ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1986 dal Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Kinsky Vaclav Norberto e I.N.P.S., iscritta al n. 32 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S. e di Kinsky Vaclav Norberto nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1988 il Giudice relatore Francesco Greco; Uditi l'avv. Paolo Pafanti-Pellettier per Kinsky Vaclav Norberto e l'avv. Fabrizio Ausenda per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Mario Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso al Pretore di Pisa, Kinsky V. Norberto chiedeva la condanna dell'I.N.P.S. alla liquidazione in proprio favore di una pensione di vecchiaia commisurata alla 30a classe di retribuzione. A sostegno della pretesa, il ricorrente deduceva che, dopo ventuno anni di impiego con contribuzione obbligatoria I.N.P.S., nel 1973, per gravi motivi familiari, egli aveva dovuto interrompere l'attivita' lavorativa, ed era stato ammesso alla prosecuzione volontaria della contribuzione in 30a classe con decorrenza 1 luglio 1973. Tale prosecuzione era durata sino al 31 ottobre 1977: dal 1 novembre 1977 al 31 dicembre 1980 il ricorrente era stato parte di altro rapporto di lavoro, con relativa contribuzione obbligatoria. Quindi, dal 1 gennaio 1981 era stato nuovamente ammesso alla prosecuzione volontaria in 10a classe fino all'ottobre 1983. Al compimento del sessantesimo anno di eta', in data 21 marzo 1984, il Kinsky aveva chiesto la liquidazione della pensione di vecchiaia commisurata alla 30a classe di contribuzione, secondo il principio stabilito dall'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, alla stregua del quale, ai fini del computo della pensione, avrebbe dovuto essere considerato il migliore triennio di contribuzione nell'ultimo decennio. Invece, la pensione gli era stata corrisposta sulla base della 10a classe di contribuzione, e cio' alla luce della modifica legislativa introdotta, medio tempore, dall'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, che aveva sostituito il principio dianzi ricordato con quello delle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza del pensionamento. Strumentalmente all'accoglimento del ricorso, il Kinsky sollevava eccezione di legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. della norma teste' citata, nella parte in cui essa non prevede, nella fase transitoria dal vecchio al nuovo regime, che venga fatta salva la posizione giuridica del lavoratore il quale, alla data di entrata in vigore della legge n. 297/1982, si trovasse ad avere gia' maturato, nell'ultimo decennio prima del pensionamento, il triennio di migliore contribuzione I.N.P.S. ai sensi dell'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160. Il Pretore di Pisa ha ritenuto la questione rilevante ai fini della decisione del giudizio e non manifestamente infondata, e, pertanto, con ordinanza del 15 novembre 1986, ha rimesso gli atti a questa Corte. Il giudice a quo, riferendosi ai menzionati parametri costituzionali, critica la mancanza di una norma transitoria che, facendo salvi i piu' favorevoli criteri di liquidazione della pensione, sui quali l'assicurato poteva aver fatto legittimo affidamento in base alla previgente normativa del 1975, eviti "palesi irrazionalita' e disparita' di trattamento". Osserva il Pretore di Pisa che, nel caso concreto che ha dato luogo all'ordinanza di rimessione, all'epoca della seconda fase di prosecuzione volontaria della contribuzione da parte del ricorrente, la legge gli consentiva la prosecuzione stessa in una classe modesta, in quanto, in sede di liquidazione della pensione, sarebba stata rilevante la contribuzione elevata del triennio gia' perfezionato, e, pertanto, un ulteriore versamento in una classe superiore sarebbe stato del tutto superfluo. Invece, mutato il regime al momento del pensionamento del ricorrente, era diventata inopinatamente determinante per la quantificazione della pensione proprio quella contribuzione volontaria nella classe piu' bassa. 2. - Nel giudizio si sono costituiti la parte privata e l'I.N.P.S., ed ha, inoltre, spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato. 3. - La parte privata ha insistito, sia nell'atto di costituzione, sia nella memoria conclusionale, per la dichiarazione di fondatezza della questione, rilevando, tra l'altro, che la norma censurata ha inciso negativamente su diritti quesiti dell'assicurato, peggiorandone in misura notevole ed in maniera definitiva la posizione previdenziale, cio' che sarebbe, a suo avviso, precluso dai precetti costituzionali in materia, anche secondo i principi enunciati da questa Corte con la sentenza n. 349 del 1985. 4. - Di opposto tenore e' la difesa dell'I.N.P.S., la quale osserva che la modificazione normativa introdotta con la disposizione censurata va valutata nel contesto globale dell'evoluzione dell'ordinamento previdenziale, nel cui ambito ragionevolmente si giustifica tenendo presente da un lato l'intento di collegare piu' immediatamente la misura del trattamento pensionistico alle ultime contribuzioni, al fine di sopperire alle esigenze di finanziamento del sistema previdenziale e secondo il criterio di solidarieta' sociale cui il sistema stesso e' improntato; dall'altro lato i miglioramenti di trattamento che gradualmente si sono venuti verificando (es. indicizzazione del tetto pensionistico, perequazione automatica delle pensioni etc...). 5. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito la inammissibilita' della questione sollevata, alla stregua del rilievo secondo cui nell'ordinanza di rimessione non sarebbero esposti in modo compiuto i motivi di contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Nel merito, la difesa dell'autorita' intervenuta ha concluso per la infondatezza della questione. Considerato in diritto 1. - Il pretore di Pisa dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non fa salva la posizione giuridica del lavoratore il quale, alla data di entrata in vigore della medesima legge, si trovasse ad avere gia' maturato, nell'ultimo decennio prima del pensionamento, il triennio di migliore retribuzione I.N.P.S., ai sensi dell'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, in riferimento agli artt. 3 Cost., per la evidente irrazionalita', e 36 Cost., perche' a detto lavoratore viene attribuita una pensione in misura di gran lunga inferiore a quella cui avrebbe avuto diritto secondo la precedente legge. 2. - Va, anzitutto, rigettata l'eccezione di inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura sul rilievo dell'omessa o, quanto meno, insufficiente motivazione del contrasto della norma censurata con i sopra ricordati parametri costituzionali. Dal contesto dell'ordinanza di rimessione si evince, invece, l'esistenza di una motivazione del tutto sufficiente al riguardo. 3. - La questione e' fondata. Questa Corte ha gia' affermato (sent. n. 349 del 1985) che nel nostro sistema costituzionale il legislatore puo' emanare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, quando si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale vigente per la materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni, pero', al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto (v. sentt. nn. 36 del 1985 e 210 del 1971). Anche se deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non puo', pero', ammettersi che detto intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare, non puo' dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando gia' sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa. Nella fattispecie il trattamento pensionistico che, in base alla precedente legge, sarebbe spettato al ricorrente, si e' irrimediabilmente ridotto di quasi due terzi. L'operata riduzione e' tanto piu' grave in quanto lo stesso Istituto previdenziale ha provveduto a determinare la quota di contribuzione volontaria, dovuta per legge interamente dal lavoratore, necessaria per raggiungere l'anzianita' contributiva richiesta dalla legge allora in vigore per conseguire il diritto al trattamento pensionistico. La quota di contribuzione volontaria postula la sussistenza di tassativi ed inderogabili requisiti di legge supportati dalla prescritta anzianita' assicurativa e contributiva ed e' ragguagliata nella misura alla retribuzione settimanale ed alla correlativa classe contributiva assegnata dall'I.N.P.S. in relazione all'entita' di tale retribuzione, percepita prima della cessazione dell'attivita' lavorativa. In conseguenza dell'eventuale versamento di una somma inferiore, il periodo assicurativo si contrae automaticamente in proporzione. L'inderogabile esigenza giustificatrice della riduzione del trattamento pensionistico ormai prossimo a maturazione, secondo la legge precedente alla modificazione, non puo' concretarsi nelle ragioni che hanno determinato la riforma legislativa. Il precedente trattamento pensionistico era, infatti, calcolato sulla base retributiva collocata, nella fattispecie, in epoca non lontana dalla decorrenza della pensione. Per effetto della legge di modifica si e' inserita, invece, la valutazione dell'apporto contributivo oggettivamente dovuto nel sistema a ripartizione, nel quale i contributi assicurativi sono percentualmente commisurati alle retribuzioni collegate con le variazioni dell'indice del costo della vita, sicche' il trattamento di pensione liquidato ai lavoratori che maturano il relativo diritto dopo l'entrata in vigore di detta legge, per effetto della maggiore contribuzione versata, e' certamente piu' congruo. Cio' non avviene, invece, per coloro che, pur avendo versato la contribuzione dovuta in base alla legge precedente, dovessero seguire il nuovo sistema. Sono di ordine secondario le altre ragioni, quali il conseguimento di un gettito fiscale per coprire gli oneri dei trattamenti dovuti anche alle categorie con contribuzione bassa o nulla, secondo il principio solidaristico, nonche' l'avvenuta elevazione del tetto pensionabile, l'adeguamento periodico delle pensioni e l'aumento dei trattamenti minimi, in una con le necessita' di contenimento della spesa previdenziale: ragioni non idonee a giustificare la decurtazione della pensione in danno di quei lavoratori che hanno versato contributi a loro carico, per l'intero o in parte, nella legittima aspettativa di conseguire un trattamento pensionistico adeguato. Valgono per costoro il principio della garanzia della sicurezza sociale, che e' anch'esso di ordine costituzionale (art. 38), oltre che le innegabili ragioni di giustizia sociale e di equita' per cui non possono effettuarsi riforme o conseguire risultati a danno di categorie di lavoratori in genere ed in ispecie di quelli che sono prossimi alla pensione o sono gia' in pensione. Pertanto, la questione e' fondata nei suddetti sensi, rimanendo assorbito il profilo della violazione dell'art. 36 Cost.