ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della  disciplina  dell'invalidita'
 pensionabile)  promosso  con  ordinanza  emessa  il 9 luglio 1987 dal
 Pretore di  Pisa  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Bernacchi
 Bandecchi  Loriana  e  l'I.N.P.S.,  iscritta  al  n. 560 del registro
 ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1987;
    Visto   l'atto   di   costituzione  dell'I.N.P.S.  nonche'  l'atto
 d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Renato Dell'Andro;
    Uditi l'avv. Luigi Maresca per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato
 Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 il Pretore di Pisa ha
 sollevato, in riferimento agli artt.  3,  29,  30,  31  e  38  Cost.,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 12
 giugno 1984,  n.  222,  nella  parte  in  cui  dispone  che,  per  la
 valutazione  delle  condizioni  economiche  richieste  per il diritto
 all'integrazione,  nel  limite  massimo   del   trattamento   minimo,
 dell'assegno  d'invalidita', debbano considerarsi anche i redditi del
 coniuge dell'invalido.
   Il  giudice  a quo osserva che la normativa impugnata determina una
 disparita' di trattamento tra invalidi coniugati e  non  coniugati  a
 favore di questi ultimi; ed osserva anche che non vale a giustificare
 tale  discriminazione  il  fatto  che  l'appartenenza  ad  un  nucleo
 familiare  consenta,  almeno  di  regola,  all'invalido,  grazie alla
 riduzione  di  spese  nonche'  all'assistenza  e  collaborazione  del
 coniuge,  d'avere  i  mezzi necessari per vivere senza che occorra un
 intervento assistenziale dello Stato (imposto, altrimenti,  dall'art.
 38  Cost.):  infatti,  come e' stato notato nella sentenza n. 179 del
 1976  della  Corte  costituzionale,  data  l'estrema  varieta'  delle
 situazioni  concrete,  non puo' essere escluso che gli oneri connessi
 alla formazione della famiglia compensino il  risparmio  dovuto  alla
 convivenza.
    Inoltre,  in  tal modo, secondo l'assunto sostenuto nell'ordinanza
 di rimessione, verrebbe ad essere penalizzata la famiglia legittima a
 vantaggio  di quella di fatto, in evidente contrasto con gli artt. 29
 e 31 Cost. Peraltro, tutto cio' potrebbe costituire incentivo  per  i
 coniugi  alla  separazione o, comunque, a separazioni fittizie aventi
 il solo scopo d'eludere la conseguenza, sul piano assistenziale,  del
 cumulo dei redditi familiari.
    Il  giudice  a  quo  ritiene,  infine,  che  escludere  o limitare
 l'intervento assistenziale dello  Stato  a  favore  dell'invalido  in
 relazione  alla  consistenza  reddituale  del  coniuge  equivalga  ad
 impedire all'invalido  stesso  di  contribuire  in  misura  rilevante
 all'educazione,  istruzione  e  mantenimento  dei  figli,  ponendolo,
 all'interno della famiglia, in uno stato d'inferiorita',  mentre,  in
 base  agli  artt.  3  e  31, secondo comma, Cost., il matrimonio deve
 essere fondato  sull'eguaglianza  non  soltanto  giuridica  ma  anche
 morale dei coniugi.
    2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    In   primo   luogo,   l'Avvocatura   afferma  che,  nella  propria
 discrezionale competenza d'intervento assistenziale,  il  legislatore
 e'  libero  d'esercitare  le  sue  scelte,  purche'  nei limiti della
 ragionevolezza. La disparita' di  trattamento  tra  coniugati  e  non
 coniugati, posta in essere dalla normativa impugnata, trova, a parere
 dell'Avvocatura, la sua giustificazione in una situazione  di  fatto,
 difforme   e   non   equiparabile,  che  sottende,  normalmente,  una
 ripartizione  di  spese,  nell'ambito  della  famiglia,  sulla   base
 dell'esistenza   fra   coniugi  dell'obbligo  d'assistenza  reciproca
 garantito giuridicamente.
    La  normativa  impugnata, sempre a parere dell'Avvocatura generale
 dello Stato, non contrasta neppure con l'obbligo  d'assistenza  dello
 Stato  a  favore  degli  invalidi  ex  art. 38 Cost., che continua ad
 esprimersi ed a sussistere pur nella  caratterizzazione  della  norma
 censurata.  Le  situazioni  di fatto alle quali allude l'ordinanza di
 rimessione costituiscono aspetti della vita  che  esulano  dal  campo
 d'indagine   del   legislatore,  il  quale  opera  su  presupposti  e
 situazioni tipiche e ricorrenti nella quasi totalita' dei casi.
