ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 379, secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 9 novembre 1987 dal Tribunale di Lecce sul ricorso proposto da Cimadono Maria Evelina, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1988; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Ritenuto che il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 9 novembre 1987, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 379, secondo comma, cod. civ., "nella parte in cui non prevede a favore del tutore, che presta al suo pupillo assistenza personale particolarmente gravosa, l'indennita' che la detta norma prevede invece a favore del tutore in considerazione delle difficolta' dell'amministrazione del patrimonio"; che, ad avviso del giudice remittente, tale disparita' di trattamento e' irrazionale, non apparendo giustificata la deroga al principio di gratuita' della tutela soltanto in considerazione dell'entita' del patrimonio del pupillo e delle difficolta' dell'amministrazione, e non anche in considerazione delle particolari condizioni personali dell'interdetto e della gravosita' dell'impegno che esse richiedono al tutore, cioe' una deroga finalizzata piuttosto a garantire la conservazione del patrimonio mediante una buona amministrazione che ad assicurare all'incapace una adeguata assistenza personale e morale; che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' o, in subordine, l'infondatezza della questione; che l'inammissibilita' e' prospettata sul riflesso che, essendo la norma denunciata applicabile alla tutela sia dei minori sia degli interdetti, la modificazione additiva auspicata dal giudice a quo verrebbe a "travolgere uno dei principi di politica legislativa sui quali tutta la disciplina della materia si fonda: quello della gratuita' dell'ufficio tutelare"; che, quanto all'infondatezza, l'Avvocatura rileva che l'ordinanza di rimessione mette a raffronto due situazioni non assimilabili, stante la precisa differenza tra le due funzioni che l'art. 357 cod. civ. affida al tutore, quella della cura della persona e quella dell'amministrazione, con rappresentanza, del patrimonio: la seconda funzione richiede una speciale disciplina che compensi in qualche misura le deficienze che, dal punto di vista della gestione patrimoniale, puo' comportare la scelta del tutore nella cerchia delle persone legate all'incapace da vincoli di affetto e di solidarieta' familiare, secondo un criterio di prevalenza dell'interesse di cura della persona; Considerato che l'"equa indennita'", che a norma dell'art. 379, secondo comma, il giudice tutelare puo' assegnare al tutore, "considerando l'entita' del patrimonio e le difficolta' dell'amministrazione", non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui e' gravato il tutore a cagione dell'attivita' di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l'ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilita' di nominare sostituti, i "coadiuvanti" previsti nell'ultima parte della norma in esame non essendo sostituti nel senso dell'art. 1717, secondo comma, cod. civ., bensi' semplici ausiliari dell'obbligato nel senso dell'art. 1228; che, invece, l'obbligo di cura della persona non comporta oneri e spese quantificabili, sia pure forfettariamente, in denaro, e d'altra parte il contenuto di tale obbligo non implica la prestazione personale di servizi propri di un lavoratore domestico o di un infermiere, ben potendo il tutore, se il patrimonio lo consente, farsi autorizzare dal giudice ad assumere una o piu' persone di servizio oppure a collocare l'incapace in un istituto idoneo ad assisterlo, o altrimenti a chiedere il soccorso delle istituzioni pubbliche di assistenza; che, trattandosi, come nella specie, di tutela di un interdetto affidata a un parente diverso da quelli indicati nell'art. 426, il tutore puo' chiedere, dopo dieci anni, di essere esonerato dall'ufficio; che pertanto la gravosita' dell'attivita' di cura dell'incapace, derivante dall'avere il tutore prestato un'assistenza personale eccedente i doveri di ufficio non puo' essere paragonata alla gravosita', derivante dall'entita' del patrimonio, dell'attivita' di amministrazione cui il tutore e' personalmente obbligato, al fine di qualificare anche la prima, alla stregua dell'art. 3 Cost., come titolo per pretendere una indennita', la quale in realta' non avrebbe carattere di indennizzo, bensi' di compenso per l'opera prestata, in contrasto col principio dell'art. 379, primo comma; Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi derivanti alla Corte costituzionale.