ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 12 e 17, secondo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 ("Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilita'; modifiche ed integrazioni alle LL. 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazioni di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata"), promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1987 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Monfrini Massimo ed altri e il C.I.M.E.P., iscritta al n. 114 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1988; Visti l'atto di costituzione di Monfrini Massimo e del C.I.M.E.P. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 27 settembre 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore; Uditi gli avvocati Emilio Romagnoli per Monfrini Massimo e Mario Viviani per il C.I.M.E.P. e l'Avvocato dello Stato Luigi Sicanolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale di Milano, con ordinanza 30 aprile 1987 (R.O. n. 114 del 1988), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost., degli artt. 12, primo comma (cosi' come mod. dal D.L. 2 maggio 1974, n. 115 e dalla successiva l. 28 gennaio 1977, n. 10) e 17, secondo comma, della l. 22 ottobre 1971, n. 865, a norma dei quali - rispettivamente - il proprietario espropriando ha diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria degl'immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento all'indennita' provvisoria determinata ai sensi degli artt. 16 e 17 e, ove l'espropriazione "attenga ad un terreno coltivato da fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante", l'espropriante deve corrispondere a costoro un'indennita' aggiuntiva pari a quella spettante al proprietario in base all'art. 16. L'ordinanza e' stata emessa nel corso di un giudizio promosso da taluni proprietari d'immobili i quali avevano concordato con l'espropriante la cessione volontaria dei terreni espropriandi, ottenendo la maggiorazione prevista dall'art. 12 su detto e stabilendo che restasse "salvo il conguaglio" di cui alla l n. 385 del 1980, emanata al fine di determinare in via provvisoria le indennita' di espropriazione dopo le declaratorie d'incostituzionalita' contenute nella sentenza 30 gennaio 1980, n. 5. Detti proprietari chiedevano che, essendo stata dichiarata anche l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della l. n. 385 del 1980 (sentenza 19 luglio 1983, n. 223), il conguaglio fosse liquidato secondo i criteri stabiliti dalla l. n. 2395 del 1865, con la maggiorazione dovuta per la cessione volontaria e cio' anche per quanto riguardava l'indennita' di occupazione. L'espropriante si era costituito per resistere alla domanda, deducendo che i terreni avevano una destinazione agricola ed eccependo che la richiesta degli attori avrebbe comportato il pagamento di un'indennita' superiore al valore venale, tenuto conto che era dovuto anche l'indennizzo speciale di cui all'art. 17 della l. n. 865 del 1971. Il Tribunale di Milano, dopo avere preso atto che i terreni espropriati, ancorche' non ricompresi nel perimetro urbano, avevano una destinazione edificatoria e che ne' la sentenza n. 5 del 1980 ne' la sentenza n. 223 del 1983 hanno inciso sugli artt. 12 e 17, secondo comma, della l. n. 865 del 1971, ha affermato che il conguaglio andrebbe determinato - come richiesto dagli attori - in base ai criteri stabiliti dalla l. n. 2395 del 1865, con le "maggiorazioni" previste dai citati artt. 12 (per la cessione volontaria) e 17 (indennita' "per i fondi coltivati") correlate ai "parametri previsti dalla l. n. 2395 del 1865". Cio', peraltro, secondo il Tribunale, comporterebbe che dette "maggiorazioni" rendano l'indennizzo di ammontare di gran lunga superiore al valore venale del bene espropriato. Ne deriverebbe il sopravvenuto contrasto degli artt. 12, primo comma e 17, secondo comma, della l. n. 865 del 1971, nelle parti impugnate, con l'art. 42 Cost. che non consentirebbe d'imporre all'espropriante di pagare un'indennita' di valore superiore al valore di mercato del bene espropriato. 