ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 183, 190,
 191, 195, 213, 218, 322, 334 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156
 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in
 materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), modificati
 dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in
 materia di diffusione radiofonica e televisiva), in riferimento agli
 artt. 3 e 4 del d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, convertito in legge 4
 febbraio 1985, n. 10 (Conversione in legge, con modificazioni, del
 decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, recante disposizioni urgenti
 in materia di trasmissioni radiotelevisive), promossi con ordinanze
 emesse il 20 ottobre 1983 dal Pretore di Legnano, il 23 marzo e il 4
 aprile 1985 dal Pretore di Torino, il 28 marzo 1985 dal Tribunale di
 Milano, il 22 aprile 1985 dal Pretore di Moncalieri, il 7 febbraio
 1986 dal Pretore di Bologna, il 25 marzo 1986 dal Pretore di La
 Spezia (n. 2 ordinanze), il 28 novembre 1985 dal Pretore di
 Mezzolombardo, il 27 marzo 1986 dal Pretore di Macerata, il 2 maggio
 1986 dal Pretore di La Spezia (n. 2 ordinanze), il 27 settembre 1986
 dal Pretore di Guglionesi, il 22 settembre 1986 dal Pretore di
 Salerno, l'8 maggio 1985 dal Pretore di Mistretta, il 23 gennaio e il
 20 febbraio 1987 dal Pretore di Guglionesi, il 24 marzo 1987 dal
 Pretore di S. Angelo di Brolo, e il 26 giugno e il 10 luglio 1987 dal
 Pretore di Guglionesi, rispettivamente iscritte al n. 153 del re,
 registro ordinanze 1984, ai nn. 423, 448, 474 e 602 del registro
 ordinanze 1985, ai nn. 278, 469, 470, 483, 493, 529, 530, 772 e 790
 del registro ordinanze 1986 e ai nn. 18, 180, 188, 287, 414 e 610 del
 registro ordinanze 1987 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 190 dell'anno 1984, nn. 250 bis e 302 bis dell'anno
 1985, nn. 40, 34, 35, 42 e 47, prima serie speciale, dell'anno 1986 e
 nn. 1, 3, 11, 22, 31, 39 e 46, prima serie speciale, dell'anno 1987.
   Visti gli atti di costituzione di Turroni Giancarlo, in proprio e
 nella qualita', e di Pizzino Giuseppe nonche' gli atti di intervento
 del Presidente del Consiglio dei ministri;
   udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1988 il Giudice relatore
 Ugo Spagnoli;
   uditi l'Avv. Gustavo Romanelli per Turroni Giancarlo e l'Avv. dello
 Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
 Ritenuto in fatto
   1. - Con diciotto ordinanze emesse nel corso di altrettanti
 procedimenti penali nei quali era contestata agli imputati
 l'installazione ed esercizio senza concessione di apparecchi
 radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza, i Pretori di
 Legnano, Bologna, La Spezia, Mezzolombardo, Macerata, Mistretta,
 Guglionesi, Salerno, Moncalieri e Torino hanno sollevato, sotto
 diversi profili ed in riferimento a vari parametri, questioni di
 legittimita' costituzionale di tutta o parte della disciplina
 legislativa dettata al riguardo negli artt. 1, 183, 195 e 334 del
 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (c.d. codice postale) - i primi tre nel
 testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 - i
 quali prevedono, rispettivamente, la riserva allo Stato dei servizi
 di telecomunicazione (art. 1), la necessita' della concessione per
 l'esercizio di impianti di telecomunicazione (art. 183),
 l'assoggettamento alla pena dell'arresto da tre a sei mesi e
 dell'ammenda da . 200.000 a 2.000.000 di chi installi, stabilisca ed
 eserciti senza concessione impianti radioelettrici (art. 195, primo
 comma, n. 2) e la specifica disciplina sulla riserva di frequenze e
 sugli impieghi consentiti per gli "apparecchi radioelettrici
 ricetrasmittenti di debole potenza, di tipo portatile" (art. 334).
   1.1. - L'esclusiva statale ed il regime concessorio previsti dalle
 prime due delle suddette norme sono censurati dal Pretore di Bologna
 (ordinanza del 7 febbraio 1986; r.o. 278/86) in riferimento all'art.
 21, comma primo, Cost. - sotto il profilo della liberta' di scambio
 di informazioni ivi garantite - nonche' agli artt. 35, comma primo, e
 41 Cost., che sarebbero violati in ragione del frequente utilizzo
 degli apparecchi radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza
 per motivi di lavoro o comunque nell'ambito di attivita'
 imprenditoriali.
   Ad avviso del giudice a quo, la questione cosi' sollevata si fonda
 essenzialmente sulla considerazione che per tali impianti non
 sussiste alcuna delle ragioni poste dalla Corte a giustificazione del
 regime di esclusivita' statale stabilito per la contigua attivita' di
 trasmissione radiotelevisiva via etere in ambito nazionale (sentt.
 nn. 225 e 226 del 1974, 202 del 1976, 148 del 1981). Da un lato,
 infatti, per detti apparecchi non vi e' alcun problema in ordine alla
 limitata disponibilita' di bande di trasmissione, tant'e' che la
 vigente concessione non comporta esclusivita' dell'uso delle
 frequenze, ne' diritto a protezione da eventuali disturbi o
 interferenze da parte di altri apparecchi autorizzati (art. 334
 u.c.); il che significa che una stessa banda puo' essere utilizzata
 da piu' soggetti. Il basso costo di questi apparecchi garantisce poi
 la massima accessibilita' agli stessi da parte della generalita' dei
 cittadini. Dall'altro lato, la garanzia dell'ambito locale delle
 trasmissioni e' data proprio dalla "debole potenza" degli apparecchi
 in questione.
   Ne', d'altra parte, l'esclusivita' statale attuata col regime di
 concessione sarebbe necessaria per consentire allo Stato di mantenere
 la sorveglianza del settore, al fine di garantire la funzionalita' di
 servizi essenziali per la vita del Paese (ad esempio riservando
 l'utilizzo di alcune bande a fini di pubblica sicurezza o di sanita'
 o di navigazione marittima) ovvero di "impedire il disordine e la
 sopraffazione" (sent. n. 237 del 1984). I differenti interessi,
 pubblici e privati, sarebbero infatti armonizzabili mediante una
 disciplina autorizzatoria, come del resto gia' stabilito dalla Corte
 a proposito delle televisioni via cavo.
   1.2. - Analoghe censure ai citati artt. 183, 195 e 334 sono
 prospettate dal Pretore di Salerno (ord. del 2 settembre 1986; r.o.
 n. 790/1986) in riferimento agli artt. 35 e 41 Cost. Nell'ordinanza
 si sottolinea in particolare che l'uso di impianti ricetrasmittenti
 di debole potenza non intralcia il servizio pubblico delle
 radiotrasmissioni su scala nazionale e puo' costituire elemento
 essenziale per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali.
   1.3. - L'assoggettamento a concessione dell'installazione ed
 esercizio di apparecchi radioelettrici ricetrasmittenti di debole
 potenza e la previsione di una sanzione penale in caso di mancanza di
 essa formano altresi' oggetto di censura da parte dei Pretori di
 Mezzolombardo (ord. del 28 novembre 1985; r.o. 483/86), Macerata
 (ord. del 27 marzo 1986; r.o. 493/86), Guglionesi (ord. del 27
 settembre 1986; r.o. 772/86) e Mistretta (ord. dell'8 maggio 1985,
 pervenuta alla Corte costituzionale il 21 gennaio 1987; r.o. 18/87).
