ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  promossi  con  ricorsi  delle Regioni Lombardia, Lazio,
 Veneto e Toscana (n. 2 ricorsi) notificati,  rispettivamente,  il  18
 agosto,  l'8  settembre,  il  6  settembre, l'8 settembre 1978 e il 3
 marzo 1983, depositati in Cancelleria il 1›, il  18,  il  23,  il  26
 settembre  1978 e il 17 marzo 1983 ed iscritti ai nn. 24, 26, 27 e 28
 del registro ricorsi 1978 e n.  9  del  registro  ricorsi  1983,  per
 conflitti  di  attribuzione  sorti  a  seguito:  a)  del  decreto del
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  8  luglio  1978,  recante:
 "Direttive  alle  Regioni  a  statuto ordinario per l'esercizio delle
 funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti"; b)  del
 decreto  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri 31 dicembre 1982
 avente ad oggetto: "Aggiornamento  delle  direttive  alle  Regioni  a
 statuto  ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia
 di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione";
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  gli  avvocati Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia,
 Sergio Panunzio per la Regione Lazio, Giulio Cevolotto per la Regione
 Veneto,  Calogero  Narese  per  la Regione Toscana e l'Avvocato dello
 Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                            Ritenuto in fatto
    1. - Il presente giudizio per conflitto di attribuzione ha origine
 da quattro ricorsi proposti dalle Regioni Lombardia, Lazio, Veneto  e
 Toscana  avverso il d.P.C.M. 8 luglio 1978, per l'asserita violazione
 delle  competenze  amministrative   relative   ai   distributori   di
 carburanti,  garantite alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost., come
 attuati dagli artt. 52 e 54 lett. f) del d.P.R.  24  luglio  1977  n.
 616,  nonche'  da  un  ricorso  proposto  dalla  Regione  Toscana per
 l'asserita violazione delle medesime competenze in ordine al d.P.C.M.
 31 dicembre 1982 che ha modificato il decreto del 1978.
    1.1.  -  Con ricorso notificato il 18 agosto 1978 e depositato l'1
 settembre successivo, la Regione Lombardia ha sollevato conflitto  di
 attribuzione in relazione al d.P.C.M. 8 luglio 1978, pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale  10  luglio  1978,  n.  191,  avente  ad  oggetto:
 "Direttive  alle  Regioni  a  statuto ordinario per l'esercizio delle
 funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti".
    Premesso che l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha delegato alle
 regioni "le  funzioni  amministrative  relative  ai  distributori  di
 carburanti"  senza  riservare allo Stato alcuna funzione ad eccezione
 della determinazione di "indirizzi" da parte del Governo e  ricordato
 che  l'art. 54, lett. f), dello stesso d.P.R. n. 616 ha attribuito ai
 comuni "le funzioni amministrative relative all'autorizzazione, sulla
 base  delle  prescrizioni  del  C.I.P.E.  e  nell'ambito  dei criteri
 generali determinati dalla regione, all'installazione di distributori
 di  carburanti  nel  territorio  comunale,  ad  eccezione  di  quelli
 installati sulle autostrade", la ricorrente prospetta il  dubbio  che
 con  atto  puramente  amministrativo, quale il decreto impugnato, sia
 stato leso l'ambito delle competenze ad essa assegnate, sulla base di
 una  delega  di funzioni amministrative, dalle anzidette disposizioni
 di legge.
    In   via  pregiudiziale,  la  Regione  osserva  che  non  potrebbe
 escludersi la lesione della propria sfera di attribuzione sol perche'
 si  tratta  di  competenze  ad  essa  assegnate  con legge di delega,
 anziche'   con   norme   costituzionali   o,   comunque,   in    modo
 costituzionalmente imposto. A suo giudizio, infatti, una volta che la
 delega sia stata disposta, la sua revoca potrebbe  avvenire  soltanto
 con  atto di pari efficacia, e non, come nel caso, con atto di valore
 inferiore, cioe' con atto amministrativo.
    Nel  merito, la Regione Lombardia ritiene che siano invasivi delle
 proprie competenze  soprattutto  i  punti  8,  9  e  13  del  decreto
 impugnato.  Il  primo, infatti, anziche' stabilire atti di indirizzo,
 ripristinerebbe in  effetti  la  competenza  statale  sugli  impianti
 ubicati   lungo  le  autostrade  e  i  raccordi  con  caratteristiche
 autostradali. Il  punto  9,  inoltre,  nel  mantenere  la  competenza
 prefettizia sull'autorizzazione concernente i distributori utilizzati
 esclusivamente  per  autoveicoli   di   proprieta'   della   pubblica
 amministrazione,   non  distinguerebbe,  fra  questi  ultimi,  quelli
 utilizzati soltanto per autoveicoli propri di amministrazioni diverse
 da  quelle  statali,  violando  cosi' l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del
 1977. Infine, il punto 13,  nello  stabilire  che  "l'autorizzazione"
 comunale  prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977
 e'  necessaria  per  il  rilascio  delle  concessioni  regionali  per
 l'installazione e l'esercizio di nuovi impianti ovvero per il rinnovo
 delle concessioni in scadenza o per il trasferimento di  impianti  su
 nuove ubicazioni, per un verso, contrasterebbe con lo stesso art. 54,
 che  affida  ai  soli  comuni  quel  potere  "autorizzatorio"   senza
 condizionarlo  a  un  successivo  provvedimento  della regione e, per
 altro verso, prevederebbe un'irrazionale duplicazione di  competenze,
 tanto  piu'  che,  a norma dell'art. 16 della legge n. 1034 del 1970,
 l'installazione e l'esercizio dei predetti impianti sono  soggetti  a
 concessioni amministrative, non gia' ad autorizzazioni.
    1.2.  -  Con ricorso notificato l'8 settembre 1978 e depositato il
 18 successivo la Regione Lazio ha sollevato conflitto di attribuzione
 in  ordine  al  medesimo  decreto  oggetto  del ricorso del paragrafo
 precedente.
    Oltre a prospettare gli stessi profili formulati nel ricorso della
 Regione Lombardia, la Regione Lazio  lamenta  altresi'  l'illegittima
 invasione  delle  proprie  competenze ad opera dei punti 4, penultimo
 comma, 6, 7 e 15 del decreto impugnato. Ad avviso  della  ricorrente,
 mentre  l'ultimo  dei punti ricordati conterrebbe prescrizioni troppo
 dettagliate  in  materia  di   orari,   tali   da   vanificare   ogni
 discrezionalita'  delle  regioni  e dei comuni, gli altri invece, nel
 prevedere una ripartizione degli oneri  connessi  alla  gestione  del
 servizio  a  danno  dei  distributori  piu'  remunerativi  (punti  4,
 penultimo comma, e 6) e  nel  determinare  il  numero  massimo  degli
 impianti nell'ambito del territorio nazionale (punto 7), violerebbero
 la liberta' di  impresa  e  il  principio  della  riserva  di  legge,
 garantiti dagli artt. 41 e 23 della Costituzione.
    1.3.  -  Contro  lo  stesso  decreto  ha  sollevato  conflitto  di
 attribuzione anche la Regione Veneto  con  ricorso  notificato  il  6
 settembre 1978 e depositato il 23 successivo.
   Nel   lamentare   la   violazione   delle  proprie  competenze  con
 argomentazioni generali analoghe a  quelle  formulate  dalla  Regione
 Lombardia (v. supra p. 1.1), la Regione Veneto censura in particolare
 i punti 10 e 11 del decreto impugnato. Il primo, nel prevedere che le
 regioni  debbono accertare le finalita' connesse al tipo di attivita'
 svolta dagli operatori al fine del rilascio delle autorizzazioni  per
 gli impianti di distribuzione ad uso privato (stabilimenti, cantieri,
 magazzini, etc.), conferirebbe alle regioni una nuova  funzione,  che
 non  e'  dato  rinvenire  nella  legislazione  vigente.  Analogamente
 farebbe il punto 11, in violazione dell'art. 54, lett. f), del d.P.R.
 n.  616 del 1977, in quanto sembra affidare alle regioni il potere di
 rilasciare le autorizzazioni per i distributori destinati ai natanti,
 che l'articolo prima menzionato attribuisce ai comuni.
    1.4.  -  Anche  la  Regione  Toscana  ha  sollevato  conflitto  di
 attribuzione in ordine al medesimo decreto con ricorso notificato l'8
 settembre 1978 e depositato il 26 dello stesso mese.
    Con   argomenti   analoghi   a   quelli   enunciati   nei  ricorsi
 precedentemente considerati, la Regione Toscana  lamenta  l'invasione
 delle  proprie  competenze  ad  opera  dei  punti  8,  9  e  13 e, in
 connessione  con  quest'ultimo,  dei  punti  10  e  11  del   decreto
 impugnato. La stessa ricorrente, inoltre, osserva che il punto 4, nel
 prevedere l'obbligo  per  le  regioni  di  predisporre  un  piano  di
 ristrutturazione globlale della rete di distribuzione dei carburanti,
 enuncerebbe  una  disposizione  formalmente  cogente,   che   vincola
 l'autonomia  regolamentare  della regione sia con riguardo al termine
 per l'adozione e la comunicazione (31 marzo 1979), sia  con  riguardo
 al  contenuto  strutturale  (piano)  e a quello precettivo (allorche'
 fissa i contenuti "necessari" del piano) dell'atto da adottare.
