LA CORTE D'APPELLO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa penale contro
 Pasquali Guido + 36;
    Esaminati gli atti;
    Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott.
 Cerqua;
    Udito, per la parte civile, l'avvocato dello Stato Orlando;
    Udito   il   pubblico   ministero   nella  persona  del  sostituto
 procuratore generale dott. De Palma;
    Uditi  i  difensori  avvocati Giordanengo, De Nignis Siniscalchi e
 Chiaraviglio;
                             O S S E R V A
    Pasquali   Guido,   Garavaglia   Claudio,   Cereda  Sergio,  Motta
 Ferdinando, Michetti Bruna, Ronchi Clemente, Fusco  Antonio,  Garilli
 Romana,  Bosisio  Amelia,  Guerresco  Vittorio  Rino, Galli Giuseppe,
 Rinaldi  Cesare,  Volponi  Mauro,  Botteri  Romano,  Russo  Giuseppe,
 Maiello  Maria  Pia, Mainardi Clelia e Combi Gian Luigi, con sentenza
 del tribunale di Milano di data 17 ottobre 1985, sono stati  ritenuti
 responsabili,  oltre  che del reato previsto dall'art. 4, n. 1, della
 legge 7 agosto 1982, n. 516 (per il quale sono stati condannati anche
 altri imputati, tra cui Rossini Roberto e Molteni Antonio Salvatore),
 anche del reato previsto dall'art. 4, n.  7,  della  medesima  legge,
 perche',  al  fine  di evadere le imposte sui redditi e l'imposta sul
 valore aggiunto, utilizzavano numerose bolle di  accompagnamento  dei
 beni  viaggianti  alterate  in  modo  tale  da  far  apparire in esse
 indicata una  quantita'  di  merce  (calzature)  inferiore  a  quella
 effettivamente   compravenduta,   e,   essendo  titolari  di  redditi
 d'impresa,  redigevano  le  scritture  contabili  obbligatorie  e  la
 dichiarazione  annuale  dei  redditi  del  1984  dissimulando, con il
 predetto artifizio, componenti positivi, si' da  alterare  in  misura
 rilevante il risultato della dichiarazione stessa.
    In  primo  grado,  il  tribunale di Milano riteneva irrilevanti le
 questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1  e  4,  n.  7,
 della  legge  anzidetta,  sollevate  in  riferimento all'art. 3 della
 Costituzione,  sul   presupposto   che   l'art.   1,   in   tema   di
 contravvenzione   di   omessa  dichiarazione  dei  redditi,  equipara
 irragionevolmente redditi di natura diversa, e l'art. 4,  n.  7,  del
 pari  irragionevolmente,  prevede  un  reato  proprio dei titolari di
 redditi di lavoro autonomo e di impresa, escludendo  i  titolari  dei
 restanti  redditi,  che  compilino fraudolentemente una dichiarazione
 infedele.
    Il   tribunale,   inoltre,   riteneva   manifestamente   infondata
 l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 4, n. 7, nella parte  in
 cui  prevede  l'alterazione  in misura rilevante della dichiarazione,
 quale elemento costitutivo del reato di frode fiscale  ivi  previsto,
 sollevata   in   riferimento   all'art.   25,  secondo  comma,  della
 Costituzione, per violazione  del  principio  di  tassativita'  delle
 fattispecie   penali,  osservando  che  la  condotta  incriminata  e'
 "esattamente individuata e qualificata sia sotto il profilo oggettivo
 che soggettivo".
    In  sede  di  appello  i  difensori di Garavaglia Claudio, Maiello
 Maria Pia, Russo Giuseppe e Combi  Gian  Luigi  hanno  riproposto  le
 stesse  questioni  di legittimita' costituzionale, mentre i difensori
 di Rossini  Roberto  e  Molteni  Antonio  Salvatore  hanno  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6 della legge
 anzidetta, in riferimento all'art. 3  della  Costituzione,  assumendo
 che   la   norma,   in   tema   di   pene  accessorie,  equiparerebbe
 irragionevolmente   la   posizione   di   chi   ha   commesso   fatti
 oggettivamente  gravi  a  quella  di  chi  ha commesso fatti di lieve
 entita'.
     A) La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo
 comma, della  legge  7  agosto  1982,  n.  516,  in  tema  di  omessa
 dichiarazione   dei   redditi,   in   riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, e' irrilevante, non essendo stata contestata  ad  alcun
 imputato l'ipotesi contravvenzionale prevista dalla norma citata.