 In tali ordinanze, tutte succintamente motivate, l'impugnativa e'
 riferita all'art. 3 Cost., assumendo a parametro la condizione
 giuridica degli impianti radiotelevisivi via etere di portata non
 eccedente l'ambito locale, la cui installazione ed esercizio non e'
 soggetta a concessione ne' a sanzione penale, a seguito della
 sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte.
   I Pretori di Mezzolombardo e Mistretta impugnano i citati artt. 183
 e 195 sotto il profilo dell'assoggettamento a sanzione penale; quelli
 di Macerata e Guglionesi censurano, rispettivamente, gli artt. 1 e
 183 e l'art. 195 in quanto impongono la concessione nonostante
 l'insussistenza di ragioni attinenti al costo degli impianti ed alla
 disponibilita' delle frequenze.
   1.4. - Queste medesime ragioni sono ancora addotte dal Pretore di
 Guglionesi in quattro ordinanze di identico tenore emesse il 23
 gennaio, 20 febbraio, 26 giugno e 10 luglio 1987, (r.o. 180, 188,
 414, 610/87), nelle quali, peraltro, egli censura l'art. 195 cit.
 assumendo a parametro l'art. 21 Cost.
   1.5. - Sull'insussistenza di ragioni attinenti alla scarsita' delle
 frequenze ed al costo degli impianti si fondano anche le censure
 mosse al medesimo art. 195 dal pretore di La Spezia in quattro
 ordinanze di identico tenore emesse il 25 marzo (r.o. 469, 470/86) ed
 il 2 maggio 1986 (r.o. 529, 530/1986).
   Premesso che la soggezione al regime della concessione
 amministrativa comporta per sua natura un ampio margine di
 discrezionalita' della P.A. e, correlativamente, una situazione
 soggettiva di mera aspettativa in capo al privato richiedente, il
 Pretore osserva che tale compressione del diritto soggettivo
 garantito dall'art. 21 Cost. non si giustifica in base alle predette
 ragioni e che altra cosa sarebbe invece ove vigesse un regime
 autorizzatorio, posto che in questo regole e limiti sono prefissati
 nella legge.
   La medesima impugnativa e' pero', in tali ordinanze, proposta anche
 in riferimento all'art. 15 Cost. Al riguardo, il giudice a quo rileva
 innanzitutto che le ricetrasmittenti di debole potenza sono anche, e
 soprattutto, mezzi di comunicazione, oltre che di diffusione del
 pensiero, in quanto vengono principalmente adoperate, per motivi
 tecnico-funzionali, per comunicare da punto a punto, cioe' da un
 soggetto trasmittente ad uno ricevente e viceversa, piuttosto che per
 diffondere una qualunque espressione del pensiero ad un numero
 indeterminato di destinatari e quindi di ascoltatori. A tale uso
 infatti si oppone la loro abituale predisposizione ad operare su
 frequenze e su canali normalmente non utilizzabili dagli apparecchi
 riceventi di uso comune (radio-televisione): predisposizione che e'
 appunto finalizzata alla trasmissione di dati e di messaggi rilevanti
 solo per i diretti interessati alla trasmissione stessa, e quindi per
 loro natura non destinati ad essere diffusi fra una indiscriminata
 quantita' di utenti, ancorche' captabili da chiunque possieda uno
 strumento atto a ricevere quella particolare frequenza su cui si
 attua ogni singola trasmissione.
   Ora, rileva il Pretore, la manifestazione del pensiero si distingue
 dalla comunicazione per l'indeterminatezza dei destinatari; ed in
 quest'ultima i due aspetti della liberta' e della segretezza
 considerati dall'art. 15 Cost., pur se strettamente connessi, hanno
 rilevanza autonoma in quanto i suoi caratteri essenziali rimangono
 inalterati anche quando essa si svolge con esclusione di ogni
 riservatezza, sempre che l'autore ne sia consapevole. La segretezza
 non sarebbe cioe' un fondamento oggettivo del contenuto della
 liberta' di comunicazione, ma ne diventerebbe condizione essenziale
 di operativita' solo quando il suo titolare opti per una forma di
 comunicazione istituzionalmente destinata a rimanere circoscritta fra
 i diretti interessati.
   1.6. - La medesima questione descritta sub 1.3., riferita ai
 predetti artt. 1, 183 e 195, nonche' all'art. 334 d.P.R. n. 156 del
 1973 e' stata altresi' sollevata dal Pretore di Moncalieri con
 ordinanza del 22 aprile 1985 (r.o. 602/85).
   In tale ordinanza, peraltro, viene anche sollevata, sempre in
 riferimento all'art. 3 Cost., una questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 4, comma 3 bis, del d.l. 6 dicembre 1984, n.
 807 (disposizioni urgenti in materia di trasmissioni
 radiotelevisive), convertito, con modificazioni, nella legge 4
 febbraio 1985, n. 10, nella parte in cui prevede una causa estintiva
 del reato di cui all'art. 195 d.P.R. n. 156/73 solo con riferimento
 alle ipotesi di emittenti radiotelevisive private e non per gli
 apparecchi radioelettrici di debole potenza di cui al citato art.
 334.
   Ad avviso del Pretore, con la suddetta disposizione l'evidenziata
 disparita' di trattamento sarebbe stata perpetuata, essendo incongruo
 che la non punibilita', a determinate condizioni, dell'esercizio
 senza concessione, da parte di privati, di impianti di
 radiodiffusione circolare (art. 195 cit.), non si estenda
 all'esercizio senza concessione di impianti radioelettrici di debole
 potenza, nonostante la minore rilevanza politica e sociale di questo.
   Il Pretore di Torino, a sua volta, con due ordinanze emesse il 23
 marzo ed il 4 aprile 1985 (r.o. 423 e 448/85) ha impugnato, in
 riferimento all'art. 3 Cost., gli artt. 183 e 195 (e, con la prima,
 anche l'art. 334) d.P.R. cit., sia in quanto non prevedono, per gli
 impianti di radiodiffusione non circolari, la predetta causa di non
 punibilita', sia in quanto richiedono per questi la concessione o
 l'autorizzazione anziche' - come per gli impianti di radiodiffusione
 circolare, gia' in funzione alla data del 1 ottobre 1984 - una mera
 comunicazione di dati ed elementi, la cui omissione ha come unica
 conseguenza la disattivazione degli impianti (art. 4 l. n. 10 del
 1985 cit.).
   1.7. - Diversa da quelle finora esposte e' la censura mossa
 all'art. 195, primo comma, n. 2 dal Pretore di Legnano (ord. del 20
 ottobre 1983; r.o. n. 153/84). Il citato d.P.R. n. 156 del 1973 -
 osserva il Pretore - e' stato adottato in attuazione della delega
 contenuta nell'art. 6, ult. comma, l. 28 ottobre 1970 n. 775
 (sostitutivo dell'art. 4, l. 18 marzo 1968 n. 249), la quale ha
 conferito al Governo il solo potere di raccogliere in Testo Unico le
 disposizioni gia' vigenti, apportando le modifiche e integrazioni
 necessarie per il loro coordinamento ed ammodernamento. Dettando
 l'art. 195, primo comma, n. 2, il Governo avrebbe invece formulato
 una disposizione innovativa della normativa previgente, introducendo
 una nuova pena (l'arresto da tre a sei mesi) per un fatto che nella
 detta normativa (artt. 1 e 2 l. 9 febbraio 1968 n. 117) era punito
 con la sola pena dell'ammenda, con cio' travalicando i limiti della
 delega e percio' vulnerando l'art. 76 Cost.
   1.8. - In tutti i predetti giudizi, salvo che in quello di cui
 all'ordinanza n. 423/85 e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.
   Le questioni sollevate con le ordinanze di cui ai punti 1.3. e 1.4.
 vanno, secondo l'Avvocatura, dichiarate manifestamente infondate, in
 quanto gia' decise con la sent. n. 237 del 1984 e con varie ordinanze
 successive.
