ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 724 del codice
 penale, promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 26 novembre 1985 dal Pretore di Trento
 nel procedimento penale a carico di Deiana Attilio, iscritta al n. 41
 del  registro  ordinanze  1986  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1986;
      2)  ordinanza  emessa  il  4  aprile  1986 dal Pretore di Sestri
 Ponente  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Camberini  Franco,
 iscritta  al  n.  369  del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1986;
      3)  ordinanza  emessa  il 29 aprile 1986 dal Pretore di Roma nel
 procedimento penale a carico di Bonino Emma, iscritta al n.  545  del
 registro  ordinanze  1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1986;
      4)  ordinanza  emessa il 17 giugno 1986 dal Pretore di La Spezia
 nel procedimento penale a carico di Vezzoli Giovanni, iscritta al  n.
 686 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 57, prima serie speciale, dell'anno 1986;
      5)  ordinanza emessa il 25 maggio 1987 dal Pretore di Monfalcone
 nel procedimento penale a carico di Danieli Gianni Luca, iscritta  al
 n.  698  del  registro  ordinanze  1987  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 49,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1987.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 20 aprile 1988 il Giudice
 relatore Giovanni Conso.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -   Nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico di Deiana
 Attilio, il Pretore di Trento, con ordinanza del 26 novembre 1985, ha
 denunciato,  in  riferimento  agli artt. 3, 7 e 8 della Costituzione,
 l'illegittimita' dell'art. 724, primo comma, del codice  penale,  che
 punisce  con  l'ammenda  da  lire  ventimila  a seicentomila chiunque
 pubblicamente bestemmia contro la Divinita' o i Simboli o le  Persone
 venerati nella religione dello Stato.
   Il  giudice a quo prende le mosse dall'Accordo di modificazioni del
 Concordato lateranense intervenuto fra la Repubblica  italiana  e  la
 Santa  Sede  il  18  febbraio  1984 e recepito nel nostro ordinamento
 attraverso la legge di ratifica ed esecuzione 25 marzo 1985, n.  121:
 il  punto  1  del  Protocollo addizionale -  con lo stabilire che "Si
 considera non piu' in vigore il principio, originariamente richiamato
 dai  Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione
 dello Stato" -  e l'art. 13 del nuovo Concordato -  con lo  stabilire
 che  le  disposizioni del Concordato non riprodotte nell'Accordo sono
 abrogate  -   hanno  determinato  la  caducazione  del  concetto   di
 religione  cattolica  come  sola  religione  dello  Stato (art. 1 del
 Trattato concluso fra la Santa Sede e l'Italia  l'11  febbraio  1929;
 art. 1 dello Statuto del Regno), cosi' da contrassegnare l'intervento
 dello Stato italiano in tema di  religione  (v.  anche  il  Preambolo
 dell'Accordo)  come  una scelta di vera e propria "neutralita'". Tale
 scelta, il mutare dei costumi, il crescente secolarismo e la tendenza
 del   mondo   cattolico   a   rinunciare   a   privilegi  legislativi
 imporrebbero, quindi, una "rilettura" dell'art. 724 del codice penale
 tale  da  consentire  alla  Corte  il  riesame  delle  sue precedenti
 decisioni di non fondatezza (sentenze n. 79 del  1958  e  n.  14  del
 1973).
    I   parametri   costituzionali   invocati   dal   giudice   a  quo
 risulterebbero violati nel senso che, se l'art. 724 del codice penale
 tutelasse  soltanto  "il libero esercizio della religione cattolica e
 il   sentimento   religioso   dei   cattolici",   verrebbe    operata
 un'ingiustificata discriminazione fra i cittadini e fra le religioni,
 privando "il cittadino  professante  diversa  religione,  di  analoga
 difesa  del  suo sentimento religioso e privilegiando cosi' il libero
 esercizio di un solo culto", con violazione, oltre che  dell'art.  8,
 primo comma ("in quanto eguale liberta' ed eguale protezione non sono
 garantite dalla vigente legislazione penale" alle  altre  religioni),
 dell'art. 3 della Costituzione (il quale "non consente al legislatore
 discriminazioni in relazione alla religione professata e  dunque  una
 differenziata  considerazione  del  sentimento  religioso").  Sarebbe
 vulnerato anche l'art.7 della Costituzione "che vuole i rapporti  tra
 Stato  e  Chiesa  regolati  dai  patti  lateranensi"  (v. artt.1 e 13
 dell'Accordo e punto 1 del Protocollo addizionale), "disattesi  nello
 spirito  e nella lettera dal privilegio della protezione penale delle
 offese recate contro la religione di Stato".
