ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana (n. 2 ricorsi) notificati, rispettivamente, il 18 agosto, l'8 settembre, il 6 settembre, l'8 settembre 1978 e il 3 marzo 1983, depositati in Cancelleria il 1, il 18, il 23, il 26 settembre 1978 e il 17 marzo 1983 ed iscritti ai nn. 24, 26, 27 e 28 del registro ricorsi 1978 e n. 9 del registro ricorsi 1983, per conflitti di attribuzione sorti a seguito: a) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 1978, recante: "Direttive alle Regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti"; b) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 31 dicembre 1982 avente ad oggetto: "Aggiornamento delle direttive alle Regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione"; Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; Uditi gli avvocati Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia, Sergio Panunzio per la Regione Lazio, Giulio Cevolotto per la Regione Veneto, Calogero Narese per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei Ministri; Ritenuto in fatto 1. - Il presente giudizio per conflitto di attribuzione ha origine da quattro ricorsi proposti dalle Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana avverso il d.P.C.M. 8 luglio 1978, per l'asserita violazione delle competenze amministrative relative ai distributori di carburanti, garantite alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 52 e 54 lett. f) del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, nonche' da un ricorso proposto dalla Regione Toscana per l'asserita violazione delle medesime competenze in ordine al d.P.C.M. 31 dicembre 1982 che ha modificato il decreto del 1978. 1.1. - Con ricorso notificato il 18 agosto 1978 e depositato l'1 settembre successivo, la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione in relazione al d.P.C.M. 8 luglio 1978, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 luglio 1978, n. 191, avente ad oggetto: "Direttive alle Regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti". Premesso che l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha delegato alle regioni "le funzioni amministrative relative ai distributori di carburanti" senza riservare allo Stato alcuna funzione ad eccezione della determinazione di "indirizzi" da parte del Governo e ricordato che l'art. 54, lett. f), dello stesso d.P.R. n. 616 ha attribuito ai comuni "le funzioni amministrative relative all'autorizzazione, sulla base delle prescrizioni del C.I.P.E. e nell'ambito dei criteri generali determinati dalla regione, all'installazione di distributori di carburanti nel territorio comunale, ad eccezione di quelli installati sulle autostrade", la ricorrente prospetta il dubbio che con atto puramente amministrativo, quale il decreto impugnato, sia stato leso l'ambito delle competenze ad essa assegnate, sulla base di una delega di funzioni amministrative, dalle anzidette disposizioni di legge. In via pregiudiziale, la Regione osserva che non potrebbe escludersi la lesione della propria sfera di attribuzione sol perche' si tratta di competenze ad essa assegnate con legge di delega, anziche' con norme costituzionali o, comunque, in modo costituzionalmente imposto. A suo giudizio, infatti, una volta che la delega sia stata disposta, la sua revoca potrebbe avvenire soltanto con atto di pari efficacia, e non, come nel caso, con atto di valore inferiore, cioe' con atto amministrativo. Nel merito, la Regione Lombardia ritiene che siano invasivi delle proprie competenze soprattutto i punti 8, 9 e 13 del decreto impugnato. Il primo, infatti, anziche' stabilire atti di indirizzo, ripristinerebbe in effetti la competenza statale sugli impianti ubicati lungo le autostrade e i raccordi con caratteristiche autostradali. Il punto 9, inoltre, nel mantenere la competenza prefettizia sull'autorizzazione concernente i distributori utilizzati esclusivamente per autoveicoli di proprieta' della pubblica amministrazione, non distinguerebbe, fra questi ultimi, quelli utilizzati soltanto per autoveicoli propri di amministrazioni diverse da quelle statali, violando cosi' l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977. Infine, il punto 13, nello stabilire che "l'autorizzazione" comunale prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 e' necessaria per il rilascio delle concessioni regionali per l'installazione e l'esercizio di nuovi impianti ovvero per il rinnovo delle concessioni in scadenza o per il trasferimento di impianti su nuove ubicazioni, per un verso, contrasterebbe con lo stesso art. 54, che affida ai soli comuni quel potere "autorizzatorio" senza condizionarlo a un successivo provvedimento della regione e, per altro verso, prevederebbe un'irrazionale duplicazione di competenze, tanto piu' che, a norma dell'art. 16 della legge n. 1034 del 1970, l'installazione e l'esercizio dei predetti impianti sono soggetti a concessioni amministrative, non gia' ad autorizzazioni. 1.2. - Con ricorso notificato l'8 settembre 1978 e depositato il 18 successivo la Regione Lazio ha sollevato conflitto di attribuzione in ordine al medesimo decreto oggetto del ricorso del paragrafo precedente. Oltre a prospettare gli stessi profili formulati nel ricorso della Regione Lombardia, la Regione Lazio lamenta altresi' l'illegittima invasione delle proprie competenze ad opera dei punti 4, penultimo comma, 6, 7 e 15 del decreto impugnato. Ad avviso della ricorrente, mentre l'ultimo dei punti ricordati conterrebbe prescrizioni troppo dettagliate in materia di orari, tali da vanificare ogni discrezionalita' delle regioni e dei comuni, gli altri invece, nel prevedere una ripartizione degli oneri connessi alla gestione del servizio a danno dei distributori piu' remunerativi (punti 4, penultimo comma, e 6) e nel determinare il numero massimo degli impianti nell'ambito del territorio nazionale (punto 7), violerebbero la liberta' di impresa e il principio della riserva di legge, garantiti dagli artt. 41 e 23 della Costituzione. 1.3. - Contro lo stesso decreto ha sollevato conflitto di attribuzione anche la Regione Veneto con ricorso notificato il 6 settembre 1978 e depositato il 23 successivo. Nel lamentare la violazione delle proprie competenze con argomentazioni generali analoghe a quelle formulate dalla Regione Lombardia (v. supra p. 1.1), la Regione Veneto censura in particolare i punti 10 e 11 del decreto impugnato. Il primo, nel prevedere che le regioni debbono accertare le finalita' connesse al tipo di attivita' svolta dagli operatori al fine del rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di distribuzione ad uso privato (stabilimenti, cantieri, magazzini, etc.), conferirebbe alle regioni una nuova funzione, che non e' dato rinvenire nella legislazione vigente. Analogamente farebbe il punto 11, in violazione dell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto sembra affidare alle regioni il potere di rilasciare le autorizzazioni per i distributori destinati ai natanti, che l'articolo prima menzionato attribuisce ai comuni. 1.4. - Anche la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzione in ordine al medesimo decreto con ricorso notificato l'8 settembre 1978 e depositato il 26 dello stesso mese. Con argomenti analoghi a quelli enunciati nei ricorsi precedentemente considerati, la Regione Toscana lamenta l'invasione delle proprie competenze ad opera dei punti 8, 9 e 13 e, in connessione con quest'ultimo, dei punti 10 e 11 del decreto impugnato. La stessa ricorrente, inoltre, osserva che il punto 4, nel prevedere l'obbligo per le regioni di predisporre un piano di ristrutturazione globlale della rete di distribuzione dei carburanti, enuncerebbe una disposizione formalmente cogente, che vincola l'autonomia regolamentare della regione sia con riguardo al termine per l'adozione e la comunicazione (31 marzo 1979), sia con riguardo al contenuto strutturale (piano) e a quello precettivo (allorche' fissa i contenuti "necessari" del piano) dell'atto da adottare. 