    1.5.  -  Con  un  ulteriore  ricorso  notificato il 3 marzo 1983 e
 depositato il 17 dello stesso mese, la Regione Toscana  ha  sollevato
 conflitto  di  attribuzione, per l'asserita violazione delle medesime
 competenze ritenute lese con i ricorsi precedentemente riassunti,  in
 ordine  al  d.P.C.M.  31  dicembre  1982,  pubblicato  nella Gazzetta
 Ufficiale n. 1 del 3 gennaio 1983 e intitolato  "Aggiornamento  delle
 direttive  alle  Regioni  a  statuto  ordinario per l'esercizio delle
 funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti  per  uso
 di autotrazione".
    Nel  richiedere  che sia riconosciuta la propria competenza e che,
 di conseguenza, sia parzialmente annullato il decreto appena  citato,
 la ricorrente prospetta l'illegittimita' derivata dell'atto impugnato
 nelle parti in cui richiama e conferma le disposizioni oggetto  della
 precedente  impugnativa  della stessa Regione (v. p. 1.4). In secondo
 luogo, la ricorrente impugna gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M.  del  1982,
 ritenendoli violativi degli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli
 artt. 52 e 54, lett. f), del d.P.R.  n.  616  del  1977.  Con  questi
 ultimi  articoli  contrasterebbe,  a  suo  avviso, l'art. 6 dell'atto
 impugnato, che ha sostituito il punto 9 del  precedente  decreto,  in
 quanto  affida  alla  competenza  statale funzioni attive e concrete,
 come quelle  concernenti  "il  rilascio  delle  concessioni  per  gli
 impianti  di  distribuzione  automatica  di  carburanti  per  uso  di
 autotrazione, utilizzati esclusivamente per autoveicoli impiegati per
 l'esercizio  di  funzioni  statali". Anche l'art. 7 del provvedimento
 impugnato, che  ha  sostituito  l'art.  10  del  precedente  decreto,
 lederebbe   le   funzioni  delegate  alle  regioni,  in  quanto,  nel
 condizionare il rilascio  delle  concessioni  per  l'installazione  e
 l'esercizio dei distributori ad uso privato all'esistenza di serbatoi
 dei distributori stessi aventi una capacita' minima di metri cubi 10,
 porrebbe una norma dettagliata e concreta, non gia' una direttiva.
    2.   -   Contro   tutti   i  ricorsi  qui  riassunti  ha  prodotto
 controdeduzioni   la   Presidenza   del   Consiglio   dei   Ministri,
 costituitasi  in  giudizio,  a  mezzo  dell'Avvocatura Generale dello
 Stato, in tutti e cinque i conflitti prima ricordati.
    2.1.  -  Con  atto  di  costituzione  del  7  settembre  1978,  il
 Presidente del Consiglio contesta tutte le  censure  sollevate  dalla
 Regione Lombardia nel ricorso di cui al punto 1.1.
    Dopo aver ricordato che le funzioni della cui spettanza si dibatte
 nel presente giudizio sono state delegate  alle  regioni  sulla  base
 dell'esigenza  di  consentire  ad  esse  l'organico  esercizio  delle
 funzioni relative alla materia "fiere e mercati" e dopo aver rilevato
 che  esiste  un  parallelismo  tra  trasferimenti  e  delegazioni  di
 funzioni amministrative alle regioni ex artt. 51 e 52 del d.P.R.  616
 del  1977,  da  un  lato,  e  attribuzione ai comuni delle competenze
 elencate nell'art. 54 dello stesso decreto, dall'altro,  l'Avvocatura
 osserva  che  le  funzioni  disciplinate  nei  punti  8 e 9 dell'atto
 impugnato non rientrerebbero nelle attivita' commerciali  legate  con
 un  rapporto  organico alla materia "fiere e mercati". Tali, infatti,
 non si possono considerare le attivita'  concernenti  i  distributori
 installati  lungo  le  autostrade  (punto  8),  gia'  soggette  a una
 disciplina differenziata (art. 16 d.l.  n.  745  del  1970)  comunque
 riservata  allo Stato, ne' quelle concernenti gli impianti utilizzati
 per  gli  autoveicoli  della  pubblica  amministrazione  (punto   9),
 anch'esse  sottoposte  a  disciplina  differenziata (art. 50, r.d. n.
 1303 del 1934 e art. 21 del d.P.R. 27 ottobre 1971, n. 1269).
   Ne',  sempre  secondo  l'Avvocatura,  possono  ritenersi fondate le
 censure  mosse  contro  il  punto  13  del  decreto   impugnato.   In
 particolare,   in   questo   articolo   non   si  rinverrebbe  alcuna
 duplicazione di  competenze  tra  regioni  e  comuni,  poiche'  dalla
 pregressa  legislazione  si  ricaverebbe  che altro e' la concessione
 all'installazione e all'esercizio  degli  impianti  di  distribuzione
 (art. 16, d.l. n. 745 del 1970) e altro e' l'autorizzazione alla sola
 installazione (art. 30 r.d. 20 luglio 1934, n. 1303,  nonche'  r.d.l.
 n.  2174  del  1926).  L'art.  54  del d.P.R. n. 616 del 1977 avrebbe
 utilizzato il termine "autorizzazione" per attribuire  nuovamente  ai
 comuni  quella  competenza  gia'  spettante  ad  essi  in  forza  del
 menzionato art. 30, r.d. n. 1303 del 1934, e poi sottratta con l'art.
 16, d.l. n. 745 del 1970 e l'art. 45 n. 7, l. n. 426 del 1971. L'atto
 impugnato, pertanto, avrebbe correttamente interpretato gli artt. 52,
 lett.  a),  e  54,  lett.  f),  del  d.P.R.  n.  616  del  1977,  che
 distinguerebbero,   appunto,    l'autorizzazione    comunale    dalla
 concessione regionale.
    2.2.  -  Nel  costituirsi,  il  25  settembre  1978,  nel giudizio
 promosso dalla Regione Lazio, l'Avvocatura dello Stato, ribaditi  gli
 argomenti  contenuti nella memoria depositata nel precedente giudizio
 in relazione ai punti 8, 9 e 13, deduce  altresi'  l'inammissibilita'
 dei  profili attinenti ai punti 4, 6 e 7 del decreto impugnato, sulla
 premessa  che  mancherebbe  l'interesse  della  Regione  a  sollevare
 censure   diverse   da   quelle  desumibili  dalla  violazione  delle
 disposizioni contenute nel titolo V, parte II, della Costituzione. In
 ogni  caso,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  si  tratterebbe di censure
 infondate, poiche', mentre i punti 4 e 6 non avrebbero  alcuna  forza
 vincolante, ma sarebbero solo previsioni di piano, nello stesso tempo
 il  punto  7  non  conterrebbe  limiti  alla  liberta'  d'impresa  in
 violazione  del  principio  della  riserva  di  legge,  ma attuerebbe
 semplicemente una disposizione (quella relativa alla riserva  all'ENI
 del  40% degli impianti) gia' contenuta nell'art. 16, d.l. n. 745 del
 1970 e nel d.P.R. n. 554 del 1967.
    Quanto  alla  pretesa  illegittimita'  del  punto 15, l'Avvocatura
 osserva che la determinazione di un  limite  minimo  in  ordine  alla
 fissazione  degli  orari  di  apertura e di chiusura dei distributori
 rientra nei poteri di indirizzo riservati allo Stato dall'art. 52 del
 d.P.R. n. 616 del 1977.
    2.3.  -  Costituitasi  il  26 settembre 1978 nel giudizio promosso
 dalla Regione Veneto, l'Avvocatura  dello  Stato,  sulla  base  delle
 premesse  generali  svolte  in  relazione  al  ricorso  della Regione
 Lombardia (v. supra  2.1),  osserva  che  il  punto  10  del  decreto
 impugnato  contiene  indirizzi  indubbiamente legittimi, in quanto la
 disciplina degli impianti adibiti  ad  uso  privato  non  puo'  esser
 considerata  priva  di  collegamento con la struttura e le dimensioni
 della rete di distribuzione ad uso pubblico. Sul punto  11,  poi,  la
 resistente  osserva che le disposizioni ivi contenute mirano soltanto
 a chiarire che la  delega  concessa  alle  regioni  si  estende  agli
 impianti destinati all'esclusivo rifornimento dei natanti.
    2.4.  -  Il  26  settembre  1978  l'Avvocatura  dello  Stato si e'
 costituita anche nel giudizio promosso dalla Regione Toscana con  una
 memoria  nella  quale,  dopo  aver  richiamato  le  premesse generali
 formulate in ordine al ricorso  della  Regione  Lombardia  (v.  supra
 2.1),  e  dopo aver ripreso, in relazione ai punti 8, 9, 10, 11 e 13,
 gli stessi argomenti addotti per  respingere  i  ricorsi  precedenti,
 contesta  l'affermazione  della  ricorrente  sul punto 4, e cioe' che
 quest'ultimo imporrebbe obblighi di  facere  alle  regioni,  anziche'
 stabilire  direttive. Secondo l'Avvocatura, il punto 4 si limiterebbe
 a prevedere in capo alle regioni obblighi gia'  imposti  ai  prefetti
 entro  lo stesso termine (31 marzo 1979) di cui la ricorrente lamenta
 l'insufficienza.
    2.5.  -  Con atto di deduzioni del 14 marzo 1983 il Presidente del
 Consiglio dei Ministri si e' costituito anche nel  giudizio  promosso
 dalla  Regione  Toscana in relazione al d.P.C.M. del 31 dicembre 1982
 (v. supra p. 1.5).
