ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 28, primo, secondo e sesto comma della legge della Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: della legge 20 dicembre 1972, n. 31, come modificata dalla legge 2 maggio 1983, n. 14, intitolata "Modificazioni ed integrazioni della normativa in materia di espropriazione"), promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1987 dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile vertente tra il Comune di Trento e Marchel Diego ed altra, iscritta al n. 766 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1987; Visti gli atti di costituzione della Provincia Autonoma di Trento e del Comune di Trento; Udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; Udito l'Avv. Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Trento; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra il Comune di Trento, Diego Marchel e la Provincia di Trento, la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 20 febbraio 1987, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, primo, secondo e sesto comma, della legge provinciale di Trento 2 maggio 1983, n. 14, ("Modificazioni ed integrazioni alla normativa in materia di espropriazioni"), in quanto prevede modalita' di determinazione dell'indennita' di esproprio per le aree fabbricabili ritenute in contrasto con gli artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 113, primo e secondo comma, 42, secondo e terzo comma, della Costituzione. Nel precisare che ritiene corretto, nel suo complesso, il meccanismo di determinazione dell'indennizzo previsto dalle disposizioni impugnate - in quanto legittimo esercizio della discrezionalita' del legislatore nell'individuare forme di "serio ristoro" non necessariamente coincidenti con il valore di mercato del bene espropriato -, il giudice a quo esprime i propri dubbi sulla costituzionalita' di uno dei coefficienti di determinazione del predetto indennizzo: quello usato come correttivo del valore venale del bene, il quale e' individuato sulla base di tabelle, fissate annualmente dalla commissione prevista dall'art. 28, sesto comma, che determina i valori agricoli, minimi e massimi, delle varie zone agrarie. Piu' precisamente, le disposizioni impugnate prevedono che l'indennizzo per l'esproprio di aree destinate dagli strumenti urbanistici ad insediamenti produttivi di beni o di servizi, di insediamenti residenziali, nonche' a servizi d'interesse pubblico o a verde privato, sia commisurato alla media tra il valore venale del bene e il valore che, entro i parametri tabellari minimi e massimi fissati annualmente da una speciale commissione, deve essere attribuito all'area quale terreno agricolo. Secondo il giudice a quo, proprio quest'ultimo coefficiente tabellare, potendo risultare troppo basso o anche troppo elevato rispetto al reale valore del bene, si porrebbe in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, il quale, secondo la giurisprudenza costituzionale, esige che il valore del bene sia determinato, ai fini dell'indennizzo, in relazione al valore reale dello stesso. Di modo che ne conseguirebbe, nel caso in cui l'indennizzo fosse troppo basso, una lesione del diritto dell'espropriato e, nel caso opposto, una lesione del diritto dell'espropriante. Sempre secondo il giudice a quo, per la parte che si riferisce ai valori tabellari, la determinazione dell'indennizzo prevista dalle disposizioni impugnate contrasterebbe, per un verso, con gli artt. 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione e, per un altro, con l'art. 101, secondo comma della stessa Carta costituzionale. Infatti, poiche' la fissazione dei valori tabellari operata dalla speciale commissione amministrativa e' sottratta al controllo giudiziario sulla determinazione dell'indennizzo, avverrebbe che, quando il valore reale di quest'ultimo oltrepassasse i limiti tabellari, il privato, per un verso, risulterebbe leso nel suo diritto ad ottenere dal giudice un equo indennizzo, e il giudice stesso, per altro verso, vedrebbe ingiustificatamente limitata la propria potesta' giurisdizionale, vo'lta al libero accertamento del valore da attribuire al bene espropriato, di fronte a un accertamento automatico del valore agricolo, che si risolverebbe in una precostituzione di prove al di fuori dell'ambiente processuale. 