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 22, prima serie speciale,  del
 21 maggio 1986.
    Nel  giudizio  non  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri ne' vi e' stata costituzione della parte privata.
    2.  -  Nel corso del giudizio penale a carico di Camberini Franco,
 imputato, fra l'altro, del reato di bestemmia, il Pretore  di  Sestri
 Ponente,   con  ordinanza  del  4  aprile  1986,  ha  denunciato,  in
 riferimento agli artt. 2, 3, 8 e 19 della  Costituzione,  l'art.  724
 del codice penale.
    Addotte  argomentazioni  analoghe  a  quelle del Pretore di Trento
 circa il rilievo del punto 1 del Protocollo addizionale e confutata -
 anche  sulla  base  della  piu' recente giurisprudenza della Corte di
 cassazione -   la  tesi  di  alcuni  giudici  di  merito,  che  dalla
 novazione  concordataria hanno fatto derivare l'immediata abrogazione
 della norma censurata, il giudice a quo sostiene  che,  alla  stregua
 del  nuovo  assetto,  sarebbero  venuti meno i presupposti in base ai
 quali la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le precedenti
 questioni  di  legittimita' dell'art.724 del codice penale. Una norma
 che, apprestando per la sola religione cattolica una speciale  tutela
 penale,   comporterebbe  "lesione  dei  princi'pi  costituzionali  di
 uguaglianza e di liberta' dei cittadini",  quali  si  desumono  dagli
 invocati  precetti costituzionali, la cui osservanza sarebbe, invece,
 assicurata o  garantendo  "ogni  religione  in  eguale  misura  dagli
 attacchi  e  dalle  offese  alle  rispettive credenze, o nel senso di
 eliminare dal codice penale quelle  fattispecie  volte  unicamente  a
 sanzionare   i   comportamenti  offensivi  nei  riguardi  della  sola
 religione cattolica".
    Infatti,  mentre,  per  un  verso,  nessuna  norma  costituzionale
 conferisce alla  religione  cattolica  una  piu'  intensa  protezione
 rispetto  alle  altre  confessioni  religiose, per un altro verso, la
 maggiore  diffusione  di  tale  religione   non   puo'   giustificare
 violazioni  o  deroghe  a  quelle  norme costituzionali che intendono
 garantire l'effettiva liberta' ed eguaglianza  dei  singoli  e  delle
 formazioni  sociali  in  cui  i singoli hanno il diritto di esplicare
 liberamente  la  loro  personalita'":  anzi,in  tema  di  "liberta'",
 utilizzare  il  criterio  della  "maggioranza  del gruppo prevalente"
 costituisce l'argomento "piu' denso di pericoli".
    Infine,  e'  ormai comunemente riconosciuto che lo Stato italiano,
 evitando di assumere la  difesa  di  una  religione,  ha  perso  ogni
 connotato  di  confessionalita',  dichiarandosi, invece, indifferente
 rispetto alle scelte dei consociati, liberi di  professare  o  no  un
 credo religioso: cio' comporta l'incompatibilita' con la Costituzione
 di ogni norma che  imponga  trattamenti  differenziati  di  fronte  a
 comportamenti di identica rilevanza.
    A  confortare la tesi dell'illegittimita' dell'art. 724 del codice
 penale e' intervenuta la recente modifica dei Patti  lateranensi,  la
 quale, pur riconoscendo la peculiarita' della religione cattolica, ha
 regolato ex novo i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede, "stabilendo
 in  sostanza  che  tutte  le religioni e i valori religiosi in genere
 devono essere  ugualmente  rispettati":  donde  l'impossibilita'  "di
 riservare  la  tutela  penale  alla  sola  religione  cattolica  e la
 necessita' di ampliare tale tutela a tutte le confessioni religiose".