    3.  -  Si e' costituito in giudizio l'I.N.P.S. concludendo, in via
 principale, per  l'irrilevanza  e  la  manifesta  infondatezza  della
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n.
 222  del  1984  e,  in  via  subordinata,  per  l'infondatezza  della
 questione  relativa  alla legittimita' costituzionale della norma che
 regola  la  fattispecie  concreta  venuta   all'esame   della   Corte
 costituzionale, da individuare nell'art. 1, quarto comma, della legge
 n. 222 del 1984.
    In  primo  luogo,  l'I.N.P.S. ritiene la questione non rilevante e
 manifestamente infondata per l'errata indicazione della  disposizione
 della  quale  si  contesta  la  legittimita' costituzionale, l'art. 4
 della  legge  n.  222  del  1984,  che  riguarda  i   "requisiti   di
 assicurazione  e  contribuzione  per  il  riconoscimento  del diritto
 all'assegno di invalidita' ed alla pensione di inabilita'". La  norma
 di  cui  si  lamenta  l'incostituzionalita' e' contenuta, invece, nel
 quarto comma dell'art. 1 della legge medesima.
    Nell'esame del merito delle censure prospettate dal giudice a quo,
 l'I.N.P.S. sostiene che non e' violato l'art.  3  Cost.,  in  quanto,
 trattandosi,     nella     specie,     d'intervento    a    carattere
 incontestabilmente assistenziale, che non trova corrispondenza in una
 provvista  contributiva,  e'  evidente  che  risponde  ad  una scelta
 politico-economica e sociale  quanto  dal  legislatore  previsto  per
 individuare  la ricorrenza o meno d'una situazione reddituale tale da
 giustificare  l'intervento  statale.  L'integrazione  in   questione,
 peraltro,  non  e'  incondizionata neppure per i non coniugati: essa,
 infatti,  non  spetta  a  coloro  che   posseggono   redditi   propri
 assoggettabili  all'IRPEF  per  un  importo  superiore  a  due  volte
 l'ammontare annuo della pensione sociale. E  tale  limite  non  resta
 invariato  per i soggetti coniugati per i quali e' previsto il cumulo
 dei redditi del coniuge:  esso,  infatti,  e'  elevato  a  tre  volte
 l'ammontare  annuo  della  stessa  pensione sociale. Appare evidente,
 pertanto,  l'intenzione  del   legislatore   d'attribuire   carattere
 sussidiario  all'intervento solidaristico pubblico rispetto all'aiuto
 che la famiglia, attraverso il coniuge, e' in grado d'offrire.
    L'I.N.P.S.,   infine,   considera  irrilevanti  le  argomentazioni
 addotte a sostegno del preteso contrasto della  norma  impugnata  con
 gli artt. 29, 30 e 31 Cost. In particolare, non ritiene valido motivo
 per  sostenere  l'illegittimita'  della  norma   un   ipotizzato   ed
 indimostrato comportamento abnorme al quale gli interessati sarebbero
 indotti al fine di non subire gli  effetti  determinati  dalle  norme
 impugnate.
                         Considerato in diritto
    1.   -  Va  anzitutto  rigettata  la  richiesta  di  dichiarazione
 d'inammissibilita'   della   proposta   questione   di   legittimita'
 costituzionale.   Se   e'   vero  che  nell'ordinanza  di  rimessione
 s'impugna, nel dispositivo, l'art. 4 della legge 12 giugno  1984,  n.
 222, e' anche vero che si tratta, ed in maniera evidente, d'un errore
 materiale.  Sempre,  infatti,  ci  si  riferisce,  nell'ordinanza  in
 discussione,  al  contenuto del quarto comma dell'art. 1 della citata
 legge e mai a quello dell'art. 4 della stessa legge. E' certamente da
 escludere, in ogni caso, che sorgano incertezze, nell'interpretazione
 dell'ordinanza di rimessione, evidentissima palesandosi, in essa,  la
 volonta'  del  giudice  a  quo di sollevare questione di legittimita'
 costituzionale in ordine alla disposizione di cui all'art. 1,  quarto
 comma, e non a quella di cui all'art. 4, della legge n. 222 del 1984.
