad   avviso   dei   giudici  a  quibus,  dette  norme,  prevedendo
 l'istituzione  dei  diritti  inerenti  ai  servizi  di   borsa,   non
 indicherebbero  alcun  criterio  per la determinazione in concreto di
 tale prestazione patrimoniale imposta, dal che si deduce  l'esistenza
 di un contrasto con il parametro costituzionale invocato.
    2.  -  I giudizi possono essere per connessione riuniti e definiti
 con unica sentenza.
    3.  -  In  relazione  al  profilo sulla rilevanza della questione,
 prospettato - pur senza formularsi in proposito espressa eccezione di
 inammissibilita'  -  da  una  delle  parti  costituite  e  cioe'  dal
 Consorzio di credito delle opere  pubbliche  e  relativo  all'aspetto
 della  probabile  esenzione  di detto istituto dai diritti in parola,
 esenzione che discenderebbe dal r.d.-l. n. 1627 del  1919  convertito
 nella  legge n. 488 del 1921, va osservato che una delle ordinanze di
 rimessione (reg. ord. n.1329 del 1984) ha espressamente motivato  sul
 punto,  con  esauriente  argomentazione, concludendo per la rilevanza
 della questione,  nell'assunto  che  l'esenzione  tributaria  non  si
 applica  ai  diritti  di  borsa,  onde,  di  fronte  a  cosi' precisa
 motivazione del giudice a quo non puo' piu' farsi questione in questa
 sede di tale profilo che attiene alla rilevanza.
    4.  -  In relazione ad altro eventuale profilo di inammissibilita'
 attinente alla natura di una delle norme impugnate, (art. 53, secondo
 comma,  t.u.  1934,  n.  2011) la difesa del Consorzio di credito per
 ultimo citato, esprime il dubbio che tale norma  potrebbe  non  avere
 forza  di  legge,  in  quanto inserita in un testo unico di carattere
 compilativo  che  non  troverebbe,  sul  punto,  riscontro  in  norme
 legislative  preesistenti,  onde il sindacato su detta norma potrebbe
 non spettare a questa Corte.
    Al riguardo va pero' osservato che, come e' stato anche di recente
 affermato dalla Corte di cassazione,  i  diritti  in  parola,  aventi
 carattere  non  tributario  ma, comunque, di prestazione patrimoniale
 imposta,  trovano  oggi  il  loro  fondamento  in  norme   di   rango
 legislativo.
    Difatti,  se  e'  vero che la norma che introdusse tali diritti di
 borsa e cioe' l'art. 7 del  r.d.  n.  29  del  4  gennaio  1925,  era
 contenuta  originariamente  in  un  testo  di  natura  regolamentare,
 tuttavia tale  norma  fu  elevata  al  rango  di  legge  per  effetto
 dell'espresso  richiamo  fattone  nell'art.  80 del t.u. del 1934, n.
 2011, per cui, anche il secondo profilo di eventuale inammissibilita'
 e' in realta' inconsistente. Che tale richiamo abbia potuto imprimere
 forza di legge alle norme richiamate,  discende  dalla  constatazione
 della  natura  non  meramente  compilativa  del  cennato testo unico,
 perche' questo fu adottato sulla base dell'art.  16  della  legge  18
 giugno  1931,  n.  875,  che  aveva  appunto autorizzato il Governo a
 riunire in testo unico le norme  preesistenti,  con  la  facolta'  di
 emanare  quelle  necessarie  a disciplinare organicamente la materia,
 integrando, modificando e sopprimendo le precedenti disposizioni.
    5.1. - Nel merito le questioni non sono fondate.
