ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 28, primo,
 secondo e sesto comma della legge della Provincia di Trento 2  maggio
 1983,  n.  14  (recte:  della  legge  20  dicembre  1972, n. 31, come
 modificata  dalla  legge   2   maggio   1983,   n.   14,   intitolata
 "Modificazioni   ed   integrazioni  della  normativa  in  materia  di
 espropriazione"), promosso con ordinanza emessa il 20  febbraio  1987
 dalla  Corte  di  Cassazione  nel procedimento civile vertente tra il
 Comune di Trento e Marchel Diego ed altra, iscritta  al  n.  766  del
 registro  ordinanze  1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1987;
    Visti  gli atti di costituzione della Provincia Autonoma di Trento
 e del Comune di Trento;
    Udito  nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Udito l'Avv. Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Trento;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra il Comune di
 Trento,  Diego  Marchel  e  la  Provincia  di  Trento,  la  Corte  di
 cassazione,  con  ordinanza  emessa il 20 febbraio 1987, ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, primo, secondo
 e  sesto  comma,  della legge provinciale di Trento 2 maggio 1983, n.
 14, ("Modificazioni ed integrazioni  alla  normativa  in  materia  di
 espropriazioni"),  in  quanto  prevede  modalita'  di  determinazione
 dell'indennita' di esproprio per le  aree  fabbricabili  ritenute  in
 contrasto  con  gli  artt.  24, primo comma, 101, secondo comma, 113,
 primo e secondo comma, 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.
    Nel   precisare  che  ritiene  corretto,  nel  suo  complesso,  il
 meccanismo   di   determinazione   dell'indennizzo   previsto   dalle
 disposizioni   impugnate   -  in  quanto  legittimo  esercizio  della
 discrezionalita' del legislatore  nell'individuare  forme  di  "serio
 ristoro" non necessariamente coincidenti con il valore di mercato del
 bene espropriato -, il giudice a quo esprime  i  propri  dubbi  sulla
 costituzionalita'  di  uno  dei  coefficienti  di  determinazione del
 predetto indennizzo: quello usato come correttivo del  valore  venale
 del  bene,  il  quale  e'  individuato sulla base di tabelle, fissate
 annualmente dalla commissione prevista dall'art. 28, sesto comma, che
 determina  i  valori  agricoli,  minimi  e  massimi, delle varie zone
 agrarie.
   Piu'   precisamente,   le   disposizioni  impugnate  prevedono  che
 l'indennizzo  per  l'esproprio  di  aree  destinate  dagli  strumenti
 urbanistici  ad  insediamenti  produttivi  di  beni  o di servizi, di
 insediamenti residenziali, nonche' a servizi d'interesse pubblico o a
 verde  privato,  sia  commisurato alla media tra il valore venale del
 bene e il valore che, entro i parametri tabellari  minimi  e  massimi
 fissati   annualmente   da  una  speciale  commissione,  deve  essere
 attribuito all'area quale terreno agricolo. Secondo il giudice a quo,
 proprio quest'ultimo coefficiente tabellare, potendo risultare troppo
 basso o anche troppo elevato rispetto al reale valore  del  bene,  si
 porrebbe in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione,
 il quale, secondo la  giurisprudenza  costituzionale,  esige  che  il
 valore   del  bene  sia  determinato,  ai  fini  dell'indennizzo,  in
 relazione al valore reale dello stesso. Di modo che ne conseguirebbe,
 nel  caso  in  cui  l'indennizzo  fosse troppo basso, una lesione del
 diritto dell'espropriato e, nel caso opposto, una lesione del diritto
 dell'espropriante.
    Sempre  secondo il giudice a quo, per la parte che si riferisce ai
 valori tabellari, la determinazione  dell'indennizzo  prevista  dalle
 disposizioni  impugnate  contrasterebbe,  per un verso, con gli artt.
 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione  e,
 per  un  altro,  con  l'art.  101,  secondo  comma della stessa Carta
 costituzionale. Infatti, poiche' la fissazione dei  valori  tabellari
 operata  dalla  speciale  commissione  amministrativa e' sottratta al
 controllo   giudiziario   sulla    determinazione    dell'indennizzo,
 avverrebbe  che, quando il valore reale di quest'ultimo oltrepassasse
 i limiti tabellari, il privato, per un verso, risulterebbe  leso  nel
 suo  diritto ad ottenere dal giudice un equo indennizzo, e il giudice
 stesso, per altro verso,  vedrebbe  ingiustificatamente  limitata  la
 propria  potesta'  giurisdizionale, vo'lta al libero accertamento del
 valore da attribuire al bene espropriato, di fronte a un accertamento
 automatico   del   valore   agricolo,  che  si  risolverebbe  in  una
 precostituzione di prove al di fuori dell'ambiente processuale.
