IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Con   sentenza   10  ottobre  1983  De  Crescenzo  Antonio,  venne
 condannato dal tribunale di Napoli alla pena di anni tre, mesi  dieci
 di  reclusione e L. 2.000.000 per i delitti di cui agli artt. 56, 110
 e 629 del codice  penale;  violazione  leggi  sulle  armi  e  lesione
 personali aggravate.
    Ammesso   dalla   corte   d'appello  di  Napoli  alla  liberazione
 condizionale, in  data  10  luglio  1986  fu  sottoposto  a  liberta'
 vigilata  per il periodo corrispondente all durata residua della pena
 ancora da espiare fissata al 25 settembre 1986.
    Il  12  settembre  1986 venne tratto in arresto e l'11 agosto 1987
 condannato, con sentenza definitiva della corte d'appello di  Napoli,
 alla  pena  di  anni  due  di reclusione per il delitto di spaccio di
 sostanze stupefacenti.
    Il  14  aprile  1988  il  De  Crescenzo  e' comparso avanti questo
 tribunale di sorveglianza per la  decisione  in  merito  alla  revoca
 della deliberazione condizionale ( ex art. 177 del codice penale) per
 aver commesso un delitto durante il tempo in  cui  era  ammesso  alla
 liberazione condizionale.
    Sui   fatti   storici,   cosi'   come   esposti,   non  sussistono
 contestazioni per cui in applicazione del  citato  articolo  177  del
 codice  penale  questo  tribunale  deve  emettere ordinanza di revoca
 della liberazione condizionale.
    Il   collegio   dubita   pero',   della   costituzionalita'  della
 disposizione contenuta nel citato articolo, che impone che la  revoca
 abbia  efficacia  retroattiva e cioe' venga fatta risalire al momento
 della liberazione condizionale senza  nessun  rilievo  per  il  tempo
 trascorso  dal condannato nello stato di libero vigilato, conseguente
 alla liberazione condizionale, del modo come tale  periodo  lo  abbia
 vissuto.
    Appaiono sussistere al collegio fondati motivi per ritenere la non
 legittimita' costituzionale dell'art. 177 del  c.p.,  in  riferimento
 agli artt. 3 e 13 della Costituzione, nella parte in cui esclude che,
 a  seguito  di  provvedimento  di  revoca,  il  tempo  trascorso   in
 liberazione condizionale possa venire computato come pena espiata.
    A  parere  di  questo  giudice  il  contenuto  centrale della pena
 detentiva  e'   costituito   dall'isolamento   del   condannato   dai
 consociati.
    Questo opera direttamente sul diritto alla libera circolazione sul
 territorio, come fatto di  elezione  di  dimora  e  come  conseguente
 divieto  di  electio  amici  ed  electio  societatis.  Tutte le altre
 rimozioni di liberta', alle quali il  condannato  e'  soggetto,  sono
 conseguenza  di  una  stretta  connessione  che  il divieto di libera
 amotio ha con le modalita' operative necessarie per  l'esercizio  dei
 relativi diritti.
    La  detenzione, percio' rinnova la liberta' in relazione a diritti
 che abbisognano di agibilita' operativa e nelle misure in cui  questi
 estrinsecano all'esterno mediante azioni.
    A questo contenuto afflittivo della pena la Costituzione (art. 27)
 ha affiancato una  finalita'  rieducativa  per  cui  l'espiazione  si
 risolve  in  una  concorrente  forma  di  rieducazione. Dal principio
 discende un obbligo  dell'amministrazione  statale  a  predisporre  i
 mezzi  idonei  a  realizzare e le forme atte a garantire le finalita'
 rieducative della pena ed un corrispettivo diritto del  condannato  a
 che,   vrificatesi   le  condizioni  poste  dalle  norme  di  diritto
 sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa  punitiva
 venga riesaminata al fine di accertare se la qualita' di pena espiata
 abbia  o  meno  assolto  positivamente  al  suo  fine  (sent.   Corte
 costituzionale 20 aprile 1974).