    Oltre  a richiamare gli argomenti gia' esposti, tanto in relazione
 alle eventuali illegittimita' contenute nelle disposizioni ripetitive
 del  precedente  decreto,  quanto in relazione all'art. 6 del decreto
 del 1982, che riformula con  modifiche  il  punto  9  del  precedente
 decreto  (v. supra 2.1), l'Avvocatura osserva, in ordine alla censura
 relativa all'art. 7, che la  determinazione  del  limite  massimo  di
 capacita' dei serbatoi degli impianti di distribuzione ad uso privato
 e' giustificata dall'esigenza di evitare un'eccessiva polverizzazione
 degli impianti stessi.
    3.  - In prossimita' dell'udienza, sia la Regione Lombardia sia la
 Regione Toscana  hanno  presentato  memorie,  dirette  soprattutto  a
 esporre gli argomenti a sostegno dell'ammissibilita' dei conflitti di
 attribuzione fra Stato e regioni in relazione alle funzioni  delegate
 dedotte nei presenti giudizi.
    3.1.   -   Nell'invitare  la  Corte  a  riconsiderare  il  proprio
 orientamento  in  materia  di   ammissibilita'   dei   conflitti   di
 attribuzione   sollevati   in  relazione  a  funzioni  amministrative
 delegate alle regioni, la Lombardia precisa nella propria memoria che
 tale  riconsiderazione dovrebbe riguardare soltanto fattispecie, come
 quella in esame, nelle quali lo Stato, dopo aver delegato  con  legge
 determinate   funzioni,   pretende   di   riappropriarsene   con   un
 provvedimento amministrativo. A sostegno della propria  posizione  la
 Regione adduce fondamentalmente tre motivi:
      a)  quando,  come  nel caso, con provvedimento amministrativo lo
 Stato produca diminuzioni o incisioni  su  competenze  delegate  alle
 regioni   con   una   propria   legge  o,  addirittura,  le  revochi,
 risulterebbe violata la riserva  di  legge  prevista  dall'art.  118,
 secondo  comma,  Cost., la quale, non solo conterrebbe un criterio di
 ripartizione delle competenze e una garanzia delle funzioni  affidate
 alle regioni, ma costituirebbe anche (come affermato nelle sentt. nn.
 151 del 1982 e 244 del 1985 di questa Corte) un valido parametro  per
 la  delimitazione  delle competenze costituzionalmente assegnate alle
 regioni;
      b)  dopo  che  la giurisprudenza costituzionale ha costantemente
 affermato l'idoneita' dei decreti di trasferimento e, in particolare,
 del  d.P.R.  n.  616  del  1977  a  definire le materie di competenza
 regionale e a fungere da autonomo parametro di costituzionalita'  (v.
 ad  es. sentt. nn. 174 del 1981, 223 del 1984), diverrebbe difficile,
 se non impossibile, enucleare in modo netto  dalle  competenze  cosi'
 definite  quelle che occorrerebbe considerare come costituzionalmente
 non garantite;
      c)  l'autonomia costituzionale delle regioni sarebbe determinata
 anche dall'art. 118, secondo comma, Cost., il quale, in  collegamento
 con  l'art.  5  Cost.,  non  si  limiterebbe  a  prevedere  una  mera
 eventualita' di delega, ma, posto che la legge n. 382 del 1975  e  il
 d.P.R.  n.  616  del  1977  hanno  dato  attuazione  ad  uno dei modi
 possibili di intendere  il  sistema  costituzionale  delle  autonomie
 locali  attraverso  la  determinazione delle competenze regionali per
 settori organici, costituiti sia dalle  funzioni  trasferite  che  da
 quelle  delegate,  l'illegittima  invasione delle competenze delegate
 finirebbe,  in  questo  quadro,   con   l'incidere   complessivamente
 sull'autonomia  costituzionalmente  garantita alle regioni e, quindi,
 anche sulle funzioni trasferite.
    3.2.  -  Anche  la Regione Toscana, nella propria memoria, osserva
 che  la  giurisprudenza  costituzionale   sull'inammissibilita'   dei
 conflitti  di  attribuzione  in  relazione a competenze delegate alle
 regioni non sarebbe invocabile quando, come nel caso  di  specie,  la
 violazione  delle  norme  di  legge  che  abbiano conferito la delega
 comporti, mediatamente, un contrasto con disposizioni costituzionali,
 di cui quelle norme di legge devono considerarsi attuazione.
    Ad  avviso  della ricorrente, la tradizionale configurazione della
 delega di funzioni amministrative alle regioni come un ampliamento di
 competenze  esulante  dalla sfera delle competenze regionali in senso
 proprio,  e  pertanto  non   in   grado   di   definire   l'automomia
 costituzionale  delle  regioni,  sarebbe,  almeno  in parte, superata
 dall'art. 1, lett. c), della legge n. 382 del 1975, secondo il  quale
 il  Governo  provvede  "a  delegare,  a  norma dell'art. 118, secondo
 comma, della Costituzione, le funzioni amministrative necessarie  per
 rendere  possibile  l'esercizio organico da parte delle regioni delle
 funzioni trasferite (...)". In altre parole, secondo  la  ricorrente,
 vi  sarebbero  funzioni,  che,  pur  delegate alle regioni, sarebbero
 necessariamente collegabili o riconducibili alle funzioni proprie, in
 quanto  la  delega  e'  stata  ritenuta  indispensabile  proprio  per
 consentire alle regioni stesse il pieno esercizio delle funzioni loro
 trasferite.
    Nel   caso   di   specie,  poiche'  il  legislatore  delegato,  in
 conformita' con la norma appena citata della legge n. 382  del  1975,
 avrebbe ritenuto che le regioni non possano esercitare a pieno titolo
 le loro competenze in  materia  di  "fiere  e  mercati"  senza  esser
 titolari,   in  base  a  una  delega,  delle  funzioni  afferenti  ai
 distributori  dei  carburanti  (rientranti  nella  sub-materia  delle
 attivita'  commerciali),  la  lesione  delle  competenze  relative  a
 quest'ultima materia si tradurrebbe, ad avviso della Regione, in  una
 violazione  degli artt. 117 e 118 Cost., se pure per il tramite della
 legge n. 382 del 1975 e del d.P.R. n. 616 del 1977.
    4. - Nel corso dell'udienza pubblica, mentre le ricorrenti si sono
 richiamate agli stessi argomenti esposti nelle memorie,  l'Avvocatura
 dello   Stato   si   e'   soffermata   in  particolare  sul  problema
 dell'ammissibilita' dei conflitti di attribuzione relativi a funzioni
 regionali delegate.
    Nel    prender    atto    della    giurisprudenza   costituzionale
 sull'inammissibilita'  di  tali  conflitti,  senza  peraltro  volerla
 giudicare  nel  merito,  l'Avvocatura  osserva  che l'art. 134 Cost.,
 nell'affermare la competenza della Corte costituzionale  a  giudicare
 dei  conflitti  di  attribuzione  fra  Stato e regioni, non distingue
 circa  la  natura  della  legge  (costituzionale  od  ordinaria)  che
 conferisce   l'attribuzione   contesa.   In   base  alla  lettera  di
 quest'articolo, non si potrebbe operare una differenza di trattamento
 fra  i  conflitti  relativi  alle funzioni contemplate nell'art. 118,
 primo comma, Cost. (competenze trasferite) e  quelli  concernenti  le
 funzioni conferite alle regioni in base al secondo comma dello stesso
 articolo (competenze delegate). La distinzione, semmai, ha il proprio
 fondamento nell'art. 39 della legge n. 87 del 1953.
    Tuttavia,  continua  l'Avvocatura,  se  si  dovesse  escludere  la
 competenza della Corte costituzionale a giudicare  dei  conflitti  di
 attribuzione  relativi  alle  funzioni  delegate alle regioni ex art.
 118,  secondo  comma,   Cost.,   risulterebbe   del   tutto   incerta
 l'individuazione  nel  nostro  ordinamento  del  giudice competente a
 giudicare  dei  medesimi  conflitti,  non  potendosi  condividere  la
 posizione  del  giudice amministrativo quando ha affermato la propria
 competenza su di essi  nell'ambito  della  propria  giurisdizione  di
 legittimita'.  Tale  posizione - oltre a dimenticare che nel caso non
 si  fa  questione  su  interessi  legittimi   (cioe'   su   interessi
 indirettamente  protetti  dalla legge), ma su competenze direttamente
 conferite dalla legge porterebbe, infatti, all'assurdo  risultato  di
 declassare il conflitto di attribuzione, di cui all'art. 134 Cost., a
 strumento rafforzativo e cumulativo, anziche'  alternativo,  rispetto
 alla tutela offerta dal giudice amministrativo.
    Poiche'  una  posizione  del  genere, oltre a essere fonte di ovvi
 inconvenienti pratici, contrasta  con  l'art.  134  Cost.,  il  quale
 configura  il  conflitto  di attribuzione fra Stato e regioni fra gli
 oggetti  esclusivi  del  giudizio  della  Corte  costituzionale,   se
 quest'ultima dovesse affermare la propria competenza sui conflitti in
 questione,  dovrebbe  farlo,  secondo   l'Avvocatura   dello   Stato,
 affermando altresi' l'esclusivita' di questa sua competenza.
                         Considerato in diritto
    1. - I giudizi per conflitto di attribuzione promossi con i cinque
 ricorsi elencati in epigrafe e riferiti nella parte  in  fatto  vanno
 riuniti per essere decisi con unica sentenza, in quanto riguardano lo
 stesso atto e, in un caso, un provvedimento analogo e connesso con il
 precedente.
    2.  - Prima di ogni altra, va esaminata la questione pregiudiziale
 se i conflitti di attribuzione sollevati con  i  ricorsi  di  cui  in
 epigrafe,  i  quali attengono a funzioni amministrative delegate alle
 regioni  a  norma  dell'art.  118,  secondo   comma,   Cost.,   siano
 ammissibili.