    2.  -  E' intervenuta in giudizio la Provincia di Trento, la quale
 eccepisce, innanzitutto, l'irrilevanza della questione proposta,  per
 la parte in cui riguarda le disposizioni relative alla determinazione
 dell'indennizzo per l'esproprio di aree agricole, dato che lo  stesso
 giudice  a  quo  riconosce che, nel caso di specie, si controverte su
 aree a vocazione edificabile.
    Nel  merito,  la  Provincia  ritiene che la questione sia comunque
 infondata, poiche' la determinazione  dell'indennita'  di  esproprio,
 lungi  dall'essere  astratta,  si baserebbe proprio sul valore venale
 del bene, come sarebbe richiesto dalla giurisprudenza  costituzionale
 sull'art.  42,  comma  terzo, della Costituzione. Parimenti infondate
 sarebbero, poi, le altre  questioni,  poiche'  i  parametri  invocati
 riguarderebbero  soltanto i procedimenti giurisdizionali di carattere
 decisorio, nonche'  quelli  istruttori  e  preistruttori  connessi  e
 preordinati all'attivita' giurisdizionale, mentre gli atti contestati
 (le  c.d.  tabelle)  non  potrebbero  essere  considerati  come  atti
 amministrativi  istruttori  preordinati  ad  un  processo. Tali atti,
 anzi, essendo collegati a successivi atti  amministrativi,  sarebbero
 sottoponibili  al sindacato giurisdizionale e sindacabili dal giudice
 ordinario, il quale potrebbe stabilire pur sempre un  valore  diverso
 da quello indicato dall'autorita' amministrativa.
    3.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio anche il Comune di Trento,
 chiedendo semplicemente, che le questioni sollevate siano  dichiarate
 inammissibili o infondate.
    In  prossimita'  dell'udienza  il  Comune  ha  integrato  i propri
 scritti difensivi con un'ulteriore memoria con la  quale,  ricordando
 che  lo  stesso giudice a quo riconosce la correttezza del meccanismo
 di determinazione dell'indennizzo nel suo complesso, afferma che cio'
 basterebbe  a ritenere che l'art. 42, terzo comma, della Costituzione
 non sia violato. Del resto, aggiunge  il  Comune,  il  fatto  che  le
 valutazioni  tabellari  rappresentano  limiti esterni al procedimento
 per  la  determinazione  dell'indennizzo  e,   pertanto,   non   sono
 sottoponibili  al controllo giudiziale, ha un'analogia con il sistema
 di determinazione dell'indennita' di esproprio previsto  dalla  legge
 n.  2892 del 1885 (art. 13) per il risanamento della citta' di Napoli
 piu' volte giudicato non incostituzionale da questa  Corte.  Infatti,
 tale  legge,  oltre a prevedere un sistema strutturalmente simile, in
 quanto basato sul calcolo della media tra il valore venale e i valori
 coacervati   dei   canoni   dell'ultimo   decennio  o,  in  mancanza,
 l'imponibile  netto  agli  effetti  dell'imposta  sui  terreni  e   i
 fabbricati e oltre a prefigurare un indennizzo di poco superiore alla
 meta' del valore venale del  bene  (cioe'  un  indennizzo  nettamente
 inferiore  a  quello  previsto  dalle  disposizioni  impugnate), alla
 stregua di una secolare  giurisprudenza,  considera  irrilevanti  gli
 incrementi  di  valore  successivi  all'esproprio e, soprattutto, ove
 manchi  l'accertamento,  prevede  che  la   valutazione   sia   fatta
 insindacabilmente dall'ufficio finanziario.