    Il  positivo  accertamento importa, come effetto, il riacquisto di
 quote di liberta' in un rapporto di diretta conseguenzialita' con  il
 grado di rieducazione raggiunta.
    Illuminante su tale punto e' il titolo della legge 26 luglio 1975,
 n. 354, che  suona  "Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
 esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'" in cui
 le pene, siano esse principali che alternative, pur sulla base di una
 comune  natura,  vengono  distinte  secondo il criterio di intensita'
 afflittiva. Per cui le principali (ergastolo, reclusione  e  arresto)
 risultano  privative  della liberta' (nei sensi sopra precisati) e le
 cosiddette misure alternative limitative della liberta' stessa. E non
 a  caso  la  terminologia e' ripresa dalla Corte costituzionale nella
 sentenza n. 343/1987, con la quale e' stata dichiarata costituzionale
 del  decimo  comma  dell'art.  47 della legge 26 luglio 1975, n. 354,
 nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione
 all'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  per  comportamento
 incompatibile con la presecuzione della pena non compete al tribunale
 di  sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare,
 tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal  condannato  e
 del  suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in
 prova.
    Non molto diversa nei suoi termini si pone la questione che qui si
 intende sollevare.
    La sentenza della Corte costituzionale n. 204/1974 e la successiva
 legge  12  febbraio  1975,  n.  36,  hanno   segnato   il   passaggio
 dell'istituto    della    liberazione    condizionale    dalla   fase
 dell'amministrazione a quello della giurisdizione.
    Per  effetto di detti interventi (vedi in particolare art. 55 ord.
 pen.)  la  liberazione  condizionale  e'  stata  spogliata  dei  suoi
 originari  connotati clemenziali e si e' realizzata la sua evoluzione
 di istituto di carattere premiale ad istituto connesso al trattamento
 penale  individualizzato  e  quindi,  la sua trasformazione in misura
 alternativa.
    La  sua  ricomprensione,  per ultimo, tra le materie di competenza
 del tribunale di sorveglianza (art. 70 della legge 10  ottobre  1986,
 n.  663) la fanno qualificare, come momento terminale del trattamento
 risocializzante progressivo.
    E  che  la liberazione condizionale sia una misura alternativa non
 mostra di dubitare il legislatore del nuovo progetto  del  codice  di
 procedura  penale  che nella relazione scrive: "L'art. 673 demanda al
 tribunale di  sorveglianza  la  competenza  in  tema  di  liberazione
 condizionale,  coerentemente  a  quanto  gia' disposto dalla legge 10
 ottobre 1986, n. 663...
    Il    tribunale   di   sorveglianza,   invero,   si   caratterizza
 precipuamente  per  la  competenza  all'applicazione   delle   misure
 alternative  che  costituiscono il punto di emergenza del trattamento
 rieducativo, in quanto  realizzante  quel  reinserimento  sociale  al
 quale tale trattamento essenzialmente punta..........
    L'ogico,    quindi,   che   dovesse   essere   il   tribunale   di
 sorveglianza...... a decidere anche sulla 'misura  aternativa',  base
 della liberazione condizionale".
    La  liberta' vigilata conseguente alla liberazione condizionale si
 sostanzia, d'altro canto, in una  misura  limitativa  della  liberta'
 alla quale il soggetto accede dalla piu' restrittiva misura privativa
 in conseguenza  della  sua  opera  di  partecipazione  dell'opera  di
 rieducazione, riacquistando cosi' quote di liberta', non la liberta'.
    Essa  consiste  in  una limitazione della liberta' che importa, di
 regola, l'obbligo di darsi a uno stabile lavoro, di non ritirarsi  la
 sera dopo una certa ora e di non uscire la mattina prima di un'altra;
 di non accompagnarsi a pregiudicati o  ad  altre  persone  di  dubbia
 fama,  di  non trattenersi in osterie e spacci di bevande alcooliche;
 di non partecipare senza permesso a spettacoli  pubblici,  cerimonie;
 di non portare indosso strumenti atti ad offendere.