    Con  riferimento  al  caso  di  specie, la questione va risolta in
 senso positivo.
    2.1.   -   Quello  della  delega  amministrativa  e'  un  fenomeno
 estremamente vario e complesso, per il  quale  non  sembra  possibile
 fornire  soluzioni  interpretative generali valide per ciascuna delle
 ipotesi che  il  diritto  positivo  disciplina  come  delegazione  di
 funzioni amministrative.
    E'  sufficiente  considerare a tal fine che ipotesi di delegazione
 intervengono tanto nell'ambito di rapporti  interorganici  quanto  in
 quello di rapporti intersubiettivi e, in quest'ultimo caso, tanto fra
 soggetti dotati di autonomia costituzionale quanto fra  soggetti  che
 non lo sono. Inoltre, oggetto di delegazione e' talora la titolarita'
 di funzioni o, addirittura, di attribuzioni (cioe' di un complesso di
 funzioni  unitariamente  considerato),  talaltra il mero esercizio di
 determinate funzioni o il compimento di determinati atti o attivita'.
 La  delega, poi, puo' essere frutto di una libera scelta del titolare
 di determinate  funzioni  ovvero  puo'  dipendere  dal  ricorrere  di
 condizioni   obiettive   discrezionalmente  valutabili  dallo  stesso
 soggetto o, ancora, puo' esser configurata come un atto necessario  o
 dovuto da parte del titolare per l'esercizio di determinate funzioni.
    Ne'  quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini
 della caratterizzazione giuridica della  delegazione  amministrativa.
 Nel  diritto positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano
 trasferimento di uffici (mezzi e personale)  e  deleghe  che  non  lo
 comportano,  ve  ne  sono  alcune  conferibili  (o  revocabili)  solo
 esplicitamente e altre anche implicitamente, alcune che prevedono  in
 capo  al  delegante  un potere di supremazia (se pure impropria) o di
 direttiva e altre che non lo prevedono,  alcune  che  autorizzano  il
 delegante  ad  adottare istruzioni vincolanti ed altre sulla cui base
 possono essere  adottate  istruzioni  aventi  un'efficacia  meramente
 direttiva, alcune che conservano al delegante un potere di intervento
 "concorrente" sulla materia delegata e altre che lo escludono, alcune
 su  oggetti  determinati e altre su oggetti generici o indeterminati,
 alcune a tempo prestabilito e altre a tempo indeterminato.
    Si  tratta,  come  appare  evidente,  di  alternative  in grado di
 caratterizzare il fenomeno della delega  amministrativa  in  modo  di
 volta in volta diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo
 attualmente  vigente,  e'  molto  difficile,  se   non   impossibile,
 razionalizzare secondo tipologie omogenee.
    Le alternative ricordate, infatti, non coincidono per nulla con la
 distinzione tra deleghe interorganiche e deleghe intersoggettive,  ma
 si  rinvengono,  nella  loro  totalita',  tanto  all'interno dell'una
 ipotesi quanto all'interno dell'altra. Alcune di loro anzi  -  e  non
 certo quelle di importanza secondaria ai fini della caratterizzazione
 giuridica del fenomeno - si rinvengono  persino  nell'ambito  di  uno
 stesso  atto legislativo, come nel caso qui considerato del d.P.R. n.
 616 del 1977. Di modo che si impone  comunque  l'esigenza  logica  di
 procedere  a  un  esame  caso  per  caso  allo  scopo  di  enucleare,
 attraverso un'analisi empirica, i caratteri propri della  particolare
 fattispecie  di  delegazione  amministrativa dedotta in giudizio e di
 verificare, quindi, se i poteri oggetto della delega stessa vadano ad
 integrare, o meno, la sfera di autonomia costituzionalmente garantita
 alle regioni.
    2.2.   -   Il   problema   dell'ammissibilita'  dei  conflitti  di
 attribuzione fra Stato e regioni vertenti  su  funzioni  delegate  e'
 gia' pervenuto alla cognizione di questa Corte. In un primo caso, che
 riguardava la  delega  alle  regioni  dell'esercizio  delle  funzioni
 amministrative  in  ordine  alle opere di ricostruzione nei territori
 colpiti  da  calamita'  naturali,  le  quali  erano  residuate   alla
 competenza  statale  dopo il trasferimento delle attribuzioni proprie
 degli uffici del genio civile e dei  provveditorati  regionali  (art.
 13,   d.P.R.   15  gennaio  1972,  n.  8),  la  Corte  ha  dichiarato
 l'inammissibilita' del conflitto. A base di  questa  decisione  stava
 l'argomento  che,  poiche'  si  trattava  di  una delega che lo Stato
 poteva conferire, o non, alle regioni (c.d. delega libera),  non  era
 minimamente possibile configurare tanto le norme che concretamente la
 prevedevano, quanto  le  competenze  che  da  essa  derivavano,  come
 dirette   a   integrare  la  sfera  di  autonomia  costituzionalmente
 garantita alle regioni, la  cui  lesione  soltanto  legittima  queste
 ultime a tutelarsi mediante lo strumento processuale del conflitto di
 attribuzione, previsto dall'art. 134 Cost. (sent. n.  97 del 1977).
    In  una serie di casi successivi, vertenti tutti sulla particolare
 disciplina prevista dalla delega di funzioni in materia di  paesaggio
 (art.  82,  d.P.R. n. 616 del 1977), la Corte e' giunta alla medesima
 conclusione (sentt. nn. 359 del 1985, 152 e 153 del 1986).  Tuttavia,
 in  queste  pronunzie,  pur riaffermando il principio precedentemente
 enunciato, la Corte ha posto a base delle sue decisioni  una  massima
 differente,  la  quale  si  confaceva  alla diversa ipotesi di delega
 dedotta nei giudizi in questione. Per  riprendere  le  stesse  parole
 allora   usate,   si   e'   affermato,  piu'  precisamente,  "che  le
 attribuzioni soltanto delegate alla Regione non  sono,  in  linea  di
 principio,  defendibili  col  rimedio  del  conflitto di attribuzione
 (sent. n. 97 del 1977),  e  che,  in  particolare,  non  lo  sono  le
 attribuzioni  devolute  alla  Regione con l'art. 82 del d.P.R. n. 616
 del 1977, in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato  di
 poteri  concorrenti"  (sentt.  nn.  152  e 153 del 1986, nonche' gia'
 prima n. 359 del 1985). E, a chiarimento della stessa massima, si  e'
 aggiunto  subito  dopo  che  "la  previsione di questi ultimi (poteri
 concorrenti), a fini di estensione e di effettivita' della tutela del
 paesaggio,   esclude   infatti   la   garanzia  costituzionale  delle
 competenze delegate" (v. spec. sent. n. 152 del 1986,  che  cita  sul
 punto la sent. n. 359 del 1985).
    In  altri  termini,  nel  primo  caso  la  Corte ha escluso che le
 competenze delegate  rientrassero  nell'autonomia  costituzionalmente
 garantita  alle  regioni,  in  quanto  la  loro assegnazione a queste
 ultime, dipendendo da una libera scelta del legislatore statale (che,
 nel  caso  del  d.P.R.  n.  8  del  1972,  era  giustificata soltanto
 dall'opportunita' di non conservare allo Stato le funzioni  residuali
 svolte  da  uffici  periferici  trasferiti  alle regioni), mancava di
 qualsiasi aggancio logico con le norme costituzionali concernenti  la
 ripartizione  di  competenze  fra  Stato e regioni. Negli altri casi,
 invece, trovandosi di fronte a una disciplina che, come questa  Corte
 ha  ribadito  anche in una recente pronunzia (sent. n. 302 del 1988),
 prevede sulla medesima materia la compresenza di poteri  regionali  e
 di  poteri  statali  aventi  lo  stesso contenuto e oggetto (pur se i
 secondi previsti in posizione di supremazia,  a  estrema  difesa  del
 vincolo  paesaggistico),  la  Corte  ha  dedotto  da  cio'  che,  non
 essendosi lo Stato privato della  piena  titolarita'  della  relativa
 funzione,  i  poteri  delegati  attenessero  al  mero esercizio della
 funzione stessa (come, del resto, in altri casi precedenti: v. sentt.
 nn.  39  del  1957,  11  del 1959, 36 del 1960, 40 del 1972) o, se si
 preferisce, allo svolgimento di attivita' rispetto alle quali non era
 stata nel contempo negata la competenza dello Stato, e che, pertanto,
 non potevano  integrare  in  alcun  modo  la  sfera  di  attribuzioni
 costituzionalmente assegnata alle regioni.
    2.3.  -  Il  caso  oggetto  dei  presenti  giudizi,  relativo alla
 delegazione alle regioni delle funzioni amministrative concernenti  i
 distributori  di  carburante  (art.  52,  lett.  a, d.P.R. n. 616 del
 1977), attiene a un'ipotesi di delega diversa dalle precedenti.
    Innanzitutto,  si  tratta  di una delegazione mediante la quale la
 titolarita' di una determinata funzione viene (temporaneamente) tolta
 dalla  sfera  di  competenza  dello  Stato e assegnata nel contempo a
 quella regionale, con la conservazione in  capo  al  primo  del  solo
 potere  di  indirizzo.  Si  tratta, in altre parole, di quella che in
 dottrina e' chiamata "delega devolutiva o traslativa", la quale, come
 e'  noto,  costituisce  l'ipotesi  di  delegazione  piu'  prossima al
 trasferimento di funzioni,  in  quanto  in  essa  l'accrescimento  di
 competenza   del   delegato   e'  consequenziale  a  una  correlativa
 diminuzione della stessa nel soggetto delegante.