   4.  -  In  prossimita' dell'udienza anche la Provincia di Trento ha
 presentato un'ulteriore memoria, con la quale,  oltre  a  ribadire  i
 precedenti     argomenti    a    favore    dell'inammissibilita'    e
 dell'infondatezza della questione, sostiene  che  il  giudice  a  quo
 avrebbe    equivocato    il    significato    della    giurisprudenza
 costituzionale, la quale non ha mai affermato che ogni  elemento  del
 sistema  di  determinazione dell'indennizzo debba riferirsi al valore
 reale  del  bene  espropriato  e  che  il   "serio   ristoro"   debba
 corrispondere  all'integrale valore effettivo del bene. Al contrario,
 in un precedente caso (v. sent. n. 231 del  1984)  la  Corte  avrebbe
 precisato  che  il  riferimento  a valori agricoli tabellari potrebbe
 essere compatibile con la Costituzione, purche' sia inquadrato in  un
 sistema  razionale  di determinazione dell'indennizzo che tenga conto
 del valore effettivo dell'immobile. Mentre, sempre questa Corte,  con
 riguardo  ad  altro  caso  (v.  sent. n. 530 del 1988), ha dichiarato
 incostituzionale una legge che prevedeva un sistema di determinazione
 dell'indennizzo di tipo esclusivamente tabellare, e che, a differenza
 di  quello  oggetto  della  presente  questione,  mancava   di   ogni
 riferimento al valore reale del bene.
    La difesa della Provincia fa poi notare che anche il meccanismo di
 determinazione dei parametri  tabellari  garantisce  una  sostanziale
 corrispondenza  tra  i  valori fissati e il valore effettivo, poiche'
 cio' sarebbe garantito non solo dalla composizione della  commissione
 provinciale  ad hoc, dalle modalita' di determinazione dei valori per
 ciascuna coltura e in relazione alle zone  agrarie,  ma  anche  dalla
 stessa determinazione del valore agricolo con riferimento all'area da
 espropriare e dalla possibilita', consentita in talune ipotesi (artt.
 24 e 29), di aumentare il valore medesimo.
    In  ogni  caso, la Provincia, per mero scrupolo difensivo, osserva
 che, ove la decisione fosse di accoglimento, e'  auspicabile  che  la
 Corte  precisi  quali siano le esatte conseguenze operative della sua
 pronunzia e, in particolare, se le tabelle debbano essere vincolanti,
 o  meno,  per  l'ufficio provinciale per le espropriazioni o solo per
 l'autorita' giurisdizionale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  di  cassazione  ha  sollevato  due  questioni di
 legittimita' costituzionale vertenti su un unico  combinato  disposto
 costituito  dai commi primo, secondo e sesto dell'art. 28 della legge
 della Provincia di Trento 2 maggio 1983,  n.  14  (recte:  sui  commi
 primo,  secondo  e  sesto dell'art. 28 della legge della Provincia di
 Trento  20  dicembre  1972,  n.  31,  come  modificato  dalla   legge
 provinciale  2  maggio  1983, n. 14), che, nel dettare un particolare
 meccanismo di determinazione dell'indennita' di espropriazione  delle
 aree  a  specifica  vocazione edificatoria, violerebbe: a) l'art. 42,
 secondo  e  terzo  comma,   della   Costituzione,   in   quanto   non
 garantirebbe,  sempre  e  comunque,  al  proprietario  espropriato un
 "serio ristoro" del sacrificio imposto per utilita' generale; b)  gli
 artt.  24,  113  e  101  della  Costituzione,  in quanto lederebbe le
 garanzie poste da tali articoli a tutela dei diritti  soggettivi  dei
 singoli  e al fine di assicurare un corretto esercizio della funzione
 giurisdizionale in relazione alla possibilita' di ottenere un  giusto
 indennizzo.
    2.   -  Prima  di  giudicare  le  questioni  di  costituzionalita'
 sollevate  dal  giudice  a  quo,   occorre   esaminare   un'eccezione
 d'inammissibilita'  presentata  dalla Provincia di Trento, secondo la
 quale le questioni relative al primo e al sesto  comma  dell'art.  28
 sarebbero irrilevanti nella parte in cui si riferiscono ai criteri di
 determinazione dell'indennita' in relazione  alle  espropriazioni  di
 aree non edificabili.
    L'eccezione va respinta.
    Dall'esame  dell'ordinanza  di rimessione risulta sufficientemente
 chiaro che il giudice a quo ha posto questioni  di  costituzionalita'
 con   esclusivo   riferimento  alle  norme  della  legge  provinciale
 concernenti  il  meccanismo  di  determinazione  dell'indennita'   in
 relazione all'espropriazione delle sole aree edificabili.
