ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale della legge regionale
 riapprovata il 27 luglio  1988  dal  Consiglio  regionale  del  Lazio
 avente per oggetto: "Modifica ed integrazione alla legge regionale 29
 maggio 1973, n. 20,  concernente:  ordinamento  degli  uffici,  stato
 giuridico e trattamento economico del personale della Regione Lazio",
 promosso con ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 notificato  il 19 agosto 1988, depositato in cancelleria il 26 agosto
 1988 ed iscritto al n. 27 del registro ricorsi 1988;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  13  dicembre  1988  il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi  l'Avvocato  dello Stato Sergio Laporta per il ricorrente, e
 l'avv. Achille Chiappetti per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ricorso notificato il 19 agosto 1988, il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
 costituzionale  della  legge  della  Regione  Lazio,  approvata  il 2
 dicembre 1987 e riapprovata il 27 luglio 1988,  recante  "Modifica  e
 integrazione alla legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, concernente:
 ordinamento degli uffici, stato giuridico e trattamento economico del
 personale  della Regione Lazio", in relazione ai principi di certezza
 del diritto e di buona amministrazione, oltre che ai principi di  cui
 alla legge-quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983 (artt. 97 e 117
 Cost.).
    L'Avvocatura dello Stato premette che la legge regionale 29 maggio
 1973, n. 20 detta, all'art. 81, la disciplina per l'inquadramento nei
 ruoli  regionali  del  personale  proveniente  dalle  amministrazioni
 statali. Fra l'altro la norma prevede  che  "nel  caso  di  personale
 appartenente  a  carriere  o  qualifiche  atipiche  o,  comunque, con
 sviluppo parametrico atipico, l'assegnazione alla  fascia  funzionale
 verra'  effettuata  dalla  Giunta  regionale caso per caso sulla base
 delle mansioni proprie della carriera  o  della  qualifica  raggiunta
 nell'Amministrazione di provenienza".
    La legge impugnata stabilisce che il settimo comma del citato art.
 81 e' cosi' integrato: "Il personale proveniente  dallo  Stato,  gia'
 appartenente  a  ruoli  atipici  o  che  comunque fruiva di parametri
 differenziati rispetto alle tradizionali carriere dello Stato,  viene
 inquadrato  nella  carriera  immediatamente  superiore  a  quella  di
 appartenenza al momento del trasferimento o  del  comando  presso  la
 Regione  ed  il servizio prestato nell'Amministrazione di provenienza
 viene valutato per intero. L'inquadramento avviene  su  presentazione
 della  domanda  da parte degli interessati entro novanta giorni dalla
 data di pubblicazione della presente legge".
    Rileva  il ricorrente che la Regione, dopo aver lasciato inattuato
 per oltre un decennio il disposto dell'art. 81 della legge  regionale
 n.  20  del  1973, per la parte concernente l'inquadramento "caso per
 caso" del personale proveniente  dalle  amministrazioni  dello  Stato
 presso  le quali rivestiva posizioni di carriera atipiche, si propone
 con la legge  in  esame  di  provvedere  "ora  per  allora"  a  nuovo
 inquadramento  del  personale in questione, oltre tutto attraverso un
 criterio diverso da quello originariamente  previsto,  sostituito  da
 una  valutazione  "tipica",  comportante comunque l'assegnazione alla
 carriera immediatamente superiore senza piu' riguardo  alle  mansioni
 proprie  in  concreto  assolte, nelle amministrazioni di provenienza,
 dagli appartenenti alle c.d. carriere atipiche.
    La  legge  rischia  cosi'  di risolversi in un sovvertimento delle
 posizioni di ruolo ormai  stabilizzatesi  col  decorso  del  tempo  e
 radicatesi,  secondo  ragione,  in  affidabili  aspettative in capo a
 coloro che nello stesso arco di tempo abbiano raggiunto posizioni ora
 esposte   a   restare  frustrate  per  effetto  del  reinquadramento,
 perseguito ormai del tutto  inopinatamente  e  senza  neppure  quelle
 garanzie    di    obiettiva   rispondenza   al   giusto   assicurate,
 nell'originario disegno organizzativo, dalla  valutazione  singulatim
 prevista  delle  mansioni  esplicate  presso  le  amministrazioni  di
 provenienza.  Ne  risulta   evidente,   prosegue   l'Avvocatura,   la
 violazione   dei  principi  di  cui  all'art.  97  Cost.,  che  vuole
 assicurato nell'organizzazione dei pubblici uffici il buon  andamento
 dell'amministrazione.
