IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Con decreto motivato emesso il 31 marzo 1988 il pretore di Novara,
 nel  procedimento  penale  n.  2055/A/87  contro  Genovese   Rosario,
 liquidava  a  Sciarabba  Giovanni, custode giudiziario dell'auto Fiat
 126 targata TO/M32961 dal 30 settembre 1987 al 29 febbraio  1988,  la
 complessiva  somma  di L.  73.650, di cui L. 30.050 per indennita' di
 custodia e L. 44.100 per spese di soccorso  stradale,  rigettando  la
 richiesta  di  liquidazione  di  ulteriori  L. 180.000, esposte dallo
 Sciarabba quali spese di conservazione dell'automezzo,  perche'  tali
 spese,  secondo  il pretore, non erano state autorizzate e, comunque,
 non apparivano necessarie.
    Il  citato  decreto  di liquidazione del compenso veniva impugnato
 davanti al tribunale di Novara dal custode Sciarabba  Giovanni  il  7
 aprile 1988 con "istanza per proposizione di incidente di esecuzione"
 - pervenuta al tribunale l'11 aprile 1988  -  nella  quale  l'istanza
 chiedeva  la revoca del suddetto decreto pretorile nella parte in cui
 non riconosceva le spese di conservazione e posteggio - richieste  in
 L.  180.000  -, assumendo che dette spese erano inerenti e necessarie
 all'attivita' di custode per assicurare il soddisfacimento  del  fine
 delle  norme  sul  sequestro penale, non ultimo quello di ottenere un
 realizzo economico per lo Stato in  caso  di  sequestro  mantenuto  a
 garanzia   di   obbligazioni   pecuniarie,  nonche'  per  evitare  il
 concretizzarsi dalle ipotesi di reato di cui all'art. 335 del c.p.
    Il   tribunale,   prima  di  affrontare  il  merito  del  ricorso,
 preoccupandosi di ricercare la fonte normativa di tale impugnazione -
 che non poteva risolversi in un vero e proprio incidente d'esecuzione
 non avendo, il tribunale, la disponibilita' del  procedimento  penale
 cui  si  riferiva  l'istanza  -,  riteneva di rinvenirla, in un primo
 momento, nell'art. 11 della legge n. 319/1980 da  applicarsi  in  via
 analogica.
    Tuttavia  la  rigida  indicazione dei soggetti (periti, consulenti
 interpreti e traduttori) cui e'  concessa  la  facolta'  di  proporre
 impugnazione  avverso  il decreto di liquidazione dei compensi emesso
 dal giudice che li ha nominati, ricorrendo all'organo collegiale  (il
 tribunale,  nel  caso di decreto del pretore del giudice istruttore -
 civile o penale - o  del  pubblico  ministero)  per  il  riesame  del
 provvedimento,  attraverso  il  procedimento di cui all'art. 29 della
 legge 13 giugno 1942, n. 794, appare ostativa  alla  applicazione  in
 via  analogica  di  detta  norma (art. 11 della legge n. 319/1980), e
 cio' nonostante che il custode e le  altre  figure  di  collaboratori
 giudiziari  espressamente  indicate  nella  norma svolgano, comunque,
 funzioni ausiliarie dell'attivita' giudiziale.
    Orbene  la  mancata  previsione tra quelle figure di ausiliari del
 giudice del custode giudiziario, il  quale  non  ha,  al  pari  degli
 altri,  la  facolta'  di  impugnazione  di  cui  sopra, ha indotto il
 tribunale a ritenere che la norma di cui all'art. 11 della  legge  n.
 319/1980  cosi' come formulata appaia chiaramente in contrasto con il
 principio di eguaglianza di tutti  i  cittadini  davanti  alla  legge
 (art.  3 della Costituzione) dal momento che, a parita' di condizioni
 soggettive ed oggettive, esclude i custodi giudiziari dal trattamento
 riservato  ai periti, ai consulenti, agli interpreti e ai trasuttori.
 Non e' dubitabile infatti che anche il custode, cosi' come gli altri,
 sia  un  ausiliario del giudice e che, pertanto, ha un uguale diritto
 al compenso, liquidatogli secondo i criteri prescritti dalla legge, e
 alla impugnazione del provvedimento di liquidazione.