1.5. - Con un ulteriore ricorso notificato il 3 marzo 1983 e depositato il 17 dello stesso mese, la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzione, per l'asserita violazione delle medesime competenze ritenute lese con i ricorsi precedentemente riassunti, in ordine al d.P.C.M. 31 dicembre 1982, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 3 gennaio 1983 e intitolato "Aggiornamento delle direttive alle Regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti per uso di autotrazione". Nel richiedere che sia riconosciuta la propria competenza e che, di conseguenza, sia parzialmente annullato il decreto appena citato, la ricorrente prospetta l'illegittimita' derivata dell'atto impugnato nelle parti in cui richiama e conferma le disposizioni oggetto della precedente impugnativa della stessa Regione (v. p. 1.4). In secondo luogo, la ricorrente impugna gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M. del 1982, ritenendoli violativi degli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 52 e 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Con questi ultimi articoli contrasterebbe, a suo avviso, l'art. 6 dell'atto impugnato, che ha sostituito il punto 9 del precedente decreto, in quanto affida alla competenza statale funzioni attive e concrete, come quelle concernenti "il rilascio delle concessioni per gli impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione, utilizzati esclusivamente per autoveicoli impiegati per l'esercizio di funzioni statali". Anche l'art. 7 del provvedimento impugnato, che ha sostituito l'art. 10 del precedente decreto, lederebbe le funzioni delegate alle regioni, in quanto, nel condizionare il rilascio delle concessioni per l'installazione e l'esercizio dei distributori ad uso privato all'esistenza di serbatoi dei distributori stessi aventi una capacita' minima di metri cubi 10, porrebbe una norma dettagliata e concreta, non gia' una direttiva. 2. - Contro tutti i ricorsi qui riassunti ha prodotto controdeduzioni la Presidenza del Consiglio dei Ministri, costituitasi in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, in tutti e cinque i conflitti prima ricordati. 2.1. - Con atto di costituzione del 7 settembre 1978, il Presidente del Consiglio contesta tutte le censure sollevate dalla Regione Lombardia nel ricorso di cui al punto 1.1. Dopo aver ricordato che le funzioni della cui spettanza si dibatte nel presente giudizio sono state delegate alle regioni sulla base dell'esigenza di consentire ad esse l'organico esercizio delle funzioni relative alla materia "fiere e mercati" e dopo aver rilevato che esiste un parallelismo tra trasferimenti e delegazioni di funzioni amministrative alle regioni ex artt. 51 e 52 del d.P.R. 616 del 1977, da un lato, e attribuzione ai comuni delle competenze elencate nell'art. 54 dello stesso decreto, dall'altro, l'Avvocatura osserva che le funzioni disciplinate nei punti 8 e 9 dell'atto impugnato non rientrerebbero nelle attivita' commerciali legate con un rapporto organico alla materia "fiere e mercati". Tali, infatti, non si possono considerare le attivita' concernenti i distributori installati lungo le autostrade (punto 8), gia' soggette a una disciplina differenziata (art. 16 d.l. n. 745 del 1970) comunque riservata allo Stato, ne' quelle concernenti gli impianti utilizzati per gli autoveicoli della pubblica amministrazione (punto 9), anch'esse sottoposte a disciplina differenziata (art. 50, r.d. n. 1303 del 1934 e art. 21 del d.P.R. 27 ottobre 1971, n. 1269). Ne', sempre secondo l'Avvocatura, possono ritenersi fondate le censure mosse contro il punto 13 del decreto impugnato. In particolare, in questo articolo non si rinverrebbe alcuna duplicazione di competenze tra regioni e comuni, poiche' dalla pregressa legislazione si ricaverebbe che altro e' la concessione all'installazione e all'esercizio degli impianti di distribuzione (art. 16, d.l. n. 745 del 1970) e altro e' l'autorizzazione alla sola installazione (art. 30 r.d. 20 luglio 1934, n. 1303, nonche' r.d.l. n. 2174 del 1926). L'art. 54 del d.P.R. n. 616 del 1977 avrebbe utilizzato il termine "autorizzazione" per attribuire nuovamente ai comuni quella competenza gia' spettante ad essi in forza del menzionato art. 30, r.d. n. 1303 del 1934, e poi sottratta con l'art. 16, d.l. n. 745 del 1970 e l'art. 45 n. 7, l. n. 426 del 1971. L'atto impugnato, pertanto, avrebbe correttamente interpretato gli artt. 52, lett. a), e 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, che distinguerebbero, appunto, l'autorizzazione comunale dalla concessione regionale. 2.2. - Nel costituirsi, il 25 settembre 1978, nel giudizio promosso dalla Regione Lazio, l'Avvocatura dello Stato, ribaditi gli argomenti contenuti nella memoria depositata nel precedente giudizio in relazione ai punti 8, 9 e 13, deduce altresi' l'inammissibilita' dei profili attinenti ai punti 4, 6 e 7 del decreto impugnato, sulla premessa che mancherebbe l'interesse della Regione a sollevare censure diverse da quelle desumibili dalla violazione delle disposizioni contenute nel titolo V, parte II, della Costituzione. In ogni caso, ad avviso dell'Avvocatura, si tratterebbe di censure infondate, poiche', mentre i punti 4 e 6 non avrebbero alcuna forza vincolante, ma sarebbero solo previsioni di piano, nello stesso tempo il punto 7 non conterrebbe limiti alla liberta' d'impresa in violazione del principio della riserva di legge, ma attuerebbe semplicemente una disposizione (quella relativa alla riserva all'ENI del 40% degli impianti) gia' contenuta nell'art. 16, d.l. n. 745 del 1970 e nel d.P.R. n. 554 del 1967. Quanto alla pretesa illegittimita' del punto 15, l'Avvocatura osserva che la determinazione di un limite minimo in ordine alla fissazione degli orari di apertura e di chiusura dei distributori rientra nei poteri di indirizzo riservati allo Stato dall'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977. 2.3. - Costituitasi il 26 settembre 1978 nel giudizio promosso dalla Regione Veneto, l'Avvocatura dello Stato, sulla base delle premesse generali svolte in relazione al ricorso della Regione Lombardia (v. supra 2.1), osserva che il punto 10 del decreto impugnato contiene indirizzi indubbiamente legittimi, in quanto la disciplina degli impianti adibiti ad uso privato non puo' esser considerata priva di collegamento con la struttura e le dimensioni della rete di distribuzione ad uso pubblico. Sul punto 11, poi, la resistente osserva che le disposizioni ivi contenute mirano soltanto a chiarire che la delega concessa alle regioni si estende agli impianti destinati all'esclusivo rifornimento dei natanti. 2.4. - Il 26 settembre 1978 l'Avvocatura dello Stato si e' costituita anche nel giudizio promosso dalla Regione Toscana con una memoria nella quale, dopo aver richiamato le premesse generali formulate in ordine al ricorso della Regione Lombardia (v. supra 2.1), e dopo aver ripreso, in relazione ai punti 8, 9, 10, 11 e 13, gli stessi argomenti addotti per respingere i ricorsi precedenti, contesta l'affermazione della ricorrente sul punto 4, e cioe' che quest'ultimo imporrebbe obblighi di facere alle regioni, anziche' stabilire direttive. Secondo l'Avvocatura, il punto 4 si limiterebbe a prevedere in capo alle regioni obblighi gia' imposti ai prefetti entro lo stesso termine (31 marzo 1979) di cui la ricorrente lamenta l'insufficienza. 2.5. - Con atto di deduzioni del 14 marzo 1983 il Presidente del Consiglio dei Ministri si e' costituito anche nel giudizio promosso dalla Regione Toscana in relazione al d.P.C.M. del 31 dicembre 1982 (v. supra p. 1.5). Oltre a richiamare gli argomenti gia' esposti, tanto in relazione alle eventuali illegittimita' contenute nelle disposizioni ripetitive del precedente decreto, quanto in relazione all'art. 6 del decreto del 1982, che riformula con modifiche il punto 9 del precedente decreto (v. supra 2.1), l'Avvocatura osserva, in ordine alla censura relativa all'art. 7, che la determinazione del limite massimo di capacita' dei serbatoi degli impianti di distribuzione ad uso privato e' giustificata dall'esigenza di evitare un'eccessiva polverizzazione degli impianti stessi. 