    Norma  essenzialmente  limitatrice della liberta', nei sensi sopra
 esposti, che prescinde anche dal potere discrezionale del  magistrato
 chiamato  a dettare le prescrizioni, e' quella prevista dall'art. 652
 del codice di procedura penale che fa obbligo al libero vigilato:  di
 non  trasferire  la  propria  residenza o dimora in comune diverso da
 quello  che  gli  e'  stato  assegnato  senza  l'autorizzazione   del
 magistrato  di  sorveglianza;  di non abbandonare l'abitazione scelta
 senza l'autorizzazione  dell'autorita'  di  pubblica  sicurezza  alla
 quale e' stata affidata la sorveglianza su di lui.
    Ne' deve trarre in inganno la circostanza che la liberta' vigilata
 e' nominalmente una tipica misura di sicurezza in  quanto  che  nella
 fattispecie  in  esame, le viene assegnata una funzione di pena tanto
 che e' incontestabilmente esclusa la possibilita' di  applicare  alla
 stessa  l'istituto  della revoca anticipata (vedi, tra le atre, Casse
 sezione 1a penale 1› marzo 1977)  che  e'  proprio  della  misura  di
 sicurezza.
    Orbene,  se la liberazione condizionale e' una misura alternativa,
 se la liberta' vigilata conseguente, si sostanzia in  una  afflizione
 che  comporta  limitazione  della  liberta' personale che sono quelle
 proprie  della  pena   detentiva,   si   comprendono   i   dubbi   di
 costituzionalita' che si rappresentano.
    La  disposizione  dell'art.  177  del  codice penale che impone la
 decorrenza del provvedimento di  revoca  al  momento  dell'ammissione
 alla   liberazione  condizionale  non  consentendo  al  tribunale  di
 sorveglianza nessuna valutazione in ordine  al  comportamento  tenuto
 dal  condannato  durante  il periodo trascorso nel regime prima della
 commissione del delitto e nessuna rilevanza attribuendo al momento in
 cui si e' verificato il fatto che provoca la revoca, si traduce:
      in  una  ingiustificata  afflizione  di  un supplemento di pena,
 relativamente al periodo trascorso dal liberato  condizionalmente  in
 regime  limitativo  di  liberta'  in  osservanza  delle  prescrizioni
 impostegli;
      in  una  diversita'  di  trattamento  tra  i  cittadini,  per la
 ininfluenza che sulla decorrenza della revoca  ha  il  momento  della
 commissione  del  delitto  o  della  inosservanza  delle prescrizioni
 decorrendo la revoca sempre e comunque dalla data di ammissione  alla
 liberazione  condizionale  sia che la violazione si sia verificata in
 prossimita' del momento iniziale che del momento finale  del  periodo
 da trascorrere in liberta' vigilata.
    E'   tutto  cio''  contrasta  in  modo  evidente  con  i  principi
 costituzionali di cui agli artt.  13  e  3,  che  impongono:  che  la
 sanzione  aggiuntiva  sia  commisurata  al  grado  di disvalore della
 condotta tenuta nel corso della esecuzione della misura  alternativa;
 che  la  previsione  normativa deve consentire il pari trattamento di
 condotte analoghe e la differenziazione di quelle diverse.
    Per  tali  motivi,  che non sono differenti da quelli posti a base
 della gia' richiamata decisione della Corte costituzionale  (sentenza
 15  ottobre  1987,  n.  343), il tribunale di sorveglianza di Napoli,
 riconosciuta la non manifesta infondatezza e  la  rilevanza  ai  fini
 della  decisione  che  e'  chiamato  ad  emettere,  della  suindicata
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  176  del  codice
 penale,  nella  parte  in  cui,  in  caso di revoca della liberazione
 condizionale per la  commissione  di  un  delitto,  non  consente  al
 tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da
 espiare, tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato  e  del
 suo comportamento durante il periodo trascorso in tale regime;