   Per quanto concerne, in particolare, la censura riferita all'art.
 21 Cost. l'Avvocatura osserva che il vincolo amministrativo concerne
 non la diffusione del pensiero ma soltanto il mezzo - peraltro
 tecnicamente limitato - di comunicazione, in ordine al quale la Corte
 (sent. n. 237 cit.) ha riconosciuto l'esigenza del "previo
 ottenimento dell'autorizzazione o concessione governativa".
   D'altra parte, la limitatezza delle frequenze comporta che esse
 debbono essere assegnate con scelte della P.A., sicche', anche
 ammesso un ampliamento di quelle disponibili per i privati, non
 potrebbe mai pervenirsi ad una liberalizzazione. Infine, il principio
 per cui la liberta' di manifestazione del pensiero trova un limite
 nell'esigenza di non sacrificare altri beni costituzionalmente
 garantiti comporta che in sede di ripartizione delle frequenze
 occorre tener conto delle primarie necessita' del Ministero della
 Difesa e dei vincoli di destinazione imposti dalle convenzioni
 internazionali del settore.
   Replicando, poi, alle censure mosse dal Pretore di Bologna (punto
 1.1.), l'interveniente rileva che la salvaguardia di interessi
 pubblici in via immediata (sanita', sicurezza pubblica, ecc.) o
 indiretta (evitare la sopraffazione o il disordine tra privati)
 comporta la necessita' di un preventivo controllo pubblico
 sull'impianto ed uso di tali mezzi di comunicazione, e che - pur
 essendo quella tra regime autorizzatorio o concessorio una scelta di
 merito nell'ambito di una comune garanzia di accesso di tutti a detti
 mezzi - quest'ultimo sarebbe da preferire, in quanto strumento di
 controllo piu' rigoroso e penetrante della qualita' dei richiedenti e
 del mezzo, che peraltro, dato che non esclude l'accesso a questo, non
 comporta "alcuna forte limitazione" ne' alla liberta' di pensiero e
 della sua comunicazione, ne' tanto meno alla liberta' di iniziativa
 economica ed alla tutela del lavoro.
   Priva di fondamento sarebbe, inoltre la censura proposta dal
 Pretore di La Spezia (punto 1.5.) in riferimento all'art. 15, posto
 che nella specie non e' in discussione la liberta' di una forma di
 comunicazione, ma soltanto la pretesa di poter disporre in ogni caso
 di un particolare mezzo tecnico di comunicazione che, per la sua
 limitatezza oggettiva, non puo' essere messo a disposizione di tutti,
 ma deve essere disciplinato nelle sue modalita' di utilizzazione.
   Rispetto, poi, all'ordinanza del Pretore di Salerno (punto 1.2.),
 l'Avvocatura, oltre a svolgere nel merito considerazioni analoghe a
 quelle suesposte, eccepisce preliminarmente l'irrilevanza della
 questione, osservando che il fatto oggetto del giudizio a quo
 consisteva nell'attivazione senza autorizzazione di un impianto di
 radiocomunicazione via cavo. Il regime cui far riferimento dovrebbe
 percio' essere - secondo l'Avvocatura - quello dettato dal secondo
 comma dell'art. 183 T.U. (che consente al privato di stabilire per
 suo uso esclusivo impianti di telecomunicazione via filo nell'ambito
 dei propri fondi od edifici), o dagli artt. 24 ss. della l. n. 103
 del 1975, che assoggettano gli impianti di radiodiffusione via cavo a
 mera autorizzazione e non a concessione.
   Quanto, infine, alla questione sollevata dal Pretore di Legnano in
 riferimento all'art. 76 Cost. (punto 1.7.), secondo l'interveniente
 essa sarebbe irrilevante, prima ancora che manifestamente infondata,
 dato che l'intero testo dell'art. 195 del d.P.R. n. 156 del 1973 e'
 stato sostituito dall'art. 45 della l. 14 aprile 1975 n. 103. Se il
 reato imputato al Bianchini e' stato commesso in epoca successiva
 all'entrata in vigore di tale legge, solo quest'ultima dovrebbe
 trovare applicazione nel giudizio a quo e non l'originario art. 195
 del d.P.R. citato.
   Nel merito, comunque, l'Avvocatura ritiene che la questione sia
 fondata su un equivoco interpretativo. Il Pretore presuppone infatti
 che il reato addebitato all'imputato sia quello previsto in origine
 dagli artt. 1 e 2 della legge n. 117 del 1968 - che concerne la
 costruzione o l'importazione, l'uso o l'esercizio di impianti
 radioelettrici non rispondenti alle norme stabilite per la
 prevenzione e l'eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed
 alle radioricezioni - e che tale reato sia identico a quello
 contemplato, con differente trattamento sanzionatorio, dall'art. 195,
 primo comma, n. 2 del d.P.R. del 1973. In realta' - argomenta
 l'Avvocatura - l'ipotesi di reato di cui alla legge del 1968 e', nel
 nuovo codice postale, disciplinata, in modo pressoche' identico a
 quello di quest'ultima legge, negli artt. 398 e 399, mentre l'ipotesi
 di reato di cui alla disposizione impugnata, e per la quale il
 Bianchini e' stato tratto a giudizio, e' diversa e trova la propria
 originaria previsione, con formulazione letterale quasi identica e
 identico regime sanzionatorio, nell'art. 178 primo comma n. 2 del
 precedente codice postale (r.d. 27 febbraio 1936 n. 645).
   2. - Nel corso di un giudizio civile di accertamento promosso da
 Turroni Giancarlo e dalla City Elettronica Radio Service s.n.c. di
 Turroni Giancarlo & C. nei confronti dell'Amministrazione delle Poste
 e delle Telecomunicazioni dello Stato, il Tribunale di Milano, con
 ordinanza del 28 marzo 1985 (r.o. 474/85) ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, "21 (o eventualmente 15)" e 41 Cost.,
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 183 del
 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, come sostituiti dall'art. 45 della l. 14
 aprile 1973 n. 156 (rectius: 1975, n. 103) e delle "disposizioni
 dipendenti" nella parte in cui non consentono, neppure in ambito
 locale, di attivare ed esercitare senza concessione impianti
 radioelettrici a mezzo "ponti-radio".
   Secondo il Tribunale, il regime concessorio vigente per i servizi
 radioelettrici sarebbe - almeno limitatamente alle trasmissioni via
 etere a mezzo di ponti-radio che non eccedono l'ambito locale - privo
 di giustificazione per gli stessi motivi che hanno indotto questa
 Corte a dichiarare illegittima la riserva allo Stato delle
 trasmissioni radiofoniche e televisive su scala locale. L'esistenza
 di una sufficiente disponibilita' di frequenze che - mediante una
 rinnovata e piu' razionale ripartizione delle medesime tra Ministero
 delle Poste e Telecomunicazioni e Ministero della Difesa, rispetto a
 quella attuale - potrebbe essere assicurata agli utenti di ponti-
 radio, da un lato, il costo non rilevante dei relativi impianti,
 dall'altro, eviterebbero infatti il pericolo di concentrazioni
 monopolistiche od oligopolistiche in mano a privati. Di conseguenza,
 l'assoggettare le trasmissioni via ponte-radio di ambito locale al
 regime concessorio, al contrario di quanto avviene per le
 trasmissioni televisive via cavo e per quelle radiofoniche e
 televisive via etere limitate al medesimo ambito, si tradurrebbe in
 una violazione degli artt. 3, 21 e 41 Cost.