3. - In prossimita' dell'udienza, sia la Regione Lombardia sia la Regione Toscana hanno presentato memorie, dirette soprattutto a esporre gli argomenti a sostegno dell'ammissibilita' dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni in relazione alle funzioni delegate dedotte nei presenti giudizi. 3.1. - Nell'invitare la Corte a riconsiderare il proprio orientamento in materia di ammissibilita' dei conflitti di attribuzione sollevati in relazione a funzioni amministrative delegate alle regioni, la Lombardia precisa nella propria memoria che tale riconsiderazione dovrebbe riguardare soltanto fattispecie, come quella in esame, nelle quali lo Stato, dopo aver delegato con legge determinate funzioni, pretende di riappropriarsene con un provvedimento amministrativo. A sostegno della propria posizione la Regione adduce fondamentalmente tre motivi: a) quando, come nel caso, con provvedimento amministrativo lo Stato produca diminuzioni o incisioni su competenze delegate alle regioni con una propria legge o, addirittura, le revochi, risulterebbe violata la riserva di legge prevista dall'art. 118, secondo comma, Cost., la quale, non solo conterrebbe un criterio di ripartizione delle competenze e una garanzia delle funzioni affidate alle regioni, ma costituirebbe anche (come affermato nelle sentt. nn. 151 del 1982 e 244 del 1985 di questa Corte) un valido parametro per la delimitazione delle competenze costituzionalmente assegnate alle regioni; b) dopo che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato l'idoneita' dei decreti di trasferimento e, in particolare, del d.P.R. n. 616 del 1977 a definire le materie di competenza regionale e a fungere da autonomo parametro di costituzionalita' (v. ad es. sentt. nn. 174 del 1981, 223 del 1984), diverrebbe difficile, se non impossibile, enucleare in modo netto dalle competenze cosi' definite quelle che occorrerebbe considerare come costituzionalmente non garantite; c) l'autonomia costituzionale delle regioni sarebbe determinata anche dall'art. 118, secondo comma, Cost., il quale, in collegamento con l'art. 5 Cost., non si limiterebbe a prevedere una mera eventualita' di delega, ma, posto che la legge n. 382 del 1975 e il d.P.R. n. 616 del 1977 hanno dato attuazione ad uno dei modi possibili di intendere il sistema costituzionale delle autonomie locali attraverso la determinazione delle competenze regionali per settori organici, costituiti sia dalle funzioni trasferite che da quelle delegate, l'illegittima invasione delle competenze delegate finirebbe, in questo quadro, con l'incidere complessivamente sull'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni e, quindi, anche sulle funzioni trasferite. 3.2. - Anche la Regione Toscana, nella propria memoria, osserva che la giurisprudenza costituzionale sull'inammissibilita' dei conflitti di attribuzione in relazione a competenze delegate alle regioni non sarebbe invocabile quando, come nel caso di specie, la violazione delle norme di legge che abbiano conferito la delega comporti, mediatamente, un contrasto con disposizioni costituzionali, di cui quelle norme di legge devono considerarsi attuazione. Ad avviso della ricorrente, la tradizionale configurazione della delega di funzioni amministrative alle regioni come un ampliamento di competenze esulante dalla sfera delle competenze regionali in senso proprio, e pertanto non in grado di definire l'automomia costituzionale delle regioni, sarebbe, almeno in parte, superata dall'art. 1, lett. c), della legge n. 382 del 1975, secondo il quale il Governo provvede "a delegare, a norma dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione, le funzioni amministrative necessarie per rendere possibile l'esercizio organico da parte delle regioni delle funzioni trasferite (...)". In altre parole, secondo la ricorrente, vi sarebbero funzioni, che, pur delegate alle regioni, sarebbero necessariamente collegabili o riconducibili alle funzioni proprie, in quanto la delega e' stata ritenuta indispensabile proprio per consentire alle regioni stesse il pieno esercizio delle funzioni loro trasferite. Nel caso di specie, poiche' il legislatore delegato, in conformita' con la norma appena citata della legge n. 382 del 1975, avrebbe ritenuto che le regioni non possano esercitare a pieno titolo le loro competenze in materia di "fiere e mercati" senza esser titolari, in base a una delega, delle funzioni afferenti ai distributori dei carburanti (rientranti nella sub-materia delle attivita' commerciali), la lesione delle competenze relative a quest'ultima materia si tradurrebbe, ad avviso della Regione, in una violazione degli artt. 117 e 118 Cost., se pure per il tramite della legge n. 382 del 1975 e del d.P.R. n. 616 del 1977. 4. - Nel corso dell'udienza pubblica, mentre le ricorrenti si sono richiamate agli stessi argomenti esposti nelle memorie, l'Avvocatura dello Stato si e' soffermata in particolare sul problema dell'ammissibilita' dei conflitti di attribuzione relativi a funzioni regionali delegate. Nel prender atto della giurisprudenza costituzionale sull'inammissibilita' di tali conflitti, senza peraltro volerla giudicare nel merito, l'Avvocatura osserva che l'art. 134 Cost., nell'affermare la competenza della Corte costituzionale a giudicare dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni, non distingue circa la natura della legge (costituzionale od ordinaria) che conferisce l'attribuzione contesa. In base alla lettera di quest'articolo, non si potrebbe operare una differenza di trattamento fra i conflitti relativi alle funzioni contemplate nell'art. 118, primo comma, Cost. (competenze trasferite) e quelli concernenti le funzioni conferite alle regioni in base al secondo comma dello stesso articolo (competenze delegate). La distinzione, semmai, ha il proprio fondamento nell'art. 39 della legge n. 87 del 1953. Tuttavia, continua l'Avvocatura, se si dovesse escludere la competenza della Corte costituzionale a giudicare dei conflitti di attribuzione relativi alle funzioni delegate alle regioni ex art. 118, secondo comma, Cost., risulterebbe del tutto incerta l'individuazione nel nostro ordinamento del giudice competente a giudicare dei medesimi conflitti, non potendosi condividere la posizione del giudice amministrativo quando ha affermato la propria competenza su di essi nell'ambito della propria giurisdizione di legittimita'. Tale posizione - oltre a dimenticare che nel caso non si fa questione su interessi legittimi (cioe' su interessi indirettamente protetti dalla legge), ma su competenze direttamente conferite dalla legge porterebbe, infatti, all'assurdo risultato di declassare il conflitto di attribuzione, di cui all'art. 134 Cost., a strumento rafforzativo e cumulativo, anziche' alternativo, rispetto alla tutela offerta dal giudice amministrativo. Poiche' una posizione del genere, oltre a essere fonte di ovvi inconvenienti pratici, contrasta con l'art. 134 Cost., il quale configura il conflitto di attribuzione fra Stato e regioni fra gli oggetti esclusivi del giudizio della Corte costituzionale, se quest'ultima dovesse affermare la propria competenza sui conflitti in questione, dovrebbe farlo, secondo l'Avvocatura dello Stato, affermando altresi' l'esclusivita' di questa sua competenza. Considerato in diritto 1. - I giudizi per conflitto di attribuzione promossi con i cinque ricorsi elencati in epigrafe e riferiti nella parte in fatto vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza, in quanto riguardano lo stesso atto e, in un caso, un provvedimento analogo e connesso con il precedente. 2. - Prima di ogni altra, va esaminata la questione pregiudiziale se i conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe, i quali attengono a funzioni amministrative delegate alle regioni a norma dell'art. 118, secondo comma, Cost., siano ammissibili. Con riferimento al caso di specie, la questione va risolta in senso positivo. 