    La  giurisprudenza  di questa Corte ritiene che il principio della
 riserva di legge, previsto dall'art. 23 Cost., sia  rispettato  anche
 in  assenza  di  una  espressa  indicazione  legislativa dei criteri,
 limiti   e   controlli   sufficienti   a   delimitare   l'ambito   di
 discrezionalita'   dell'amministrazione,  purche'  gli  stessi  siano
 desumibili  dalla  destinazione  della  prestazione,   ovvero   dalla
 composizione   e   dal   funzionamento   degli  organi  competenti  a
 determinarne la misura (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del  1963,  67  del
 1973, 51 del 1960 e 21 del 1969). Si esclude altresi' da questa Corte
 (sent. n. 34 del  1986)  la  violazione  della  norma  costituzionale
 citata    quando   esista,   per   l'emanazione   dei   provvedimenti
 amministrativi concernenti le prestazioni, un modulo procedimentale a
 mezzo del quale si realizzi la collaborazione di piu' organi, al fine
 di evitare eventuali arbitrii dell'amministrazione.
    Osserva  la  Corte  che  la  normativa  oggetto della questione di
 costituzionalita' risponde ai  requisiti  indicati  dalla  richiamata
 giurisprudenza costituzionale.
    Poiche',  come  si e' detto, la norma istitutiva della prestazione
 in parola e' l'art. 7 del regolamento approvato con il R.D. 4 gennaio
 1925, n. 29 - il cui contenuto, come si e' rilevato, ha assunto rango
 di legge ordinaria, per effetto del richiamo di cui all'art.  80  del
 R.D.  20  settembre  1934 - e' a tale norma che bisogna riferirsi per
 individuare gli elementi di detta prestazione patrimoniale imposta.
    Orbene,  detta  norma  stabilisce  che  la  Camera  di commercio e
 industria provvede ai  locali  ed  a  quanto  altro  occorre  per  il
 funzionamento  delle Borse di commercio alle proprie dipendenze e dei
 relativi uffici fornendo anche tutto il personale necessario sia  per
 le  riunioni  che  per  il  funzionamento di detti uffici. Stabilisce
 altresi' che le spese relative  alla  pubblicazione  del  listino  di
 borsa  sono a carico della Camera di commercio e che le entrate sono,
 fra  l'altro,  costituite  dai  diritti  di  borsa  che  vengono  ivi
 elencati, come si vedra' in prosieguo.
    Quanto  all'organo competente alla determinazione di quei diritti,
 la stessa norma prevede che le tariffe siano deliberate dalla  Camera
 di  commercio e che siano approvate con decreto del Capo dello Stato.
    Quanto  alla  portata  del secondo comma dell'art. 53 del t.u. del
 1934, n. 2011 (che e' la norma denunciata in tutte  le  ordinanze  di
 rinvio)  va  rilevato  che  in  realta'  si  e'  in  presenza  di una
 disposizione dal contenuto meramente procedimentale, in  quanto  essa
 si  limita  a  stabilire che l'indicato decreto del Capo dello Stato,
 per l'istituzione dei "diritti inerenti ai  servizi  delle  borse  di
 commercio,  e'  promosso,  per  i  diritti  delle  borse  valori, dal
 Ministro delle finanze  e  per  i  diritti  delle  borse  merci,  dal
 Ministro  per  l'agricoltura  e  foreste  di concerto con il Ministro
 dell'industria".
    Da  quanto  precede  risulta  dunque  che, dal contesto in cui gli
 artt. 53 e 80 del t.u. del 1934 si collocano, e' certamente possibile
 desumere  la  presenza  di  quegli  elementi che la giurisprudenza di
 questa Corte (in particolare da ultimo v. sul punto la sentenza n. 34
 del  1986)  ritiene sufficienti ai fini della rispondenza all'art. 23
 Cost. dei tributi o comunque delle  prestazioni  imposte  in  genere.
 Tali  elementi  sono: i soggetti, tenuti alla prestazione e l'oggetto
 della  stessa,  razionali  ed  adeguati  criteri  per   la   concreta
 individuazione  dell'onere,  e, infine, il modulo procedimentale che,
 come e' stato precisato da questa Corte  nella  sentenza  per  ultima
 richiamata, concorre ad escludere l'eventualita' di arbitrii da parte
 dell'Amministrazione.
