ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge
 22 maggio 1975, n. 152 ("Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico")
 e  dell'art.  10  della  legge  31 maggio 1965, n. 575 ("Disposizioni
 contro la  mafia"),  come  novellato  dall'art.  19  della  legge  13
 settembre  1982,  n.  646  ("Disposizioni  in  materia  di  misure di
 prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle  leggi  27
 dicembre  1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n.
 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul  fenomeno  della
 mafia")  e  come  modificato  dalla  legge  12  ottobre 1982, n. 726,
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 20 febbraio 1987 dal Tribunale di Trapani
 nel procedimento civile vertente tra Cernigliaro Alberto e il  Comune
 di  Trapani,  iscritta  al  n.  378  del  registro  ordinanze  1987 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, 1a  serie
 speciale, dell'anno 1987;
      2)  ordinanza  emessa  il 18 marzo 1987 dal T.A.R. del Lazio sul
 ricorso proposto dalla Soc. "G.A. s.n.c. di  Girolami  Aldina  e  C."
 contro la Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura ed
 altri, iscritta al n. 721 del registro ordinanze  1987  e  pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 51, 1a serie speciale,
 dell'anno 1987.
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che  con  ordinanza  in  data  20 febbraio 1987 (r.o. n.
 378/87)  il  Tribunale  di  Trapani   ha   sollevato   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 19 della legge 22 maggio 1975,
 n. 152, nella parte in cui,  estendendo  l'applicazione  della  legge
 antimafia 31 maggio 1965, n. 575, alle persone socialmente pericolose
 indicate nei nn. 2, 3 e 4 dell'art. 1  legge  27  dicembre  1956,  n.
 1423,  pone  in essere, nonostante il diverso indice di pericolosita'
 sociale, un'ingiustificata equiparazione  normativa  fra  i  predetti
 soggetti  e  gli  indiziati  di  appartenenza ad associazioni di tipo
 mafioso, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost;
      che  lo  stesso  giudice  a  quo dubita anche della legittimita'
 costituzione dell'art. 10 della legge 31 maggio 1965, n.  575,  (come
 modificato  dall'art.  19  legge  13  settembre  1982,  n.  646) che,
 prevedendo,  per  i  soggetti  genericamente   pericolosi   (indicati
 nell'art. 1 legge 27 dicembre 1956, n. 1423), la decadenza di diritto
 dall'iscrizione agli albi degli  appaltatori  di  opere  e  forniture
 pubbliche, priverebbe, l'amministrazione, di ogni discrezionalita' al
 riguardo, e il prevenuto, della possibilita'  di  una  riabilitazione
 che  gli  restituisca  lo  stesso  grado di liberta' economica goduto
 prima dell'applicazione della misura di prevenzione,  cosi'  violando
 l'art. 41 Cost;
      che  il  citato  art.  10 e' stato impugnato anche dal TAR Lazio
 (con  ordinanza  in  data  18  marzo  1987)  nella  parte   in   cui,
 prescrivendo  come  conseguenza  dell'applicazione  della  misura  di
 prevenzione, l'impossibilita' di  emanare  provvedimenti  lato  sensu
 ampliativi  (concessioni,  licenze, iscrizioni) a favore dei soggetti
 sottoposti alle misure stesse ovvero a favore del coniuge, dei  figli
 e  delle  altre persone con essi conviventi, si porrebbe in contrasto
 con  l'art.  3  Cost.  in  quanto  determinerebbe   un'ingiustificata
 diversita' di trattamento:
         a)   in  ordine  alla  attualita'  o  meno  della  misura  di
 prevenzione, equiparando la persona nei cui confronti l'esecuzione e'
 gia'  cessata  da  lungo  tempo  a colui che vi e' ancora sottoposto,
 nonostante  il  diverso  allarme  sociale  cui  danno  luogo  le  due
 situazioni;
         b)  in ordine alla mancata graduazione degli effetti negativi
 derivanti dall'attuazione della  misura,  di  per  se'  suscettibile,
 invece, di diversa valutazione in relazione alla sua natura, entita',
 durata ed eventuale revoca anticipata;
        c)  estendendo  la  sanzione  della decadenza anche a soggetti
 (coniuge, figli e persone conviventi) "non personalmente responsabili
 dei  fatti  che  hanno  dato  causa  all'applicazione della misura di
 prevenzione";
         d)  per la mancata apposizione di congrui limiti temporali ai
 divieti in  questione,  con  riguardo  a  trasgressioni  piu'  lievi,
 situazioni di pericolosita' divenute remote, o, a persone estranee ai
 fatti criminosi;
      che  un  ulteriore  contrasto  con gli artt. 4 e 41 Cost., viene
 ravvisato nel grave affievolimento del  diritto  alla  libera  scelta
 dell'attivita'  lavorativa,  e  nell'irragionevole compressione senza
