ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 529, primo comma, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 2 dicembre 1985 e il 9 dicembre 1986 dalla Corte di Cassazione sui ricorsi proposti da Bonanno Calogero e Asaro Pasquale, iscritte al n. 431 del registro ordinanze 1986 e al n. 356 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale dell'anno 1986 e n. 34, prima serie speciale dell'anno 1987; Visti l'atto di costituzione di Bonanno Calogero nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo; Uditi gli avvocati Roberto Genna ed Enzo Gaito per Bonanno Calogero e l'avvocato dello Stato Stefanio Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto La Corte di Cassazione, Sez. I penale, con due successive ordinanze, rispettivamente del 2 dicembre 1985 (pedissequa a sentenza pari data) e 9 dicembre 1986, sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.529 cod.proc.pen. in riferimento agli art.li 3 e 24 Cost. Sul piano della rilevanza, i due casi di specie si riferivano al conferimento dell'incarico per la presentazione dei motivi di ricorso a difensori, inscritti bensi' nell'albo speciale, ma che non avevano difeso i ricorrenti nel precedente grado di giudizio: incarico conferito con lettera raccomandata, successiva alla dichiarazione di ricorso, priva dell'autenticazione della sottoscrizione prevista dalla norma impugnata. La Corte, pertanto, non puo' esaminare i motivi di ricorso, ritualmente presentati dai difensori ma allo stato inammissibili, se prima non viene risolta favorevolmente la sollevata questione. Secondo la Corte di Cassazione, l'art.529 in esame si pone come disciplina particolare rispetto a quella dettata in via generale dall'art.134 stesso codice per la nomina del difensore di fiducia. Una particolare disciplina, peraltro, sicuramente giustificata dalla necessita' di dare alla difesa in sede di legittimita' una piu' specifica qualificazione, discendente dall'inscrizione in un albo speciale che postula o il superamento di apposito concorso o una lunga esperienza professionale. Tale disciplina, pero', sarebbe priva di qualsiasi ragionevolezza la' dove pretende che l'atto di conferimento dell'incarico, diversamente da quanto prescritto in via generale dall'art.134 cod.proc.pen., se successivo alla dichiarazione di ricorso e se non effettuato innanzi al cancelliere competente, sia ricevuto o autenticato da notaio. Non si vede, infatti, ad avviso delle ordinanze, quale mai possa essere la ratio di una disciplina cosi' diversa. Se si tratta di assicurare certezza di autenticita' ad un atto importante qual'e' sicuramente la nomina di un difensore, non si capirebbe perche' una siffatta esigenza emergerebbe soltanto per la sede di legittimita'. Sarebbe assurdo, infatti, che fosse la qualita' del difensore a spiegare la ragione di un trattamento cosi' diverso. Deve, dunque, convenirsi - secondo la Corte - che in realta' la norma impugnata e', per questo riguardo, priva di quella ragionevolezza che il rispetto dell'art. 3 Cost. esige quando si tratta della disciplina di situazioni sostanzialmente uguali. Ma la Corte di Cassazione rileva che la norma, sotto il detto aspetto, e' lesiva anche del diritto di difesa perche' priva il ricorrente della facolta' di avvalersi di questa forma alternativa di impugnazione (lettera raccomandata). Privazione che diventa addirittura impeditiva dell'esercizio del diritto quando il ricorrente sia molto lontano dal luogo dove risiede il cancelliere competente, o quando si tratti di imputato latitante. Le ordinanze sono state ritualmente comunicate, notificate e pubblicate. Nel giudizio conseguente alla prima ordinanza si sono costituiti per il ricorrente Calogero Bonanno gli avvocati Roberto Gemma ed Enzo Gaito che si sono riportati alle ragioni esposte dall'ordinanza di rimessione. E' intervenuto in ambo i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato. Secondo l'Avvocatura, la disposizione troverebbe giustificazione ragionevole nell'intento del legislatore di dare autenticita' alla volonta' del ricorrente in relazione all'importanza che assume il giudizio di legittimita'. In proposito, comunque, l'Avvocatura rimanda alla sent. n.145 del 1972 di questa Corte che faceva ricadere sull'imputato la responsabilita' di non essersi avvalso utilmente degli strumenti a difesa che l'ordinamento processuale penale gli mette a disposizione. Considerato in diritto 1. - Le due ordinanze propongono la stessa questione di legittimita' costituzionale dell'art. 529 cod. proc. pen., e con riferimento agli stessi parametri 3 e 24 Cost. I giudizi, pertanto, possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza. 2. - La questione sollevata e' fondata. Effettivamente le disposizioni generali concernenti la nomina del difensore di fiducia sono previste nell'art.134 cod.proc.pen., cosi' come riformulato dall'art. 2 della l. 5 dicembre 1969 n. 932, dopo la sentenza di questa Corte 3 dicembre 1969 