    In  conclusione,  non  essendosi  ancora il legislatore conformato
 alle sollecitazioni espresse dalla Corte con la sentenza  n.  14  del
 1973, provvedendo ad "estendere la tutela penale contro le offese del
 sentimento religioso di individui appartenenti a confessioni  diverse
 da  quella cattolica", la dedotta discriminazione non potrebbe essere
 rimossa   se   non   attraverso   la    pronuncia    d'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 724, primo comma, del codice penale.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 38, prima serie speciale,  del
 1› agosto 1986.
    Nel  giudizio  non  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri ne' si e' costituita la parte privata.
    3.  -   Nel corso del procedimento penale a carico di Bonino Emma,
 il Pretore di Roma, con ordinanza del 29 aprile 1986, ha  denunciato,
 in  riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione,
 l'illegittimita' dell'art. 724, primo comma, del codice penale.
    Rileva  il  giudice a quo che, mentre, alla stregua dell'art.1 del
 Concordato del 1929,  la  norma  incriminatrice  della  bestemmia  si
 armonizzava  puntualmente  con  il  sistema dei rapporti fra lo Stato
 italiano e la Chiesa cattolica  (infatti,  "era  possibile  affermare
 l'eguaglianza"  tra  religione  di  Stato e religione cattolica), una
 volta venuto meno tale sistema a seguito dell'abrogazione,  contenuta
 nella  recente modifica del Concordato, del principio della religione
 cattolica come "religione  di  Stato",  non  sarebbe  piu'  possibile
 individuare  in  astratto  quale  sia la "religione di Stato"; con la
 conseguenza  che  la  fattispecie  prevista   dall'art.   724   c.p.,
 sussistendo  incertezza  circa  il  significato  di  un  suo elemento
 costitutivo,  "non  puo'  ritenersi,  attualmente,   sufficientemente
 determinata".
    Avendo  assunto  l'espressione  "religione  di Stato", fin dal suo
 ingresso nel  sistema  normativo,  un  preciso  significato  tecnico-
 giuridico,  l'eliminazione  di  essa  dall'attuale  assetto  avrebbe,
 percio', privato di  ogni  determinatezza  la  fattispecie  criminosa
 descritta  dalla  norma  denunciata,  con  violazione  dell'art.  25,
 secondo comma,  della  Costituzione,  "non  potendosi  predeterminare
 quali siano i comportamenti riconducibili" al precetto dell'art. 724,
 primo comma, del codice penale.
    "In  via  del  tutto subordinata, nel caso si dovesse ritenere che
 l'espressione "religione di Stato" sia stata fin  dall'origine  usata
 per  individuare  atecnicamente  la  religione  cattolica", cosi' che
 l'intervenuta abrogazione del princi'pio  della  religione  cattolica
 come  "religione  di  Stato"  nulla avrebbe innovato nella previsione
 dell'art. 724 del codice penale, il  giudice  a  quo  ha  denunciato,
 sempre   in   relazione  alle  innovazioni  normative  intervenute  a
 disciplinare i rapporti fra lo Stato  e  la  Chiesa,  violazione  del
 princi'pio  di  eguaglianza:  incriminando  la  bestemmia si sarebbe,
 infatti, attuata un'ingiustificata discriminazione fra  soggetti  con
 riguardo alla religione professata.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 49, prima serie speciale, del
 15 ottobre 1986.
    Nemmeno  in  questo giudizio vi e' stato intervento del Presidente
 del Consiglio dei ministri e costituzione della parte privata.
    4.  -   Nel  procedimento  penale a carico di Vezzoli Giovanni, il
 Pretore di La Spezia, facendo proprie le "motivazioni contenute nella
 memoria" presentata dalla difesa dell'imputato, ha, con ordinanza del
 17  giugno  1986,  sollevato,  in  riferimento   all'art.   7   della
 Costituzione,  questione  di  legittimita'  dell'art.  724 del codice
 penale.
    La  detta  memoria, richiamando la nuova disciplina concordataria,
 osserva come il venir meno dell'"unicita' della religione  di  Stato"
 comporti  "che,  se  anche il legislatore vorra' tutelare il comune e
 variamente  manifestantesi  sentimento  religioso,  proprio  di  ogni
 popolo,   dovra'   mettere  a  punto  una  nuova  norma  che  preveda
 espressamente l'offesa a tutte le religioni professate nel Paese".
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 57, prima serie speciale,  del
 3 dicembre 1986.