2.1. - Quello della delega amministrativa e' un fenomeno estremamente vario e complesso, per il quale non sembra possibile fornire soluzioni interpretative generali valide per ciascuna delle ipotesi che il diritto positivo disciplina come delegazione di funzioni amministrative. E' sufficiente considerare a tal fine che ipotesi di delegazione intervengono tanto nell'ambito di rapporti interorganici quanto in quello di rapporti intersubiettivi e, in quest'ultimo caso, tanto fra soggetti dotati di autonomia costituzionale quanto fra soggetti che non lo sono. Inoltre, oggetto di delegazione e' talora la titolarita' di funzioni o, addirittura, di attribuzioni (cioe' di un complesso di funzioni unitariamente considerato), talaltra il mero esercizio di determinate funzioni o il compimento di determinati atti o attivita'. La delega, poi, puo' essere frutto di una libera scelta del titolare di determinate funzioni ovvero puo' dipendere dal ricorrere di condizioni obiettive discrezionalmente valutabili dallo stesso soggetto o, ancora, puo' esser configurata come un atto necessario o dovuto da parte del titolare per l'esercizio di determinate funzioni. Ne' quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini della caratterizzazione giuridica della delegazione amministrativa. Nel diritto positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano trasferimento di uffici (mezzi e personale) e deleghe che non lo comportano, ve ne sono alcune conferibili (o revocabili) solo esplicitamente e altre anche implicitamente, alcune che prevedono in capo al delegante un potere di supremazia (se pure impropria) o di direttiva e altre che non lo prevedono, alcune che autorizzano il delegante ad adottare istruzioni vincolanti ed altre sulla cui base possono essere adottate istruzioni aventi un'efficacia meramente direttiva, alcune che conservano al delegante un potere di intervento "concorrente" sulla materia delegata e altre che lo escludono, alcune su oggetti determinati e altre su oggetti generici o indeterminati, alcune a tempo prestabilito e altre a tempo indeterminato. Si tratta, come appare evidente, di alternative in grado di caratterizzare il fenomeno della delega amministrativa in modo di volta in volta diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo attualmente vigente, e' molto difficile, se non impossibile, razionalizzare secondo tipologie omogenee. Le alternative ricordate, infatti, non coincidono per nulla con la distinzione tra deleghe interorganiche e deleghe intersoggettive, ma si rinvengono, nella loro totalita', tanto all'interno dell'una ipotesi quanto all'interno dell'altra. Alcune di loro anzi - e non certo quelle di importanza secondaria ai fini della caratterizzazione giuridica del fenomeno - si rinvengono persino nell'ambito di uno stesso atto legislativo, come nel caso qui considerato del d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che si impone comunque l'esigenza logica di procedere a un esame caso per caso allo scopo di enucleare, attraverso un'analisi empirica, i caratteri propri della particolare fattispecie di delegazione amministrativa dedotta in giudizio e di verificare, quindi, se i poteri oggetto della delega stessa vadano ad integrare, o meno, la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni. 2.2. - Il problema dell'ammissibilita' dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni vertenti su funzioni delegate e' gia' pervenuto alla cognizione di questa Corte. In un primo caso, che riguardava la delega alle regioni dell'esercizio delle funzioni amministrative in ordine alle opere di ricostruzione nei territori colpiti da calamita' naturali, le quali erano residuate alla competenza statale dopo il trasferimento delle attribuzioni proprie degli uffici del genio civile e dei provveditorati regionali (art. 13, d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8), la Corte ha dichiarato l'inammissibilita' del conflitto. A base di questa decisione stava l'argomento che, poiche' si trattava di una delega che lo Stato poteva conferire, o non, alle regioni (c.d. delega libera), non era minimamente possibile configurare tanto le norme che concretamente la prevedevano, quanto le competenze che da essa derivavano, come dirette a integrare la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, la cui lesione soltanto legittima queste ultime a tutelarsi mediante lo strumento processuale del conflitto di attribuzione, previsto dall'art. 134 Cost. (sent. n. 97 del 1977). In una serie di casi successivi, vertenti tutti sulla particolare disciplina prevista dalla delega di funzioni in materia di paesaggio (art. 82, d.P.R. n. 616 del 1977), la Corte e' giunta alla medesima conclusione (sentt. nn. 359 del 1985, 152 e 153 del 1986). Tuttavia, in queste pronunzie, pur riaffermando il principio precedentemente enunciato, la Corte ha posto a base delle sue decisioni una massima differente, la quale si confaceva alla diversa ipotesi di delega dedotta nei giudizi in questione. Per riprendere le stesse parole allora usate, si e' affermato, piu' precisamente, "che le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in linea di principio, defendibili col rimedio del conflitto di attribuzione (sent. n. 97 del 1977), e che, in particolare, non lo sono le attribuzioni devolute alla Regione con l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti" (sentt. nn. 152 e 153 del 1986, nonche' gia' prima n. 359 del 1985). E, a chiarimento della stessa massima, si e' aggiunto subito dopo che "la previsione di questi ultimi (poteri concorrenti), a fini di estensione e di effettivita' della tutela del paesaggio, esclude infatti la garanzia costituzionale delle competenze delegate" (v. spec. sent. n. 152 del 1986, che cita sul punto la sent. n. 359 del 1985). In altri termini, nel primo caso la Corte ha escluso che le competenze delegate rientrassero nell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, in quanto la loro assegnazione a queste ultime, dipendendo da una libera scelta del legislatore statale (che, nel caso del d.P.R. n. 8 del 1972, era giustificata soltanto dall'opportunita' di non conservare allo Stato le funzioni residuali svolte da uffici periferici trasferiti alle regioni), mancava di qualsiasi aggancio logico con le norme costituzionali concernenti la ripartizione di competenze fra Stato e regioni. Negli altri casi, invece, trovandosi di fronte a una disciplina che, come questa Corte ha ribadito anche in una recente pronunzia (sent. n. 302 del 1988), prevede sulla medesima materia la compresenza di poteri regionali e di poteri statali aventi lo stesso contenuto e oggetto (pur se i secondi previsti in posizione di supremazia, a estrema difesa del vincolo paesaggistico), la Corte ha dedotto da cio' che, non essendosi lo Stato privato della piena titolarita' della relativa funzione, i poteri delegati attenessero al mero esercizio della funzione stessa (come, del resto, in altri casi precedenti: v. sentt. nn. 39 del 1957, 11 del 1959, 36 del 1960, 40 del 1972) o, se si preferisce, allo svolgimento di attivita' rispetto alle quali non era stata nel contempo negata la competenza dello Stato, e che, pertanto, non potevano integrare in alcun modo la sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnata alle regioni. 