ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 110 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) promosso con ordinanza emessa il 17 aprile 1985 dal Pretore di Pontedera, iscritta al n. 589 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1986; Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1988 il Giudice relatore Renato Dell'Andro; Ritenuto che, con l'ordinanza in epigrafe, il Pretore di Pontedera ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 110 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) nella parte in cui punisce con la stessa pena l'ipotesi di cui al primo comma (mancata esposizione nella sala da biliardo e da gioco della tabella dei giochi d'azzardo e vietati) e quella - che sarebbe invece piu' grave - di cui al terzo comma (divieto di uso di apparecchi automatici e semi-automatici da gioco); che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione; Considerato che l'equiparazione quoad poenam delle ipotesi contravvenzionali contemplate nel primo e nel terzo comma dell'art. 110 T.U.L.P.S. costituisce scelta discrezionale del legislatore la cui valutazione, non risultando arbitraria ne' palesemente irragionevole, non e' sindacabile in questa sede; che, peraltro, in riferimento alle suddette ipotesi contravvenzionali, il quinto comma dell'art. 110 T.U.L.P.S. - prevedendo le pene edittali dell'arresto da un minimo di un mese al massimo di due anni e dell'ammenda da lire 24.000 a lire 120.000, oltre alla possibilita' di revoca della licenza per pubblico esercizio in caso di recidiva - da' al giudice la possibilita' di graduare le sanzioni in proporzione alla maggiore o minore pericolosita' dei reati accertati; che, pertanto, appare manifestamente infondata la denuncia di un'arbitraria parificazione di comportamenti diversi; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;