    Inoltre,   il   previsto   reinquadramento,  in  quanto  non  piu'
 riferibile, nell'opinione comune, alle diverse condizioni sussistenti
 all'atto  dell'ingresso  dei  singoli  nei ruoli regionali e tuttavia
 comportante la progressione in carriera degli interessati per  motivi
 non  oggettivamente  apprezzabili sul piano comparativo, non potrebbe
 non risultare sfornito di razionalita',  cosi'  da  alimentare  serie
 riserve  sulla  conformita'  a  diritto  dei  sommovimenti  di  ruolo
 derivantine.
    Infine,  conclude l'Avvocatura, la norma impugnata e' in contrasto
 con i principi fondamentali stabiliti dalla legge-quadro sul pubblico
 impiego (n. 93/83): in particolare, con quelli della omogeneizzazione
 delle posizioni giuridiche e della perequazione (art.  4),  ai  quali
 non  puo'  dirsi  ispirato l'atto che finisca col mettere capo ad una
 distribuzione  di  personale  nelle   diverse   carriere   non   piu'
 giustificata  dalle  esigenze connesse al primo impianto di organico,
 sostanzialmente  negligendo  situazioni   pervenute   col   tempo   a
 ragionevole consolidazione.
    2.  -  Si  e'  costituita  in giudizio la Regione Lazio, eccependo
 l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso. Ha anche  depositato
 memoria aggiuntiva, ma fuori termine.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  presente giudizio di costituzionalita', promosso con il
 ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri di cui in epigrafe,
 ha  per  oggetto  la legge della Regione Lazio intitolata "Modifica e
 integrazione alla legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, concernente:
 ordinamento degli uffici, stato giuridico e trattamento economico del
 personale della Regione Lazio",  approvata  dal  Consiglio  regionale
 nella  seduta del 2 dicembre 1987 e riapprovata, a seguito del rinvio
 governativo, il 27 luglio 1988.
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la  legge  violerebbe innanzitutto i
 principi di buona amministrazione e di certezza del diritto (art.  97
 Cost.),  in  quanto  dispone  un  nuovo  inquadramento, dopo oltre un
 decennio,  del  personale  proveniente  dalle  amministrazioni  dello
 Stato,  presso le quali si trovava in posizioni di carriera atipiche,
 abbandonando il criterio, originariamente previsto, della valutazione
 "caso   per   caso"   delle   mansioni  concretamente  assolte  nelle
 amministrazioni di provenienza, e sostituendolo con la  regola  della
 assegnazione  automatica  alla  carriera  immediatamente  superiore a
 quella in precedenza raggiunta; in tal modo si verrebbe  a  provocare
 un  sovvertimento  di posizioni di ruolo consolidatesi nel tempo, con
 delusione delle aspettative di quanti avevano ormai,  dato  il  lungo
 periodo   trascorso,   fatto   ragionevole   affidamento  sulla  loro
 stabilita'. In secondo  luogo,  sarebbero  violati,  per  gli  stessi
 motivi,   i   principi   fondamentali  della  omogeneizzazione  delle
 posizioni giuridiche e della perequazione, indicati nell'art. 4 della
 legge-quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983.
    2.  -  La Regione Lazio ha sollevato eccezione di inammissibilita'
 della questione, motivata, come ha precisato il difensore all'udienza
 pubblica,   sulla   pretesa  difformita'  tra  i  motivi  del  rinvio
 governativo e quelli del successivo ricorso: in  particolare,  l'atto
 di  rinvio  sarebbe  stato formulato in termini cosi' generici da non
 evidenziare in alcun  modo  i  vizi  poi  svelati  e  denunziati  nel
 ricorso.
    L'eccezione va rigettata.