2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Nell'atto di costituzione si osserva che le declaratorie d'illegittimita' costituzionale pronunciate con le sentenze 30 gennaio 1980, n. 5 e 19 luglio 1983, n. 223 non hanno toccato l'art. 17 della l. n. 865 del 1971 ne' direttamente ne' di riflesso, in quanto la commisurazione dell'indennita' aggiuntiva, da esso prevista, ai valori agricoli medi ed astratti, non sarebbe "vulnerata dalla riconosciuta inadeguatezza degli stessi a costituire legittima base di determinazione della indennita' dovuta al proprietario per l'espropriazione". Pertanto, detta indennita' andrebbe tuttora calcolata secondo i criteri dettati dalla l. n. 865 del 1971. Cio', tuttavia, non renderebbe particolarmente gravosa per l'espropriante la misura complessiva delle indennita' di espropriazione, giacche', nella determinazione dell'indennita' dovuta al proprietario espropriato, deve tenersi conto che trattasi di un terreno pur sempre oggetto di contratti agrari. 3. - Dinanzi a questa Corte si e' costituito pure l'espropriante, chiedendo che la questione sia dichiarata irrilevante o, in subordine, che gli artt. 12, primo comma e 17, secondo comma della l. n. 865 del 1971 siano dichiarati costituzionalmente illegittimi "per la parte in cui prevedono la maggiorazione fino al 50% dell'indennita' di espropriazione calcolata secondo il valore di mercato, nonche' l'ulteriore corresponsione di un'indennita' al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il terreno espropriando". A sostegno dell'irrilevanza della questione l'espropriante ha allegato - in contrasto con quanto affermato dal Tribunale nell'ordinanza di rimessione - la natura agricola e non edificatoria dei terreni espropriati, con la conseguente non riferibilita' alla fattispecie della l. n. 2395 del 1865, essendo restato integralmente applicabile all'espropriazione dei terreni agricoli - pur dopo la sentenza n. 5 del 1980 - il regime dettato dalla l. n. 865 del 1971, come modificata dalla l. n. 10 del 1977. Si e' costituito pure uno dei proprietari esproprati (Monfrini Massimo), chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Nelle note da questo depositate si afferma genericamente, in relazione alla richiesta di una pronuncia d'inammissibilita', che sussistono dubbi sulla rilevanza della questione sollevata. Nel merito si deduce che l'indennita' aggiuntiva di cui all'art. 17, secondo comma, della l. n. 865 del 1971 non va liquidata in base alla l. n. 2395 del 1865 ma secondo i parametri dettati dalla l. n. 865 del 1971, come modificata dalla l. n. 10 del 1977. Si sottolinea inoltre che questa Corte si e' gia' pronunciata sulla legittimita' costituzionale dell'art. 17, secondo comma, con ordinanza 3 marzo 1988, n. 262, disattenendo la fondatezza di una questione analoga a quella in esame. Si sostiene, infine, che il legislatore, nella sua discrezionalita', per il caso di terreni oggetto di contratti agrari, puo' legittimamente prevedere indennita' di espropriazione che, nel loro complesso, superino il valore venale dei beni espropriati. Dinanzi a questa Corte si e' costituito anche l'affittuario dei terreni espropriati (Regazzetti Angelo), proponendo conclusioni e difese in tutto analoghe a quelle anzidette. Con successiva memoria l'espropriante ha svolto ulteriori considerazioni a sostegno dell'irrile vanza delle questioni sollevate e, in subordine, della illegittimita' costituzionale delle norme impugnate. In particolare, ha rilevato che il Regazzetti non era parte del giudizio a quo ed ha insistito sul carattere non edificatorio dei terreni oggetto dell'espropriazione. Ha anche sostenuto che, se le aree avevano vocazione edificatoria, gli artt. 12 e 17 della l. n. 865 del 1971 non sarebbero stati comunque applicabili, dovendosi ritenere la fattispecie regolata dalle leggi n. 2359 del 1865 o n. 2892 del 1885. Considerato in diritto 1. - In via pregiudiziale va dichiarata l'inammissibilita' della costituzione di Regazzetti Angelo - affittuario dei terreni espropriati - in quanto egli non era parte nel giudizio a quo, mentre questa Corte ha costantemente affermato (cfr. da ultimo sentenze 25 febbraio 1988, n. 220; 7 aprile 1988, n. 412; 12 maggio 1988, n. 531) che, nei giudizi di legittimita' costituzionale in via incidentale, le parti private legittimate a costituirsi sono soltanto quelle che, al momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione, avevano la qualifica di parte nel giudizio a quo. Cio' si evince dall'art. 25, secondo comma, della l. 11 marzo 1953, n. 87, il quale attribuisce la facolta' di costituirsi nei giudizi di legittimita' costituzionale in via incidentale alle parti destinatarie della notificazione