    Tuttavia, la circostanza che la funzione delegata di cui si tratta
 sia entrata a far parte del patrimonio di competenze delle regioni, a
 seguito  dell'art.  52  del d.P.R. n. 616 del 1977, e' una condizione
 necessaria, ma non  sufficiente,  perche'  i  conflitti  oggetto  dei
 presenti  giudizi  siano  ritenuti  ammissibili. Infatti, come questa
 Corte ha costantemente ribadito (cfr.,  ad  es.,  sentt.  nn.111  del
 1976,  97  del  1977, 359 del 1985, 152 e 153 del 1986), appartengono
 alla competenza del  giudice  costituzionale,  e  soltanto  ad  essa,
 unicamente  quei  conflitti  nei  quali  si  controverte  di  lesioni
 prodotte sulla sfera di  competenze  dello  Stato  o  delle  regioni,
 sempreche' tale sfera risulti costituzionalmente garantita. E perche'
 questa garanzia ricorra nel  caso  delle  funzioni  delegate  non  e'
 sufficiente,  pur se e' ovviamente necessario, che l'atto legislativo
 contenente la delega medesima (nel caso il d.P.R. n.  616  del  1977)
 sia  da considerare, secondo la consolidata e costante giurisprudenza
 costituzionale (cfr., ad es., sentt. nn.  223  del  1984  e  217  del
 1985),  come  esecutivo  o  integrativo  di  disposizioni formalmente
 costituzionali, per il fatto che, nell'ipotesi di funzioni  delegate,
 l'astratta  idoneita'  della  norma  che  le  dispone  a  fungere  da
 parametro dei giudizi sui conflitti potrebbe esser  neutralizzata  in
 concreto,  come  ha  gia'  riconosciuto questa Corte (sent. n. 97 del
 1977), dal carattere  puramente  volontario  o  possibilistico  della
 delega stessa (c.d. delega libera).
    Perche'  le  funzioni  delegate  possano  esser  considerate parte
 integrante della sfera  di  competenze  costituzionalmente  garantita
 alle regioni c'e' bisogno di un ulteriore e decisivo elemento: che le
 competenze delegate, per il modo in cui sono disciplinate  e  per  il
 fine in vista del quale sono conferite, costituiscano un'integrazione
 necessaria delle competenze "proprie", di modo che la  lesione  delle
 prime comporti anche una menomazione delle seconde.
    2.4.  -  Nell'interpretare il sistema costituzionale relativo alla
 ripartizione delle competenze fra Stato e regioni e nel dare ad  esso
 attuazione  positiva,  il  legislatore, attraverso la legge 22 luglio
 1975 n. 382 e il d.P.R. 24 luglio  1977  n.  616,  ha  previsto,  tra
 l'altro,  un  particolare  tipo  di  delega  amministrativa,  diretto
 essenzialmente  a  un  duplice  scopo:  innanzitutto,  costituire  un
 modello   organizzatorio  dei  rapporti  fra  Stato  e  regioni  piu'
 flessibile delle altre forme di separazione di competenze e  tale  da
 permettere  indirizzi  statali  in  grado  di assicurare una maggiore
 uniformita' su tutto il territorio nazionale,  nonche'  una  maggiore
 unitarieta'  tra  momento  direttivo  e momento attuativo; in secondo
 luogo, istituire uno strumento di ricomposizione delle competenze  in
 capo  alle regioni in grado di garantire loro un "esercizio organico"
 delle funzioni trasferite.
    Sotto  quest'ultimo  profilo,  sulla  base  di un preciso criterio
 dettato dalla legge n. 382 del 1975 (art. 1, lett. c), il  d.P.R.  n.
 616  del  1977,  nell'ambito  di una disciplina diretta ad assicurare
 alle  regioni  un'amministrazione  per  programmi,  ha  provveduto  a
 delegare  alle  stesse le funzioni amministrative ritenute necessarie
 per rendere loro possibile l'"esercizio  organico"  delle  competenze
 trasferite.  Si  e' stabilita, cosi', una saldatura funzionale fra le
 competenze delegate e quelle trasferite,  che,  sebbene  smentita  in
 alcune  delle  fattispecie previste (come il ricordato art. 82 o, per
 fare altri esempi, gli artt. 77, lett. b), e 111 secondo comma), puo'
 tuttavia   ritenersi  affermata  per  la  maggioranza  delle  deleghe
 conferite alle regioni con il d.P.R. n. 616 del 1977.  Di  modo  che,
 ove tale legame non risulti contraddetto dalla particolare disciplina
 positiva prevista per ogni singola delega,  si  deve  concludere  che
 l'eventuale  limitazione  o  invasione delle competenze delegate alle
 regioni finisca per impedire o contraddire quell'esercizio "organico"
 che  si  e'  voluto garantire alle funzioni "proprie" delle regioni e
 menomarne cosi' la consistenza costituzionale,  come  interpretata  e
 attuata dalla legge n. 382 del 1975 e dal d.P.R. n. 616 del 1977.
    Del  resto,  e' essenzialmente con riguardo a questa loro funzione
 di completamento organico delle materie trasferite alle  regioni  che
 si  giustifica  la  relativa  stabilita'  assicurata alle deleghe qui
 considerate, stabilita' che, oltre a ricavarsi dal loro carattere  di
 deleghe  a tempo indeterminato, puo' agevolmente dedursi da una serie
 di elementi della loro disciplina positiva. Innanzitutto, dal  potere
 riconosciuto  alle regioni di adottare nelle materie sulle quali sono
 state   conferite   funzioni   delegate   non   solo    provvedimenti
 amministrativi,  ma  anche  "norme legislative di organizzazione e di
 spesa", nonche' "norme  di  attuazione  ai  sensi  dell'ultimo  comma
 dell'art. 117 della Costituzione" (art. 7, primo comma, d.P.R. n. 616
 del 1977). In secondo luogo, dal fatto che, con il conferimento delle
 funzioni  delegate,  sono  contestualmente  trasferiti gli uffici, il
 personale e i  beni  strumentali  necessari  allo  svolgimento  delle
 medesime  funzioni  (art.  1, lett. c), l. n. 382 del 1975). In terzo
 luogo, dalla possibilita' conferita alle regioni di subdelegare,  con
 proprie  leggi,  ai  comuni  e  agli  altri  enti  locali le funzioni
 derivanti dalla delega statale e di stabilire  i  relativi  indirizzi
 (art.  7,  secondo  comma,  d.P.R.  n.  616  del  1977).  Infine, dal
 carattere non derogatorio dell'ordine delle  competenze  generalmente
 riconosciuto  alle  funzioni  delegate  (d.P.R.  n. 616 del 1977), il
 quale evidenzia la prevalente natura devolutiva o traslativa  propria
 delle  deleghe  qui considerate: in una parola, la loro preponderante
 finalizzazione all'"organico" esercizio delle competenze  trasferite.
    2.5.  -  La  delega  di  funzioni  amministrative  in  materia  di
 distributori di carburanti, prevista  dall'art.  52,  lett.  a),  del
 d.P.R. n. 616 del 1977, si iscrive perfettamente nei caratteri propri
 delle  deleghe  volte  al  completamento  organico  delle  competenze
 trasferite,  che  si  sono  appena  ricordati. Si tratta, infatti, di
 funzioni conferite alle regioni nell'ambito di  una  competenza  piu'
 generale, relativa a un complesso di attivita' commerciali, che, come
 riconoscono  tutte  le  parti   dei   presenti   giudizi,   integrano
 sostanzialmente  la materia "fiere e mercati" attribuita alle regioni
 dall'art. 117 della Costituzione.
    Inoltre,  poiche'  il  suddetto  art.  52 non prevede che lo Stato
 possa esercitare in materia "poteri concorrenti" o altri  poteri  (di
 annullamento,  di  integrazione,  di  inibitoria,  e simili) comunque
 interferenti nei confronti  degli  atti  adottati  nello  svolgimento
 delle   funzioni   delegate,   ma   conserva   allo  Stato  (o,  piu'
 precisamente, al Governo)  soltanto  poteri  di  indirizzo,  si  deve
 supporre  che l'ipotesi di delega amministrativa oggetto dei presenti
 giudizi comporti una devoluzione piena delle funzioni interessate  e,
 quindi,  una  cessione  alle regioni della titolarita' delle funzioni
 stesse, che il legislatore ha  operato  nella  misura  e  nei  limiti
 necessari per l'esercizio organico delle competenze "proprie".
    E  poiche',  su tali basi, si prospetta la violazione di parametri
 formalmente  costituzionali  o,  comunque,  di  norme  integrative  o
 attuative  di  disposizioni  formalmente costituzionali (il d.P.R. n.
 616 del 1977), con riferimento a funzioni che, come s'e' detto,  sono
 state  delegate  alle  regioni,  non gia' per una libera scelta dello
 Stato, ma in  base  alla  ricorrenza  di  condizioni,  di  limiti  ed
 obiettivi  costituzionalmente  rilevanti  (necessita' di integrazione
 organica delle attribuzioni regionali trasferite),  sembra  a  questa
 Corte  che  sussistano  i requisiti essenziali perche' sia dichiarata
 l'ammissibilita'  dei  conflitti  di  attribuzione  sollevati  con  i
 ricorsi di cui in epigrafe.
    3.  -  Entrando nel merito delle questioni, va peraltro dichiarata
 l'inammissibilita' di alcune censure contenute nel  ricorso  proposto
 dalla  Regione Lazio: piu' precisamente, quelle relative al penultimo
 comma del punto 4, nonche' ai punti 6 e 7 del d.P.C.M. 8 luglio 1978.