2. - E' intervenuta in giudizio la Provincia di Trento, la quale eccepisce, innanzitutto, l'irrilevanza della questione proposta, per la parte in cui riguarda le disposizioni relative alla determinazione dell'indennizzo per l'esproprio di aree agricole, dato che lo stesso giudice a quo riconosce che, nel caso di specie, si controverte su aree a vocazione edificabile. Nel merito, la Provincia ritiene che la questione sia comunque infondata, poiche' la determinazione dell'indennita' di esproprio, lungi dall'essere astratta, si baserebbe proprio sul valore venale del bene, come sarebbe richiesto dalla giurisprudenza costituzionale sull'art. 42, comma terzo, della Costituzione. Parimenti infondate sarebbero, poi, le altre questioni, poiche' i parametri invocati riguarderebbero soltanto i procedimenti giurisdizionali di carattere decisorio, nonche' quelli istruttori e preistruttori connessi e preordinati all'attivita' giurisdizionale, mentre gli atti contestati (le c.d. tabelle) non potrebbero essere considerati come atti amministrativi istruttori preordinati ad un processo. Tali atti, anzi, essendo collegati a successivi atti amministrativi, sarebbero sottoponibili al sindacato giurisdizionale e sindacabili dal giudice ordinario, il quale potrebbe stabilire pur sempre un valore diverso da quello indicato dall'autorita' amministrativa. 3. - Si e' costituito in giudizio anche il Comune di Trento, chiedendo semplicemente, che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate. In prossimita' dell'udienza il Comune ha integrato i propri scritti difensivi con un'ulteriore memoria con la quale, ricordando che lo stesso giudice a quo riconosce la correttezza del meccanismo di determinazione dell'indennizzo nel suo complesso, afferma che cio' basterebbe a ritenere che l'art. 42, terzo comma, della Costituzione non sia violato. Del resto, aggiunge il Comune, il fatto che le valutazioni tabellari rappresentano limiti esterni al procedimento per la determinazione dell'indennizzo e, pertanto, non sono sottoponibili al controllo giudiziale, ha un'analogia con il sistema di determinazione dell'indennita' di esproprio previsto dalla legge n. 2892 del 1885 (art. 13) per il risanamento della citta' di Napoli piu' volte giudicato non incostituzionale da questa Corte. Infatti, tale legge, oltre a prevedere un sistema strutturalmente simile, in quanto basato sul calcolo della media tra il valore venale e i valori coacervati dei canoni dell'ultimo decennio o, in mancanza, l'imponibile netto agli effetti dell'imposta sui terreni e i fabbricati e oltre a prefigurare un indennizzo di poco superiore alla meta' del valore venale del bene (cioe' un indennizzo nettamente inferiore a quello previsto dalle disposizioni impugnate), alla stregua di una secolare giurisprudenza, considera irrilevanti gli incrementi di valore successivi all'esproprio e, soprattutto, ove manchi l'accertamento, prevede che la valutazione sia fatta insindacabilmente dall'ufficio finanziario. 4. - In prossimita' dell'udienza anche la Provincia di Trento ha presentato un'ulteriore memoria, con la quale, oltre a ribadire i precedenti argomenti a favore dell'inammissibilita' e dell'infondatezza della questione, sostiene che il giudice a quo avrebbe equivocato il significato della giurisprudenza costituzionale, la quale non ha mai affermato che ogni elemento del sistema di determinazione dell'indennizzo debba riferirsi al valore reale del bene espropriato e che il "serio ristoro" debba corrispondere all'integrale valore effettivo del bene. Al contrario, in un precedente caso (v. sent. n. 231 del 1984) la Corte avrebbe precisato che il riferimento a valori agricoli tabellari potrebbe essere compatibile con la Costituzione, purche' sia inquadrato in un sistema razionale di determinazione dell'indennizzo che tenga conto del valore effettivo dell'immobile. Mentre, sempre questa Corte, con riguardo ad altro caso (v. sent. n. 530 del 1988), ha dichiarato incostituzionale una legge che prevedeva un sistema di determinazione dell'indennizzo di tipo esclusivamente tabellare, e che, a differenza di quello oggetto della presente questione, mancava di ogni riferimento al valore reale del bene. La difesa della Provincia fa poi notare che anche il meccanismo di determinazione dei parametri tabellari garantisce una sostanziale corrispondenza tra i valori fissati e il valore effettivo, poiche' cio' sarebbe garantito non solo dalla composizione della commissione provinciale ad hoc, dalle modalita' di determinazione dei valori per ciascuna coltura e in relazione alle zone agrarie, ma anche dalla stessa determinazione del valore agricolo con riferimento all'area da espropriare e dalla possibilita', consentita in talune ipotesi (artt. 24 e 29), di aumentare il valore medesimo. In ogni caso, la Provincia, per mero scrupolo