2.3. - Il caso oggetto dei presenti giudizi, relativo alla delegazione alle regioni delle funzioni amministrative concernenti i distributori di carburante (art. 52, lett. a, d.P.R. n. 616 del 1977), attiene a un'ipotesi di delega diversa dalle precedenti. Innanzitutto, si tratta di una delegazione mediante la quale la titolarita' di una determinata funzione viene (temporaneamente) tolta dalla sfera di competenza dello Stato e assegnata nel contempo a quella regionale, con la conservazione in capo al primo del solo potere di indirizzo. Si tratta, in altre parole, di quella che in dottrina e' chiamata "delega devolutiva o traslativa", la quale, come e' noto, costituisce l'ipotesi di delegazione piu' prossima al trasferimento di funzioni, in quanto in essa l'accrescimento di competenza del delegato e' consequenziale a una correlativa diminuzione della stessa nel soggetto delegante. Tuttavia, la circostanza che la funzione delegata di cui si tratta sia entrata a far parte del patrimonio di competenze delle regioni, a seguito dell'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977, e' una condizione necessaria, ma non sufficiente, perche' i conflitti oggetto dei presenti giudizi siano ritenuti ammissibili. Infatti, come questa Corte ha costantemente ribadito (cfr., ad es., sentt. nn.111 del 1976, 97 del 1977, 359 del 1985, 152 e 153 del 1986), appartengono alla competenza del giudice costituzionale, e soltanto ad essa, unicamente quei conflitti nei quali si controverte di lesioni prodotte sulla sfera di competenze dello Stato o delle regioni, sempreche' tale sfera risulti costituzionalmente garantita. E perche' questa garanzia ricorra nel caso delle funzioni delegate non e' sufficiente, pur se e' ovviamente necessario, che l'atto legislativo contenente la delega medesima (nel caso il d.P.R. n. 616 del 1977) sia da considerare, secondo la consolidata e costante giurisprudenza costituzionale (cfr., ad es., sentt. nn. 223 del 1984 e 217 del 1985), come esecutivo o integrativo di disposizioni formalmente costituzionali, per il fatto che, nell'ipotesi di funzioni delegate, l'astratta idoneita' della norma che le dispone a fungere da parametro dei giudizi sui conflitti potrebbe esser neutralizzata in concreto, come ha gia' riconosciuto questa Corte (sent. n. 97 del 1977), dal carattere puramente volontario o possibilistico della delega stessa (c.d. delega libera). Perche' le funzioni delegate possano esser considerate parte integrante della sfera di competenze costituzionalmente garantita alle regioni c'e' bisogno di un ulteriore e decisivo elemento: che le competenze delegate, per il modo in cui sono disciplinate e per il fine in vista del quale sono conferite, costituiscano un'integrazione necessaria delle competenze "proprie", di modo che la lesione delle prime comporti anche una menomazione delle seconde. 2.4. - Nell'interpretare il sistema costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni e nel dare ad esso attuazione positiva, il legislatore, attraverso la legge 22 luglio 1975 n. 382 e il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, ha previsto, tra l'altro, un particolare tipo di delega amministrativa, diretto essenzialmente a un duplice scopo: innanzitutto, costituire un modello organizzatorio dei rapporti fra Stato e regioni piu' flessibile delle altre forme di separazione di competenze e tale da permettere indirizzi statali in grado di assicurare una maggiore uniformita' su tutto il territorio nazionale, nonche' una maggiore unitarieta' tra momento direttivo e momento attuativo; in secondo luogo, istituire uno strumento di ricomposizione delle competenze in capo alle regioni in grado di garantire loro un "esercizio organico" delle funzioni trasferite. Sotto quest'ultimo profilo, sulla base di un preciso criterio dettato dalla legge n. 382 del 1975 (art. 1, lett. c), il d.P.R. n. 616 del 1977, nell'ambito di una disciplina diretta ad assicurare alle regioni un'amministrazione per programmi, ha provveduto a delegare alle stesse le funzioni amministrative ritenute necessarie per rendere loro possibile l'"esercizio organico" delle competenze trasferite. Si e' stabilita, cosi', una saldatura funzionale fra le competenze delegate e quelle trasferite, che, sebbene smentita in alcune delle fattispecie previste (come il ricordato art. 82 o, per fare altri esempi, gli artt. 77, lett. b), e 111 secondo comma), puo' tuttavia ritenersi affermata per la maggioranza delle deleghe conferite alle regioni con il d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che, ove tale legame non risulti contraddetto dalla particolare disciplina positiva prevista per ogni singola delega, si deve concludere che l'eventuale limitazione o invasione delle competenze delegate alle regioni finisca per impedire o contraddire quell'esercizio "organico" che si e' voluto garantire alle funzioni "proprie" delle regioni e menomarne cosi' la consistenza costituzionale, come interpretata e attuata dalla legge n. 382 del 1975 e dal d.P.R. n. 616 del 1977. Del resto, e' essenzialmente con riguardo a questa loro funzione di completamento organico delle materie trasferite alle regioni che si giustifica la relativa stabilita' assicurata alle deleghe qui considerate, stabilita' che, oltre a ricavarsi dal loro carattere di deleghe a tempo indeterminato, puo' agevolmente dedursi da una serie di elementi della loro disciplina positiva. Innanzitutto, dal potere riconosciuto alle regioni di adottare nelle materie sulle quali sono state conferite funzioni delegate non solo provvedimenti amministrativi, ma anche "norme legislative di organizzazione e di spesa", nonche' "norme di attuazione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione" (art. 7, primo comma, d.P.R. n. 616 del 1977). In secondo luogo, dal fatto che, con il conferimento delle funzioni delegate, sono contestualmente trasferiti gli uffici, il personale e i beni strumentali necessari allo svolgimento delle medesime funzioni (art. 1, lett. c), l. n. 382 del 1975). In terzo luogo, dalla possibilita' conferita alle regioni di subdelegare, con proprie leggi, ai comuni e agli altri enti locali le funzioni derivanti dalla delega statale e di stabilire i relativi indirizzi (art. 7, secondo comma, d.P.R. n. 616 del 1977). Infine, dal carattere non derogatorio dell'ordine delle competenze generalmente riconosciuto alle funzioni delegate (d.P.R. n. 616 del 1977), il quale evidenzia la prevalente natura devolutiva o traslativa propria delle deleghe qui considerate: in una parola, la loro preponderante finalizzazione all'"organico" esercizio delle competenze trasferite. 2.5. - La delega di funzioni amministrative in materia di distributori di carburanti, prevista dall'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, si iscrive perfettamente nei caratteri propri delle deleghe volte al completamento organico delle competenze trasferite, che si sono appena ricordati. Si tratta, infatti, di funzioni conferite alle regioni nell'ambito di una competenza piu' generale, relativa a un complesso di attivita' commerciali, che, come riconoscono tutte le parti dei presenti giudizi, integrano sostanzialmente la materia "fiere e mercati" attribuita alle regioni dall'art. 117 della Costituzione. Inoltre, poiche' il suddetto art. 52 non prevede che lo Stato possa esercitare in materia "poteri concorrenti" o altri poteri (di annullamento, di integrazione, di inibitoria, e simili) comunque interferenti nei confronti degli atti adottati nello svolgimento delle funzioni delegate, ma conserva allo Stato (o, piu' precisamente, al Governo) soltanto poteri di indirizzo, si deve supporre che l'ipotesi di delega amministrativa oggetto dei presenti giudizi comporti una devoluzione piena delle funzioni interessate e, quindi, una cessione alle regioni della titolarita' delle funzioni stesse, che il legislatore ha operato nella misura e nei limiti necessari per l'esercizio organico delle competenze "proprie". E poiche', su tali basi, si prospetta la violazione di parametri formalmente costituzionali o, comunque, di norme integrative o attuative di disposizioni formalmente costituzionali (il d.P.R. n. 616 del 1977), con riferimento a funzioni che, come s'e' detto, sono state delegate alle regioni, non gia' per una libera scelta dello Stato, ma in base alla ricorrenza di condizioni, di limiti ed obiettivi costituzionalmente rilevanti (necessita' di integrazione organica delle attribuzioni regionali trasferite), sembra a questa Corte che sussistano i requisiti essenziali perche' sia dichiarata l'ammissibilita' dei conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe. 3. - Entrando nel merito delle questioni, va peraltro dichiarata l'inammissibilita' di alcune censure contenute nel ricorso proposto dalla Regione Lazio: piu' precisamente, quelle relative al penultimo comma del punto 4, nonche' ai punti 6 e 7 del d.P.C.M. 8 luglio 1978. Secondo la ricorrente, le direttive contenute nei punti anzidetti prevedono contributi a carico dei concessionari degli impianti piu' remunerativi (punti 4, penultimo comma, e 6) ovvero conferiscono al Ministro dell'industria poteri relativi alla determinazione del numero massimo degli impianti nell'ambito nazionale e all'imposizione di altri limiti all'esercizio della liberta' d'impresa (punto 7, che peraltro e' stato soppresso dall'art. 5 del successivo decreto emesso sulla stessa materia nel 1982), ponendo cosi' in essere una disciplina amministrativa in violazione della riserva di legge garantita dagli artt. 23 e 41, secondo comma, della Costituzione. Tuttavia, poiche' questa Corte, con giurisprudenza costante e consolidata (cfr., ad es., sentt. nn. 72 del 1961, 18 del 1970, 157 del 1975, 191 del 1976, 152 del 1986), ha affermato che le regioni possono sollevare conflitto di attribuzione soltanto in relazione a norme dalla cui violazione consegua una lesione delle competenze ad esse costituzionalmente garantite e poiche' le disposizioni che nel caso si assumono violate non hanno alcuna incidenza sulla ripartizione di competenze fra Stato e regioni, deve concludersi che nessuna delle censure qui considerate appare sorretta da quell'interesse a ricorrere in mancanza del quale non possono esser sottoposte alla cognizione di questa Corte. 