    Secondo  la ricorrente, le direttive contenute nei punti anzidetti
 prevedono contributi a carico dei concessionari degli  impianti  piu'
 remunerativi  (punti  4, penultimo comma, e 6) ovvero conferiscono al
 Ministro  dell'industria  poteri  relativi  alla  determinazione  del
 numero massimo degli impianti nell'ambito nazionale e all'imposizione
 di altri limiti all'esercizio della liberta' d'impresa (punto 7,  che
 peraltro e' stato soppresso dall'art. 5 del successivo decreto emesso
 sulla  stessa  materia  nel  1982),  ponendo  cosi'  in  essere   una
 disciplina  amministrativa  in  violazione  della  riserva  di  legge
 garantita dagli artt. 23 e 41, secondo comma, della Costituzione.
    Tuttavia,  poiche'  questa  Corte,  con  giurisprudenza costante e
 consolidata (cfr., ad es., sentt. nn. 72 del 1961, 18 del  1970,  157
 del  1975,  191  del 1976, 152 del 1986), ha affermato che le regioni
 possono sollevare conflitto di attribuzione soltanto in  relazione  a
 norme  dalla  cui violazione consegua una lesione delle competenze ad
 esse costituzionalmente garantite e poiche' le disposizioni  che  nel
 caso   si   assumono   violate   non  hanno  alcuna  incidenza  sulla
 ripartizione di competenze fra Stato e regioni, deve concludersi  che
 nessuna   delle   censure   qui   considerate   appare   sorretta  da
 quell'interesse a ricorrere in mancanza del quale non  possono  esser
 sottoposte alla cognizione di questa Corte.
    4.  -  Vanno,  invece,  respinti  i  ricorsi  per tutti i restanti
 profili in base ai quali le  regioni  hanno  sollevato  conflitto  di
 attribuzione nei presenti giudizi.
    4.1.  -  Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana impugnano i
 punti 8 e 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto,  riconoscendo  che
 le competenze ivi contemplate siano esercitate da organi statali, non
 porrebbero in essere direttive concernenti  l'esercizio  di  funzioni
 delegate   alle  regioni,  ma  disporrebbero  sulla  spettanza  delle
 relative funzioni, ripristinando, in un caso, la  competenza  statale
 (punto   8)   e  non  distinguendo,  nell'altro,  fra  le  competenze
 riconosciute al prefetto quelle che devono intendersi  delegate  alle
 regioni  (punto  9).  In  ambedue  i  casi, comunque, le disposizioni
 impugnate conterrebbero, secondo le ricorrenti, una revoca  implicita
 della delegazione di funzioni effettuata con l'art. 52, lett. a), del
 d.P.R. n. 616 del 1977 a favore delle regioni, che, essendo  compiuta
 con atto amministrativo, sarebbe in contrasto con l'art. 118, secondo
 comma, Cost., il quale prevede che  le  deleghe  in  questione  siano
 conferite,  e  quindi revocate, in modo esplicito e soltanto con atto
 di natura legislativa (riserva di legge).
    Le  censure  prospettate dalle ricorrenti, sempreche' accompagnate
 dai requisiti di ammissibilita'  precedentemente  esposti,  sarebbero
 fondate se fosse vera la premessa di fatto da esse posta a base delle
 proprie argomentazioni: che si tratti, cioe', di competenze  delegate
 alle  regioni  anteriormente  al  decreto  in  cui  sono contenute le
 disposizioni impugnate. Ma cosi' non e'.
    4.1.1.  -  In  realta',  il  punto  8  contiene  una  disposizione
 interpretativa dell'art. 52, lett. a), del d.P.R. n.  616  del  1977,
 con  la  quale,  in  ordine alle incertezze manifestatesi riguardo al
 significato da attribuire al predetto art. 52,  si  precisa  che  "le
 funzioni  amministrative  relative  agli  impianti  ubicati  lungo le
 autostrade e sui raccordi con caratteristiche autostradali continuano
 ad  essere  esercitate  dal  Ministro dell'industria, del commercio e
 dell'artigianato, di concerto con il Ministro  dei  lavori  pubblici,
 presidente  dell'A.N.A.S.,  e  sentito  il  Ministro  delle Finanze".
 Questa disposizione non e' chiaramente  una  direttiva  rivolta  alle
 regioni perche' esercitino in un certo modo le funzioni loro delegate
 in materia di distributori di carburanti. Si puo' dire, tutt'al piu',
 che  lo  e'  in senso improprio, in quanto indica alle regioni che le
 loro competenze non si  estendono  agli  impianti  ubicati  lungo  le
 autostrade  e  i  raccordi  di tipo autostradale. Ma questo fatto non
 concreta, certo, un illegittimo uso di un potere  statale  ridondante
 in  menomazione  di  competenze  regionali,  poiche'  la disposizione
 impugnata e'  sostanzialmente  corrispondente  all'art.  16,  secondo
 comma (ultimo periodo), del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, che, per la
 parte interessata, non e' stato assorbito e  abrogato  dall'art.  52,
 lett. a), del d.P.R. 616 del 1977, correttamente interpretato.
    Quest'ultimo,  infatti,  nel  delegare  alle  regioni  le funzioni
 amministrative in materia  di  distributori  di  carburanti,  non  ha
 inteso  ricomprendere  in  tale materia gli impianti situati lungo le
 autostrade, per il semplice  fatto  che  le  funzioni  amministrative
 concernenti  siffatti  impianti coinvolgono ponderazioni di interessi
 che  vanno  compiute  su  scala  nazionale  o,  comunque,  su   scala
 interregionale.  Basta considerare, tanto per fare un esempio, che la
 distribuzione geografica di tali esercizi puo'  essere  adeguatamente
 decisa   soltanto   attraverso   una   visione   globale  della  rete
 autostradale,  la  quale  oltrepassa,  ovviamente,   l'ambito   delle
 competenze regionali.
    Questa  intepretazione  trova  conforto in altri elementi tendenti
 verso la stessa direzione. Innanzitutto, gli impianti  situati  lungo
 le  autostrade  erano  sottratti al comune regime dei distributori di
 carburanti anche nella legislazione anteriore al d.P.R.  n.  616  del
 1977,  nella  quale,  mentre  si  attribuiva  ai prefetti le funzioni
 provvedimentali relative agli impianti comuni, si affidava invece  al
 Ministro  dell'industria  quelle  attinenti  ai  distributori ubicati
 lungo le autostrade, con l'evidente giustificazione della  dimensione
 nazionale  delle  relative  funzioni (cfr. il citato art. 16, secondo
 comma, d.l. 26 ottobre  1970,  n.  745,  convertito  nella  legge  18
 dicembre  1970,  n.  1034).  Inoltre, l'art. 54 del d.P.R. n. 616 del
 1977,  nell'attribuire   ai   comuni   le   funzioni   amministrative
 concernenti  l'"autorizzazione" all'installazione dei distributori di
 carburanti  nel  territorio  comunale,  esclude  espressamente  dalla
 materia  gli  impianti  ubicati  lungo  le  autostrade:  e cio' e' di
 particolare significato, dovendosi  riconoscere,  come  ha  affermato
 l'Avvocatura   dello   Stato,  un  sostanziale  parallelismo  tra  le
 competenze di regolazione e di direttiva delle  regioni  e  i  poteri
 provvedimentali dei comuni nella stessa materia.
    4.1.2.  -  Lo  Stato ha correttamente esercitato un proprio potere
 anche quando ha disposto, al punto 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978,  che
 "gli    impianti    di   distribuzione   di   carburanti   utilizzati
 esclusivamente  per  autoveicoli   di   proprieta'   della   pubblica
 amministrazione, rimangono soggetti all'autorizzazione del prefetto",
 secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.P.R. 27 ottobre  1971,  n.
 1269.
    In  base  a  un  elementare  canone  ermeneutico  le  disposizioni
 contenute in atti sottordinati alle leggi devono  esser  interpretati
 adeguandone,  per  quanto  possibile, il senso alle norme legislative
 vigenti. Questa e' la conseguenza tanto  dell'assioma  per  il  quale
 l'ordinamento normativo dev'esser postulato, in sede interpretativa e
 applicativa, come una totalita' unitaria,  quanto  del  principio  di
 conservazione  dei  valori giuridici, il quale induce a presumere che
 una disposizione non  sia  dichiarata  illegittima  fintantoche'  sia
 possibile  enucleare  da  essa  almeno  un  significato conforme alle
 leggi. Su tali premesse, dal momento che l'art. 52 del d.P.R. n.  616
 del  1977  delega  alle  regioni  le  funzioni  amministrative  sugli
 impianti di distribuzione dei carburanti nell'ambito dell'ordinamento
 regionale   e   dal  momento  che  l'art.  54  dello  stesso  decreto
 attribuisce  ai  comuni  l'"autorizzazione"  all'installazione  degli
 stessi,  si  deve  ritenere  che, quando la disposizione impugnata si
 riferisce  ai  distributori   assoggettati   all'autorizzazione   del
 prefetto,  in  quanto  utilizzati  esclusivamente  per autoveicoli di
 proprieta' della "pubblica  amministrazione",  intende  circoscrivere
 quest'ultima espressione all'amministrazione statale.