    2.  -  La  premessa  sulla  quale  va fondata la valutazione della
 proposta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, quarto
 comma,   della   legge   12   giugno  1984,  n.  222,  e'  costituita
 dall'indagine sulla natura dell'assegno  d'invalidita'  di  cui  alla
 citata legge.
    Si puo', invero, anche prescindere dallo stabilire se sia corretto
 o   meno   etichettare    l'integrazione    dell'assegno    ordinario
 d'invalidita',  di cui in narrativa, come "integrabilita' al minimo":
 e' ben vero, infatti, che nel terzo comma dell'art. 1 della legge  in
 esame  e'  prevista  (insieme al rinvio, ai fini della determinazione
 dell'ammontare   dell'assegno   ordinario,   alle   norme    relative
 all'assicurazione   generale   obbligatoria   per  l'invalidita',  la
 vecchiaia ed i  superstiti  dei  lavoratori  dipendenti  ovvero  alle
 gestioni  speciali dei lavoratori autonomi) un'integrazione, a carico
 del fondo sociale, dell'assegno d'invalidita' fino  alla  concorrenza
 d'un importo, al massimo, pari a quello della pensione sociale; ma e'
 del pari vero che non sono in discussione, nel giudizio a quo, ne' il
 fatto  che  tale  integrazione  non  avvenga  secondo  la  disciplina
 generale sui minimi di pensione  ne'  il  fatto  che  il  trattamento
 pensionistico  legale  minimo  delle  singole gestioni costituisca il
 limite massimo dell'ammontare dell'integrazione in esame; e,  d'altra
 parte, la discrezionalita' del legislatore nella determinazione della
 situazione economico-finanziaria dell'invalido, quale condizione  per
 la  sua  esclusione  dal  diritto  all'integrazione,  discende  dalla
 natura,  almeno  anche  assistenziale  e  sussidiaria,   dell'assegno
 d'invalidita'.   In   conseguenza,  risulta  superata  ogni  utilita'
 interpretativa  dell'"etichetta"  da  assegnare  all'integrazione  in
 esame.
    Va  rilevato che puo' anche discutersi sulle proposte di mutamenti
 relativi alla natura giuridica  dell'assegno  d'invalidita'  e  sulle
 "tendenze"   che,   in  proposito,  vanno  manifestandosi:  ma  oggi,
 nell'interpretare la legge n. 222 del 1984, va sottolineata la natura
 assistenziale,  od  almeno  mista,  dell'assegno  in esame. Il quarto
 comma dell'art. 1 della citata legge,  prima  ancora  dell'esclusione
 del  soggetto  coniugato  dal  diritto  all'integrazione dell'assegno
 (qualora il reddito del medesimo, cumulato con  quello  del  coniuge,
 sia  superiore  a tre volte l'importo della pensione sociale) esclude
 dalla  stessa  integrazione  coloro  che  posseggono  redditi  propri
 assoggettabili  all'imposta  sul reddito delle persone fisiche per un
 importo superiore a due volte (e non a tre,  come  per  i  coniugati)
 l'ammontare  annuo della pensione sociale. Non v'e' dubbio, pertanto,
 che il legislatore del 1984 e' partito dalla concezione "sussidiaria"
 dell'assegno  d'invalidita',  discendente appunto dalla natura almeno
 parzialmente assistenziale  dell'assegno  stesso.  Quest'ultimo,  fra
 l'altro,  non  trova corrispondenza in alcuna provvista contributiva;
 sicche', e' certamente da allontanare l'idea d'una prevalente  natura
 previdenziale dell'assegno di cui qui si discute.
    Deriva  che spetta al legislatore scegliere, in base alla generale
 politica     economico-sociale     perseguita,     le      condizioni
 economico-finanziarie    alle    quali    subordinare    l'intervento
 solidaristico pubblico. Ne' ci si puo' esimere dal  sottolineare  che
 l'onere  finanziario relativo all'integrazione dell'assegno grava sul
 fondo sociale di cui alla legge 21 luglio 1965, n.903  e,  cioe',  in
 sostanza,  sull'intera  collettivita'  nazionale e non su particolari
 comunita' di lavoratori. Non puo', dunque, indiscriminatamente, senza
 riferimento    alcuno    al   reddito   in   effettiva   disposizione
 dell'invalido,  consentirsi  l'integrazione  in   discussione:   cio'
 equivarrebbe  ad irrazionalmente estendere il principio solidaristico
 pubblico oltre  i  limiti  entro  i  quali  lo  stesso  principio  ha
 fondamento.