4. - Vanno, invece, respinti i ricorsi per tutti i restanti profili in base ai quali le regioni hanno sollevato conflitto di attribuzione nei presenti giudizi. 4.1. - Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana impugnano i punti 8 e 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, riconoscendo che le competenze ivi contemplate siano esercitate da organi statali, non porrebbero in essere direttive concernenti l'esercizio di funzioni delegate alle regioni, ma disporrebbero sulla spettanza delle relative funzioni, ripristinando, in un caso, la competenza statale (punto 8) e non distinguendo, nell'altro, fra le competenze riconosciute al prefetto quelle che devono intendersi delegate alle regioni (punto 9). In ambedue i casi, comunque, le disposizioni impugnate conterrebbero, secondo le ricorrenti, una revoca implicita della delegazione di funzioni effettuata con l'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977 a favore delle regioni, che, essendo compiuta con atto amministrativo, sarebbe in contrasto con l'art. 118, secondo comma, Cost., il quale prevede che le deleghe in questione siano conferite, e quindi revocate, in modo esplicito e soltanto con atto di natura legislativa (riserva di legge). Le censure prospettate dalle ricorrenti, sempreche' accompagnate dai requisiti di ammissibilita' precedentemente esposti, sarebbero fondate se fosse vera la premessa di fatto da esse posta a base delle proprie argomentazioni: che si tratti, cioe', di competenze delegate alle regioni anteriormente al decreto in cui sono contenute le disposizioni impugnate. Ma cosi' non e'. 4.1.1. - In realta', il punto 8 contiene una disposizione interpretativa dell'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, con la quale, in ordine alle incertezze manifestatesi riguardo al significato da attribuire al predetto art. 52, si precisa che "le funzioni amministrative relative agli impianti ubicati lungo le autostrade e sui raccordi con caratteristiche autostradali continuano ad essere esercitate dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, presidente dell'A.N.A.S., e sentito il Ministro delle Finanze". Questa disposizione non e' chiaramente una direttiva rivolta alle regioni perche' esercitino in un certo modo le funzioni loro delegate in materia di distributori di carburanti. Si puo' dire, tutt'al piu', che lo e' in senso improprio, in quanto indica alle regioni che le loro competenze non si estendono agli impianti ubicati lungo le autostrade e i raccordi di tipo autostradale. Ma questo fatto non concreta, certo, un illegittimo uso di un potere statale ridondante in menomazione di competenze regionali, poiche' la disposizione impugnata e' sostanzialmente corrispondente all'art. 16, secondo comma (ultimo periodo), del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, che, per la parte interessata, non e' stato assorbito e abrogato dall'art. 52, lett. a), del d.P.R. 616 del 1977, correttamente interpretato. Quest'ultimo, infatti, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative in materia di distributori di carburanti, non ha inteso ricomprendere in tale materia gli impianti situati lungo le autostrade, per il semplice fatto che le funzioni amministrative concernenti siffatti impianti coinvolgono ponderazioni di interessi che vanno compiute su scala nazionale o, comunque, su scala interregionale. Basta considerare, tanto per fare un esempio, che la distribuzione geografica di tali esercizi puo' essere adeguatamente decisa soltanto attraverso una visione globale della rete autostradale, la quale oltrepassa, ovviamente, l'ambito delle competenze regionali. Questa intepretazione trova conforto in altri elementi tendenti verso la stessa direzione. Innanzitutto, gli impianti situati lungo le autostrade erano sottratti al comune regime dei distributori di carburanti anche nella legislazione anteriore al d.P.R. n. 616 del 1977, nella quale, mentre si attribuiva ai prefetti le funzioni provvedimentali relative agli impianti comuni, si affidava invece al Ministro dell'industria quelle attinenti ai distributori ubicati lungo le autostrade, con l'evidente giustificazione della dimensione nazionale delle relative funzioni (cfr. il citato art. 16, secondo comma, d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034). Inoltre, l'art. 54 del d.P.R. n. 616 del 1977, nell'attribuire ai comuni le funzioni amministrative concernenti l'"autorizzazione" all'installazione dei distributori di carburanti nel territorio comunale, esclude espressamente dalla materia gli impianti ubicati lungo le autostrade: e cio' e' di particolare significato, dovendosi riconoscere, come ha affermato l'Avvocatura dello Stato, un sostanziale parallelismo tra le competenze di regolazione e di direttiva delle regioni e i poteri provvedimentali dei comuni nella stessa materia. 4.1.2. - Lo Stato ha correttamente esercitato un proprio potere anche quando ha disposto, al punto 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, che "gli impianti di distribuzione di carburanti utilizzati esclusivamente per autoveicoli di proprieta' della pubblica amministrazione, rimangono soggetti all'autorizzazione del prefetto", secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.P.R. 27 ottobre 1971, n. 1269. In base a un elementare canone ermeneutico le disposizioni contenute in atti sottordinati alle leggi devono esser interpretati adeguandone, per quanto possibile, il senso alle norme legislative vigenti. Questa e' la conseguenza tanto dell'assioma per il quale l'ordinamento normativo dev'esser postulato, in sede interpretativa e applicativa, come una totalita' unitaria, quanto del principio di conservazione dei valori giuridici, il quale induce a presumere che una disposizione non sia dichiarata illegittima fintantoche' sia possibile enucleare da essa almeno un significato conforme alle leggi. Su tali premesse, dal momento che l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977 delega alle regioni le funzioni amministrative sugli impianti di distribuzione dei carburanti nell'ambito dell'ordinamento regionale e dal momento che l'art. 54 dello stesso decreto attribuisce ai comuni l'"autorizzazione" all'installazione degli stessi, si deve ritenere che, quando la disposizione impugnata si riferisce ai distributori assoggettati all'autorizzazione del prefetto, in quanto utilizzati esclusivamente per autoveicoli di proprieta' della "pubblica amministrazione", intende circoscrivere quest'ultima espressione all'amministrazione statale. Solo se intepretata in tal senso, la disposizione impugnata assume un significato logico e coerente con le ricordate norme legislative, come del resto ha riconosciuto lo stesso Governo allorche' ha aggiornato le "direttive" in questione (v. art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982). Sicche', cosi' precisata, la disposizione di cui al punto 9 - non potendo esser considerata una direttiva (in senso proprio) nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni, ma piuttosto una norma regolamentare d'interpretazione avente ad oggetto competenze statali - va comunque ritenuta esercizio legittimo di un potere attribuito allo Stato. 