difensivo, osserva che, ove la decisione fosse di accoglimento, e' auspicabile che la Corte precisi quali siano le esatte conseguenze operative della sua pronunzia e, in particolare, se le tabelle debbano essere vincolanti, o meno, per l'ufficio provinciale per le espropriazioni o solo per l'autorita' giurisdizionale. Considerato in diritto 1. - La Corte di cassazione ha sollevato due questioni di legittimita' costituzionale vertenti su un unico combinato disposto costituito dai commi primo, secondo e sesto dell'art. 28 della legge della Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: sui commi primo, secondo e sesto dell'art. 28 della legge della Provincia di Trento 20 dicembre 1972, n. 31, come modificato dalla legge provinciale 2 maggio 1983, n. 14), che, nel dettare un particolare meccanismo di determinazione dell'indennita' di espropriazione delle aree a specifica vocazione edificatoria, violerebbe: a) l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, in quanto non garantirebbe, sempre e comunque, al proprietario espropriato un "serio ristoro" del sacrificio imposto per utilita' generale; b) gli artt. 24, 113 e 101 della Costituzione, in quanto lederebbe le garanzie poste da tali articoli a tutela dei diritti soggettivi dei singoli e al fine di assicurare un corretto esercizio della funzione giurisdizionale in relazione alla possibilita' di ottenere un giusto indennizzo. 2. - Prima di giudicare le questioni di costituzionalita' sollevate dal giudice a quo, occorre esaminare un'eccezione d'inammissibilita' presentata dalla Provincia di Trento, secondo la quale le questioni relative al primo e al sesto comma dell'art. 28 sarebbero irrilevanti nella parte in cui si riferiscono ai criteri di determinazione dell'indennita' in relazione alle espropriazioni di aree non edificabili. L'eccezione va respinta. Dall'esame dell'ordinanza di rimessione risulta sufficientemente chiaro che il giudice a quo ha posto questioni di costituzionalita' con esclusivo riferimento alle norme della legge provinciale concernenti il meccanismo di determinazione dell'indennita' in relazione all'espropriazione delle sole aree edificabili. Questo meccanismo e' precisamente determinato dal secondo comma dell'art. 28, il quale testualmente stabilisce che, per le aree a vocazione urbanistica, l'indennita' di espropriazione "e' commisurata alla media aritmetica tra il valore venale ed il valore che, entro le valutazioni fornite dalla commissione di cui al sesto comma, dev'essere attribuito all'area quale terreno agricolo considerato libero da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura in atto al momento della redazione della stima o, se anteriore, al momento dell'occupazione d'urgenza". Poiche', come s'e' appena visto, nel calcolo della determinazione dell'indennita' di esproprio per aree edificabili rientra anche il valore agricolo del bene, il cui meccanismo di determinazione e' fissato nel primo comma dell'art. 28, e poiche' proprio alla presenza di tale fattore nel calcolo dell'indennizzo il giudice a quo collega i propri dubbi di costituzionalita', il coinvolgimento del primo comma dell'art. 28 fra le disposizioni sospettate d'illegittimita' deriva soltanto nella misura in cui tale comma entra nel combinato disposto che regola l'indennizzo in relazione alle espropriazioni di aree a vocazione urbanistica. Analogo ragionamento deve farsi a proposito del sesto comma dell'art. 28, il quale e' fatto oggetto di impugnazione in quanto entra, a sua volta, nel combinato disposto che disciplina la determinazione dell'indennita' nel caso di espropriazione di aree edificabili. In definitiva, l'indicazione del primo e del sesto comma dell'art. 28 a fianco del secondo comma dello stesso articolo tanto nella motivazione che nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione, lungi dal significare che il giudice a quo intenda arbitrariamente estendere la questione di costituzionalita' a norme che non regolano il caso sottoposto al suo giudizio, e' resa necessaria dal particolare meccanismo di determinazione dell'indennita' di esproprio stabilito dal legislatore provinciale per le aree edificabili, il quale si compone di piu' fattori, uno dei quali e' dato dal valore agricolo del bene, come determinato a norma dei commi primo e sesto dell'art. 28. 