    Deve,  infatti, ritenersi che nella fattispecie i motivi contenuti
 nell'atto di rinvio siano stati formulati in modo tale da  consentire
 alla  Regione  di individuare l'essenza delle censure prospettate dal
 Governo, poi trattate piu' specificamente nel ricorso; che sia salvo,
 quindi,  il principio della corrispondenza sostanziale tra motivi del
 rinvio e  motivi  del  ricorso,  cosi'  come  delineato  dalla  ormai
 consolidata  giurisprudenza  di  questa Corte (da ultimo, cfr. sentt.
 nn. 525 del 1987 e 726 del 1988). Cio' vale non soltanto per il primo
 rilievo,  il  cui  significato, poi sviluppato nel ricorso, era senza
 dubbio gia'  sufficientemente  espresso  nel  suo  nucleo  essenziale
 nell'atto  di  rinvio,  ma anche per la seconda censura, in quanto il
 sia pur generico riferimento ai "principi sanciti in materia da legge
 quadro  pubblico  impiego"  poneva  la  Regione  in grado di rendersi
 ragionevolmente  conto  del  fatto  che,  versandosi   in   tema   di
 inquadramento di personale, i principi invocati dal Governo andassero
 individuati essenzialmente in quelli di cui all'art. 4 della legge n.
 93 del 1983.
    3. - Nel merito la questione e' fondata.
    Va premesso che questa Corte ha costantemente affermato (anche con
 specifico  riferimento  alla   materia   dell'inquadramento   o   del
 reinquadramento  di  pubblici  dipendenti),  che  la  violazione  del
 principio del buon andamento dell'amministrazione  "non  puo'  essere
 invocata  se  non  quando  si  assuma  l'arbitrarieta' o la manifesta
 irragionevolezza della disciplina impugnata"; il richiamo all'art. 97
 Cost.  implica quindi lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza
 della legge censurata (cfr. sentt. nn. 10 del 1980, 277 del 1983, 217
 del 1987, 331 e 1130 del 1988).
    Cio'  posto,  con  piu'  specifico  riguardo al caso di specie, va
 sottolineata l'esigenza, (come questa Corte ha  gia'  avuto  modo  di
 rilevare:  v.  le  citate  sentenze  nn.  217/87  e  331/88),  che il
 reinquadramento, o il passaggio, di personale a livelli superiori  si
 fondi su una valutazione congrua e razionale dell'attivita' pregressa
 del dipendente, diretta a far ragionevolmente ritenere che  egli  sia
 in  possesso  dei  requisiti  necessari per il detto reinquadramento:
 potrebbe, cioe', essere considerato frutto di una scelta arbitraria o
 irragionevole  un  passaggio  generalizzato e meramente automatico ad
 una carriera superiore, non subordinato ad alcun esame delle mansioni
 concretamente svolte in precedenza dal dipendente.
    Nella  fattispecie,  la legge impugnata prescinde completamente da
 valutazioni di tal genere, dato che  l'inquadramento  nella  carriera
 immediatamente  superiore  a  quella  di  appartenenza al momento del
 trasferimento avviene su  semplice  presentazione  della  domanda  da
 parte   degli  interessati.  D'altra  parte,  che  fosse  logicamente
 necessaria la singola valutazione delle funzioni svolte in precedenza
 dai  dipendenti  in  questione  risulta  chiaramente  dal  fatto che,
 trattandosi di carriere o qualifiche atipiche, non era dato rinvenire
 la  collocazione  corrispondente nei ruoli della Regione. In forza di
 cio' originariamente era appunto previsto un  tale  esame  "caso  per
 caso",  ed  il  fatto  che la norma non sia stata applicata, o lo sia
 stata solo parzialmente, non puo' certo giustificare la  soppressione
 di tale criterio.
    A  tutto  cio'  va aggiunto che a determinare la lesione, da parte
 della normativa censurata,  del  principio  del  buon  andamento  dei
 pubblici  uffici  contribuisce  anche la circostanza che il mutamento
 del criterio di inquadramento dovrebbe avvenire dopo  quasi  quindici
 anni  dalla  fase  di  primo  impianto  del personale regionale; tale
 intervallo temporale indubbiamente aggrava il gia' formulato giudizio
 di irragionevolezza della legge impugnata.
    Accertata  la  violazione  dell'art.  97  Cost., risulta superfluo
 passare all'esame del secondo  profilo  di  censura  prospettato  dal
 ricorrente.