 limiti di tempo, alla liberta' di iniziativa economica in conseguenza
 di  un  pregresso,  e  spesso  antico,  giudizio  di colpevolezza che
 prescinde dall'attuale pericolosita' del soggetto;
      che  risulterebbe infine violato anche l'art. 97 Cost. in quanto
 la  norma  censurata,  imponendo   all'amministrazione   un'attivita'
 strettamente   vincolata  nell'accertare  e  dichiarare  gli  effetti
 conseguenti all'applicazione della misura di prevenzione, si porrebbe
 in contrasto con il principio di imparzialita';
      che  in  entrambi i giudizi e' intervenuta l'Avvocatura Generale
 dello Stato chiedendo  che  le  questioni  venissero  dichiarate,  in
 parte, inammissibili e, in parte, infondate;
    Considerato che le cause vanno riunite per connessione oggettiva;
      che  per  quanto  attiene  alla  prima  questione  sollevata dal
 Tribunale di Trapani, l'estensione delle misure antimafia  ad  alcune
 delle  categorie  di  persone  socialmente  pericolose previste nella
 legge n.  575  del  1965,  nella  parte  in  cui  cio'  comporterebbe
 l'applicazione a queste ultime di sanzioni amministrative accessorie,
 quali la decadenza da provvedimenti lato sensu ampliativi della  loro
 sfera  di  iniziativa  economica,  non  appare irragionevole, essendo
 dettata dalla medesima ratio di impedire,  anche  in  relazione  alle
 predette  fattispecie,  l'eventuale  ingresso  nel mercato del denaro
 ricavato  dall'esercizio  di  attivita'  delittuose  o  di   traffici
 illeciti;
      che,  in  tal  senso,  la  scelta operata dal legislatore supera
 qualsiasi   considerazione   in    ordine    all'eventuale    diversa
 pericolosita'  sociale  delle  categorie  di persone equiparate, e la
 questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata;
      che   col   censurare   l'omessa   previsione   di  ogni  potere
 discrezionale nella dichiarazione di decadenza, nonche'  la  mancanza
 della  possibilita' di una riabilitazione che restituisca al soggetto
 lo stesso grado di liberta' economica  goduto  prima  dell'attuazione
 della misura di prevenzione, viene sostanzialmente richiesta a questa
 Corte un'opera di integrazione normativa che, implicando  una  scelta
 fra   piu'   soluzioni  possibili,  e'  esclusivamente  riservata  al
 legislatore;
      che,  pertanto,  la seconda questione sollevata dal Tribunale di
 Trapani e concernente l'asserito contrasto dell'art. 10  della  legge
 31   maggio  1965,  n.  575,  con  l'art.  41  Cost.,  va  dichiarata
 manifestamente inammissibile;
      che  ad identiche conclusioni deve pervenirsi anche in relazione
 alle questioni con le quali il TAR Lazio censura (per  contrasto  con
 gli  artt.  3, 4 e 41 Cost.) la mancata apposizione di congrui limiti
 temporali al divieto di adottare provvedimenti che amplino  la  sfera
 di   iniziativa   economica   di  soggetti  sottoposti  a  misura  di
 prevenzione, dovendosi al riguardo ribadire quanto  questa  Corte  ha
 gia'  affermato,  in riferimento ad analoghe censure, nella pronuncia
 n. 450 del 1987;
      che  le  questioni  concernenti  la  mancata  graduazione  degli
 effetti  negativi  derivanti  dall'applicazione   della   misura   di
 prevenzione,  in  riferimento  alle diverse situazioni soggettive cui
 essa puo' dar luogo secondo la  sua  attualita',  natura,  entita'  o
 durata   (artt.   3   e   97   Cost.),  vanno  egualmente  dichiarate
 manifestamente inammissibili, richiedendosi scelte discrezionali  fra
 piu' soluzioni possibili, esclusivamente riservate al legislatore;
      che,  per  quanto attiene all'estensione degli effetti accessori
 della misura di  prevenzione  al  coniuge,  figli  o  conviventi  del
 prevenuto,  a  soggetti cioe' non personalmente colpiti dalla misura,
 si deve anzitutto rilevare che  la  norma  mira  ad  impedire  che  i
 divieti  e  le  decadenze possano essere elusi mediante il ricorso ad
 intestazioni fittizie a persone di comodo;
      che, il coniuge, i figli o i conviventi sono quindi assoggettati
 alle medesime preclusioni della persona sottoposta  alla  misura,  in
 base  alla  presunzione che essi possano intervenire quali prestanome
 della stessa, o che quest'ultima possa,  comunque,  aver  parte  alle
 attivita'  economiche  alle  quali  si  riferiscono  i  provvedimenti
 oggetto dei divieti o decadenze;
      che tale presunzione assoluta, posta dal legislatore, non appare
 irragionevole  in  relazione  alla  situazione  ad  alto  rischio  di
 pericolosita' nella quale la norma e' destinata ad operare;
      che,   pertanto   la   questione  va  dichiarata  manifestamente
 infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 la Corte costituzionale;