    Nel giudizio non si e' costituita la parte privata ne' ha spiegato
 intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
    5. -  Al termine del dibattimento a carico di Danieli Gianni Luca,
 imputato,  fra  l'altro,  del  reato  di  bestemmia,  il  Pretore  di
 Monfalcone,  con  ordinanza  del  25  maggio  1987, ha denunciato, in
 riferimento agli artt. 3, 7 e 8 della Costituzione,  l'illegittimita'
 dell'art.  724  del codice penale, formulando censure sostanzialmente
 analoghe a quelle addotte dal Pretore di Trento.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 49, prima serie speciale,  del
 25 novembre 1987.
    Nemmeno  in tale giudizio si e' costituita la parte privata ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
                         Considerato in diritto
    1.  -   Le  cinque  ordinanze  in  epigrafe sollevano questioni di
 legittimita' costituzionale  in  tutto  o  in  parte  coincidenti:  i
 relativi  giudizi  vanno,  quindi,  riuniti  per  essere  decisi  con
 un'unica sentenza.
   2.  -   Oggetto  di censura e' sempre l'art. 724 del codice penale,
 con particolare riguardo al suo primo comma ("Chiunque  pubblicamente
 bestemmia,  con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinita' o
 i Simboli o le Persone  venerati  nella  religione  dello  Stato,  e'
 punito  con  l'ammenda  da  lire  ventimila  a  seicentomila"),  come
 l'ordinanza del Pretore di Roma sottolinea nel dispositivo e le altre
 lasciano   evincere  dalla  motivazione,  conformemente,  del  resto,
 all'addebito di volta in volta contestato nei procedimenti a  quibus.
 In  ciascuno  di essi l'imputazione ha, infatti, per oggetto il reato
 di bestemmia, senza che venga mai considerata la fattispecie  di  cui
 al  secondo  comma  dell'art. 724 (manifestazioni oltraggiose verso i
 defunti).
    3.  -  Numerosi sono, invece, i parametri costituzionali invocati,
 talora isolatamente, piu' spesso  in  varia  combinazione:  cosi'  il
 Pretore  di  La  Spezia  si  richiama  all'art. 7; il Pretore di Roma
 all'art. 25, secondo comma, e, in subordine, all'art. 3; i Pretori di
 Trento e Monfalcone agli artt. 3, 7 e 8; il Pretore di Sestri Ponente
 agli artt. 2, 3, 8 e 19, con espressa esclusione dell'art. 21, che la
 difesa   dell'imputato   aveva   pur   coinvolto   nell'eccezione  di
 legittimita' da essa prospettata.
    4.  -  Come puntualmente ricordato dal Pretore di Sestri Ponente e
 dal Pretore di Monfalcone, gia' in altre due occasioni  questa  Corte
 e'  stata  chiamata  ad  occuparsi  della legittimita' costituzionale
 dell'art. 724, primo comma, del codice penale, sempre concludendo per
 la  non fondatezza delle questioni rispettivamente proposte: la prima
 volta (v. la sentenza n. 79 del 1958) in riferimento agli artt.  7  e
 8,  la  seconda  (v.  la sentenza n. 14 del 1973) in riferimento agli
 artt. 3, 8, 19 e 21 della Costituzione.
    5.  -  Nel rimettere in discussione la legittimita' costituzionale
 della norma che incrimina la bestemmia, le attuali ordinanze  muovono
 tutte  dall'innovazione insita nel punto 1 del Protocollo addizionale
 all'Accordo di modificazioni  al  Concordato  lateranense  del  1929,
 Accordo  firmato  a  Roma  il  18 febbraio 1984 e recepito nel nostro
 ordinamento attraverso la legge di ratifica ed  esecuzione  25  marzo
 1985,  n.  121.  Si  tratta  del  punto  in  cui  la  Santa Sede e la
 Repubblica italiana dichiarano di considerare "non piu' in vigore  il
 principio,  originariamente  richiamato  dai Patti lateranensi, della
 religione cattolica come sola religione dello Stato", svuotando cosi'
 di  ogni  contenuto  l'art. 1 del Trattato del 1929, alla cui stregua
 l'Italia riconosceva e riaffermava "il principio consacrato nell'art.