    Solo se intepretata in tal senso, la disposizione impugnata assume
 un significato logico e coerente con le ricordate norme  legislative,
 come  del  resto  ha  riconosciuto  lo  stesso  Governo  allorche' ha
 aggiornato le "direttive" in questione (v. art.  6  del  d.P.C.M.  31
 dicembre  1982).  Sicche', cosi' precisata, la disposizione di cui al
 punto 9 - non potendo  esser  considerata  una  direttiva  (in  senso
 proprio)  nei  confronti  dell'esercizio  di  funzioni  delegate alle
 regioni,  ma  piuttosto  una  norma  regolamentare  d'interpretazione
 avente ad oggetto competenze statali - va comunque ritenuta esercizio
 legittimo di un potere attribuito allo Stato.
    4.2.  -  La  Regione  Toscana,  con  due distinti ricorsi, impugna
 l'intero punto 4 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 e gli artt.  6  e  7  del
 d.P.C.M.  31  dicembre  1982,  in  quanto  ritiene  le  direttive ivi
 contenute troppo dettagliate  e  concrete,  tali  da  eliminare  ogni
 discrezionalita'  nello  svolgimento  delle  funzioni  delegate  alle
 regioni cui si riferiscono.  Analoga  censura  e'  prospettata  dalla
 Regione Lazio nei confronti del punto 15 del citato decreto del 1978.
    4.2.1.  -  Va  subito  detto  che  i  vizi imputati all'art. 6 del
 d.P.C.M. 31 dicembre 1982 sono del tutto insussistenti in  base  agli
 argomenti  appena  svolti  relativamente  al  punto 9 del decreto del
 1978.
    Nel  precisare,  infatti,  che "resta di competenza dello Stato il
 rilascio  delle  concessioni  per  gli  impianti   di   distribuzione
 automatica   di   carburanti   per  uso  di  autotrazione  utilizzati
 esclusivamente  per  autoveicoli  impiegati  per  l'esercizio   delle
 funzioni   statali",  l'art.  6,  con  una  formulazione  molto  piu'
 perspicua di quella del punto 9 del precedente decreto, contiene, con
 riferimento   agli   impianti   automatici,   una   norma  analoga  a
 quest'ultima. Come in quel caso, pertanto, non si tratta propriamente
 di  direttive rivolte alle regioni per l'esercizio di competenze loro
 delegate, ma di norma interpretativa concernente competenze  statali,
 che,   come   tale,  non  puo'  comportare  lesione  di  attribuzioni
 regionali.
    4.2.2.  -  Al  contrario,  vere  e proprie direttive nei confronti
 dell'esercizio delle  funzioni  delegate  alle  regioni  sono  quelle
 contenute  nell'art.  7  del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 e nell'art. 15
 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 (salvo l'ultimo  comma,  che,  riferendosi
 agli   impianti   ubicati   sulle   autostrade,  e'  assorbito  dalle
 argomentazioni gia' svolte in  relazione  al  punto  8  dello  stesso
 decreto).  Tuttavia,  tanto  nell'uno,  quanto  nell'altro  caso,  il
 Governo ha esercitato il proprio potere  di  indirizzo  restando  nei
 limiti propri di questo.
    E'  ben  vero,  infatti, che, allorche' lo Stato formula direttive
 nei confronti dell'esercizio delle funzioni  da  esso  delegate  alle
 regioni,  non puo' spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto
 dettagliati da dar corpo a un  vero  e  proprio  svolgimento  diretto
 delle  funzioni  delegate.  Un tale comportamento, infatti avrebbe il
 significato di una revoca implicita della delegazione  stabilita  per
 via  amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non
 potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perche',  a
 norma  dell'art.  118,  secondo comma Cost., la revoca delle predette
 funzioni potrebbe essere compiuta soltanto  con  un  atto  di  valore
 legislativo,  sia  perche',  data  la natura della delega disposta in
 materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe  spazio  soltanto  per
 una revoca esplicita.
    Tuttavia i limiti appena enunciati non sono certo contraddetti ne'
 dal punto 15 del decreto del 1978, ne'  dall'art.  7  di  quello  del
 1982. Nel primo caso, infatti, si stabiliscono i livelli minimi degli
 orari di apertura dei distributori per il periodo invernale (non meno
 di nove ore e mezzo per ogni giorno feriale); si prevede, inoltre, la
 percentuale minima,  in  relazione  al  territorio  regionale,  degli
 esercizi  che  devono restare aperti nei giorni festivi (non meno del
 25%) e durante la notte (non meno del  3%);  e,  infine,  si  dispone
 l'apertura  ininterrotta  per gli impianti self- service. Nel secondo
 caso, invece,  si  prevede  che  le  regioni  possono  consentire  il
 rilascio  delle  concessioni  per l'installazione e l'esercizio degli
 impianti  di   distribuzione   per   uso   privato   all'interno   di
 stabilimenti,  cantieri  e  simili, purche' si tratti di serbatoi con
 capacita' superiori ai dieci metri cubi e si siano accertate le reali
 finalita'  in  relazione  all'attivita'  svolta  dall'impresa  e alla
 consistenza del relativo parco  di  automezzi.  In  tutte  e  due  le
 ipotesi,   insomma,   l'autonomia   delle  regioni  e'  indubbiamente
 salvaguardata, poiche', mentre  in  un  caso  sono  stabiliti  alcuni
 criteri  essenziali perche' le funzioni delegate siano svolte in modo
 uniforme in tutto il territorio  nazionale  con  la  garanzia  di  un
 sufficiente  margine  di  discrezionalita'  a  favore  delle regioni,
 nell'altro  sono  previsti  alcuni  requisiti   minimi   perche'   il
 particolare  regime  ivi contemplato non dia luogo a disfunzioni o ad
 abusi, trattandosi di direttive rivolte, per un  verso,  a  prevenire
 un'eccessiva  polverizzazione  degli  impianti  e,  per  un  altro, a
 raccomandare  severi  controlli  sulle  effettive   finalita'   delle
 relative attivita'.
    4.2.3.  -  Piu'  complesso,  ma  sostanzialmente  analogo,  e'  il
 giudizio da dare sul punto 4 del d.P.C.M. del 1978, che  peraltro  e'
 stato   integralmente   sostituito,   con   disposizioni  molto  piu'
 stringate, dall'art. 3 del successivo decreto del 1982. E' ben  vero,
 infatti,   che   la  maggioranza  delle  disposizioni  ivi  contenute
 stabiliscono criteri dotati di un basso grado di astrattezza,  ma  e'
 anche  vero che in esse si trovano formulate alcune esigenze relative
 all'efficacia del servizio, a  un'adeguata  distribuzione  geografica
 degli  impianti,  e  cosi'  via,  che  lasciano  comunque, in sede di
 attuazione, un sufficiente spazio  di  discrezionalita'  alle  scelte
 regionali.  Gli  unici  obblighi  previsti  sono quelli relativi alla
 necessita' di adottare  un  piano  di  razionalizzazione  della  rete
 distributiva nel territorio regionale, al dovere di predisporlo entro
 la data del 31 marzo 1979 e al susseguente obbligo di comunicarlo  al
 Ministro dell'industria entro la stessa data. Ma, com'e' evidente, si
 tratta di comportamenti dovuti, peraltro non  sanzionati,  diretti  a
 porre  alcuni punti fermi essenziali relativi al modo di procedere da
 parte delle regioni affinche' sia assicurato un  coordinamento  delle
 politiche  regionali  in  materia,  in mancanza del quale non sarebbe
 neppure possibile la stessa funzione di indirizzo affidata  dall'art.
 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977 al Governo.
    Del  resto,  affermare che le direttive non possono costituire una
 forma, ancorche' surrettizia, di  esercizio  diretto  delle  funzioni
 delegate,  non significa certo che esse non possano prevedere doveri,
 come quello di predisporre un piano,  ovvero  termini  temporali  per
 l'adozione  o  la  comunicazione dello stesso. Non si puo' escludere,
 infatti, che  il  carattere  concreto  e  dettagliato  o  il  vincolo
 puntuale   eventualmente  connessi  a  qualche  disposizione  possano
 riguardare singoli elementi della funzione interessata,  al  fine  di
 ricondurla  a  parametri  generali di uniformita' e di coordinamento:
 cio' che non e' permesso e' che  la  specifica  funzione  considerata
 possa  essere complessivamente degradata, attraverso un uso improprio
 del potere di  direttiva,  a  un'attivita'  vincolata,  priva  di  un
 sufficiente grado di discrezionalita'.
    4.3.  -  La  Regione Veneto impugna i punti 10 e 11 del d.P.C.M. 8
 luglio 1978, in quanto, anziche' prevedere  direttive  sull'esercizio
 di competenze delegate, interverrebbero sul riparto di competenze fra
 comuni e  regioni,  affidando  a  queste  ultime,  con  lo  strumento
 improprio  dell'atto  amministrativo  e  pertanto in violazione della
 riserva di legge  contenuta  nell'art.  118,  secondo  comma,  Cost.,
 competenze  che  l'art.  54,  lett.  f),  del d.P.R. n. 616 del 1977,
 assegna ai Comuni.
    Piu'  in  particolare, il punto 10 dispone che le regioni, "per il
 rilascio delle autorizzazioni (...) per l'installazione e l'esercizio
 degli  impianti di distribuzione per uso privato, ubicati all'interno
 di stabilimenti, cantieri  e  simili",  debbono  accertare  le  reali
 finalita'  connesse  al  tipo di attivita' svolta dagli operatori. Il
 punto 11 stabilisce, invece, che  "le  regioni  provvedono  anche  al
 rilascio  della  autorizzazione  per  l'installazione  di impianti di
 distribuzione di carburanti destinati all'esclusivo  rifornimento  di
 natanti,   ferme  restando  le  facolta'  spettanti  alla  competente
 autorita' marittima".