dell'ordinanza di rimessione ai sensi dell'art. 23: parti che sono, appunto, solo le "parti in causa" del giudizio a quo. Inoltre, gli artt. 23 e 25 della l. 11 marzo 1953, n. 87, nonche' gli artt. 2 e 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale - disponendo che l'ordinanza di rimessione deve essere notificata alle parti del giudizio a quo, ove non sia stata letta in dibattimento, che la regolarita' della notificazione deve essere controllata dal Presidente della Corte prima di disporre la pubblicazione dell'ordinanza nella Gazzetta Ufficiale e che dall'ultima notificazione decorre il termine (perentorio) di venti giorni per la costituzione - regolano la costituzione delle parti davanti alla Corte, e gli adempimenti connessi, in modo tale da essere applicabili solo alle parti del giudizio a quo al momento della emanazione dell'ordinanza di rimessione. Il che rende manifesta la voluntas legis di attribuire soltanto a quelle parti la legittimazione a costituirsi dinanzi alla Corte costituzionale. 2. - Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 12, primo comma (cosi' come mod. dal d.l. 2 maggio 1974, n. 115 e dalla successiva l. 28 gennaio 1977, n. 10) e 17, secondo comma della l. 22 ottobre 1971, n. 865, i quali prevedono, rispettivamente, che il proprietario espropriando ha diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria degl'immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento all'indennita' provvisoria determinata ai sensi degli artt. 16 e 17 e che, ove l'espropriazione riguardi un terreno coltivato da fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonarlo, a costui deve essere corrisposta un'indennita' aggiuntiva pari a quella spettante al proprietario a norma dell'art. 16. Tali norme, in quanto tuttora applicabili alle procedure espropriative di terreni a destinazione edificatoria, secondo l'ordinanza di rimessione contrasterebbero con l'art. 42 Cost.: infatti le "maggiorazioni" da esse previste, dovendo essere calcolate su indennita' di espropriazione da liquidarsi - dopo le declaratorie d'illegittimita' costituzionale pronunciate con le sentenze 30 gennaio 1980, n. 5 e 21 luglio 1983, n. 223 - in base alla l. 25 giugno 1865, n. 2359, renderebbero l'importo complessivo delle indennita' di esproriazione di gran lunga superiore al valore del bene espropriato. 3. - All'esame di tali questioni vanno premesse le seguenti considerazioni. L'art. 16 della l. 22 ottobre 1971, n. 865 (modificato dall'art. 14 della l. 28 gennaio 1977, n. 10) ha previsto l'istituzione di commissioni provinciali aventi il compito di stabilire (entro il 31 gennaio di ogni anno), nell'ambito delle singole regioni agrarie delimitate dall'I.S.T.A.T., il valore agricolo medio, per il precedente anno solare, dei terreni, considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati. L'indennita' di espropriazione, secondo quanto disposto dai commi quinto, sesto e settimo di detto art. 16, per le aree esterne ai centri edificati, doveva essere commisurata al valore agricolo medio anzi detto, corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area di espropriazione. Per le aree comprese nei centri edificati invece, l'indennita' di espropriazione doveva essere commisurata al valore agricolo medio della coltura piu' redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricadeva l'area da espropriare, coprisse una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata nella regione agraria stessa, moltiplicata per determinati coefficienti. Tali criteri di calcolo delle indennita' di espropriazione - originariamente applicabili alle sole espropriazioni d'immobili disposte per le finalita' indicate dall'art. 9 della l. n. 865 del 1971 - furono estesi dalla l. 27 giugno 1974, n. 247 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o d'interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali. Questa Corte, peraltro, con la sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dei commi quinto, sesto e settimo della l. n. 865 del 1971, come modificati dall'art. 14 della l. n. 10 del 1977, per contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione. A seguito di tale pronuncia, la l. 29 luglio 1980, n. 385, stabili' che le indennita' di espropriazione, gia' regolate dalle disposizioni dichiarate illegittime, fossero provvisoriamente liquidate secondo i criteri previsti dalla l. n 865 del 1971, come