    5.2  - Per quel che riguarda i soggetti, dal contenuto delle norme
 denunciate e' possibile individuarli in coloro che abbiano  interesse
 rispetto  "ai  servizi  delle borse di commercio", dovendosi rilevare
 che l'art. 7 del R.D. del  4  gennaio  1925,  n.  29,  diversifica  i
 diritti  relativi  a tali servizi: a) in quelli per la quotazione dei
 titoli sul listino di borsa; b)  in  quelli  per  il  rilascio  delle
 tessere  d'ingresso  ai recinti ed agli spazi riservati; c) in quelli
 per l'uso dei telefoni, di tavoli,  cabine  e  per  ogni  servizio  a
 disposizione delle borse.
    Da   queste  indicazioni  risultano  dunque  ben  individuabili  i
 soggetti tenuti a tali prestazioni, cosi' per i diritti di quotazione
 nel listino, tali soggetti possono ravvisarsi nelle persone fisiche o
 societa', aventi appunto interesse alla  quotazione  dei  titoli  nel
 listino di borsa.
    5.3   -   Parimenti,  dalle  stesse  indicazioni,  e'  chiaramente
 individuabile l'oggetto della prestazione  patrimoniale  imposta  che
 ha, come punto di riferimento, gli elencati servizi di borsa, onde le
 prestazioni in parola devono  avere  attinenza  con  quei  servizi  e
 gravare percio' sui soggetti che rispettivamente si avvalgono di tali
 servizi.
    Dalla  individuazione  di  tali elementi discende, come automatica
 conseguenza,  anche  il  requisito  della  desumibilita'  di  criteri
 tecnici per la quantificazione delle tariffe, relative a ciascuno dei
 diritti di borsa indicati. Difatti  i  provvedimenti  amministrativi,
 determinativi  di tali tariffe, debbono prendere in considerazione il
 complesso  delle  spese  sostenute   dalle   borse,   ripartendo   di
 conseguenza  i  diritti (rectius le prestazioni patrimoniali imposte)
 indicate  sub  a,)  b)  e  c),  in  misura  ovviamente  proporzionale
 all'incidenza   di   ciascuna  voce  sul  complesso  di  tali  spese,
 attribuendo  l'onere  alle  categorie  di  soggetti   rispettivamente
 interessate  e,  facendolo  infine  gravare,  nell'ambito di ciascuna
 categoria di destinatari dei servizi, sui singoli  soggetti,  secondo
 criteri  ispirati  a  principi di ragionevolezza che esplicitamente o
 implicitamente siano desumibili  dai  decreti  del  Presidente  della
 Repubblica che approvano le tariffe.
    Dalle elencate indicazioni risulta percio' soddisfatta l'esigenza,
 posta in risalto dalla piu' recente giurisprudenza  di  questa  Corte
 (sentenza  n.  34  del  1986)  in  tema  di  prestazioni patrimoniali
 imposte, secondo cui "la delimitazione della potesta'  amministrativa
 non  deve necessariamente risultare dalla formula della norma stessa,
 ma ben puo' risultare da tutto il contesto della disciplina  relativa
 alla materia di cui essa fa parte".
   5.4.  -  Anche l'esigenza di un modulo procedimentale, che metta al
 riparo dalla eventualita' di arbitrii dell'amministrazione,  rendendo
 possibile  l'indagine sulle varie fasi del procedimento, appare nella
 specie soddisfatto. Basta al riguardo  considerare  che,  secondo  la
 normativa  indicata, e' previsto, per i diritti sub a) e sub b) - che
 sono quelli aventi la maggiore rilevanza - una delibera della  Camera
 di  commercio nonche' l'approvazione con decreto del Presidente della
 Repubblica (art. 7, comma quarto, R.D. n. 29 del 4 gennaio 1925),  su
 proposta  del  Ministro  competente  (art. 53, comma secondo, t.u. 20
 settembre 1934, n. 2011).