n.148. E' fuori dubbio, infatti, che il disposto di cui al secondo comma e' applicabile ad ogni ipotesi di nomina, in ogni stato e grado del procedimento. Secondo le regole previste nella prima parte di detto articolo, sembra evidente che il legislatore ha inteso facilitare in ogni modo la nomina del difensore di fiducia, atteso il rilievo che assume la sua presenza nel moderno processo penale. Una presenza la cui violazione e' sanzionata dal codice stesso con nullita' d'ordine generale, addirittura insanabile quando si riferisce al dibattimento (art. 185, secondo comma, cod. proc. pen.). Oggi, d'altra parte, quell'esigenza e' richiamata come inviolabile dalla legge fondamentale dello Stato. In realta', le forme previste dall'art. 134 cod. proc. pen. per far luogo alla nomina del difensore di fiducia sono estremamente semplici. La nomina, infatti, puo' farsi "in qualsiasi atto del procedimento ricevuto dall'Autorita' giudiziaria o ad essa presentato ovvero con dichiarazione resa personalmente, o per mezzo di procuratore speciale, nella cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario procedente, o con lettera raccomandata diretta alla stessa cancelleria o segreteria". L'interessato, percio', ha una larga opzione di mezzi per rendere nota al giudice la sua volonta' in ordine al difensore di fiducia. Puo' avvalersi dell'occasione di un qualsiasi atto del procedimento che debba essere ricevuto o anche soltanto "presentato" all'autorita' giudiziaria, e percio' anche di una semplice memoria; ma - se crede - puo' formalizzare l'atto recandosi personalmente nella cancelleria o nella segreteria del magistrato che procede a rendere a verbale la dichiarazione di nomina, oppure mandandovi un suo procuratore speciale. Infine - ed e' questa davvero la forma di maggiore semplicita' - puo' soltanto limitarsi a partecipare la nomina mediante lettera raccomandata diretta agli stessi uffici di cui sopra. Tuttavia, proprio l'art. 134, che pure - come si e' visto facilita e semplifica in ogni modo le formalita', prevede che la legge possa esigere, per talune specifiche ipotesi, forme particolari: nel qual caso evidentemente le disposizioni speciali debbono prevalere su quelle generali. Tali sono senza dubbio le forme previste dall'art. 529 cod. proc. pen. per l'incarico a sottoscrivere i motivi di ricorso per cassazione ad avvocato che, non avendo difeso il ricorrente nell'ultimo giudizio, non abbia avuto conferito espresso incarico con la dichiarazione di impugnazione, ovvero con atto ricevuto successivamente dal cancelliere innanzi al quale venne fatta la detta dichiarazione. In tal caso, l'atto di incarico al difensore dev'essere ricevuto da notaio o, quanto meno, da questi autenticato. La legge, (mentre precisa che, in ogni caso, deve trattarsi di avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione), non dice, ove si tratti di quell'ultima ipotesi, vale a dire di semplice scrittura privata d'incarico con sottoscrizione autenticata da notaio, per quali forme debba poi essere fatta pervenire alla cancelleria del giudice che ha emesso la decisione impugnata. Deve, percio', ritenersi che, nel silenzio, si applichino le norme generali: e, cioe', che l'atto possa essere poi tanto "presentato" quanto "spedito alla cancelleria per lettera raccomandata". In buona sostanza, le differenze, rispetto alle disposizioni generali, riguardano la qualita' del difensore e una delle forme previste per nominarlo. Ma la prima di esse non appartiene certo alla categoria delle forme, e non entra, percio', nella riserva di cui al primo comma dell'art. 134 cod. proc. pen. E' sicuramente, invece, forma particolare, rispetto a quelle generali, l'atto di incarico ricevuto da notaio o da questi autenticato. In altri termini, quando si tratti di dare un nuovo incarico per la sottoscrizione dei motivi di ricorso, e non si sia provveduto nell'atto d'impugnazione o successivamente con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, l'atto non puo' essere semplicemente spedito per raccomandata alla cancelleria competente, come per gli altri gradi di giudizio, ma deve essere o raccolto da notaio, o almeno da questi autenticato. O atto pubblico, quindi, o scrittura privata autenticata. 