     B) La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7,
 sollevata  in  riferimento  all'art.   3   della   Costituzione,   e'
 manifestamente  infondata.  La  scelta  normativa di fare della frode
 fiscale  prevista  da  tale  norma  un  reato  proprio  di   soggetti
 particolarmente  qualificati,  coerente  con la volonta', diffusa nel
 testo di legge, vo'lta a perseguire una linea  di  minor  rigore  nei
 confronti  dei  percettori di redditi di lavoro dipendente o di altri
 redditi,  non  appare  irrazionale   ne'   arbitraria.   Invero,   la
 ragionevolezza  della  scelta,  fondata  sulla maggiore potenzialita'
 offensiva o sulla maggiore "pericolosita' fiscale"  dei  contribuenti
 individuati   nella  fattispecie  criminosa  in  esame,  rispetto  ai
 titolari di redditi diversi da  quelli  indicati  nella  norma,  puo'
 giustificare, sul piano costituzionale, una discriminazione, quanto a
 responsabilita' penale, fondata  sul  tipo  di  reddito  sottratto  a
 contribuzione e sulla sua maggiore facilita' di occultamento.
     C)  La questione di legittimita' dell'art. 6 della legge 7 agosto
 1982, n. 516, del pari sollevata  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,  e'  manifestamente  infondata.  Il  legislatore, nella
 previsione delle pene accessorie, non e' costituzionalmente vincolato
 alla  gravita' del reato. Per scelta discrezionale, immune da vizi di
 arbitrarieta' e irragionevolezza, esse si possono ricollegare anche a
 forme qualificate di pericolosita' sociale ed alla specificita' degli
 interessi tutelati, a prescindere dalla gravita' del  reato.  Non  va
 dimenticato,  inoltre,  che  se  l'  an  della  loro  applicazione e'
 previsto automaticamente  dal  legislatore,  il  quantum  della  loro
 durata  e' rimesso il piu' delle volte alla valutazione discrezionale
 del giudice.
     D)  Infine, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 4, n. 7, della legge 7 agosto  1982,  n.  516,  nella  parte  in  cui
 prevede  l'alterazione in misura rilevante della dichiarazione, quale
 elemento  costitutivo  del  reato  di  frode  fiscale  ivi  previsto,
 sollevata  in  riferimento  agli  artt.  25, secondo comma, e 3 della
 Costituzione, appare rilevante e non manifestamente infondata.
    Per quanto riguarda il primo aspetto, l'eventuale dichiarazione di
 illegittimita'  costituzionale  della  norma   farebbe   venir   meno
 l'ipotizzabilita'  dell'ipotesi di frode fiscale di cui trattasi, per
 difetto di uno dei suoi elementi costitutivi.
    Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione,
 si osserva che il principio di tassativita' delle fattispecie penali,
 ricavabile  dall'art.  25,  secondo comma, della Costituzione, impone
 che  la  norma  determini  la  fattispecie  criminosa  con  connotati
 precisi,  in  modo che il giudice, nel ricondurre un'ipotesi concreta
 alla norma di legge, possa esprimere un  giudizio  di  corrispondenza
 sorretto  da  un  fondamento  controllabile  (Corte  costituzionale 8
 giugno 1981, n. 96).
    L'individuazione  da  parte  del  giudice  del risultato rilevante
 della  dichiarazione,  in  assenza  di  parametri   di   riferimento,
 legislativamente   predeterminati,   compromette   il   carattere  di
 determinatezza della fattispecie, in quanto la rilevanza  penale  del
 fatto,   come  e'  stato  osservato,  viene  ad  essere  condizionata
 all'opinione che  il  giudice  avra'  in  concreto  circa  la  misura
 rilevante  o  meno  dell'alterazione:  in tal modo egli e' chiamato a
 decidere sulla sussistenza penale del fatto a livello  di  previsione
 normativa, ed a compiere non gia' un'opera di interpretazione in sede
 di applicazione della norma, ma una vera e  propria  integrazione  di
 quest'ultima,      svolgendo      cosi'     un'attivita'     creativa
 nell'individuazione dei contenuti  della  fattispecie  legale,  sulla
 base di elementi non ricavabili dalla stessa disposizione di legge, e
 neppure in via sistematica, in quanto, non  essendo  prevista  alcuna
 soglia  di  punibilita', la soluzione non sembra possa essere trovata
 nei valori assoluti indicati nell'art. 1 della legge n. 516/1982.
    Non e' irrilevante aggiungere che, trattandosi di un reato doloso,
 l'elemento soggettivo deve investire tutti gli elementi essenziali  e
 indispensabili   per  l'integrazione  della  fattispecie,  mentre  la
 mancata determinazione legislativa dell'alterazione rilevante esclude
 che  la  coscienza  e volonta' possa estendersi anche a tale elemento
 costitutivo del reato di frode fiscale.
    Non si puo', inoltre, escludere che l'indeterminatezza della norma
 si  possa  tradurre  in  una  ineluttabile   disparita'   della   sua
 applicazione,  e  quindi  in  concreta  diseguaglianza  (art. 3 della
 Costituzione), imputabile alla norma stessa (v. Corte  Costituzionale
 14 aprile 1980, n. 49).