modificati dalla l. n. 10 del 1977, salvo il conguaglio che sarebbe stato stabilito da apposita legge, da emanarsi entro un anno (termine poi prorogato dal d.l. 29 maggio 1982, n. 298, conv. nella l. 29 luglio 1982, n. 481 e dalla l. 23 dicembre 1982, n. 943). Anche queste norme, pero', furono poi dichiarate illegittime perche' in contrasto con gli artt. 42 e 136 della Costituzione (Corte cost. 21 luglio 1983, n. 223). Va infine precisato che, in relazione alle anzi dette declaratorie d'illegittimita' costituzionale, costitusce ormai ius receptum - secondo quanto emerge dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (sentenza 21 dicembre 1985, n. 355; 30 luglio 1984 n. 231) e dal costante indirizzo della Corte di Cassazione - che esse riguardano solo i criteri di determinazione delle indennita' per le aree con destinazione edificatoria. Le norme in discorso sono, pertanto, tuttora applicabili all'espropriazione di aree con destinazione agricola, in relazione alle quali non e' stato riconosciuto sussistente alcun profilo d'incostituzionalita', stante il collegamento della liquidazione dell'indennita' con le effettive caratteristiche e con la destinazione economica del bene. E' parimenti ius receptum che per le aree a destinazione edificatoria, in conseguenza delle declaratorie d'illegittimita' costituzionale della normativa su riferita, l'indennita' deve essere liquidata - in mancanza di una disciplina sostitutiva delle norme caducate - sulla base del valore venale o di scambio del bene, ai sensi dell'art. 39 della l. 25 giugno 1865, n. 2359, che non era stata abrogata, ma solo derogata dalla l. n. 865 del 1971. In particolare, l'indennita' va liquidata in base alla normativa generale della l. n. 2359 del 1865 anche riguardo alle espropriazioni di aree edificabili per l'attuazione di piani di edilizia economica e popolare, disposte ai sensi della l. n. 865 del 1971: infatti l'art. 39 di quest'ultima legge - che aveva espressamente abrogato le norme speciali in materia di espropriazione per la realizzazione dei piani di edilizia residenziale pubblica (art. 12 l. 18 aprile 1962, n. 167, mod. dall'art. 1 della l. 21 luglio 1965, n. 904), che rendevano applicabili a tali espropriazioni i criteri d'indennizzo previsti dall'art. 13 della l. 15 gennaio 1885, n. 2892 - non e' stato toccato dalle su dette declaratorie d'illegittimita' costituzionale. Ne consegue che, per l'abrogazione operata dall'art. 39 cit., anche tali espropriazioni finiscono con l'essere regolate, quanto ai criteri di liquidazione delle indennita', dalla disciplina generale della l. n. 2359 del 1865. 4. - Il quadro giurisprudenziale e normativo ora disegnato consente di precisare il contenuto "attuale" della disciplina della l. n. 2359 del 1865, per i riflessi che su essa possono esplicare i relitti ancora vigenti - in tema di espropriazione di aree edificatorie - della l. n. 865 del 1971 (artt. 12 e 17), che, come si e' gia' detto, non sono stati caducati dalle ricordate dichiarazioni di illegittimita' costituzionale. L'indennizzo dell'espropriato, che e' costituzionalmente garantito (art. 42, terzo comma Cost.) e che si configura come presupposto di legittimita' del provvedimento di espropriazione (cfr. art. 48 l. n. 2359 del 1865), deve assumere il carattere di un serio ristoro (sentt. n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983 citt.); esso si pone, alla stregua della ripresa di operativita' della l. n. 2359 del 1865, come diritto dell'espropriato al valore venale o di scambio del bene (art. 39 l. n. 2359 cit.). All'ammontare, in tal senso determinato, va aggiunto, ove ricorrano le circostanze previste dagli artt. 64 e segg. di questa legge, l'indennizzo per occupazione temporanea; circostanza che, secondo un accenno dell'ordinanza di rimessione, sembrerebbe ricorrere nella fattispecie, ma che non spetta a questa Corte di acclarare, non essendo, tra l'altro, compresa nelle ipotesi alle quali si riferiscono le norme sospettate di illegittimita' costituzionale. 