    Si  e'  dunque  in  presenza di un procedimento ben articolato che
 consente un adeguato controllo nel loro susseguirsi, delle varie fasi
 del    procedimento    per   verificare   la   ragionevolezza   delle
 determinazioni adottate.
    Quanto  infine  ai  diritti  indicati  sub c), per i quali e' solo
 prevista   la   delibera   della   Camera   di   commercio,    questa
 semplificazione  procedimentale  e'  giustificata  dalla  natura  dei
 servizi  cui  i  diritti  in  parola  si  riferiscono,  perche'  essi
 concernono  l'uso  dei  telefoni,  dei tavoli, delle cabine e di ogni
 altro servizio (chiaramente affine a quelli teste'  elencati),  cioe'
 di  un  complesso  di  prestazioni  di carattere meramente materiale,
 rispetto alle quali la garanzia procedimentale  puo'  gia'  ritenersi
 soddisfatta,  con  la  previsione della sola delibera della Camera di
 commercio.
    6. - Negli scritti difensivi e nella discussione orale, allo scopo
 di sottolineare il denunciato contrasto con  l'art.  23  Cost.,  sono
 state  poste  in  evidenza  una  serie  di incongruenze che sarebbero
 riscontrabili in concreto nel  contenuto  dei  decreti  presidenziali
 determinativi delle tariffe in parola.
    Al  riguardo e' agevole rilevare che gli aspetti evidenziati (come
 ad esempio l'identita' della misura dei diritti di  borsa,  qualunque
 sia  la  dimensione di questa, oppure l'ancoraggio dei diritti per la
 quotazione  nei  listini  al  capitale  delle  societa',  etc.),  ove
 dovessero   essere   reputati   irragionevoli  sarebbero  se  mai  da
 attribuirsi ad una cattiva applicazione della norma denunciata e  non
 ad  una  irrazionale previsione di questa. In tal caso spetterebbe al
 giudice di merito il compito di verificare se,  nella  determinazione
 della  misura  di  quelle tariffe e nella individuazione dei soggetti
 tenuti agli oneri in questione, i  decreti  presidenziali  abbiano  o
 meno  rispettato  i criteri desumibili dall'intero contesto normativo
 che regola la materia, potendosi cosi' trarre le naturali conseguenze
 nella sede giudiziaria appropriata.
    7.  -  Inconferente,  ai  fini del presente giudizio, e' infine la
 circostanza, posta in evidenza in qualcuna delle ordinanze di  rinvio
 e   negli   scritti   difensivi  delle  parti  private,  secondo  cui
 attualmente non spetterebbero piu' alle Camere di commercio i diritti
 connessi  alle  quotazioni  di  listino,  essendo  state  le relative
 funzioni attribuite alla Consob dalla legge  1974,  n.  216  e  dalle
 successive  norme  che  disciplinano  detta  Commissione. Trattasi di
 tutta evidenza di  un  problema  che  non  riguarda  il  giudizio  di
 legittimita'  costituzionale,  perche'  si  e'  in  presenza  di  una
 questione d'ordine interpretativo che deve essere risolta dal giudice
 di merito, allo scopo di verificare se, nella determinazione concreta
 delle  tariffe  dei  diritti  di   borsa,   si   sia   tenuto   conto
 dell'eventuale venir meno di compiti gia' attribuiti alle Borse, come
 conseguenza dell'avvenuto trasferimento alla Consob.  Difatti,  sulla
 base  dei  criteri  desumibili dall'intero complesso normativo teste'
 descritto, la prestazione patrimoniale dovrebbe necessariamente avere
 come  parametro  di  riferimento  solo  i servizi effettivamente resi
 dalle Borse e non anche quelli che,  in  ipotesi,  in  base  a  norme
 successive, fossero stati loro sottratti.