   Precisa poi il giudice a quo che, in linea con quanto questa Corte
 ha sostenuto nella sent. n. 237 del 1984, non intende ritenere che
 alle telecomunicazioni via ponte-radio debba estendersi
 automaticamente il regime anomalo determinato dall'inerzia del
 legislatore dopo la sent. costituzionale n. 202 del 1976, la quale -
 relativamente alle trasmissioni radiotelevisive via etere sul piano
 locale - riaffermava l'esigenza di una previa "autorizzazione"
 statale. Tuttavia, prosegue il Tribunale remittente, altro e' il
 regime della concessione, fondato sul presupposto dell'insussistenza
 del diritto soggettivo in capo al privato e collegato ad atti
 discrezionali della Pubblica Amministrazione, altro il sistema delle
 autorizzazioni, le quali sono provvedimenti amministrativi che,
 mentre sono sufficienti a far salvi i pubblici interessi e i principi
 costituzionali implicati nelle diverse situazioni, si pongono, in
 presenza delle condizioni richieste, come atti vincolati e non
 meramente discrezionali. Ribadendo inoltre che le esigenze di
 garanzia del pluralismo dell'informazione, e in genere della liberta'
 di manifestazione del pensiero, impediscono che si conservi allo
 Stato un monopolio al di fuori delle ipotesi in cui esso sia
 obbiettivamente correlato, a fini di utilita' generale, a servizi
 pubblici essenziali ed a situazioni di preminente interesse
 collettivo, il giudice a quo - dopo aver precisato che le
 trasmissioni a mezzo ponti-radio sono da ritenere manifestazioni di
 pensiero ai sensi dell'art. 21 Cost. o comunque forme di
 "comunicazione" ex art. 15 Cost. conclude che il subordinare
 l'esercizio di tali trasmissioni ad una preventiva concessione dello
 Stato rappresenta, quanto meno con riguardo all'ambito locale, una
 restrizione della liberta' di iniziativa economica non giustificata
 ne' dal principio di eguaglianza ne' dalla norma di cui all'art. 43
 Cost.
   Secondo il Tribunale, la questione cosi' proposta e' rilevante ai
 fini del decidere, anche se la domanda di accertamento proposta nel
 giudizio a quo tende ad ottenere una declaratoria di piena liberta'
 nella attivazione e gestione dei ponti-radio in ambito locale.
 Infatti, l'interesse alla proposizione della domanda stessa deve
 ritenersi sussistente anche in vista di una pronuncia che accerti il
 diritto di trasmettere nello stesso ambito, sia pure, eventualmente,
 previa autorizzazione della competente autorita' dello Stato.
   Le parti attrici nel giudizio a quo, costituitesi, hanno
 sostanzialmente aderito alle argomentazioni di merito del Tribunale,
 pur discostandosene nelle conclusioni, con le quali hanno chiesto che
 si addivenga ad un'integrale liberalizzazione del settore.
   E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello
 Stato, peraltro con deduzioni relative a questione diversa da quella
 effettivamente sollevata dall'ordinanza di rimessione.
   3. - Nel corso di un procedimento penale per il reato di cui al
 predetto art. 195 instaurato nei confronti di Pizzino Giuseppe per
 aver costui proseguito nell'esercizio di un collegamento in ponte
 radio ad uso privato dopo che era stata disposta la decadenza della
 relativa concessione, il Pretore di S. Angelo di Brolo, con ordinanza
 del 24 marzo 1987 (r.o. 287/87), ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 41 e 43 Cost., questione di legittimita' costituzionale di tale
 disposizione incriminatrice, nonche' di quelle dello stesso d.P.R. n.
 156 del 1973 che sottopongono a regime concessorio l'esercizio di
 impianti di telecomunicazioni (artt. 183, 213 e 322), pongono le
 condizioni per l'estinzione della concessione, anche per decadenza
 (artt. 190, 191) e fanno salva la facolta' della P.A. di pronunziare
 tale decadenza in via cautelare (art. 218 u.c.).
   Dal principio per cui la liberta' d'iniziativa economica privata
 non puo', in vista di ragioni di utilita' sociale, essere soggetta a
 limiti cosi' penetranti da renderne eccessivamente arduo l'esercizio,
 il giudice a quo deduce che l'attivita' di ricetrasmissione via etere
 mediante i suddetti apparecchi puo' essere soggetta solo ad un regime
 di autorizzazione, e non di concessione; tanto piu' che ad una
 "previa autorizzazione statale" si e' riferita la Corte a proposito
 delle trasmissioni televisive in ambito locale (sent. n. 202 del
 1976).
   Dato, poi, che la limitatissima potenza degli apparecchi in
 questione ed il loro uso in sede esclusivamente locale non consentono
 di configurare alcun pericolo di concentrazioni monopolistiche, e' ad
 avviso del Pretore ingiustificata la riserva allo Stato ex art. 43
 Cost., anche perche' "sfugge del tutto il fondamento di una pretesa
 essenzialita' del servizio pubblico cosi' espletato".
   4. - Le questioni sollevate con le predette ordinanze - ad
 eccezione di quelle di cui ai nn. 180, 188, 287, 414, 610/1987 r.o. -
 sono state discusse all'udienza del 16 giugno 1987, unitamente ad
 un'altra sollevata dal Tribunale di Genova (r.o. 414/1986),
 concernente la legittimita' costituzionale degli artt. 3 e 4, comma 3
 bis, del D.L. 6 dicembre 1984, n. 807, convertito, con modificazioni,
 nella legge 4 febbraio 1985, n. 10, contenente "disposizioni urgenti
 in materia di trasmissioni radiotelevisive".
   In esito alla predetta udienza, la Corte - in riferimento a
 quest'ultima ordinanza nonche' a quella, dianzi riassunta, del
 Tribunale di Milano (474/85) - ha emesso, il 2 luglio 1987,
 un'ordinanza istruttoria, con cui ha disposto che la Presidenza del
 Consiglio dei ministri ed il Ministero delle Poste e
 Telecomunicazioni fornissero "informazioni: 1. circa l'attuale
 situazione tecnica e di fatto dei collegamenti in ponte radio ad uso
 privato, con particolare riguardo alle frequenze radioelettriche
 utilizzate od assegnabili a tali usi alla stregua della
 regolamentazione interna ed esterna del settore; 2. - circa la
 situazione dell'emittenza radiotelevisiva privata conseguente
 all'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. da 1 a 4 del
 suddetto d.l., come convertito nella citata legge n. 10 del 1985 con
 particolare riguardo: ad alcuni specifici punti.
   Pervenute le informazioni richieste, la discussione delle due
 predette ordinanze, di tutte le altre dianzi riassunte e di altre due
 (r.o. nn. 771/82 e 430/85) concernenti la materia delle trasmissioni
 radiotelevisive e' stata effettuata all'udienza del 7 giugno 1988.
   Le questioni in materia radiotelevisiva sollevate con le citate
 ordd. nn. 771/82, 430/85 e 414/86 sono state decise con la sentenza
 n. 826 del 14 luglio 1988. Nella narrativa in fatto di tale
 decisione, al punto 4., sono esposte le risultanze dell'indagine
 istruttoria anche per quanto concerne il quesito di cui al precedente
 punto 1., relativo ai ponti radio. A tale esposizione si fa rinvio
 per quanto attiene alle questioni in detta materia qui esaminate.
                       Considerato in diritto
   1. - Le venti ordinanze indicate in epigrafe propongono,
 relativamente al regime giuridico di alcuni impianti di
 telecomunicazione a mezzo di onde radioelettriche (apparecchi
 radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza e ponti radio),
 questioni identiche o per lo meno analoghe. Le relative questioni
 possono percio' essere trattate e decise con unica sentenza.
