ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2947, terzo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 9 novembre 1981 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Bellinazzi Prospero e Bonani Luigi ed altri, iscritta al n. 461 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 338 dell'anno 1982; 2) ordinanza emessa il 3 maggio 1985 dalla Corte di Appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Vecchioni Antonino e Esposito Anna ed altri, iscritta al n. 783 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visto l'atto di costituzione di Vecchioni Antonino; Udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1988 il Giudice relatore Mauro Ferri; Uditi gli avvocati Paolo Vitucci e Alessandro Bazzani per Vecchioni Antonino. Ritenuto in fatto 1. - Dinanzi il Tribunale di Genova, Bellinazzi Prospero, con atto notificato l'8 maggio 1979, ha chiesto il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'incidente stradale verificatosi il 14 dicembre 1971 in Genova quando lo stesso era stato investito dall'autovettura di proprieta' di Bonani Luigi, condotta da Bresin Dino. Costituitisi in giudizio, il primo e gli eredi del secondo hanno eccepito la prescrizione dei diritti dell'attore in quanto l'azione penale iniziata nei confronti del Bresin, imputato del reato di lesioni colpose, si era conclusa con sentenza del 20 novembre 1976 di non doversi procedere per essere il reato estinto per morte del reo avvenuta in data 28 gennaio 1974. Il giudice adito, rilevato che la prima richiesta risarcitoria inviata al Bonani venne da questi ricevuta il 30 giugno 1977, e cioe' oltre due anni dopo la morte del Bresin, ha sollevato, con ordinanza emessa il 9 novembre 1981, questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 24 Cost., dell'art. 2947, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui, anche in caso di morte del reo, fa decorrere dalla data di estinzione del reato il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno stabilito dai primi due commi dello stesso articolo. Osserva il giudice remittente che qualora il fatto lesivo sia considerato dalla legge come reato il danneggiato ha due strade per ottenere il risarcimento del danno: o esercitare l'azione civile nel procedimento penale, costituendosi parte civile, o instaurare direttamente un giudizio civile, che subira' necessariamente una sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. In entrambe le ipotesi dovra' comunque attendere la conclusione del processo penale ben sapendo che da detta conclusione iniziera' a decorrere il termine prescrizionale stabilito ai primi due commi dell'art. 2947 c.c. Nel caso pero' di morte dell'imputato il danneggiato non ha la concreta possibilita' di venire a conoscenza della causa estintiva del reato se non nel momento in cui viene depositato nel giudizio penale il certificato di morte, o quando il giudice, essendone altrimenti venuto a conoscenza, non dichiari estinto il reato per morte del reo. Ora, in base al disposto del terzo comma dell'art. 2947 c. c., se in tale momento siano ormai decorsi dalla data dell'evento estintivo i termini prescrizionali stabiliti ai primi due commi dello stesso articolo il danneggiato non ha piu', senza alcuna negligenza da parte sua, la concreta possibilita' di tutelare il suo diritto al risarcimento dei danni. Il principio garantito dall'art. 24 Cost. deve quindi ritenersi violato, prosegue il giudice a quo, non solo quando la possibilita' di tutelare in giudizio i propri diritti sia espressamente negata, ma anche quando sia soltanto astrattamente prevista e non concretamente realizzabile: in tal senso il Tribunale di Genova richiama alcune decisioni di questa Corte (nn. 139/67 e 159/71, in riferimento all'art. 305 c.p.c.) nelle quali e' stato affermato il principio che il diritto di difesa comporta anche l'esigenza della conoscenza delle situazioni di fatto obiettive e subiettive cui la legge ricollega, condiziona o subordina, in virtu' di oneri, preclusioni o decadenze, il concreto esercizio del diritto stesso. Diverse da quella in esame, conclude il giudice remittente, sono le ipotesi di estinzione del reato per amnistia - provvedimento di clemenza adottato legislativamente e che pertanto deve essere conosciuto da tutti - ovvero di decorrenza del termine prescrizionale dalla data in cui diviene irrevocabile la sentenza di proscioglimento; in tale ultimo caso, gia' esaminato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 116 del 1972), l'onere di diligenza incombente sulla parte lesa le impone di seguire il corso del procedimento penale e di conoscerne quindi tempestivamente il provvedimento conclusivo. 2. - In termini identici ha sollevato la questione anche la Corte d'Appello di Roma, con ordinanza del 3 maggio 1985, nel corso del giudizio promosso da Vecchioni Antonino nei confronti degli eredi di Esposito Luigi, estendendo altresi' alla violazione dell'art.3 Cost. le censure avverso la norma impugnata. Osserva in proposito la Corte d'Appello che il principio di eguaglianza risulterebbe violato poiche' la parte interessata non troverebbe nell'ambito dell'art. 2947 terzo comma c.c. lo stesso trattamento che viene assicurato dall'art. 305 c.p.c., come risulta a seguito delle sentenze di questa Corte nn. 139 del 1967 e 159 del 1971, in tema di decorrenza del termine stabilito per la prosecuzione o la riassunzione del processo. Nel giudizio innanzi la Corte si e' costituito Vecchioni Antonino, il quale, svolgendo considerazioni adesive all'ordinanza di rimessione, censura in sostanza il criterio adottato per la decorrenza del termine di prescrizione quando questo inizi dalla data di un evento di cui il soggetto interessato non e' messo in condizione di conoscere l'avverarsi. Considerato in diritto 1. - I due giudizi, avendo ad oggetto la medesima norma, vanno riuniti e decisi con unica sentenza. 