5. - Com'e' noto, carattere distintivo dell'indennita' di espropriazione, nel sistema "puro" della l. n. 2359 del 1865, e' quello della sua unicita'. Anche se sull'immobile coesistano, insieme con il diritto del proprietario, diritti di altri soggetti (ad es., usufrutto, uso, servitu', dominio diretto), l'indennita', nei detti limiti massimi del valore di scambio, e' unica e spetta esclusivamente al proprietario (art. 27, primo comma). Fa eccezione l'ipotesi di enfiteusi, nella quale "l'indennita' sara' accettata o pattuita, anziche' dal proprietario, dagli enfiteuti che trovansi in possesso del fondo" (art. 27, secondo comma). "Pronunciata l'espropriazione, tutti i diritti anzidetti si possono far valere non piu' sul fondo espropriato, ma sull'indennita' che lo rappresenta" (art. 52, secondo comma, l. cit.). In questa posizione si trovavano originariamente anche i conduttori degli immobili oggetto di espropriazione, immobili che l'art. 27 l. n. 2359 del 1865 designa, nel primo comma, come "fondi" e, nel terzo, come "stabili"; termini che sono manifestamente comprensivi sia dei beni immobili urbani che di quelli rustici. La questione, sulla quale e' chiamata a decidere la Corte, comporta che sia esaminata in primo luogo la posizione di questi soggetti, titolari di rapporti obbligatori insieme con il proprietario del fondo, del quale sono coltivatori (fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante). La censura di illegittimita', per violazione del terzo comma dell'art. 42 Cost., si riferisce, infatti, fra l'altro, al secondo comma dell'art. 17 l. n. 865 del 1971, nel caso in cui intervenga cessione volontaria del fondo; secondo l'ordinanza di rimessione, se si dovesse riconoscere all'espropriato un indennizzo pari al valore venale o di scambio, sulla base del quale deve essere ulteriormente commisurata l'indennita' aggiuntiva attribuita ai sopra detti coltivatori, si verrebbe a determinare un indennizzo "estremamente superiore al valore venale del fondo", con la conseguente incostituzionalita' della disciplina. Chiarita, in generale, l'attuale posizione del proprietario circa l'indennizzo - ed a parte il problema della maggiorazione ad esso spettante in base al primo comma degli artt. 12 e 17 l. n. 865 del 1971, in caso di cessione volontaria di fondo edificatorio, che sara' esaminato in seguito - e' da vedere come vi incida la posizione dei su menzionati titolari di rapporti obbligatori. E' al riguardo tuttora operante l'art. 17, secondo, terzo e quarto comma della l. n. 865 del 1971, che non e' stato toccato dalle piu' volte menzionate declaratorie di illegittimita' costituzionale. Da questa norma si ricavano tre principii: 1) il fittavolo, il mezzadro, il colono e il compartecipante, costretti ad abbandonare il fondo coltivato, sono titolari (cfr. Corte cost. 3 marzo 1988, n. 262) di uno specifico diritto all'indennita' di espropriazione, il cui contenuto sara' tra poco precisato; 2) essi sono autonomamente legittimati alla percezione di tale indennita' e all'azione per conseguirla; 3) l'indennita' ad essi dovuta e' da detrarre da quella spettante al proprietario (cfr. Corte cost. 12 maggio 1988, n. 530, anche se relativa a fattispecie normativa regionale), determinata in base al valore venale del bene espropriato. La consistenza oggettiva dell'indennizzo dei predetti soggetti e' chiaramente desumibile dall'art. 17 terzo comma l. n. 865 cit.: essa consiste in una somma pari al valore agricolo medio, indicato dal primo comma dell'articolo 16 l. n. 865 cit., corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato, anche se si tratti di aree comprese nei centri edificati o delimitati come centri storici. La norma reca un autonomo riferimento al valore agricolo medio, che le consente di rendere applicabile il criterio anzidetto, indipendentemente dallo specifico richiamo, che pur contiene, all'art. 16. Questo richiamo rafforza la validita' e l'operativita' del criterio del valore agricolo medio, perche' l'art. 16 e' un precetto rimasto pienamente operante rispetto ai fondi a destinazione agricola (cfr. Corte cost. 21 dicembre 1985, n. 355; 30 luglio 1984, n. 231 cit.). Ed e' indubbio che un fondo, oggetto di contratto di affitto (come si verifica nella fattispecie, di cui e' causa) o di mezzadria o di colonia, ecc., e' naturaliter agricolo, anche se inerisce ad area a destinazione edificatoria. Ha rilevato il Presidente del Consiglio, attraverso l'Avvocatura generale dello Stato, che della presenza del coltivatore, rilevante per l'ordinamento, non possa non tenersi conto in sede di determinazione del valore venale rappresentante l'indennita' di esproprio dovuta al proprietario, posto che la stima non potrebbe, correttamente, essere riferita ad un terreno "considerato libero da