    Questo  meccanismo  e'  precisamente determinato dal secondo comma
 dell'art. 28, il quale testualmente stabilisce che,  per  le  aree  a
 vocazione urbanistica, l'indennita' di espropriazione "e' commisurata
 alla media aritmetica tra il valore venale ed il valore che, entro le
 valutazioni   fornite  dalla  commissione  di  cui  al  sesto  comma,
 dev'essere attribuito all'area  quale  terreno  agricolo  considerato
 libero da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura in
 atto al momento della redazione  della  stima  o,  se  anteriore,  al
 momento dell'occupazione d'urgenza". Poiche', come s'e' appena visto,
 nel calcolo della determinazione  dell'indennita'  di  esproprio  per
 aree  edificabili  rientra  anche il valore agricolo del bene, il cui
 meccanismo di determinazione e' fissato nel primo comma dell'art. 28,
 e   poiche'  proprio  alla  presenza  di  tale  fattore  nel  calcolo
 dell'indennizzo  il  giudice  a  quo  collega  i  propri   dubbi   di
 costituzionalita', il coinvolgimento del primo comma dell'art. 28 fra
 le disposizioni sospettate  d'illegittimita'  deriva  soltanto  nella
 misura  in  cui  tale  comma  entra nel combinato disposto che regola
 l'indennizzo in relazione alle espropriazioni  di  aree  a  vocazione
 urbanistica.
    Analogo  ragionamento  deve  farsi  a  proposito  del  sesto comma
 dell'art. 28, il quale e' fatto oggetto  di  impugnazione  in  quanto
 entra,  a  sua  volta,  nel  combinato  disposto  che  disciplina  la
 determinazione dell'indennita' nel caso  di  espropriazione  di  aree
 edificabili.
    In definitiva, l'indicazione del primo e del sesto comma dell'art.
 28 a fianco del secondo  comma  dello  stesso  articolo  tanto  nella
 motivazione  che  nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione, lungi
 dal  significare  che  il  giudice  a  quo  intenda   arbitrariamente
 estendere  la questione di costituzionalita' a norme che non regolano
 il  caso  sottoposto  al  suo  giudizio,  e'  resa   necessaria   dal
 particolare meccanismo di determinazione dell'indennita' di esproprio
 stabilito dal legislatore provinciale per  le  aree  edificabili,  il
 quale  si  compone  di piu' fattori, uno dei quali e' dato dal valore
 agricolo del bene, come determinato a norma dei commi primo  e  sesto
 dell'art. 28.
    3. - Secondo il giudice a quo, nello stabilire che l'indennita' di
 esproprio  per  le  aree  edificabili  "e'  commisurata  alla   media
 aritmetica tra il valore venale e il valore che, entro le valutazioni
 fornite  dalla  commissione  di  cui  al  sesto   comma,   dev'essere
 attribuito  all'area  quale  terreno  agricolo", l'art. 28, nei commi
 considerati, si porrebbe in contrasto con l'art. 42, secondo e  terzo
 comma,  della  Costituzione,  tutte  le  volte che i valori tabellari
 minimi e/o massimi, individuati dalla predetta commissione e ritenuti
 vincolanti  sia  in  sede  amministrativa  che in quella giudiziaria,
 risultino diversi  o,  comunque,  non  aderenti  rispetto  al  valore
 effettivo  del  suolo  da  espropriare.  Il giudice a quo precisa che
 oggetto  di  contestazione  non  e'  il  meccanismo  di  liquidazione
 previsto  dalle  disposizioni impugnate, ma e', piuttosto, il modo in
 cui,  per  volonta'  del  legislatore  provinciale,  va   determinato
 l'elemento  di  calcolo relativo al valore agricolo: questo, infatti,
 non essendo fissato secondo l'effettivo  apprezzamento  del  bene  da
 espropriare,  ma  sulla  base dei valori tabellari, minimi e massimi,
 determinati annualmente dalla commissione, potrebbe dar  luogo  a  un
 indennizzo  ingiustificatamente  limitato  o, all'inverso, eccessivo,
 ogni volta che i valori tabellari si discostino dal  valore  agricolo
 effettivo del bene da espropriare.
    La questione non e' fondata.
    Come  affermato  in numerose decisioni (v. spec. sentt. nn. 15 del
 1976, 231 del 1984, nonche' 5 e 13 del 1980, 223 del 1983, 530 e 1022
 del  1988), occorre ancora una volta ribadire che il "serio ristoro",
 garantito ai privati espropriati dall'art.  42,  comma  terzo,  della
 Costituzione,  non  deve corrispondere all'integrale valore effettivo
 del  bene,  essendo  sufficiente,  ai  fini  del  rispetto  di  detto
 principio,   che  il  valore  venale  sia  assunto  come  termine  di
 riferimento  o  valore  massimo,  che  il  legislatore,   nella   sua
 discrezionalita' di valutazione, puo' contemperare con altri criteri,
 sempreche' i correttivi utilizzati non  producano  l'effetto  di  far
 scadere  l'ammontare  dell'indennizzo al di sotto dell'indispensabile
 livello di congruita'.