    3.  -  Per  quanto attiene, specificamente, alla seconda parte del
 quarto comma dell'art. 1 della legge in esame, va sottolineato che la
 norma  impugnata,  in tanto fa riferimento all'invalido coniugato, in
 quanto, attraverso l'ammontare del cumulo dei redditi tra  l'invalido
 ed il coniuge, la stessa norma ritiene esclusa l'effettiva situazione
 di  relativa  non  abbienza  dell'invalido,  alla  quale   la   legge
 condiziona  l'integrazione  qui in esame: non si tratta, pertanto, di
 discriminazione o di diverso trattamento tra invalidi coniugati e non
 coniugati  ma  di determinazione d'un criterio, quello dell'ammontare
 del cumulo dei redditi dei coniugi, attraverso il quale escludere  la
 (relativa) non abbienza dell'invalido.
    E tal criterio non puo' ritenersi irrazionale: poiche', come si e'
 osservato, l'istituto  dell'integrazione  dell'assegno  d'invalidita'
 trova  la sua giustificazione (almeno anche) in un effettivo stato di
 bisogno della categoria protetta, non  sono  rilevanti,  al  fine  di
 determinare  le  condizioni del sorgere del diritto all'integrazione,
 ne' la qualita' ne' la provenienza delle diverse voci che  compongono
 il  reddito  mentre determinante e' il livello, derivante dal cumulo,
 del   reddito   stesso,   tenuto   conto   soprattutto   dell'obbligo
 d'assistenza  reciproca fra coniugi. Non soltanto e' presumibile che,
 dato un determinato livello del reddito, cumulato, dei coniugi, anche
 l'invalido  venga  a  godere, oltre che d'una normale riduzione delle
 spese, anche dell'apporto e della  collaborazione  del  consorte,  ma
 quel  che  piu'  conta  e'  l'obbligo  d'assistenza  che  incombe  su
 quest'ultimo; rispetto a  tale  obbligo,  quello  d'assistenza  dello
 Stato, della collettivita' tutta, e' sussidiario.
    Come  potrebbe,  diversamente,  ritenersi  razionale un intervento
 dello Stato nei confronti d'un invalido che, benche' privo di redditi
 propri   superiori  ai  limiti  di  legge,  versi  effettivamente  in
 floridissima   situazione   economico-finanziaria   a   causa   della
 convivenza con un coniuge assai abbiente?
    Sono    certamente   ipotizzabili,   data   la   variabilita'   ed
 irripetibilita' del concreto, situazioni anomale  in  cui  gli  oneri
 connessi  all'andamento della famiglia compensino (e superino, forse)
 il risparmio dovuto alla convivenza: ma al legislatore  non  e'  dato
 seguire  la  non  raggiungibile  varieta'  del concreto, dovendosi lo
 stesso  legislatore  limitare  a  prevedere  situazioni   tipiche   e
 ricorrenti   nella   quasi  totalita'  dei  casi.  Poiche'  l'opposta
 disciplina dell'integrazione dell'assegno in discussione e  cioe'  il
 tener   conto,   ai   fini   dell'integrazione,   del   solo  reddito
 dell'invalido, e non anche di quelli  del  coniuge  di  quest'ultimo,
 produrrebbe  anche  gli  effetti  perversi  ai  quali  si  e' innanzi
 accennato, mentre la scelta effettuata  con  la  norma  di  cui  alla
 seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della legge in discussione
 tien conto della quasi totalita' dei casi di convivenza familiare, si
 deve escludere ogni censura d'irrazionalita' della scelta legislativa
 operata con la disposizione impugnata.
    Le  sentenze  di  questa Corte citate nell'ordinanza di rimessione
 non valgono a sostenere l'assunto del giudice a quo, riguardando esse
 situazioni del tutto diverse da quelle qui in esame: non v'e' chi non
 veda che la materia che si va trattando  in  questa  sede,  attenendo
 alla  natura ed ai limiti dell'intervento solidaristico-assistenziale
 dello Stato, non consente analogia con materie  diversissime,  quali,
 ad  es.,  quella  del  cumulo  dei  redditi tra coniugi ai fini della
 tassazione dei redditi stessi.