vincoli di contratti agrari", nel momento stesso in cui, in base alla legge, l'esistenza del contratto di affitto assume autonoma rilevanza sul piano giuridico. Nel riferire tale esatta considerazione, la Corte osserva che se ne deve spostare l'angolo di incidenza. Pare piu' coerente, stante l'autonomia del diritto all'indennizzo del coltivatore (art. 17, ultimo comma, l. 865 cit.), compiere una distinta operazione di determinazione di tale indennizzo, calcolato in base al valore agricolo medio del fondo e dovuto direttamente al coltivatore, ai sensi del terzo comma di quest'ultima norma, nel limite massimo del valore venale del fondo stesso. Si tratta di una precisazione di carattere non soltanto formale, in quanto risponde meglio alla titolarita' del diritto del coltivatore, sancito dalla norma ora richiamata, titolarita' ed autonomia rispetto all'indennizzo del proprietario, che non sarebbero poste nella giusta luce qualora il valore agricolo, corrispondente alla perdita determinata dall'"abbandono del terreno", dovesse essere affidato ad un'operazione unica, congiunta a quella di determinazione dell'indennizzo del proprietario. Fermo il valore venale del terreno come limite massimo complessivo del prezzo dell'operazione espropriativa, l'autonoma valutazione, entro detto limite, e la diretta corresponsione al coltivatore della somma corrispondente al valore agricolo medio, realizzano, per effetto della lettura congiunta della l. 2359 del 1865 e dell'art. 17 della l. n. 865 del 1971, una deroga al principio innanzi richiamato della unicita' dell'indennizzo. 6. - E' tempo di prendere in esame la posizione del proprietario nell'ipotesi di cessione volontaria; per essa il primo comma dell'art. 12 della l. n. 865 del 1971 prevede una maggiorazione dell'indennita' "determinata ai sensi dei successivi artt. 16 e 17". E' da premettere che e' fuori discussione la vigenza di tutte queste norme nel caso che si tratti di terreno agricolo; si pone, invece, il problema della disciplina applicabile nella fattispecie di terreno edificatorio. Nel primo caso, infatti, non essendo operanti le dichiarazioni di illegittimita' costituzionale, la normativa della l. n. 865 del 1971 si esplica in tutta la sua pienezza; diversamente si prospetta la questione nel secondo caso (fondo edificatorio), che contrassegna la fattispecie in esame. Anche il giudice a quo, nel formulare la questione, parte dalla constatazione che la sentenza n. 5 del 1980 non ha dichiarato illegittimo l'art. 12 della l. n. 865 del 1971. In mancanza di tale declaratoria, l'ordinanza reputa che la norma sia tuttora operante, perdendo pero' l'originario contenuto precettivo in relazione alla sopravvenuta applicabilita', alle espropriazioni di aree a destinazione edificatoria, del criterio di liquidazione dell'indennita' di espropriazione costituito dal valore venale del suolo, secondo la previsione della l. n. 2359 del 1865. A parere,del giudice a quo, la fattispecie normativa, in precedenza integrata dal richiamo al disposto dell'art. 16 della stessa l. n. 865 del 1971 per la determinazione dell'indennita' sulla quale calcolare la maggiorazione massima, ora andrebbe integrata col disposto dell'art. 39 della l. n. 2359 del 1865, il quale commisura l'indennita' al valore venale del bene. Siffatta strutturazione del quadro normativo va peraltro disattesa, essendo in contrasto sia con l'interpretazione letterale che con quella sistematica dell'art. 12 della l. n. 865. Va preliminarmente rilevato che tale norma, mentre nel suo testo originario prevedeva che "i proprietari, entro 30 giorni dalla notificazione dell'avviso di cui al quarto comma dell'art. 11, possono convenire con l'espropriante la cessione volontaria degli immobili, per un prezzo non superiore del 10 per cento all'indennita' provvisoria", nel testo risultante dalle modificazioni apportate dal d.l. 2 maggio 1974, n. 115 e dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10 dispone che "il proprietario espropriando, entro trenta giorni dalla notificazione dell'avviso di cui al quarto comma dell'art. 11, ha diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento dell'indennita' provvisoria, determinata ai sensi degli articoli 16 e 17". In tale formulazione viene fatto specifico e vincolante richiamo all'art. 16 quale norma determinativa dei criteri di commisurazione dell'indennita' di riferimento per il calcolo