 1  dello  Statuto  del  Regno  4  marzo  1848, pel quale la religione
 cattolica, apostolica e romana e' la sola religione dello Stato".
    6.   -    L'incidenza  di  un  cosi'  importante  mutamento  sulla
 configurazione del reato di bestemmia non viene valutata allo  stesso
 modo  dai giudici a quibus, pur concordi nel respingere, analogamente
 a quanto emerge dalla giurisprudenza della Corte  di  cassazione,  la
 tesi  secondo  cui,  come  vorrebbero  altri giudici di merito, ci si
 troverebbe addirittura di fronte all'abrogazione di  tutte  le  norme
 facenti  richiamo  alla  "religione  dello Stato". Mentre, infatti, i
 Pretori di Trento, di Sestri Ponente, di La Spezia  e  di  Monfalcone
 esprimono  l'avviso  che,  ai  fini  dell'art.  724, primo comma, del
 codice  penale,  per  "religione  dello  Stato"  deve  continuare  ad
 intendersi la religione cattolica, il Pretore di Roma sostiene in via
 principale che il venir meno del "principio della religione cattolica
 come  religione  di  Stato" non consentirebbe piu' di "individuare in
 astratto quale sia la "religione di Stato", per cui la fattispecie di
 cui  all'art.724  c.p.,  essendo  incerto  il  significato  di un suo
 elemento    costitutivo,    non    puo'    ritenersi,    attualmente,
 sufficientemente    determinata",   donde   l'ipotizzata   violazione
 dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    7.  -   La  carica di novita', che, non solo a causa del parametro
 invocato, una questione cosi' impostata presenta rispetto a tutte  le
 altre,  appare  evidente.  Cio'  anche  perche',  con il loro aderire
 all'ottica interpretativa che ravvisa nell'art. 724, primo comma, del
 codice  penale  un  persistente,  sottinteso, richiamo alla religione
 cattolica, le questioni proposte dai Pretori  di  Trento,  di  Sestri
 Ponente,  di  La  Spezia e di Monfalcone (come quella proposta in via
 subordinata dal Pretore di Roma) -  se  si  eccettua  il  riferimento
 all'art.  2  della  Costituzione, che, peraltro, il Pretore di Sestri
 Ponente  strettamente  collega  con  l'art.  3,  all'unico  scopo  di
 sottolineare  come  "i  cittadini"  non possano essere assoggettati a
 discriminazioni religiose, non  soltanto  singolarmente,  ma  neppure
 "nelle  formazioni  sociali  ove  si  svolge  la loro personalita'" -
 aggiungono ben poco agli argomenti gia' disattesi con le sentenze  n.
 79  del 1958 e n. 14 del 1973, fatta salva, ovviamente, la necessita'
 di valutare l'incidenza del punto 1 del  Protocollo  addizionale  del
 1984.
    Muovendo,  invece,  dall'opposto  convincimento  che  non sia piu'
 possibile continuare ad intendere la religione cattolica come entita'
 sottostante  alla  nozione  di  "religione dello Stato", la questione
 sollevata in via principale dal Pretore di  Roma  viene  a  rivestire
 connotati del tutto inediti.
    8.   -    L'"insufficiente  determinatezza"  -   che,  in  seguito
 all'abrogazione    dell'art.    1    del    Trattato     lateranense,
 caratterizzerebbe  il precetto dell'art. 724, primo comma, del codice
 penale, cosi' da renderlo illegittimo, ai sensi dell'art. 25, secondo
 comma,  della  Costituzione -  deriverebbe dal fatto che, non essendo
 "piu' possibile, sulla base del nuovo sistema normativo,  individuare
 in  astratto quale sia la "'religione dello Stato'", sarebbe divenuto
 "incerto il significato"  dell'elemento  costitutivo  contrassegnato,
 appunto,  dall'espressione  "religione  dello  Stato",  "che delimita
 l'ambito di applicazione della  norma".  L'espressione,  "di  origine
 politica"  e  "non  usuale  al linguaggio comune", e' "un'espressione
 tecnica, il cui significato va desunto  solo  ed  esclusivamente  dal
 sistema normativo". Non potendosi piu'
 desumere  "tale  significato"  dal  sistema  normativo  vigente, data
 "l'abrogazione del principio della religione cattolica come religione
 di  Stato, la fattispecie risulterebbe attualmente indeterminata, non
 potendosi predeterminare quali siano i comportamenti riconducibili ad
 essa".