3. - Secondo il giudice a quo, nello stabilire che l'indennita' di esproprio per le aree edificabili "e' commisurata alla media aritmetica tra il valore venale e il valore che, entro le valutazioni fornite dalla commissione di cui al sesto comma, dev'essere attribuito all'area quale terreno agricolo", l'art. 28, nei commi considerati, si porrebbe in contrasto con l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, tutte le volte che i valori tabellari minimi e/o massimi, individuati dalla predetta commissione e ritenuti vincolanti sia in sede amministrativa che in quella giudiziaria, risultino diversi o, comunque, non aderenti rispetto al valore effettivo del suolo da espropriare. Il giudice a quo precisa che oggetto di contestazione non e' il meccanismo di liquidazione previsto dalle disposizioni impugnate, ma e', piuttosto, il modo in cui, per volonta' del legislatore provinciale, va determinato l'elemento di calcolo relativo al valore agricolo: questo, infatti, non essendo fissato secondo l'effettivo apprezzamento del bene da espropriare, ma sulla base dei valori tabellari, minimi e massimi, determinati annualmente dalla commissione, potrebbe dar luogo a un indennizzo ingiustificatamente limitato o, all'inverso, eccessivo, ogni volta che i valori tabellari si discostino dal valore agricolo effettivo del bene da espropriare. La questione non e' fondata. Come affermato in numerose decisioni (v. spec. sentt. nn. 15 del 1976, 231 del 1984, nonche' 5 e 13 del 1980, 223 del 1983, 530 e 1022 del 1988), occorre ancora una volta ribadire che il "serio ristoro", garantito ai privati espropriati dall'art. 42, comma terzo, della Costituzione, non deve corrispondere all'integrale valore effettivo del bene, essendo sufficiente, ai fini del rispetto di detto principio, che il valore venale sia assunto come termine di riferimento o valore massimo, che il legislatore, nella sua discrezionalita' di valutazione, puo' contemperare con altri criteri, sempreche' i correttivi utilizzati non producano l'effetto di far scadere l'ammontare dell'indennizzo al di sotto dell'indispensabile livello di congruita'. Le disposizioni della legge provinciale oggetto di impugnazione prevedono che, per le aree edificabili, l'indennita' di espropriazione deve esser determinata facendo la media aritmetica tra il valore di scambio del bene da espropriare e il valore che va attribuito all'area quale terreno agricolo, all'interno dei limiti minimi e massimi fissati annualmente per le varie zone agrarie dalla commissione prevista dal sesto comma dell'art. 28. Contrariamente a quanto supposto dal giudice a quo, il fatto che il correttivo al valore venale non sia necessariamente costituito dal valore agricolo effettivo del terreno da espropriare, ma sia rappresentato da un valore individuabile tra quelli minimi e massimi fissati ogni anno da una apposita commissione, non comporta, di per se', la violazione del principio cui il legislatore, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve attenersi nel determinare l'indennita' di esproprio: quello di assumere il valore effettivo del bene come base di riferimento dell'indennizzo, onde evitare una valutazione dello stesso del tutto astratta (sentt. nn. 5 e 13 del 1980, 223 del 1983, 231 del 1984). Questo principio, infatti, non suppone affatto che il sistema di determinazione dell'indennizzo stabilito dal legislatore debba essere riferito al valore venale del bene in ogni elemento che compone il sistema stesso, essendo pienamente legittimo, come ha riconosciuto questa Corte in un precedente giudizio (sent. n. 231 del 1984), che un criterio di valutazione tabellare, ancorato al valore agricolo, possa essere inserito come correttivo all'interno di un meccanismo di determinazione dell'indennizzo che, nel suo insieme, tenga adeguatamente conto del valore effettivo dell'immobile da espropriare. E non si puo' negare che a questo principio risponda il particolare sistema di correzione del valore venale previsto dalle disposizioni impugnate: il modo di composizione della commissione di cui al sesto comma dell'art. 28 (per il quale prevalgono nella stessa membri di estrazione tecnica), la cadenza annuale con cui sono determinati i valori-limite, l'ancoraggio di tale determinazione al tipo di coltura e alle caratteristiche reali della zona considerata, l'automatico aggiornamento dei valori nel corso dell'anno in proporzione agli aumenti del costo della vita verificatisi fino al giorno della stima e, infine, la necessita', in sede di indennizzo, di definire il valore agricolo (da mediare con quello venale) in relazione alla concreta area da espropriare, costituiscono sufficienti garanzie perche' possa ragionevolmente ritenersi che il correttivo previsto, ancorche' limitato dai minimi e dai massimi tabellari, non sia tale da pregiudicare la