della maggiorazione del 50 per cento. Il testuale, esplicito richiamo all'art. 16 non puo' essere sostituito dall'interprete con il riferimento al criterio di calcolo previsto dall'art. 39 l. n. 2359 del 1865. A differenza di quanto questa Corte ha affermato circa i terreni agricoli ed alle ipotesi in cui debba essere preso in considerazione il valore agricolo del terreno, rispetto alle quali l'art. 16 opera secondo una normativa che conserva intatta la sua efficacia, per i terreni a destinazione edificatoria le ricordate dichiarazioni di incostituzionalita' impediscono l'applicabilita' di tale disciplina nell'ipotesi di cessione volontaria, per il computo dell'indennita' aggiuntiva spettante al proprietario. In tal caso, il legislatore, attraverso il rinvio operato dal primo comma dell'art. 12 l. n. 865, impone un quantum indennitario secondo la determinazione prevista nella fattispecie espropriativa tipica dell'art. 16. Venuta meno questa norma rispetto alla determinazione dell'indennizzo per i terreni edificatori, viene a cessare, per la mancanza del supporto della disciplina principale (determinazione dell'indennizzo), il funzionamento della norma dipendente (maggiorazione di questo stesso indennizzo in caso di cessione volontaria). Non e' da trascurare, infatti, che l'art. 12 opera in un sistema nel quale l'indennita' di espropriazione dei suoli a destinazione edificatoria viene determinata in base a criteri del tutto differenziati da quello del valore venale del bene; una volta inficiato per detti terreni il criterio determinativo dell'indennizzo, posto dall'art. 16, si priva automaticamente l'art. 12 di un elemento qualificante del suo contenuto precludendo il funzionamento del meccanismo, da esso azionato per determinare la maggiorazione dell'indennizzo stesso. 7. - Da quanto precede, emerge l'inaccettabilita' dell'interpretazione dell'art. 12 sostenuta nell'ordinanza di rimessione. Questa Corte ha gia' dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15 della stessa l. n. 865 del 1971, in quanto tale norma, facendo riferimento per la determinazione dell'indennita' di espropriazione dei terreni con destinazione edificatoria all'art. 16 - dichiarato costituzionalmente illegittimo - "non puo' piu' trovare applicazione, una volta venuta meno la norma base alla quale si riferiva" (Corte cost. 11 giugno 1980, n. 84). La vicenda in esame e' del tutto omogenea a questa ora ricordata e si ispira a un sicuro orientamento della Corte, relativo alla non operativita' di norme strutturalmente e/o funzionalmente collegate, nel caso di invalidazione di una di esse a seguito della pronuncia di illegittimita' costituzionale (cfr. al riguardo Corte cost. 26 marzo 1980, n. 42; 7 luglio 1976, n. 164). Va pertanto affermato che l'art. 12, primo comma, della l. n. 865 del 1971 (concernente la cessione volontaria dell'immobile espropriando) in seguito alle declaratorie d'illegittimita' costituzionale anzidette, non e' piu' applicabile all'espropriazione d'immobili con destinazione edificatoria, essendo venuto meno un elemento intrinseco della fattispecie normativa, essenziale al suo funzionamento. D'altra parte, in un sistema, nel quale l'indennizzo e' commisurato a valori medi e astratti, avulsi dalla consistenza e dall'attitudine concreta del bene, la maggiorazione per la cessione volontaria da parte del proprietario ha una sua peculiare funzione nel senso che la spinta della valutazione verso valori piu' vicini a quelli reali contribuisce ad accelerare l'acquisizione del bene espropriando. Riportato, per i terreni edificatori, l'indennizzo al valore venale o di scambio, siffatta giustificazione perde gran parte del suo contenuto. Ne' e' ipotizzabile una maggiorazione che conduca l'indennizzo al di la' del valore venale, nel caso di cessione volontaria, non soltanto perche' lo impedisce l'art. 42, terzo comma, Cost., ma anche perche' viene a mancare un interesse del proprietario, costituzionalmente rilevante. Il proprietario non puo', infatti, pretendere dall'espropriante (normalmente, una pubblica amministrazione, che deve valutare adeguatamente anche gli aspetti economici e finanziari dell'operazione: Corte cost. 3 marzo 1988, n. 262 cit.) un prezzo maggiore del valore di scambio del bene in una vendita tra privati. Per le ragioni sopra esposte, entrambe le questioni sollevate dal giudice a quo vanno dichiarate non fondate.