2. - La Corte e' chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui, anche in caso di morte del reo, fa decorrere dalla data di estinzione del reato il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno stabilito ai primi due commi dello stesso articolo. Ad avviso di entrambi i giudici remittenti la norma, interpretata, in coerenza all'art. 183 c.p. nel senso che la morte del reo, quale causa estintiva del reato, produce automaticamente il suo effetto nel momento in cui si verifica, sarebbe suscettibile di menomare il diritto di difesa della parte danneggiata (art. 24 Cost.) ponendo la decorrenza del termine di prescrizione da un momento iniziale che non puo' essere conosciuto con certezza dall'interessato. 3. - La questione non e' fondata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentt. nn. 118 del 1969; 8 e 178 del 1975; 311 del 1988) la garanzia costituzionale della difesa opera attribuendo la piena tutela processuale delle situazioni giuridiche soggettive nei termini e nelle configurazioni che a queste derivano dalle norme del diritto sostanziale; quella garanzia trova quindi confini nel contenuto del diritto al quale e' strumentale e si modella sui concreti lineamenti che questo riceve dall'ordinamento. Ora, la disposizione in esame, nel disciplinare il modo di essere e di operare della prescrizione, del quale la decorrenza del termine e' una delle manifestazioni, attiene all'estinzione del diritto soggettivo, non alla tutela giurisdizionale. Se e' vero infatti che alla estinzione del diritto consegue normalmente l'impossibilita' di farlo valere, tanto in via di azione che in via di eccezione, cio' si verifica perche' la prescrizione opera sul terreno sostanziale del diritto, non su quello della sua protezione processuale. 4. - In ogni caso, ove anche la questione in esame potesse intendersi come potenzialmente incidente sulla concreta possibilita' di agire per ottenere una tutela adeguata del proprio interesse, neanche sotto tale profilo essa incontrerebbe una sorte migliore. Questa Corte ha invero costantemente affermato che, allorquando sia fissato un termine per il compimento di un atto, la cui omissione importi un pregiudizio per una situazione soggettiva giuridicamente tutelata, nella garanzia di cui all'art. 24 della Costituzione e' ricompresa la conoscibilita' del momento iniziale di decorrenza del termine stesso (cfr. sentt. n. 159 del 1971; 255 del 1974; n. 14 del 1977). Orbene, la norma censurata dai giudici a quibus non agisce in modo contrastante con tali principi. Nella situazione in esame, infatti, la possibilita' per il danneggiato di tutelare il proprio diritto al risarcimento del danno rimane comunque garantita dalla previsione del termine generale biennale decorrente dal giorno in cui l'evento lesivo si e' verificato, dato di riferimento che il danneggiato puo' facilmente tener presente al fine di vigilare sui propri interessi. 5. - E' pur vero che la norma viene censurata con riguardo al pregiudizio che potrebbe subire il danneggiato, il quale abbia scelto di rimanere in attesa della definizione del procedimento penale, nel caso che questo si concluda con sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per morte dell'imputato, ed egli non abbia conosciuto il momento di tale evento da cui decorre il termine di prescrizione. Ma, innanzitutto, occorre osservare che la previsione di cui al terzo comma dell'articolo 2947 cod. civ., estendente all'azione civile la prescrizione piu' lunga stabilita dalla legge per il reato, nell'ipotesi che il fatto sia considerato tale, e' principalmente dettata dall'esigenza di garantire il principio di unita' della giurisdizione. Ed inoltre la norma, secondo quanto gia' osservato da questa Corte nella sentenza n. 116 del 1972, pone implicitamente alla parte lesa un onere di diligenza dandole carico di seguire il corso del procedimento penale che si inizia riguardo al fatto lesivo; siffatto onere puo' comprendere, non solo l'accertamento circa l'emanazione di una pronuncia giudiziale, come gia' affermato nella citata decisione, ma anche la periodica verifica dell'"esistenza in vita" dell'imputato, attivita' questa che, in quanto normalmente esperibile presso gli uffici di stato civile, non puo' dirsi talmente gravosa da confliggere con l'articolo 24 della Costituzione (cfr. per un caso analogo la sent. 311/88). Va detto poi che, contrariamente a quanto sembrano ritenere i giudici remittenti, la parte lesa e' comunque efficacemente tutelata dalla possibilita' di partecipare al procedimento penale costituendosi parte civile, cosi' da porsi al riparo da ogni effetto sfavorevole. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il rapporto processuale instaurato con l'esercizio dell'azione civile nell'ambito del procedimento penale non si estingue ma perviene ad un normale esaurimento con una pronuncia implicita di non luogo a decidere per essere venuta meno la potestas iudicandi del giudice penale, a norma dell'art. 23 c.p.p.; resta quindi fermo, in ordine alla prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, l'effetto interruttivo permanente della costituzione di parte civile, e la prescrizione non ricomincia a decorrere se non dal momento in cui sia divenuta irrevocabile la sentenza del giudice penale che abbia dichiarato di non doversi procedere a causa della estinzione del reato. 6. - Quanto alla questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'Appello di Roma, anch'essa risulta destituita di fondamento. Come e' detto in narrativa, il giudice a quo ravvisa una violazione del principio di eguaglianza in quanto la parte interessata non troverebbe nell'ambito dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ., lo stesso trattamento che viene assicurato dall'art. 305 c.p.c., quale risulta a seguito delle sentenze di questa Corte n. 139 del 1967 e n. 159 del 1971. Ma la situazione regolata dalla norma in esame e', in tutta evidenza, assolutamente diversa rispetto a quella disciplinata dall'art. 305 c.p.c. (in materia di mancata prosecuzione o riassunzione del processo), attinente a termini di natura strettamente processuale che incidono direttamente sull'esercizio dell'azione; e' quindi inconferente ogni richiamo all'art. 3 Cost.