congruita' del complessivo sistema di indennizzo previsto in riferimento al valore effettivo del bene. Del resto, che il sistema complessivo di liquidazione dell'indennizzo stabilito dalle disposizioni impugnate sia "diretto ad assicurare all'espropriato un valore, sia pure non pieno, concreto e specificamente riferito al bene ablato" e' espressamente riconosciuto dallo stesso giudice a quo, cosi' come non puo' essere negato da questa Corte, che, in piu' di un'occasione, ha giudicato non contrastanti con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione correttivi al valore venale non direttamente collegati allo stesso (v., in particolare, sent. n. 15 del 1976 e ord. n. 607 del 1987). 4. - Non fondata e', altresi', la seconda questione di legittimita' costituzionale, la quale, essendo stata posta dal giudice a quo come logicamente dipendente da quella precedentemente esaminata, va risolta in modo del tutto consequenziale rispetto alla prima. Il giudice a quo, sulla premessa che anche il correttivo al valore venale previsto dalle norme impugnate dovesse essere riferito al valore effettivo dell'area da espropriare, ritiene che la disposizione secondo la quale tale correttivo vada determinato entro limiti minimi e massimi tabellari che non possono essere oltrepassati in sede di opposizione giudiziale alla stima (oltreche' in sede di determinazione dell'indennizzo) lederebbe, nel caso che tali limiti si rivelassero troppo bassi o troppo elevati, tanto il diritto del privato ad agire in giudizio per la tutela della propria pretesa giuridica a un equo indennizzo (e, pertanto, violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione), quanto il potere del giudice di accertare liberamente l'operato dell'amministrazione (art. 101, secondo comma, della Costituzione). Pur a voler trascurare il rilievo, altre volte sottolineato da questa Corte (sent. n. 84 del 1983), che l'insindacabilita' da parte del giudice dei valori tabellari considerati non dipende tanto dalle disposizioni relative alle modalita' di determinazione dell'indennizzo, quanto, piuttosto, dalle norme sui poteri del giudice nei confronti di atti amministrativi adottati nell'esercizio di una discrezionalita' tecnica, non vi puo' esser dubbio che dalle disposizioni impugnate non deriva alcuna illegittima limitazione sia al potere del giudice di accertare fatti e circostanze rilevanti per la determinazione dell'indennizzo, sia al diritto del privato di vedersi riconosciuta in giudizio la liquidazione di un "serio ristoro". Infatti, una volta che si e' escluso che il correttivo, come tale, debba riferirsi al valore (agricolo) effettivo dell'area da espropriare e che esso, nella particolare disciplina predisposta dalle norme impugnate, sia in grado di pregiudicare la congruita' dell'indennizzo nel suo complesso, non si vede in che modo possa prodursi, per effetto delle disposizioni considerate, una lesione del diritto di difesa del privato o di quello di agire in giudizio a tutela di propri diritti e, tantomeno, una menomazione della funzione giurisdizionale. Sotto tale profilo, appare evidente la profonda differenza esistente tra il caso deciso nel presente giudizio e quello definito con la precedente sentenza n. 530 del 1988. In quest'ultima occasione, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, in riferimento agli artt. 24 e 42, comma terzo, della Costituzione, una legge della Provincia di Bolzano, che prevedeva un sistema di determinazione dell'indennizzo il quale si risolveva integralmente in una definizione tabellare del valore agricolo. Nell'assumere tale decisione la Corte, rilevando che la determinazione dell'indennizzo secondo la tecnica tabellare potrebbe dar luogo a valori non riferibili al valore effettivo del bene e, nonostante cio', non modificabili dal giudice in sede di opposizione giudiziale alla stima, concludeva per l'incostituzionalita' del sistema allora giudicato, in quanto non garantiva che l'indennizzo corrispondesse comunque al "serio ristoro" dovuto all'espropriato, rendendo anche impossibile la riparazione in sede giudiziale dell'eventuale lesione del diritto. Orbene, nel caso sottoposto al presente giudizio l'una e l'altra delle evenienze ora ricordate sono del tutto escluse, proprio perche' il sistema di determinazione dell'indennizzo non si risolve nella definizione tabellare dei valori, ma assume quest'ultima semplicemente come presupposto per un ragionevole correttivo di un sistema di liquidazione dell'indennizzo che, nel suo complesso, riconosce come base di riferimento il valore venale del bene.