   Il problema che ambedue le disposizioni pongono e che ha indotto le
 ricorrenti a  sospettarne  l'illegittimita'  deriva  dal  fatto  che,
 mentre   le   statuizioni   appena   lette   sembrano   ritenere  che
 l'autorizzazione all'installazione dei distributori di carburanti sia
 di  spettanza  delle  regioni,  al contrario l'art. 54, lett. f), del
 d.P.R. n.  616  del  1977  attribuisce  ai  comuni  la  competenza  a
 rilasciare,  sulla base delle prescrizioni del C.I.P.E. e nell'ambito
 di criteri generali  determinati  dalla  regione,  "l'autorizzazione"
 all'installazione   di  distributori  di  carburanti  nel  territorio
 comunale, ad eccezione di quelli ubicati sulle autostrade.  In  altri
 termini,  poiche'  le  disposizioni  impugnate  sembrano  operare una
 redistribuzione di competenze difforme tanto dalla norma  legislativa
 appena  menzionata,  quanto dai principi di cui all'art. 118, secondo
 comma, Cost., se ne chiede l'annullamento.
    Tuttavia,  di  fronte  a  una  formulazione tutt'altro che chiara,
 prima di accogliere eventuali censure d'illegittimita',  l'interprete
 deve  verificare,  come  si  e'  precedentemente  ricordato  ad altro
 proposito (v. supra, p. 4.1.2.), se le disposizioni impugnate possono
 esprimere almeno un significato non contrastante con le leggi ad esse
 sopraordinate e, in particolare, con l'art. 54, lett. f)  del  d.P.R.
 n.   616  del  1977,  che  prevede  l'"autorizzazione"  comunale  per
 l'installazione e l'esercizio dei distributori di carburanti. Ad  una
 considerazione  sistematica  dell'intero decreto appare chiaro che il
 Governo, nell'emanare l'atto impugnato, non ha  inteso  pretermettere
 il   livello   comunale   con   riferimento  alla  installazione  dei
 distributori di carburante (garantito, per l'appunto, al n. 13  dello
 stesso  decreto). Pertanto, le ambigue formule contenute nei punti 10
 e 11, se non debbono essere interpretate in contraddizione con  altre
 disposizioni  del  decreto  stesso  e  con  le  leggi che ne stanno a
 fondamento, possono essere intese  soltanto  come  un  riconoscimento
 alle  regioni  di  funzioni  ulteriori in relazione al rilascio della
 predetta "autorizzazione",  come  quelle  di  stabilire  indirizzi  o
 criteri  in  ordine  a  tale  provvedimento o, piu' in generale, alla
 materia dei distributori oggetto  della  disciplina  contenuta  nelle
 disposizioni impugnate.
    Cosi'  interpretate,  le direttive formulate dal Governo nei punti
 contestati possono acquistare un senso che altrimenti non  avrebbero,
 o,  se  lo  avessero, sarebbe illegittimo: un senso che, mentre in un
 caso (punto 10), porta a configurarle come  direttive  vincolanti  le
 regioni  a  prevedere  severi  accertamenti  in relazione al rilascio
 della "autorizzazione"  all'installazione  dei  distributori  ad  uso
 privato  (v.  anche  supra  p. 4.2.2), nell'altro (punto 11), invece,
 come indirizzi volti a esigere un  coordinamento  fra  le  competenze
 regionali   in   ordine   ai   distributori   adibiti   all'esclusivo
 rifornimento  dei  natanti  e  quelle  conservate  in  materia   alla
 competente  autorita'  marittima. In ambo i casi si tratta, comunque,
 di direttive che rientrano  perfettamente  nei  poteri  propri  dello
 Stato nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni.
    4.4. - Anche l'ultima delle questioni proposte, quella relativa al
 punto 13 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, comporta problemi analoghi.
    Le  Regioni  Lombardia,  Lazio,  Veneto e Toscana ritengono che la
 disposizione impugnata, nel prevedere che  l'autorizzazione  prevista
 dall'art.  54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 e' necessaria per
 il  rilascio  delle  concessioni   per   l'installazione   di   nuovi
 distributori  o  di nuove attrezzature presso impianti gia' esistenti
 ovvero per  il  rinnovo  delle  concessioni  in  scadenza  o  per  il
 trasferimento  degli  impianti  su nuove ubicazioni, contrasti con il
 predetto art. 54 e con l'art.  118,  secondo  comma,  Cost.  per  una
 duplice  e  alternativa  ragione:  in  quanto prevede una concessione
 regionale in luogo di quella comunale oppure in quanto  ne  subordina
 illegittimamente   il   rilascio   a  una  preventiva  autorizzazione
 comunale.
    Per questi profili i ricorsi vanno rigettati poiche', anche in tal
 caso, la pur  infelice  e  oscura  formulazione  del  punto  13  puo'
 ricevere  un'interpretazione in armonia con le norme di legge e della
 Costituzione rispetto alle quali si suppone il  contrasto.  E  questa
 interpretazione  e'  quella  che  conferisce  al  punto contestato un
 valore essenzialmente descrittivo, nel senso che con il punto 13  non
 si   intende   affatto  introdurre,  per  via  amministrativa,  nuove
 competenze  in   ordine   ai   provvedimenti   concessori   collegati
 all'installazione o all'esercizio degli impianti di distribuzione dei
 carburanti,  ne'   subordinare   ipotetiche   concessioni   regionali
 all'autorizzazione  comunale,  ma si mira semplicemente a descrivere,
 per via interpretativa, i casi in cui va adottata  l'"autorizzazione"
 prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977.
    Per  essere  piu'  precisi,  va  ricordato  che, nel delegare alle
 regioni le funzioni amministrative  sui  distributori  di  carburante
 (art.  52,  lett.  a)  e,  nel contempo, nell'attribuire ai comuni il
 potere  di  rilasciare  l'"autorizzazione"  per   l'installazione   e
 l'esercizio  dei distributori stessi (art. 54, lett. f), il d.P.R. n.
 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione di competenze conforme al
 disegno  costituzionale,  affidando  alle regioni la programmazione e
 l'indirizzo e  ai  comuni  l'amministrazione  attiva  e  la  gestione
 concreta  del  settore. Per non apparire in contrasto con tale quadro
 costituzionale, il punto 13 non puo' essere interpretato come diretto
 a  prevedere,  per  via  amministrativa, una concessione regionale e,
 tantomeno,   una   concessione   subordinata   a    una    preventiva
 autorizzazione  comunale  (come  potrebbe  far  pensare un'affrettata
 analogia con il vecchio parere comunale). Al contrario, esso  puo'  e
 deve   esser  intepretato  come  una  norma  svolgente  una  funzione
 esplicativa e indicativa dei casi in cui l'"autorizzazione" spettante
 al comune, in base al ricordato art. 54, va rilasciata.
    Ne', in senso contrario, puo' valere l'argomento letterale per cui
 il punto 13, al pari dell'art. 54, lett. f), del d.P.R.  n.  616  del
 1977,  parla  di  "autorizzazione",  ritenendola  necessaria  per  il
 rilascio di una serie di concessioni (per nuove attrezzature, per  il
 trasferimento  di  impianti, etc.). Come e' unanimemente riconosciuto
 in dottrina, il provvedimento che l'art. 54  e  la  disposizione  ora
 impugnata chiamano autorizzazione e', in realta', una concessione. Di
 modo che, ove lo si intenda nel suo significato sostanziale, il punto
 13  dice  semplicemente  che  il provvedimento concessorio, di cui al
 predetto  art.  54,  va  necessariamente  adottato   per   tutte   le
 susseguenti ipotesi di concessione ivi menzionate.
    E  che  quel provvedimento, come precisa ancora il richiamato art.
 54, sia di spettanza del comune, non puo'  certo  venir  contraddetto
 dalla  pretesa  inidoneita'  di  tale  ente  a valutare gli interessi
 sottesi alla materia, i quali  non  sono  del  tutto  circoscrivibili
 all'ambito  meramente  locale. Infatti, contro questa assunzione sta,
 innanzitutto, il rilievo che il comune e' in  ogni  caso  l'autorita'
 pubblica  preposta  all'adozione  dei provvedimenti amministrativi di
 disposizione e di uso concreto del territorio; in secondo  luogo  sta
 il fatto che le concessioni comunali si iscrivono, a norma del citato
 art. 54, in un tessuto di interessi  gia'  delineato  sia  a  livello
 nazionale  (indicazioni  del CIPE), sia a livello regionale (piano di
 razionalizzazione della rete di distributori, indirizzi  e  criteri);
 e,  infine,  non  si puo' trascurare il rilievo che, anche coloro che
 intendono ridurre la competenza del  comune  a  un  atto  interno  al
 procedimento  concessorio  (che  si  assume, in ipotesi, di spettanza
 regionale), non negano che, comunque, l'espressione di  una  volonta'
 contraria  del  comune  sia talmente decisiva da impedire il rilascio
 della concessione stessa.
    In  definitiva, tanto un'interpretazione adeguatrice e sistematica
 della disposizione impugnata, quanto la collocazione degli  interessi
 sottesi  alla  ripartizione  di competenze fra regioni e comuni nella
 materia considerata,  portano  a  conferire  al  punto  13  un  senso
 meramente  descrittivo  delle  ipotesi  in  cui  appare necessario il
 provvedimento previsto nell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616  del
 1977.  Anche  se  si puo' dubitare dell'efficacia di una disposizione
 del genere, resta il fatto che, solo se interpretato in tal modo,  il
 punto  13 non appare lesivo delle competenze delegate alle regioni in
 materia di distributori di carburanti (art. 52, lett. a),  d.P.R.  n.
 616 del 1977).