    Le  disposizioni  della  legge provinciale oggetto di impugnazione
 prevedono   che,   per   le   aree   edificabili,   l'indennita'   di
 espropriazione deve esser determinata facendo la media aritmetica tra
 il valore di scambio del bene da  espropriare  e  il  valore  che  va
 attribuito  all'area  quale  terreno agricolo, all'interno dei limiti
 minimi e massimi fissati annualmente per le varie zone agrarie  dalla
 commissione  prevista  dal sesto comma dell'art. 28. Contrariamente a
 quanto supposto dal giudice a quo, il  fatto  che  il  correttivo  al
 valore  venale non sia necessariamente costituito dal valore agricolo
 effettivo del terreno da espropriare,  ma  sia  rappresentato  da  un
 valore individuabile tra quelli minimi e massimi fissati ogni anno da
 una apposita commissione, non comporta, di per se', la violazione del
 principio  cui  il  legislatore,  secondo la giurisprudenza di questa
 Corte, deve attenersi  nel  determinare  l'indennita'  di  esproprio:
 quello  di  assumere  il  valore  effettivo  del  bene  come  base di
 riferimento  dell'indennizzo,  onde  evitare  una  valutazione  dello
 stesso  del tutto astratta (sentt. nn. 5 e 13 del 1980, 223 del 1983,
 231 del 1984).
    Questo  principio,  infatti, non suppone affatto che il sistema di
 determinazione dell'indennizzo stabilito dal legislatore debba essere
 riferito  al  valore  venale del bene in ogni elemento che compone il
 sistema stesso, essendo pienamente legittimo,  come  ha  riconosciuto
 questa  Corte  in un precedente giudizio (sent. n. 231 del 1984), che
 un criterio di valutazione tabellare, ancorato  al  valore  agricolo,
 possa essere inserito come correttivo all'interno di un meccanismo di
 determinazione  dell'indennizzo   che,   nel   suo   insieme,   tenga
 adeguatamente   conto   del   valore   effettivo   dell'immobile   da
 espropriare. E non si puo' negare che a questo principio risponda  il
 particolare  sistema  di  correzione del valore venale previsto dalle
 disposizioni impugnate: il modo di composizione della commissione  di
 cui al sesto comma dell'art. 28 (per il quale prevalgono nella stessa
 membri di estrazione  tecnica),  la  cadenza  annuale  con  cui  sono
 determinati  i  valori-limite, l'ancoraggio di tale determinazione al
 tipo di coltura e alle caratteristiche reali della zona  considerata,
 l'automatico   aggiornamento   dei  valori  nel  corso  dell'anno  in
 proporzione agli aumenti del costo della vita  verificatisi  fino  al
 giorno  della  stima e, infine, la necessita', in sede di indennizzo,
 di definire il valore agricolo (da  mediare  con  quello  venale)  in
 relazione   alla   concreta   area   da   espropriare,  costituiscono
 sufficienti garanzie perche' possa ragionevolmente ritenersi  che  il
 correttivo  previsto,  ancorche'  limitato  dai  minimi e dai massimi
 tabellari, non sia tale da pregiudicare la congruita' del complessivo
 sistema di indennizzo previsto in riferimento al valore effettivo del
 bene.
    Del   resto,   che   il   sistema   complessivo   di  liquidazione
 dell'indennizzo stabilito dalle disposizioni impugnate  sia  "diretto
 ad assicurare all'espropriato un valore, sia pure non pieno, concreto
 e  specificamente  riferito  al   bene   ablato"   e'   espressamente
 riconosciuto  dallo  stesso giudice a quo, cosi' come non puo' essere
 negato da questa Corte, che, in piu' di  un'occasione,  ha  giudicato
 non  contrastanti  con  l'art.  42,  comma  terzo, della Costituzione
 correttivi al valore venale non direttamente  collegati  allo  stesso
 (v., in particolare, sent. n. 15 del 1976 e ord. n. 607 del 1987).