    La  disparita' di trattamento tra questi soggetti, tutti ausiliari
 del  giudice,  non  appare  giustificata  e,  pertanto,  deve  essere
 sollevata  d'ufficio la questione di costituzionalita' della norma di
 cui all'art. 11 della legge n. 319/1980 per violazione del  principio
 di  eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, questione che
 appare certamente  rilevante  nel  presente  procedimento  per  poter
 ritenere  ammissibile  l'opposizione  e  procedere  al  suo esame nel
 merito.
    Detta  questione, invero, e' gia' stata sollevata dal tribunale di
 Palermo con ordinanza 8 marzo  1985  e  la  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato  la  questione  manifestamente infondata con ordinanza del
 13-19 gennaio 1988, n. 38.
    Nella  motivazione  di  detta  ordinanza  si  legge  quanto segue:
 "Considerato che in materia processuale e' consentito al  legislatore
 di  prevedere  procedimenti  dfferenziati  e  di regolare in modo non
 rigidamente uniforme i modi della tutela giurisdizionale a condizione
 che  non  siano  vulnerati  i  principi  fondamentali  di garanzia ed
 effettivita' della tutela giurisdizionale; che il decreto che liquida
 il  compenso  al  custode  giudiziario  puo'  essere ricondotto fra i
 provvedimenti speciali a carattere monitorio emessi  dal  giudice  in
 via  provvisoria, con la conseguenza che avverso il decreto stesso e'
 esperibile un mezzo di impugnazione idoneo a introdurre  un  giudizio
 ordinario  di  cognizione  anche sul merito della domanda creditoria,
 con l'osservanza della regola del contraddittorio".
    La   motivazione   del   rigetto  della  questione  per  manifesta
 infondatezza, come sopra riportata, non appare del tutto  convincente
 non  risultando  affatto  chiaro  quale sia "il mezzo di impugnazione
 idoneo ad introdurre un giudizio ordinario di  cognizione  anche  sul
 merito  della  domanda  creditoria, con l'osservanza della regola del
 contraddittorio" perche', nel caso che  ci  occupa,  con  il  decreto
 motivato  il  pretore  penale  si  e' gia' compiutamente espresso nel
 merito  della  richiesta  del  custode  e  appare  incongruente   una
 opposizione  di  quest'ultimo  davanti a quello stesso pretore penale
 che ha gia' manifestato il proprio convincimento.
    In questo caso, infatti, ad opporsi ad un decreto "che puo' essere
 ricondotto fra i provvedimenti a carattere monitorio" dovrebbe essere
 non l'altra parte, verso cui e' indirizzata l'ingiunzione del giudice
 (secondo lo schema classico del procedimento  monitorio),  bensi'  lo
 stesso  ricorrente  che  si  e'  trovato  con  un  provvedimento  non
 corrispondente a quanto richiesto (almeno nel quantum).
    E  inoltre occorre domandarsi: nel corso di un procedimento penale
 che sarebbe la controparte del custode giudiziario-opponente  con  la
 quale  instaurare un valido contraddittorio "sul merito della domanda
 creditoria"? L'Erario? L'imputato? La risposta non e' agevole.
    Non  vi  e'  dubbio, allora, che appare sussistere una sostanziale
 incertezza nei mezzi di tutela a disposizione del custode, che  viene
 dimostrata  anche  dal  ricorso in oggetto, proposto come ricorso per
 incidente  di  esecuzione  al  tribunale  pur   trattandosi   di   un
 procedimento penale pretorile.
    In  verita'  il  diritto  del  custode  giudiziario al compenso e'
 oggetto di tutela giudiziaria  diversa  e  sostanzialmente  deteriore
 rispetto  a  quella  riservata  ai  diritti degli altri ausiliari del
 giudice,  fosse  anche  soltanto  per  la  mancata  chiarezza   degli
 strumenti  di  tutela  e,  non ultimo, per la loro diversa durata nel
 tempo (trattandosi - come pare di rilevare  dalla  motivazione  della
 Corte - di processi ordinari di cognizione conseguenti ad opposizione
 a decreto)  rispetto  a  quelli  offerti  agli  altri  ausiliari  del
 giudice.
    La  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  11 della legge n.
 319/1980 in  relazione  all'art.  3  della  Costituzione  non  appare
 manifestamente   infondata   ed   essendo   rilevante   nel  presente
 procedimento, al fine di ritenere ammissibile l'opposizione  proposta
 dal  ricorrente,  deve  essere  riproposta all'attenzione della Corte
 costituzionale.