   2. - Il vigente testo unico delle disposizioni legislative in
 materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni (c.d. codice
 postale), approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, dopo aver
 previsto, in via generale, all'art. 1, l'appartenenza in esclusiva
 allo Stato dei "servizi di telecomunicazioni", stabilisce, in
 apertura del libro IV, ad essi dedicato, che "nessuno puo' eseguire
 od esercitare impianti di telecomunicazioni senza aver ottenuto la
 relativa concessione" (titolo I, capo I, art. 183, primo comma) e
 detta poi, ai successivi capi II e IV (artt. 186 ss., 213 ss.), le
 condizioni per il rilascio delle concessioni ad uso privato.
   A tali condizioni si richiamano le disposizioni contenute nel
 titolo IV, dedicato ai "servizi radioelettrici", concernenti gli
 impianti qui in esame. In particolare, per i collegamenti in ponte
 radio ad uso privato (capo II, sezione D, l'art. 322 richiama la
 norma generale sulle concessioni ad uso privato (art. 213), nonche' -
 pur con qualche eccezione (radiotrasmissione di informazioni, ecc.) -
 i limiti al rilascio di tali concessioni dettati nell'art. 214.
 Quest'ultima norma prevede che - salvi soltanto i servizi di cui al
 secondo comma - le concessioni non possano essere accordate "se fra i
 punti estremi da collegare esiste servizio ad uso pubblico" ovvero se
 il collegamento puo' essere realizzato "con altro mezzo trasmissivo
 messo a disposizione dall'amministrazione o dai concessionari di
 servizi di telecomunicazioni, fatta eccezione - nel secondo caso -
 per eventuali obblighi di legge ovvero per i casi in cui
 l'amministrazione riconosca l'opportunita' della coesistenza dei due
 mezzi per ragioni di sicurezza delle persone o dei beni".
   Tali limiti non si applicano agli apparecchi radioelettrici
 ricetrasmittenti di debole potenza di tipo portatile (art. 214,
 ultimo comma), all'uso dei quali il Ministro per le poste e le
 telecomunicazioni puo', "nell'ambito degli accordi internazionali e
 delle vigenti disposizioni", riservare determinate frequenze o bande
 di frequenza per una serie di impieghi specificati - anche se non
 tassativamente - nell'art. 334 (ausilio alla sicurezza stradale o
 marittima, ad attivita' sanitarie o sportive, a servizi di imprese
 industriali, commerciali, artigiane ed agrarie, per ricerca di
 persone ecc.). La concessione - si precisa ancora - "non comporta
 esclusivita' nell'uso delle frequenze riservate, ne' diritto a
 protezione da eventuali disturbi o interferenze da parte di altri
 apparecchi autorizzati".
   Sul piano sanzionatorio, infine, l'art. 195 T.U. commina, per
 l'esercizio senza concessione di impianti radioelettrici, la pena
 dell'arresto da tre a sei mesi e dell'ammenda da 200.000 a 2.000.000
 di lire.
   3. - Il citato art. 195, primo comma, n. 2 e' denunciato dal
 Pretore di Legnano (r.o. 153/84) per eccesso di delega (art. 76
 Cost.), nel presupposto che esso preveda una sanzione diversa e piu'
 grave di quella comminata nella disposizione originaria, che sarebbe,
 a suo dire, quella contenuta negli artt. 1 e 2 della legge 9 febbraio
 1968, n. 117.
   Come esattamente rilevato dall'Avvocatura, il giudice a quo muove
 da un presupposto erroneo. Le disposizioni ora citate riguardano la
 costruzione, importazione od esercizio di impianti radioelettrici
 "non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione ed
 eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle
 radioricezioni": e ad esse corrispondono quelle di cui agli artt. 398
 e 399 del d.P.R. n. 156 del 1973, poi modificate dalla l. n. 209 del
 1980.
   L'impugnato art. 195 riguarda invece la diversa ipotesi di
 esercizio di tali impianti senza concessione e riproduce quasi
 letteralmente - e senza variazioni quanto a previsione sanzionatoria
 - l'art. 178 del previgente codice postale (r.d. 27 febbraio 1936, n.
 645), come modificato con l'art. 1 della legge 14 marzo 1952, n. 196.
   La predetta questione va percio' dichiarata manifestamente
 infondata.
   4. - Comune a tutte le altre ordinanze e' l'assunzione, come
 termine di paragone cui raffrontare la disciplina degli apparecchi di
 debole potenza e dei ponti radio, del regime giuridico vigente per le
 trasmissioni radiotelevisive.
   L'Avvocatura dello Stato ha pero', eccepito l'irrilevanza della
 questione sollevata dal Pretore di Salerno (r.o. n. 790/86),
 sostenendo che, poiche' nel procedimento a quo era contestata
 l'abusiva attivazione di un impianto ricetrasmittente radioelettrico
 di debole potenza "via cavo", sarebbe incongrua la censura riferita
 all'art. 334 del d.P.R. n. 156 del 1973, concernente i soli impianti
 operanti via etere. Ma l'eccezione non puo' essere accolta, in quanto
 gli apparecchi disciplinati da detta disposizione rientrano nel genus
 "stazione radioelettrica" di cui agli artt. 314 e 315 del medesimo
 d.P.R., che si riferisce alle trasmissioni effettuate "a mezzo di
 onde radioelettriche" senza escludere che queste possano essere
 convogliate su trasportatori fisici, quali i cavi.
   5. - Alcuni dei giudici a quibus - e precisamente i Pretori di
 Mezzolombardo, Macerata, Guglionesi, Mistretta e Moncalieri
 (rispettivamente, r.o. nn. 483, 493, 772/86, 18/87, 602/85) -
 ravvisano una violazione del principio di eguaglianza
 nell'assoggettamento a concessione, ed a sanzione penale in mancanza
 di questa, dell'esercizio degli apparecchi radioelettrici
 ricetrasmittenti di debole potenza, laddove, a seguito della sentenza
 n. 202 del 1976 di questa Corte, l'esercizio degli impianti
 radiotelevisivi via etere di portata non eccedente l'ambito locale
 non e' soggetto a concessione ne' a sanzione penale.
   Tale censura e' stata gia' dichiarata non fondata con la sentenza
 n. 237 del 1984, nella quale la Corte ha precisato che l'anomala
 situazione dell'attivita' di trasmissione radiotelevisiva - frutto
 dell'inerzia del legislatore nel dar seguito alla citata sentenza del
 1976 - non puo' essere assunta "come metro di legittimita' della
 normativa denunciata, che vuole l'installazione e l'esercizio degli
 impianti di telecomunicazione subordinati alla concessione o
 all'autorizzazione governativa": e cio' tanto in riferimento alla
 previsione sanzionatoria, quanto alla parte precettiva delle
 disposizioni denunziate, rispetto alla quale "non muterebbero i
 termini e le caratteristiche dal confronto istituito" dai giudici a
 quibus.
   Poiche' la medesima questione e' gia' stata dichiarata piu' volte
 manifestamente infondata (ordd. nn. 23, 77, 294/85, 91/86, 35 e
 166/87, 282/88), alla stessa conclusione deve pervenirsi in questa
 sede, non essendo stati addotti profili nuovi o argomentazioni.
   6. - Il Pretore di Moncalieri aggiunge - sempre in riferimento
 all'art. 3 Cost. - un'altra censura, la quale si appunta sull'art. 4,
 comma 3 bis, del d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, convertito, con
 modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985, n. 10, nella parte in cui
 prevede una causa estintiva del reato contemplato nell'art. 195
 d.P.R. n. 156 del 1973 solo relativamente alle emittenti
 radiotelevisive private e non anche agli impianti radioelettrici di
 debole potenza.
