LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso proposto da
 Lanzafame Placido nato a Biancavilla il 24 novembre 1947, avverso  la
 sentenza del tribunale di Catania del 17 dicembre 1987;
    Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
    Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott.
 Renato Mastrocinque;
    Udito  il  pubblico ministero in persona del sostituto procuratore
 generale dott. Carmine Cecere che ha  concluso  per  il  rigetto  del
 ricorso;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  sentenza  del  17  dicembre  1987  il tribunale di Catania ha
 confermato quella del pretore di Gierre in data 4 ottobre 1985 con la
 quale  Lanzafame  Placido  e' stato dichiarato colpevole del reato di
 cui all'art. 17, lett. b) della legge 28 gennaio  1977,  n.  10,  per
 esecuzione  di  lavori  edilizi  in  Mascali,  senza  concessione del
 sindaco, secondo rapporto dell'8 febbraio dei locali vigili urbani ed
 e'  stato condannato alla pena di trenta giorni di arresto a lire 400
 mila di ammenda, essendosi  ritenuto,  fra  l'altro,  ininfluente  la
 domanda   di   sanatoria   presentata   dall'imputato,   per  mancata
 ultimazione delle opere alla data del 1› ottobre  1983  in  quanto  i
 tamponamenti   esterni   dell'edificio  da  lui  costruiti  erano,  a
 quell'epoca, ancora parziali.
    Il  Lanzafame  ha  proposto  ricorso deducendo la violazione della
 legge regionale siciliana 15 maggio 1986, n. 26, che, in sostituzione
 dell'art.  31  della  legge 28 febbraio 1985, n. 47, prescrive che ai
 fini  della  sanatoria  contemplata  dal  capo  quarto  della   legge
 nazionale  si  intendono  ultimati  gli  edifici  nei quali sia stata
 eseguita la struttura portante  sia  essa  del  tipo  intelaiato,  in
 cemento armato o con pannelli portanti o in muratura e sia completata
 la copertura.
    La  difforme  previsione  normativa  regionale  rispetto  a quella
 nazionale, in ordine alla stessa situazione di fatto,  contrassegnata
 la  rilevanza  del  controllo  di  legittimita' costituzionale che si
 ritiene  di  dover   provocare   constatandosi   come   la   invocata
 disposizione  regionale  non  potrebbe escludere l'annullamento della
 sentenza impugnata che ha appunto  disatteso  il  precetto  regionale
 sulla   base   del  piu'  rigoroso  criterio  interpretativo  dettato
 dall'art. 31 della legge n. 47/1985.
    Posto,  infatti, che l'art. 3 della legge n. 26/1986 della regione
 siciliana estende la sanatoria prevista dalla legge n.  47/1985  alle
 opere  che  alla  data  del 1› ottobre 1983 non potevano considerarsi
 ultimate per la mancata esecuzione del rustico secondo  il  principio
 fissato   dal   legislatore   nazionale,   comprendendovi   anche  le
 costruzioni in cui sia stata eseguita solo la struttura portante -  e
 la stessa sostituzione della norma da parte del legislatore siciliano
 e',  del  resto,  rivelatrice  della   piu'   ampia   portata   della
 disposizione  regionale - appare evidente come non possa prescindersi
 dal vaglio costituzionale di tale norma che trova specifica efficacia
 discriminatoria  all'effetto della sospensione del processo a termini
 dell'art. 38 della legge n. 47/1985 e dell'eventuale  estinzione  del
 reato  proprio  perche'  l'opera  edilizia  del  Lanzafame  - come ha
 ritenuto con insindacabile giudizio di merito il tribunale -  non  e'
 compreso  fra  quelle indicate nell'art. 31 della legge n. 47/1985 ma
 ricade fra quelle menzionate nell'art. 3  della  legge  n.  26  della
 regione siciliana.
    Ne'  questa  Corte  ritiene  che  possa prescindersi dall'invocato
 controllo costituzionale - come in qualche  caso  si  e'  ritenuto  -
 attraverso   la   delimitazione   della  portata  della  disposizione
 regionale ai soli aspetti amministrativi della norma escludendo cioe'
 il  riverbero  di  carattere  penale  che  essa comporta, sia perche'
 l'interpretazione   restrittiva   deve   ritenersi   esclusa    dalla
 formulazione  letterale  della  legge  siciliana sia perche' il nesso
 indissolubile  tra  osservanza  del  precetto  amministrativo  e  gli
 effetti  penali  conseguenzialmente  previsti  nella materia edilizia
 contrastano con siffatta eventualita'.
    L'art.  3  della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26, e' infatti
 integralmente sostitutivo - per  espressa  volonta'  del  legislatore
 siciliano  - dell'art. 31, secondo comma della legge n. 47/1985 onde,
 escludendosi la  possibilita'  di  convivenza  tra  le  due  norme  e
 conclamandosi la prevalenza della regola regionale, non e' offerta al
 giudice la possibilita' di  una  interpretazione  conciliativa  o  di
 coordinamento fra le due norme in conflitto.
    A  cio'  deve  aggiungersi  che  la  particolare  fisionomia della
 repressione   penale   dell'attivita'   illecita   urbanistico-edile,
 subordinata  in via di principio alla inosservanza delle prescrizioni
 normative degli organi amministrativi cui  spetta  il  governo  della
 trasformazione  del  territorio in detto settore, non puo' obliterare
 la legittimita' del comportamento dal punto di  vista  amministrativo
 osservandosi,  del  resto,  che  se e' lecita da parte del giudice la
 disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo,  e'  del  tutto
 contrario  ai  principi  e  sarebbe  comunque  fonte di inammissibile
 confusione ordinamentale la repressione penale di  condotte  conformi
 ai precetti amministrativi legittimi.
    Stabilita   pertanto   la   rilevanza   del   problema  di  ordine
 costituzionale che il contrasto fra le  due  norme  pone  in  essere,
 questa  Corte  ritiene che non sia manifestamente infondato il dubbio
 che il cennato art. 3 della legge siciliana n. 26 in quanto detta, in
 tema di attivita' abusiva edilizia costituente reato, norme del tutto
 particolari e diverse rispetto a  quelle  stabilite  dal  legislatore
 nazionale nell'art. 31, secondo comma, della legge n. 47/1985 non sia
 conforme agli artt. 106, 107 e 3 della Costituzione.
    E'  stato gia' affermato, in vero, che la potesta' di legislazione
 spettante alle regioni non puo' prescindere dal principio  di  ordine
 costituzionale,  sancito  specificamente  nella materia urbanistica e
 valevole anche per le regioni a statuto speciale,  del  coordinamento
 normativo   con  la  legislazione  dello  Stato  nella  sua  funzione
 regolatrice dell'interesse unitario alla uniforme disciplina in  tema
 di  rapporti  fondamentali  che si realizzano in posizioni giuridiche
 direttamente facenti capo allo Stato. La disposizione in esame sembra
 travalicare  un ulteriore limite in quanto esplicitamente derogatrice
 dell'ambito  sanzionatorio  penale  consentendo,  limitatamente  alle
 opere  edilizie  abusive  realizzate  nel  territorio  siciliano,  la
 estinzione dei reati a condizioni piu' favorevoli di quelli stabiliti
 per  la  generalita'  dei  cittadini vulnerando anche il principio di
 uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.