4.2. - La Regione Toscana, con due distinti ricorsi, impugna l'intero punto 4 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 e gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982, in quanto ritiene le direttive ivi contenute troppo dettagliate e concrete, tali da eliminare ogni discrezionalita' nello svolgimento delle funzioni delegate alle regioni cui si riferiscono. Analoga censura e' prospettata dalla Regione Lazio nei confronti del punto 15 del citato decreto del 1978. 4.2.1. - Va subito detto che i vizi imputati all'art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 sono del tutto insussistenti in base agli argomenti appena svolti relativamente al punto 9 del decreto del 1978. Nel precisare, infatti, che "resta di competenza dello Stato il rilascio delle concessioni per gli impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione utilizzati esclusivamente per autoveicoli impiegati per l'esercizio delle funzioni statali", l'art. 6, con una formulazione molto piu' perspicua di quella del punto 9 del precedente decreto, contiene, con riferimento agli impianti automatici, una norma analoga a quest'ultima. Come in quel caso, pertanto, non si tratta propriamente di direttive rivolte alle regioni per l'esercizio di competenze loro delegate, ma di norma interpretativa concernente competenze statali, che, come tale, non puo' comportare lesione di attribuzioni regionali. 4.2.2. - Al contrario, vere e proprie direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle regioni sono quelle contenute nell'art. 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 e nell'art. 15 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 (salvo l'ultimo comma, che, riferendosi agli impianti ubicati sulle autostrade, e' assorbito dalle argomentazioni gia' svolte in relazione al punto 8 dello stesso decreto). Tuttavia, tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, il Governo ha esercitato il proprio potere di indirizzo restando nei limiti propri di questo. E' ben vero, infatti, che, allorche' lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non puo' spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate. Un tale comportamento, infatti avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perche', a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perche', data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita. Tuttavia i limiti appena enunciati non sono certo contraddetti ne' dal punto 15 del decreto del 1978, ne' dall'art. 7 di quello del 1982. Nel primo caso, infatti, si stabiliscono i livelli minimi degli orari di apertura dei distributori per il periodo invernale (non meno di nove ore e mezzo per ogni giorno feriale); si prevede, inoltre, la percentuale minima, in relazione al territorio regionale, degli esercizi che devono restare aperti nei giorni festivi (non meno del 25%) e durante la notte (non meno del 3%); e, infine, si dispone l'apertura ininterrotta per gli impianti self- service. Nel secondo caso, invece, si prevede che le regioni possono consentire il rilascio delle concessioni per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato all'interno di stabilimenti, cantieri e simili, purche' si tratti di serbatoi con capacita' superiori ai dieci metri cubi e si siano accertate le reali finalita' in relazione all'attivita' svolta dall'impresa e alla consistenza del relativo parco di automezzi. In tutte e due le ipotesi, insomma, l'autonomia delle regioni e' indubbiamente salvaguardata, poiche', mentre in un caso sono stabiliti alcuni criteri essenziali perche' le funzioni delegate siano svolte in modo uniforme in tutto il territorio nazionale con la garanzia di un sufficiente margine di discrezionalita' a favore delle regioni, nell'altro sono previsti alcuni requisiti minimi perche' il particolare regime ivi contemplato non dia luogo a disfunzioni o ad abusi, trattandosi di direttive rivolte, per un verso, a prevenire un'eccessiva polverizzazione degli impianti e, per un altro, a raccomandare severi controlli sulle effettive finalita' delle relative attivita'. 4.2.3. - Piu' complesso, ma sostanzialmente analogo, e' il giudizio da dare sul punto 4 del d.P.C.M. del 1978, che peraltro e' stato integralmente sostituito, con disposizioni molto piu' stringate, dall'art. 3 del successivo decreto del 1982. E' ben vero, infatti, che la maggioranza delle disposizioni ivi contenute stabiliscono criteri dotati di un basso grado di astrattezza, ma e' anche vero che in esse si trovano formulate alcune esigenze relative all'efficacia del servizio, a un'adeguata distribuzione geografica degli impianti, e cosi' via, che lasciano comunque, in sede di attuazione, un sufficiente spazio di discrezionalita' alle scelte regionali. Gli unici obblighi previsti sono quelli relativi alla necessita' di adottare un piano di razionalizzazione della rete distributiva nel territorio regionale, al dovere di predisporlo entro la data del 31 marzo 1979 e al susseguente obbligo di comunicarlo al Ministro dell'industria entro la stessa data. Ma, com'e' evidente, si tratta di comportamenti dovuti, peraltro non sanzionati, diretti a porre alcuni punti fermi essenziali relativi al modo di procedere da parte delle regioni affinche' sia assicurato un coordinamento delle politiche regionali in materia, in mancanza del quale non sarebbe neppure possibile la stessa funzione di indirizzo affidata dall'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977 al Governo. Del resto, affermare che le direttive non possono costituire una forma, ancorche' surrettizia, di esercizio diretto delle funzioni delegate, non significa certo che esse non possano prevedere doveri, come quello di predisporre un piano, ovvero termini temporali per l'adozione o la comunicazione dello stesso. Non si puo' escludere, infatti, che il carattere concreto e dettagliato o il vincolo puntuale eventualmente connessi a qualche disposizione possano riguardare singoli elementi della funzione interessata, al fine di ricondurla a parametri generali di uniformita' e di coordinamento: cio' che non e' permesso e' che la specifica funzione considerata possa essere complessivamente degradata, attraverso un uso improprio del potere di direttiva, a un'attivita' vincolata, priva di un sufficiente grado di discrezionalita'. 4.3. - La Regione Veneto impugna i punti 10 e 11 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, anziche' prevedere direttive sull'esercizio di competenze delegate, interverrebbero sul riparto di competenze fra comuni e regioni, affidando a queste ultime, con lo strumento improprio dell'atto amministrativo e pertanto in violazione della riserva di legge contenuta nell'art. 118, secondo comma, Cost., competenze che l'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, assegna ai Comuni. Piu' in particolare, il punto 10 dispone che le regioni, "per il rilascio delle autorizzazioni (...) per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato, ubicati all'interno di stabilimenti, cantieri e simili", debbono accertare le reali finalita' connesse al tipo di attivita' svolta dagli operatori. Il punto 11 stabilisce, invece, che "le regioni provvedono anche al rilascio della autorizzazione per l'installazione di impianti di distribuzione di carburanti destinati all'esclusivo rifornimento di natanti, ferme restando le facolta' spettanti alla competente autorita' marittima". Il problema che ambedue le disposizioni pongono e che ha indotto le ricorrenti a sospettarne l'illegittimita' deriva dal fatto che, mentre le statuizioni appena lette sembrano ritenere che l'autorizzazione all'installazione dei distributori di carburanti sia di spettanza delle regioni, al contrario l'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai comuni la competenza a rilasciare, sulla base delle prescrizioni del C.I.P.E. e nell'ambito di criteri