    4.   -   Non   fondata  e',  altresi',  la  seconda  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  la  quale,  essendo  stata  posta  dal
 giudice  a  quo come logicamente dipendente da quella precedentemente
 esaminata, va risolta in modo del tutto consequenziale rispetto  alla
 prima.
    Il giudice a quo, sulla premessa che anche il correttivo al valore
 venale previsto dalle norme  impugnate  dovesse  essere  riferito  al
 valore   effettivo   dell'area   da   espropriare,   ritiene  che  la
 disposizione secondo la quale tale correttivo vada determinato  entro
 limiti minimi e massimi tabellari che non possono essere oltrepassati
 in sede di opposizione giudiziale alla stima (oltreche'  in  sede  di
 determinazione  dell'indennizzo)  lederebbe, nel caso che tali limiti
 si rivelassero troppo bassi o troppo elevati, tanto  il  diritto  del
 privato  ad  agire  in  giudizio  per la tutela della propria pretesa
 giuridica a un equo indennizzo (e, pertanto, violerebbe gli artt.  24
 e  113 della Costituzione), quanto il potere del giudice di accertare
 liberamente l'operato dell'amministrazione (art. 101, secondo  comma,
 della Costituzione).
    Pur  a  voler  trascurare  il rilievo, altre volte sottolineato da
 questa Corte (sent. n. 84 del 1983), che l'insindacabilita' da  parte
 del  giudice dei valori tabellari considerati non dipende tanto dalle
 disposizioni    relative    alle    modalita'    di    determinazione
 dell'indennizzo,  quanto,  piuttosto,  dalle  norme  sui  poteri  del
 giudice nei confronti di atti amministrativi adottati  nell'esercizio
 di  una  discrezionalita' tecnica, non vi puo' esser dubbio che dalle
 disposizioni impugnate non deriva alcuna illegittima limitazione  sia
 al  potere del giudice di accertare fatti e circostanze rilevanti per
 la determinazione dell'indennizzo, sia  al  diritto  del  privato  di
 vedersi  riconosciuta  in  giudizio  la  liquidazione  di  un  "serio
 ristoro". Infatti, una volta che si e'  escluso  che  il  correttivo,
 come  tale,  debba riferirsi al valore (agricolo) effettivo dell'area
 da espropriare e che esso, nella particolare  disciplina  predisposta
 dalle  norme  impugnate,  sia  in grado di pregiudicare la congruita'
 dell'indennizzo nel suo complesso, non si  vede  in  che  modo  possa
 prodursi, per effetto delle disposizioni considerate, una lesione del
 diritto di difesa del privato o di quello  di  agire  in  giudizio  a
 tutela di propri diritti e, tantomeno, una menomazione della funzione
 giurisdizionale.
    Sotto   tale  profilo,  appare  evidente  la  profonda  differenza
 esistente tra il caso deciso nel presente giudizio e quello  definito
 con   la  precedente  sentenza  n.  530  del  1988.  In  quest'ultima
 occasione, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima,  in
 riferimento  agli artt. 24 e 42, comma terzo, della Costituzione, una
 legge della  Provincia  di  Bolzano,  che  prevedeva  un  sistema  di
 determinazione dell'indennizzo il quale si risolveva integralmente in
 una definizione tabellare del  valore  agricolo.  Nell'assumere  tale
 decisione  la  Corte, rilevando che la determinazione dell'indennizzo
 secondo  la  tecnica  tabellare  potrebbe  dar  luogo  a  valori  non
 riferibili  al  valore  effettivo  del  bene  e, nonostante cio', non
 modificabili dal giudice  in  sede  di  opposizione  giudiziale  alla
 stima,   concludeva  per  l'incostituzionalita'  del  sistema  allora
 giudicato, in quanto non garantiva  che  l'indennizzo  corrispondesse
 comunque  al  "serio  ristoro" dovuto all'espropriato, rendendo anche
 impossibile la riparazione in sede giudiziale dell'eventuale  lesione
 del diritto. Orbene, nel caso sottoposto al presente giudizio l'una e
 l'altra delle evenienze ora ricordate sono del tutto escluse, proprio
 perche'  il  sistema di determinazione dell'indennizzo non si risolve
 nella  definizione  tabellare  dei  valori,  ma  assume  quest'ultima
 semplicemente  come  presupposto  per un ragionevole correttivo di un
 sistema di  liquidazione  dell'indennizzo  che,  nel  suo  complesso,
 riconosce come base di riferimento il valore venale del bene.