   Sostanzialmente analoghe sono le censure che, basandosi sul
 medesimo parametro, il Pretore di Torino muove, con due distinte
 ordinanze (r.o. nn. 423 e 448/85), ai citati artt. 183, 195 e - con
 la prima - 334 del d.P.R. n. 156 del 1973:
   essi sarebbero costituzionalmente illegittimi sia in quanto non
 prevedono, per gli impianti di radiodiffusione non circolari, la
 predetta causa di non punibilita', sia in quanto richiedono per
 questi la concessione o l'autorizzazione anziche' - come per gli
 impianti di radiodiffusione circolare, gia' in funzione alla data del
 1 ottobre 1984 - una mera comunicazione di dati ed elementi, la cui
 omissione ha come unica conseguenza la disattivazione degli impianti
 (art. 4 l. n. 10 del 1985 cit.).
   Le questioni non sono fondate.
   L'art. 4, comma 3 bis del d.l. n. 807 del 1984, introdotto con la
 legge di conversione n. 10 del 1985, si colloca nel contesto di una
 normativa recante "disposizioni urgenti in materia di trasmissioni
 radiotelevisive" volta a dare a queste una regolamentazione
 provvisoria in attesa dell'emanazione della "legge generale sul
 sistema radiotelevisivo" (art. 1, quinto comma, D.L. cit.). La Corte
 ha gia' ricordato, nella sentenza n. 826 del 1988, che detta
 disciplina ha le sue premesse nell'incontrollato proliferare di
 emittenti radiotelevisive private verificatosi durante la prolungata
 fase di carenza della necessaria regolamentazione seguita alla
 sottrazione alla riserva statale delle trasmissioni radiotelevisive
 via etere con raggio limitato all'ambito locale (sent. n. 202 del
 1976). A fronte di tale situazione di fatto, si e' ritenuto - col
 d.l. citato - di consentire in via provvisoria la prosecuzione
 dell'attivita' delle emittenti gia' operanti alla data del 1 ottobre
 1984 (art. 3), peraltro ponendo a loro carico l'obbligo di comunicare
 una serie di dati sull'ubicazione e le caratteristiche degli
 impianti, utili ai fini della redazione del piano nazionale delle
 frequenze, pena la disattivazione (art. 4, primo, secondo e terzo
 comma).
   In questo contesto si colloca la norma impugnata, legata a quelle
 ora indicate "da un nesso logico - temporale inscindibile", nel senso
 che si e' inteso rendere non punibile per il passato - ed alle
 medesime condizioni - l'attivita' che contestualmente si rendeva
 lecita, in via provvisoria, per il futuro. Essa ha quindi la sua
 ragion d'essere unicamente nella peculiare, anomala e necessariamente
 contingente situazione determinatasi nel settore dell'emittenza
 radiotelevisiva privata: situazione che non trova riscontro in quello
 degli apparecchi radioelettrici di debole potenza, la cui disciplina,
 sotto il profilo sia precettivo che sanzionatorio, non ha mai subito
 fratture o deviazioni.
   Tanto basta a rendere palese la disomogeneita' delle situazioni
 poste a raffronto.
   7. - Nelle rimanenti impugnative, il riferimento alla disciplina
 dell'emittenza radiotelevisiva e' prospettato sotto un diverso
 profilo, nel senso che si sostiene che per gli apparecchi di debole
 potenza ed i ponti radio non sussisterebbero le ragioni, attinenti
 alla limitatezza di frequenze ed al costo degli impianti, che nel
 predetto settore sono valse a giustificare la riserva statale (sentt.
 nn. 225 e 226 del 1974, 202 del 1976, 148 del 1981). Da cio' i
 giudici a quibus non traggono la conseguenza che tali attivita'
 dovrebbero svolgersi senza necessita' di alcun provvedimento
 abilitativo; ritengono, pero', che sarebbe piu' appropriato un regime
 autorizzatorio, idoneo a contenere l'ambito di discrezionalita'
 riservato alla pubblica amministrazione dal vigente regime
 concessorio ed a salvaguardare, nel contempo, le esigenze di
 controllo ad essa facenti capo a tutela del pubblico interesse.
   Su questo nucleo argomentativo si fondano le censure mosse alla
 disciplina sugli apparecchi radioelettrici di debole potenza dai
 Pretori di: Bologna (r.o. n. 278/86), che impugna gli artt. 1, 183,
 195 e 334 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 in riferimento agli artt.
 21, 35 e 41 Cost.; Salerno, (r.o. n. 790/86, gia' richiamata) che
 censura queste ultime tre disposizioni in relazione ai detti artt. 35
 e 41; Guglionesi (r.o. nn. 180, 188, 414 e 610/87) e La Spezia (r.o.
 nn. 469, 470, 529 e 530/86), che censurano il solo art. 195 assumendo
 a parametro l'art. 21 ed, il secondo, anche l'art. 15 Cost. Analoga
 motivazione hanno, poi, le impugnative concernenti la disciplina dei
 ponti radio proposte in riferimento "agli artt. 3, 21 (ed
 eventualmente 15) e 41 Cost." dal Tribunale di Milano (r.o. n.
 474/85) - che censura gli artt. 1 e 183 - e dal Pretore di S. Angelo
 di Brolo (r.o. n. 287/87), che denuncia, in relazione agli artt. 41 e
 43 Cost., sia il citato art. 195 che le norme dello stesso d.P.R. n.
 156 del 1973 che sottopongono a regime concessorio l'esercizio di
 impianti di telecomunicazioni (artt. 183, 213 e 322), dettano le
 condizioni per l'estinzione della concessione anche per decadenza
 (artt. 190, 191) e fanno salva la facolta' della P.A. di pronunziare
 tale decadenza della concessione in via cautelare (art. 218 u.c.).
   8. - Tra i parametri costituzionali invocati, il Pretore di La
 Spezia, oltre ad indicare, come altri dei giudici a quibus, l'art.
 21, sostiene che la disciplina degli apparecchi di debole potenza
 andrebbe piu' propriamente sindacata in riferimento al principio
 della liberta' di comunicazione sancito nell'art. 15 Cost. Anche a
 proposito dei ponti radio il Tribunale di Milano, pur senza
 soffermarsi sul punto, prospetta in via alternativa la violazione
 dell'una o dell'altra delle suddette disposizioni costituzionali.
   L'essenziale distinzione tra i diritti di liberta' garantiti dagli
 artt. 15 e 21 Cost. si incentra effettivamente - come sostenuto dal
 Pretore di La Spezia in conformita' alla prevalente dottrina -
 sull'essere la comunicazione, nella prima ipotesi, diretta a
 destinatari predeterminati e tendente alla segretezza e, nell'altra,
 rivolta invece ad una pluralita' indeterminata di soggetti. Nel caso
 degli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, si tratta di
 strumenti tipicamente preordinati a realizzare comunicazioni
 interpersonali e non a diffondere messaggi alla generalita'; ed il
 fatto che questi siano, per ragioni tecniche, captabili da terzi e
 che la legge non assicuri la protezione da interferenze (art. 334,
 ult. comma) non giova a mutarne l'essenziale destinazione. Devono
 percio' dichiararsi non fondate, in quanto proposte in base ad un
 parametro costituzionale non pertinente, le questioni sollevate in
 riferimento all'art. 21 Cost. dai Pretori di Bologna (r.o. 278/86) e
 Guglionesi (r.o. 180, 188, 414 e 610/87).
   Analoghe considerazioni valgono per i ponti radio che, anche quando
 sono utilizzati per il trasferimento di messaggi destinati ad una
 successiva diffusione - come avviene per le trasmissioni radiofoniche
 e televisive - sono di per se sistemi di radiocomunicazione a mezzo
 di onde radioelettriche non circolari, e cioe' strumenti di
 collegamento e trasmissione di dati da punto a punto, e percio'
 indirizzati a destinatari determinati.