    L'esame     delle    varie    e    contrastanti    interpretazioni
 giurisprudenziali evidenzia l'incertezza che deriva  dall'espressione
 normativa.
    Cosi',   ad   esempio,  il  tribunale  di  Milano,  nell'impugnata
 sentenza, ha ritenuto che per determinare l'alterazione rilevante del
 risultato  della dichiarazione, ci si debba riferire, in primo luogo,
 al   parametro   quantitativo,   tenendo   conto,   quale    criterio
 complementare,   dell'attitudine   della  dissimulazione  ad  eludere
 eventuali controlli. Altri giudici hanno fatto ricorso congiuntamente
 a  tre  criteri  di  natura  obiettiva: un criterio proporzionale, il
 valore assoluto della differenza, l'entita'  dell'imposta  evitata  o
 evitabile  (Trib.  Torino  13  luglio  1985, in Foro it. 1986, II, c.
 101); mentre altri hanno ritenuto che il superamento della soglia  di
 cui   all'art.   1   della  legge  n.  516/1982  renderebbe  comunque
 obiettivamente   rilevante   l'alterazione   del   risultato    della
 dichiarazione  (Corte  d'appello Firenze 9 novembre 1987, in il Fisco
 1988,  p.  953).  Infine,  a  giudizio  della  Corte  di  cassazione,
 l'alterazione    dovrebbe   essere   valutata   in   se   stessa   e,
 secondariamente, in  proporzione  al  reddito  complessivo  effettivo
 (Cass. 11 marzo 1987, in il Fisco 1987, p. 5251).
    Si  rileva,  inoltre,  che  l'ipotesi delittuosa in esame non puo'
 essere assimilata ad altre figure di reato  c.d.  "a  forma  libera",
 come  ad  esempio  quelle  previste  dagli artt. 527 e 528 del c.p. e
 dall'art. 403 stesso codice, ritenuti  costituzionalmente  legittimi:
 la  peculiarita'  del  sistema  penale  tributario  non  consente  di
 ritenere che l'alterazione in misura rilevante  del  risultato  della
 dichiarazione    sia   una   nozione   propria   del   linguaggio   e
 dell'intelligenza comuni (Corte costituzionale 16 dicembre  1970,  n.
 191),   o   un   valore   etico-sociale   oggettivamente  accertabile
 dall'interprete  (Corte  costituzionale  8  luglio  1975,  n.   188).
 L'alterazione in misura rilevante non costituisce neppure un concetto
 di comune esperienza o desumibile da altre fonti legislative e  dalla
 pregressa  elaborazione  giurisprudenziale  (Corte  costituzionale 14
 aprile 1980, n. 49).
    Ne'  ha  pregio  il richiamo alle circostanze previste dagli artt.
 61, n. 7, 62, n. 4 e 648 cpv., del c.p. e dall'art. 219, primo comma,
 del  r.d.  16 marzo 1942, n. 267, in quanto, come e' stato osservato,
 la  loro  indeterminatezza,  riflettendosi  solo  sul  quantum  della
 punibilita', non appare incompatibile con l'esigenza di tassativita'.
    Infine,  il  riferimento  alla  normativa  sugli stupefacenti, nel
 quadro della quale la determinazione della modica  quantita'  sarebbe
 rimessa  al giudice in termini non dissimili da quanto dispone l'art.
 4, n. 7, per l'alterazione in misura rilevante  del  risultato  della
 dichiarazione,  appare  privo  di  fondamento, per l'assimilazione di
 fenomeni normativi  eterogenei.  Come  e'  stato  osservato,  la  non
 omogeneita'  delle  due  situazioni  poste  a confronto risulta dalla
 circostanza che nella fattispecie tributaria il limite tra  tipico  e
 non   tipico   e'   individuato   dal  giudice;  mentre  in  tema  di
 stupefacienti, la punibilita' e' gia' stabilita in via  di  principio
 dal  legislatore  ed  al  giudice viene attribuita la potesta' di non
 punire un fatto comunque antigiuridico. Invero, l'art. 80 della legge
 22  dicembre  1975,  n.  685,  qualifica  illeciti  la  detenzione  e
 l'acquisto di stupefacenti, dei quali e'  obbligatoria  la  confisca,
 disponendo la non punibilita' ove concorrano i requisiti della modica
 quantita'  e  della  direzione   soggettiva   della   condotta   (uso
 terapeutico o personale).
    Per le esposte ragioni, l'eccezione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, n. 7, della legge 7 agosto 1982, n.  516,  sollevata  in
 riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione, non
 appare manifestamente infondata.
    Della   questione,   pertanto,  deve  essere  investita  la  Corte
 costituzionale.