3. - Orbene, poiche' si tratta pur sempre di affidare un incarico ad un difensore, e percio' di compiere un atto che, qualunque sia il grado di giudizio, non puo' avere evidentemente sul piano ontologico natura diversa, occorre stabilire se la rilevata differenza di forma che la legge prescrive per il grado di legittimita' abbia, tuttavia, una qualche giustificazione ragionevole. Solo attraverso quest'ultima, infatti, troverebbe rispetto il parametro invocato di cui all'art. 3 Cost. In realta', non puo' negarsi che, tra i vari gradi di giudizio, la sede di legittimita' mostri talune particolari caratteristiche che la contraddistinguono. Ad essa, infatti, non puo' accedersi se non per violazione della legge penale sostanziale, o di quella processuale se si tratta di norme stabilite a pena di nullita', inammissibilita' o decadenza, o per esercizio da parte del giudice di potesta' che non competono all'autorita' giudiziaria, o infine nei casi specifici previsti dal secondo comma dell'art. 524 cod. proc. pen. Gli altri gradi di giudizio, invece, riguardano essenzialmente la cognizione del fatto, oltre che la sua definizione giuridica, oppure la revisione critica del giudizio di primo grado, nei limiti del devoluto, in grado d'appello. Una siffatta differenza e' piu' che sufficiente a giustificare l'esigenza di una maggiore qualificazione culturale del difensore, attesa la delicatezza dei problemi giuridici che vanno discussi in quella sede. Non appare, invece, con la stessa evidenza la ratio che e' alla base della disposizione che non consente per l'atto di incarico le stesse forme previste per gli altri gradi di giudizio. In particolare, resta oscura la ragione per cui, ove l'incarico al qualificato difensore non sia stato affidato nell'atto di impugnazione, o successivamente davanti al cancelliere, occorra l'intervento del notaio per raccogliere, o almeno per autenticare, la volonta' del ricorrente, quando negli altri giudizi e' sufficiente una privata scrittura da far pervenire alla cancelleria per lettera raccomandata. Secondo l'Avvocatura, la ratio della disposizione sarebbe nell'intento del legislatore di dare autenticita' alla volonta' del ricorrente in relazione all'importanza che assume il giudizio di legittimita'. Ma, sotto tale profilo, non si capirebbe perche' mai il legislatore dovrebbe avere cosi' a vile gli altri due gradi di giudizio da ritenere trascurabile il rischio di un falso incarico defensionale. Specie nel primo grado, dove massimo, e spesso di lunga durata, e' l'impegno del difensore per l'accertamento del fatto attraverso l'istruttoria dibattimentale. Come si e' rilevato, l'importanza sul piano culturale del giudizio di legittimita' puo' spiegare la richiesta di una specifica qualificazione del difensore, ma non una cosi' sostanziale differenza delle forme attraverso cui si legittima la manifestazione di volonta' del ricorrente in ordine al difensore. Quanto poi alla sent. n.145 del 1972 di questa Corte, invocata dall'Avvocatura, va osservato che, in quella specie, erano in discussione non le forme dell'incarico ma proprio la particolare qualificazione del difensore e la legittimazione a nominarlo. Si trattava, infatti, addirittura di praticante procuratore, difensore d'ufficio in Pretura di imputato irreperibile, che, proponendo ricorso per cassazione, aveva egli stesso nominato i difensori per l'estensione e la sottoscrizione dei motivi. Ipotesi ben diversa, che spiega il giudizio negativo sulla sollevata questione di legittimita'. Deve, invece, soggiungersi che una siffatta inspiegabile differenza, nelle forme dell'incarico al difensore, tra i gradi di merito e quello di legittimita', si verifica esclusivamente nell'ambito del processo penale. Ne' nel giudizio civile, ne' in quello amministrativo o contabile, il legislatore esige l'intervento del notaio. Cosi' come non lo esige il progetto del nuovo codice di procedura penale, approvato dal Consiglio dei ministri e in discussione davanti alla Commissione bicamerale prevista dalla legge-delega 16 febbraio 1987 n.81. L'art.95, che e' norma generale valevole per tutti i gradi del giudizio, dispone, infatti, senza alcuna riserva, che "la nomina (del difensore) e' fatta con dichiarazione resa all'autorita' procedente o trasmessa alla stessa per lettera raccomandata". Lo conferma l'art.606 che, disciplinando la nomina dei difensori per il grado di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, si limita laconicamente a stabilire che "il difensore e' nominato con la proposizione del ricorso o successivamente". Con cio' evidentemente rimandando, quanto alle forme, alle norme generali dell'art. 95. 4. - Non sussistendo, pertanto, alcuna ragionevole giustificazione per un trattamento cosi' differenziato, quanto alle forme per attribuire l'incarico al difensore, fra gradi di giudizio di merito e quello di legittimita', la disparita' che viene cosi' a verificarsi fra gl'imputati dei vari gradi e' lesiva del principio di cui all'art. 3 Cost. Obbiettare che il ricorrente aveva pur sempre la possibilita' di avvalersi delle altre forme, non avrebbe pregio giacche', se e' concesso all'interessato di avvalersi a suo piacimento di una delle forme alternativamente previste, non gli si puo' poi fare carico di non averne utilizzata altra esente da vizi di legittimita' costituzionale. E', percio', nel suo diritto sollecitare la denunzia di un vizio che lo priva dell'esercizio di una legittima facolta', e bene ha fatto il giudice rimettente a sollevare la questione. Una volta, poi, riconosciuta la violazione dell'art. 3 Cost. inutile affrontare il confronto con il parametro dell'art. 24 Cost. che resta assorbito.