generali determinati dalla regione, "l'autorizzazione" all'installazione di distributori di carburanti nel territorio comunale, ad eccezione di quelli ubicati sulle autostrade. In altri termini, poiche' le disposizioni impugnate sembrano operare una redistribuzione di competenze difforme tanto dalla norma legislativa appena menzionata, quanto dai principi di cui all'art. 118, secondo comma, Cost., se ne chiede l'annullamento. Tuttavia, di fronte a una formulazione tutt'altro che chiara, prima di accogliere eventuali censure d'illegittimita', l'interprete deve verificare, come si e' precedentemente ricordato ad altro proposito (v. supra, p. 4.1.2.), se le disposizioni impugnate possono esprimere almeno un significato non contrastante con le leggi ad esse sopraordinate e, in particolare, con l'art. 54, lett. f) del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede l'"autorizzazione" comunale per l'installazione e l'esercizio dei distributori di carburanti. Ad una considerazione sistematica dell'intero decreto appare chiaro che il Governo, nell'emanare l'atto impugnato, non ha inteso pretermettere il livello comunale con riferimento alla installazione dei distributori di carburante (garantito, per l'appunto, al n. 13 dello stesso decreto). Pertanto, le ambigue formule contenute nei punti 10 e 11, se non debbono essere interpretate in contraddizione con altre disposizioni del decreto stesso e con le leggi che ne stanno a fondamento, possono essere intese soltanto come un riconoscimento alle regioni di funzioni ulteriori in relazione al rilascio della predetta "autorizzazione", come quelle di stabilire indirizzi o criteri in ordine a tale provvedimento o, piu' in generale, alla materia dei distributori oggetto della disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate. Cosi' interpretate, le direttive formulate dal Governo nei punti contestati possono acquistare un senso che altrimenti non avrebbero, o, se lo avessero, sarebbe illegittimo: un senso che, mentre in un caso (punto 10), porta a configurarle come direttive vincolanti le regioni a prevedere severi accertamenti in relazione al rilascio della "autorizzazione" all'installazione dei distributori ad uso privato (v. anche supra p. 4.2.2), nell'altro (punto 11), invece, come indirizzi volti a esigere un coordinamento fra le competenze regionali in ordine ai distributori adibiti all'esclusivo rifornimento dei natanti e quelle conservate in materia alla competente autorita' marittima. In ambo i casi si tratta, comunque, di direttive che rientrano perfettamente nei poteri propri dello Stato nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni. 4.4. - Anche l'ultima delle questioni proposte, quella relativa al punto 13 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, comporta problemi analoghi. Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana ritengono che la disposizione impugnata, nel prevedere che l'autorizzazione prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 e' necessaria per il rilascio delle concessioni per l'installazione di nuovi distributori o di nuove attrezzature presso impianti gia' esistenti ovvero per il rinnovo delle concessioni in scadenza o per il trasferimento degli impianti su nuove ubicazioni, contrasti con il predetto art. 54 e con l'art. 118, secondo comma, Cost. per una duplice e alternativa ragione: in quanto prevede una concessione regionale in luogo di quella comunale oppure in quanto ne subordina illegittimamente il rilascio a una preventiva autorizzazione comunale. Per questi profili i ricorsi vanno rigettati poiche', anche in tal caso, la pur infelice e oscura formulazione del punto 13 puo' ricevere un'interpretazione in armonia con le norme di legge e della Costituzione rispetto alle quali si suppone il contrasto. E questa interpretazione e' quella che conferisce al punto contestato un valore essenzialmente descrittivo, nel senso che con il punto 13 non si intende affatto introdurre, per via amministrativa, nuove competenze in ordine ai provvedimenti concessori collegati all'installazione o all'esercizio degli impianti di distribuzione dei carburanti, ne' subordinare ipotetiche concessioni regionali all'autorizzazione comunale, ma si mira semplicemente a descrivere, per via interpretativa, i casi in cui va adottata l'"autorizzazione" prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Per essere piu' precisi, va ricordato che, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative sui distributori di carburante (art. 52, lett. a) e, nel contempo, nell'attribuire ai comuni il potere di rilasciare l'"autorizzazione" per l'installazione e l'esercizio dei distributori stessi (art. 54, lett. f), il d.P.R. n. 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione di competenze conforme al disegno costituzionale, affidando alle regioni la programmazione e l'indirizzo e ai comuni l'amministrazione attiva e la gestione concreta del settore. Per non apparire in contrasto con tale quadro costituzionale, il punto 13 non puo' essere interpretato come diretto a prevedere, per via amministrativa, una concessione regionale e, tantomeno, una concessione subordinata a una preventiva autorizzazione comunale (come potrebbe far pensare un'affrettata analogia con il vecchio parere comunale). Al contrario, esso puo' e deve esser intepretato come una norma svolgente una funzione esplicativa e indicativa dei casi in cui l'"autorizzazione" spettante al comune, in base al ricordato art. 54, va rilasciata. Ne', in senso contrario, puo' valere l'argomento letterale per cui il punto 13, al pari dell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, parla di "autorizzazione", ritenendola necessaria per il rilascio di una serie di concessioni (per nuove attrezzature, per il trasferimento di impianti, etc.). Come e' unanimemente riconosciuto in dottrina, il provvedimento che l'art. 54 e la disposizione ora impugnata chiamano autorizzazione e', in realta', una concessione. Di modo che, ove lo si intenda nel suo significato sostanziale, il punto 13 dice semplicemente che il provvedimento concessorio, di cui al predetto art. 54, va necessariamente adottato per tutte le susseguenti ipotesi di concessione ivi menzionate. E che quel provvedimento, come precisa ancora il richiamato art. 54, sia di spettanza del comune, non puo' certo venir contraddetto dalla pretesa inidoneita' di tale ente a valutare gli interessi sottesi alla materia, i quali non sono del tutto circoscrivibili all'ambito meramente locale. Infatti, contro questa assunzione sta, innanzitutto, il rilievo che il comune e' in ogni caso l'autorita' pubblica preposta all'adozione dei provvedimenti amministrativi di disposizione e di uso concreto del territorio; in secondo luogo sta il fatto che le concessioni comunali si iscrivono, a norma del citato art. 54, in un tessuto di interessi gia' delineato sia a livello nazionale (indicazioni del CIPE), sia a livello regionale (piano di razionalizzazione della rete di distributori, indirizzi e criteri); e, infine, non si puo' trascurare il rilievo che, anche coloro che intendono ridurre la competenza del comune a un atto interno al procedimento concessorio (che si assume, in ipotesi, di spettanza regionale), non negano che, comunque, l'espressione di una volonta' contraria del comune sia talmente decisiva da impedire il rilascio della concessione stessa. In definitiva, tanto un'interpretazione adeguatrice e sistematica della disposizione impugnata, quanto la collocazione degli interessi sottesi alla ripartizione di competenze fra regioni e comuni nella materia considerata, portano a conferire al punto 13 un senso meramente descrittivo delle ipotesi in cui appare necessario il provvedimento previsto nell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Anche se si puo' dubitare dell'efficacia di una disposizione del genere, resta il fatto che, solo se interpretato in tal modo, il punto 13 non appare lesivo delle competenze delegate alle regioni in materia di distributori di carburanti (art. 52, lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977).