   Gia' alla stregua di tali precisazioni si appalesa non pertinente
 il richiamo, da parte dei Pretori di Bologna, Salerno, La Spezia, S.
 Angelo di Brolo e del Tribunale di Milano, alle ragioni - nella
 specie, assunte come insussistenti poste da questa Corte a
 giustificazione della riserva statale delle trasmissioni
 radiotelevisive. La limitatezza delle frequenze ed il costo degli
 impianti sono invero, per queste ultime, fattori che concorrono a
 concretizzare i pericoli di concentrazione di tali strumenti in poche
 mani, e quindi di compromissione del fondamentale valore del
 pluralismo dell'informazione (cfr. sent. n. 826 del 1988). Per gli
 strumenti di comunicazione qui in esame, la problematica sulla
 riserva statale concerne invece profili diversi, giacche' qui non e'
 evidentemente in gioco quello attinente alla potenzialita' di
 incidenza sulla pubblica opinione e si tratta invece, essenzialmente,
 di predisporre gli strumenti atti ad assicurare un ordinato governo
 dell'etere.
   9. - A tal proposito, va innanzitutto ricordato, con riferimento
 alla disciplina dei ponti radio, che la materia delle
 radiocomunicazioni e' oggetto di una cospicua normativa
 internazionale, contenuta in particolare nella convenzione adottata a
 Nairobi il 6 novembre 1982 - ratificata e resa esecutiva con legge 9
 maggio 1986, n. 149 - e nel Regolamento Internazionale delle
 Radiocomunicazioni (R.I.R.), adottato nella Conferenza Amministrativa
 mondiale di Ginevra del 6 dicembre 1979 e reso esecutivo con d.P.R.
 27 luglio 1981, n. 740. Da tali atti discende l'obbligo
 internazionale dello Stato sia di pianificare la ripartizione delle
 frequenze tra le varie utilizzazioni in conformita' alle prescrizioni
 del detto Regolamento, sia di subordinare ad apposita "licenza" I
 'installazione e l'esercizio di stazioni radioelettriche, sia infine
 di contenere nel minimo indispensabile le frequenze utilizzate e di
 esercitare penetranti poteri di intervento e di controllo atti a
 prevenire ed eliminare interferenze e disturbi pregiudizievoli (cfr.,
 in particolare, gli artt. da 5 a 24 Reg. cit.).
   In questo quadro, il Piano nazionale di ripartizione delle
 frequenze - emanato in attuazione del predetto Regolamento
 internazionale ed approvato con D.M. 31 gennaio 1983 - nel
 distribuire le frequenze tra i vari servizi o categorie di
 utilizzatori, attribuisce al Ministero delle Poste e delle
 Telecomunicazioni notevoli poteri discrezionali.
   Allo stesso Ministero e' poi demandata, "nell'ambito del
 regolamento internazionale delle radiocomunicazioni, l'assegnazione
 delle frequenze radioelettriche per tutte le radiocomunicazioni"
 (art. 183, quarto comma, d.P.R. n. 156 del 1973). Il gia' ricordato
 art. 214 dello stesso d.P.R., inoltre, detta "limiti al rilascio di
 concessioni ad uso privato", prevedendo che esse non possano in
 generale essere accordate "se fra i punti estremi da collegare esiste
 servizio ad uso pubblico" e se "il collegamento puo' essere
 realizzato con altro mezzo trasmissivo messo a disposizione
 dall'Amministrazione o dai concessionari di servizi di
 telecomunicazioni" salvo che l'Amministrazione medesima "riconosca
 l'opportunita' della coesistenza dei due mezzi per ragioni di
 sicurezza delle persone o dei beni".
   All'Amministrazione e' poi attribuito il potere di dettare "le
 condizioni amministrative e tecniche" per l'esercizio della
 concessione (art. 194) di effettuare al riguardo "controlli e
 verifiche" (art. 193), di pronunciare la decadenza dalla concessione
 in caso di gravi e reiterate inosservanze degli obblighi imposti al
 concessionario (art. 191) e di intervenire in via amministrativa in
 caso di turbative arrecate ai servizi di telecomunicazioni (art.
 240).
   La complessiva disciplina della materia e' ispirata all'esigenza -
 piu' volte sottolineata da questa Corte (cfr. sent. n. 826 del 1988,
 par. 22, e giurisprudenza ivi citata) - di assicurare un razionale e
 ordinato "governo" dell'etere e di realizzare nel modo piu' efficace
 il coordinamento e la compatibilita' reciproca tra i vari servizi di
 telecomunicazione, ed in specie tra quelli che si svolgono a mezzo di
 onde radioelettriche.
   Tale esigenza si fa vieppiu' pressante, sia per il crescente,
 massiccio impiego di tali sistemi di comunicazione per l'efficiente
 gestione di una larga serie di servizi ed attivita' di pubblico
 interesse o di pubblica utilita', sia per le gravi carenze che e'
 dato registrare al riguardo. Dagli accertamenti istruttori disposti,
 tra l'altro, in relazione alla questione sollevata dal Tribunale di
 Milano - riassunti, come gia' ricordato, nella sentenza n. 826 del
 1988 (par. 4) - e' infatti emerso che le frequenze disponibili per
 collegamenti in ponte radio sono in generale insufficienti a
 soddisfare la domanda, ed anzi da tempo esaurite nelle zone a maggior
 densita' di popolazione o a maggiore concentrazione industriale. Nel
 settore dei ponti radio utilizzati per il trasferimento di programmi
 radiofonici e televisivi si e' inoltre verificata una massiccia
 invasione da parte dei privati di frequenze assegnate ad altri
 utilizzatori o servizi.
   Tali risultanze smentiscono, sul piano fattuale, l'assunto di
 un'ampia disponibilita' di frequenze da cui i giudici a quibus
 muovono per invocare, per i ponti radio, il passaggio al regime
 autorizzatorio. Nel caso in esame, ad una simile conclusione osta, in
 primo luogo, l'impossibilita' di configurare un diritto soggettivo
 del privato all'assegnazione di una banda di frequenza, necessario
 presupposto per l'installazione ed esercizio di tali impianti. Il
 riconoscimento della liberta' delle comunicazioni effettuate con essi
 non comporta infatti liberta' del loro uso, dato che questo si
 traduce nella disponibilita' di un bene comune - l'etere -
 naturalmente limitato e percio' necessariamente non fruibile da
 tutti.
   In secondo luogo, le ricordate esigenze di rispetto degli obblighi
 internazionali e di ordinato governo dell'etere comportano che alla
 pubblica amministrazione debba riconoscersi - rispetto alla vasta
 categoria degli impianti in ponte radio - un ambito di
 discrezionalita' non solo tecnica ma anche amministrativa che
 investendo compiesse valutazioni in ordine agli interessi pubblici da
 soddisfare, si appalesa incompatibile col regime autorizzatorio. E
 queste stesse ragioni giustificano sia la riserva allo Stato dei
 servizi di radiocomunicazione effettuati a mezzo di ponti radio (art.
 43), sia la correlativa compressione della liberta' di iniziativa
 economica privata (art. 41).
   Le questioni sollevate dal Tribunale di Milano e dal Pretore di S.
 Angelo di Brolo vanno percio' dichiarate infondate sotto ogni
 profilo.
   10. - A diverse conclusioni deve invece pervenirsi in ordine alle
 censure concernenti gli apparecchi radioelettrici ricetrasmittenti di
 debole potenza di tipo portatile prospettate nei confronti degli
 artt. 1, 183, 195 e 334 d.P.R. n. 156 del 1973 dai Pretori di
 Bologna, Salerno e La Spezia in riferimento agli artt. 15, 35 e 41
 Cost., nei modi specificati, per ciascuno, nel precedente par. 6.