    Esistendo,   dunque,  particolare  diversita'  tra  la  situazione
 dell'invalido non coniugato il cui reddito  e'  inferiore  al  minimo
 della  pensione sociale e la situazione dell'invalido il cui reddito,
 cumulato con quello del coniuge, e' superiore a tre volte  la  stessa
 pensione  sociale,  la  diversita'  di  disciplina  tra  le  predette
 situazioni non soltanto non e'  ingiustificata  ma,  per  le  ragioni
 sopra specificate, si manifesta razionale.
    4.  -  Come  non  risulta violato, dalla norma impugnata, l'art. 3
 Cost. cosi', e per le stesse ragioni innanzi indicate, non  risultano
 disattesi  i  principi  di  cui  all'art.  38  Cost.:  la limitazione
 contenuta nella seconda parte del  quarto  comma  dell'art.  1  della
 legge  12  giugno 1984, n. 222 non vanifica ma determina in concreto,
 per  la  materia  ivi  prevista,  talune   condizioni   del   sorgere
 dell'obbligo  statale  al  mantenimento  ed  all'assistenza di cui al
 primo comma dell'art. 38 Cost.: quest'ultimo, infatti, prevede che il
 cittadino,   oltre  ad  essere  inabile  al  lavoro,  ha  diritto  al
 mantenimento ed all'assistenza sociale allorche'  manchi  dei  "mezzi
 necessari per vivere"; ed e' compito del legislatore precisare, nelle
 diverse  realta',  le  situazioni  nelle   quali   e'   razionalmente
 ravvisabile la predetta mancanza.
    5.  - La norma impugnata non viola neppure gli artt. 29 e 31 Cost.
    A  parere  del  giudice  a  quo  la seconda parte del quarto comma
 dell'art. 1 della legge n. 222 del 1984  penalizzerebbe  la  famiglia
 legittima a vantaggio di quella di fatto (non fondata sul matrimonio)
 in contrasto con gli artt.  29  e  31  Cost.  e  potrebbe  costituire
 incentivo   alla  separazione  legale  dei  coniugi  o,  comunque,  a
 separazioni fittizie idonee ad eludere gli  effetti  del  cumulo  dei
 redditi di cui al comma in esame.
    Di  contro  va  osservato  che, fino al momento in cui la famiglia
 naturale,  non  fondata  sul  matrimonio,  non  avra'  un   "qualche"
 riconoscimento   giuridico,   non  e'  dato  equipararla,  e  neppure
 giuridicamente  "confrontarla",  ai  fini  di  verificare   eventuali
 violazioni  degli  artt. 3, 29 e 31 Cost., con la famiglia legittima.
 E, d'altra parte, come s'e' gia' osservato, il legislatore  opera  su
 presupposti   e  situazioni  tipiche  e  non  su  anomale  situazioni
 concrete.
    In  ordine  alle indicate "frodi" alla legge, va ricordato che non
 e' in funzione delle stesse ipotetiche "frodi" che  va  giudicata  la
 legittimita'  costituzionale  d'una  norma:  non  potrebbe, peraltro,
 ritenersi  razionale  una  disciplina  legislativa  che,  allo  scopo
 d'ovviare  alle  predette  eventuali "frodi", scegliesse di non tener
 conto, nella materia  qui  esaminata,  del  cumulo  dei  redditi  tra
 coniugi  e, pertanto, consentisse, certamente contro la Costituzione,
 l'intervento assistenziale dello Stato anche nelle ipotesi-limite  in
 cui  non  solo  non  risulti  la  "non abbienza" dell'invalido ma sia
 provata una notevole sua agiatezza  a  causa  dell'alto  reddito  del
 consorte.
   6. - In relazione all'ultima eccezione sollevata dal giudice a quo,
 secondo la quale la limitazione dell'intervento  assistenziale  dello
 Stato   a   favore   dell'invalido,  in  relazione  alla  consistenza
 reddituale  del   coniuge,   impedirebbe   all'invalido   stesso   di
 contribuire   in   misura   rilevante   all'educazione,   istruzione,
 mantenimento dei figli (tale contribuzione costituisce, ex  art.  30,
 primo comma, Cost., oltre che dovere, anche diritto) ponendolo in una
 situazione  d'inferiorita'  nell'ambito  della  famiglia,  va  ancora
 ribadito  che  l'intervento  assistenziale  dello  Stato trova, nelle
 ipotesi  d'invalidita',  la  sua   ragione   nella   "non   abbienza"
 dell'invalido  e non certo nella necessita' d'ovviare a diversi stati
 d'inferiorita' in cui lo stesso invalido possa eventualmente trovarsi
 nell'ambito della famiglia.