    9. -  La questione non e' fondata.
    A  differenza  di  quanto  mostra  di ritenere il Pretore di Roma,
 l'innegabile venir meno del significato  originario  dell'espressione
 "religione  dello Stato" non esclude che, entro il contesto dell'art.
 724 del codice penale, essa  ne  abbia  acquistato  uno  diverso,  ma
 sempre     sufficientemente     determinabile,    quello,    appunto,
 riconosciutole, in conformita' ad analoghe prese di  posizione  della
 Corte  di  cassazione,  dagli  altri  giudici  a  quibus:  cioe',  il
 significato di "religione cattolica", in quanto gia' religione  dello
 Stato,  qualificazione il cui superamento risulta formalmente sancito
 con l'entrata in vigore della legge 25 marzo 1985, n.121, che, con il
 ratificare   e   rendere  esecutivi  l'Accordo  di  modificazioni  al
 Concordato lateranense ed il relativo Protocollo addizionale, ha dato
 operativita'  nel nostro ordinamento alla dichiarazione contenuta nel
 punto 1 di quel Protocollo.
    10.  -   Da  cio' consegue che, anche per quanto riguarda le altre
 questioni riproposte dai giudici a quibus, l'incidenza  del  punto  1
 del  Protocollo  addizionale,  da essi assunto a decisivo elemento di
 novita', non risulta cosi' determinante da modificare nella  sostanza
 i  termini  delle  questioni  stesse  e,  quindi,  le risposte di non
 fondatezza gia' fornite da questa Corte nelle  precedenti  occasioni.
 Ne'  con  la sentenza n.79 del 1958 ne' con la sentenza n.14 del 1973
 si  era,  infatti,  posto  l'accento  sul  fatto   che   la   lettera
 dell'art.724,  primo  comma,  del  codice  penale da' rilievo ad "una
 qualificazione formale della  religione  cattolica",  bensi'  si  era
 messa   in   risalto  la  circostanza  che  la  norma  riguarda  piu'
 propriamente  la  religione  cattolica  in  quanto  mera  confessione
 religiosa  diffusa  nel  Paese, tant'e' vero che l'infondatezza delle
 questioni  allora  sollevate  era  stata   motivata   con   argomenti
 imperniati  sull'"antica ininterrotta tradizione del popolo italiano"
 (v. pure la sentenza n.125 del 1957), sull'ampiezza e sull'intensita'
 delle  "reazioni sociali naturalmente suscitate dalle offese dirette"
 a quella religione.
    D'altro  canto,  "la limitazione della previsione legislativa alle
 offese  contro  la  religione  cattolica"  non  puo'   continuare   a
 giustificarsi  con l'appartenenza ad essa della "quasi totalita'" dei
 cittadini italiani (v. la sentenza n. 79  del  1958)  e  nemmeno  con
 l'esigenza  di  tutelare il sentimento religioso della "maggior parte
 della popolazione italiana" (v. la sentenza n.14 del 1973): non tanto
 vi  si  oppongono  ragioni  di  ordine  statistico  (comunque sia, la
 religione cattolica resta la piu' seguita in Italia), quanto  ragioni
 di  ordine  normativo.  Il  superamento della contrapposizione fra la
 religione cattolica, "sola religione dello Stato", e gli altri  culti
 "ammessi",  sancito  dal punto 1 del Protocollo del 1984, renderebbe,
 infatti, ormai inaccettabile ogni  tipo  di  discriminazione  che  si
 basasse soltanto sul maggiore o minore numero degli appartenenti alle
 varie confessioni religiose.
    Cio'  non  toglie che la perdurante limitazione insita nel dettato
 dell'art. 724, primo comma, del codice penale possa  trovare  tuttora
 un   qualche   fondamento   nella   constatazione,   sociologicamente
 rilevante, che il tipo di comportamento vietato dalla norma impugnata
 concerne  un  fenomeno  di  malcostume divenuto da gran tempo cattiva
 abitudine per molti, anche se al  legislatore  incombe  l'obbligo  di
 addivenire  ad una revisione della fattispecie, cosi' da ovviare alla
 disparita' di disciplina con le altre religioni.