   La limitatezza delle frequenze utilizzabili conduce, anche qui, a
 negare che possa riconoscersi un diritto soggettivo all'uso di tali
 mezzi. Ne' a diverso avviso puo' condurre la previsione secondo cui
 la concessione "non comporta esclusivita' nell'uso delle frequenze
 riservate, ne' diritto a protezione da eventuali disturbi ed
 interferenze da parte di altri apparecchi utilizzati". La
 possibilita' di utilizzazione plurima delle stesse frequenze amplia
 di certo le potenzialita' di sviluppo nell'uso dei mezzi, ma non la
 rende illimitata, pena l'inefficienza delle comunicazioni consentite.
   Cio', pero', sotto il profilo razionale non comporta
 necessariamente il ricorso, per tali apparecchi, al modello della
 concessione anziche' a quello dell'autorizzazione, dato che in questa
 categoria - come questa Corte ha gia' ricordato rientrano anche "quei
 tipi di provvedimenti - definiti talvolta anche licenze - che
 consentono l'esplicazione di certe attivita' sulla base di una
 valutazione discrezionale circa la rispondenza della predetta
 attivita' a determinati interessi pubblici" (sent. n. 153 del 1987).
   Ora, che rispetto agli apparecchi di debole potenza la
 discrezionalita' riservata all'Amministrazione sia fortemente
 limitata risulta dalla stessa disciplina positiva, che e'
 significativamente differenziata rispetto a quella degli altri
 strumenti di comunicazione a mezzo di onde radioelettriche.
   Tale disciplina e' in particolare caratterizzata: a) dalla
 predeterminazione legislativa - almeno in via generale - degli scopi
 per i quali ne puo' essere consentito l'uso e dalla minuta
 specificazione, in sede regolamentare, delle frequenze utilizzabili
 per ciascuno di questi e delle prescrizioni tecniche cui gli
 apparecchi si debbono uniformare, anche ai fini della prevenzione ed
 eliminazione dei disturbi (v. art. 334, primo e secondo comma,
 nonche', tra gli altri, i DD.MM. 15 luglio 1977 e 2 aprile 1985); b)
 dal fatto che, essendo le frequenze "riservate", e' preclusa la
 possibilita' di assegnazione parziale di esse ad altri servizi, in
 base a determinazioni della P.A., che e' invece prevista in altri
 casi (cfr. il D.M. 31 gennaio 1983); c) dalla non applicabilita' a
 tali apparecchi tanto dei limiti valevoli in via generale per le
 concessioni ad uso privato - ed in particolare di quello della
 realizzabilita' del collegamento con altri mezzi trasmissivi
 pubblici: art. 214 - , quanto della norma che prevede, per le
 concessioni di stazioni radioelettriche ad uso privato, il parere dei
 Ministeri dell'Interno e della Difesa (art. 337); d) dalla riserva al
 regolamento dei requisiti che devono essere posseduti dai
 concessionari (art. 334, terzo comma). La stessa possibilita' di
 utilizzazione plurima della stessa banda di frequenza circoscrive
 ulteriormente la discrezionalita' dell'Amministrazione nell'assentire
 l'uso del mezzo.
   Tenendo conto della modesta portata e potenza degli apparecchi in
 questione, e della limitazione del loro uso a scopi socialmente
 utili, o comunque meritevoli di considerazione, il legislatore ha,
 con tale disciplina, mirato a favorirne l'utilizzazione. Ma la
 riconduzione nell'ambito del generale regime concessorio contraddice
 a tale intento, perche' comporta ingiustificatamente il
 riconoscimento alla P.A. di eccessivi spazi di discrezionalita', come
 dimostra la lata formulazione dell'art. 194 T.U. circa le condizioni,
 limiti ed obblighi cui la concessione puo' essere in concreto
 subordinata al di la' delle previsioni legislative o regolamentari.
   Il favor legislativo e', d'altra parte, coerente con la tendenziale
 espansione delle possibilita' di comunicazione implicita nella
 garanzia costituzionale di cui all'art. 15, accanto alla quale, nella
 specie, vengono altresi' in rilievo quelle poste negli artt. 35 e 41
 Cost., dato che, alla stregua degli scopi enumerati nel primo comma
 dell'art. 334, gli apparecchi in questione favoriscono un efficiente
 svolgimento di attivita' di lavoro od imprenditoriali.
   Il limite all'utilizzazione di essi puo', percio', rinvenirsi nella
 gia' sottolineata esigenza di un razionale ed ordinato governo
 dell'etere, e cioe' di assicurare in concreto, tenendo conto della
 situazione di fatto e delle condizioni ambientali, il coordinamento e
 la compatibilita' reciproca tra i vari apparecchi e tra questi e gli
 altri strumenti di telecomunicazione.
   A soddisfare tali esigenze e' pero' logicamente sufficiente un
 regime autorizzatorio del tipo suindicato, nel quale la
 discrezionalita' della P.A. - ai fini del diniego o della revoca del
 provvedimento ammissivo, ovvero del ricorso agli strumenti di
 autotutela - va esercitata e motivata in riferimento alle predette
 finalita', e non ad altre di ordine diverso che la stessa disciplina
 specifica mostra di non considerare: e cio', anche per consentire un
 idoneo sindacato giurisdizionale. Limitatamente agli apparecchi in
 questione, l'utilizzazione del regime concessorio si appalesa, in
 definitiva, mezzo eccedente rispetto al fine di assicurare un
 appropriato bilanciamento tra gli interessi di rilievo costituzionale
 che in tale particolare materia sono in gioco: e conseguentemente
 vanno dichiarati costituzionalmente illegittimi - in relazione
 all'art. 15 Cost. - nella parte in cui si riferiscono agli apparecchi
 di cui al primo comma dell'art. 334 d.P.R. n. 156 del 1973, gli artt.
 1 e 183, primo comma dello stesso d.P.R.: il primo in quanto li
 ricomprende nella previsione di cui al primo comma, anziche' tra i
 casi di autorizzazione - da intendersi nel senso sopra specificato -
 di cui al secondo comma; il secondo, in quanto ne prevede
 l'assoggettamento a concessione.
   Restano cosi' assorbite le ulteriori censure riferite agli artt. 35
 e 41 Cost.
   11. - La declaratoria di incostituzionalita' coinvolge anche i
 commi dal terzo al sesto dell'art. 334, nonche' l'art. 195, primo
 comma, n. 2 del medesimo d.P.R.: cio', pero', solo nella parte in cui
 tali disposizioni fanno riferimento, per gli apparecchi
 radioelettrici di debole potenza di tipo portatile, alla concessione
 anziche' all'autorizzazione. In particolare, per quanto attiene alla
 seconda delle predette norme, resta integra, anche per tali
 apparecchi, la previsione sanzionatoria ivi contenuta. Le censure qui
 esaminate, infatti, coinvolgono l'art. 195 solo nei limiti anzidetti,
 essendo volte ad incidere sul mero regime amministrativo e non anche
 sull'assoggettamento a sanzione penale in caso di mancanza di un
 provvedimento abilitante; e correlativamente, la pronuncia qui resa
 comporta bensi' un mutamento della qualificazione giuridica di tale
 provvedimento con riferimento all'ambito di discrezionalita'
 riservato alla P.A., ma non investe il diverso, e non censurato
 profilo dell'irrogazione di una sanzione penale per un comportamento
 inosservante che, nella struttura della norma in esame, e' oggetto da
 parte del legislatore di identica valutazione, quale che sia il tipo
 di disciplina - concessione o autorizzazione - e le specifiche
 modalita' di regolazione di essa.