Ricorso  della  regione  Liguria,  in  persona del presidente della
 giunta regionale pro-tempore, rappresentato e difeso  per  mandato  a
 margine   del  presente  atto  dall'avv.  prof.  Giuseppe  Pericu  ed
 elettivamente domiciliato presso l'avv. Ludovico  Villani,  in  Roma,
 piazzale Clodio, 12, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
 in persona  del  Presidente  pro-tempore,  al  fine  di  ottenere  la
 dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5 della
 legge 29 dicembre 1988, n. 554, avente ad  oggetto  "disposizioni  in
 materia di pubblico impiego".
                               F A T T O
    La  Gazzetta  Ufficiale  n.  1 del 2 gennaio 1989 ha pubblicato il
 testo della legge 29 dicembre 1988, n. 554.
    Tale   legge   stabilisce  tra  l'altro  alcune  limitazioni  alle
 assunzioni di personale presso un gran numero di strutture pubbliche,
 affermando  in  generale il principio della priorita' dell'attuazione
 della disciplina della mobilita' sancita dal d.P.C.M. 5 agosto  1988,
 n. 325.
    L'art.  5 della legge si occupa del personale delle regioni, delle
 unita'  sanitarie  locali  e  degli  enti  pubblici   non   economici
 dipendenti  dalle  regioni:  piu'  precisamente essa prescrive che le
 assunzioni in deroga siano disposte, per  il  personale  sanitario  e
 degli  enti  dipendenti,  con  provvedimento  della  giunta regionale
 (primo comma); che le unita' sanitarie locali e gli  enti  dipendenti
 dalle regioni abbiano l'obbligo di comunicare alle rispettive regioni
 le carenze di organico e gli esuberi  con  le  modalita'  di  cui  al
 decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei Ministri sopra ricordato
 (secondo comma); che le regioni  debbano  provvedere  ad  attivare  i
 processi  di  mobilita'  tra  il proprio personale, quello degli enti
 dipendenti e quello delle unita' sanitarie locali  sulla  base  della
 corrispondenza  di  cui  all'art. 4, terzo comma, del gia' richiamato
 decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi del quale
 le  corrispondenze  sono  dichiarate  dal Dipartimento della funzione
 pubblica  in  sede  di  pubblicazione  delle  vacanze,   sentite   le
 confederazioni   sindacali  maggiormente  rappresentative  sul  piano
 nazionale (terzo comma); che l'elenco del  personale  esuberante  non
 reimpiegato  in  ambito regionale per carenza di posti sia comunicato
 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per  la  ricollocazione  a
 norma  del  d.P.C.M.  n.  325/1988  (quarto  comma);  che i posti non
 coperti con  i  processi  di  mobilita'  in  ambito  regionale  siano
 comunicati   alla   Presidenza   del   Consiglio  dei  Ministri,  per
 l'eventuale copertura con personale di provenienza extraregionale  ai
 sensi del d.P.C.M. n. 325/1988 (quinto comma).
    Le  disposizioni  il  cui  contenuto  si  e'  sopra  sintetizzato,
 approvate  dal  Parlamento  nonostante  i  dubbi  di   illegittimita'
 costituzionale  insorti  in  seno  alla  commissione per le questioni
 regionali del Senato, appaiono alla ricorrente lesive della sfera  di
 competenza  ad  essa  riservata  dalla Costituzione, per la manifesta
 ingerenza  nell'ambito  di  autonomia  organizzativa  e   finanziaria
 proprio di ciascuna regione.
    In  realta'  il  legislatore  nazionale  sembra  aver  trattato le
 regioni  alla  stregua  di  un'amministrazione  statale,  addirittura
 sottoponendone la condotta al potere regolamentare del Presidente del
 Consiglio dei Ministri  (cfr.  rinvio  alle  modifiche  eventualmente
 introdotte  al  d.P.C.M.  n. 325/1988). Ma sotto un altro aspetto, le
 regioni  sono  state  poste  in  una  condizione  persino   deteriore
 giacche',  mentre  in  favore  degli  enti  locali di destinazione di
 procedimenti di mobilita' l'art.  1,  quarto  comma,  prevede  almeno
 l'assegnazione   dei  fondi  necessari  alla  copertura  degli  oneri
 concernenti il trattamento economico del personale acquisito, nessuna
 analoga  norma  l'art.  5  introduce  in  favore  delle  regioni, che
 pertanto parrebbero condannate ad assumersi l'onere finanziario della
 sistemazione del personale esuberante di altre amministrazioni, oltre
 tutto  assicurando  un  trattamento  economico  che  esse  non  hanno
 concorso a definire.
    In  un  tale contesto i dubbi d'incostituzionalita' emersi in sede
 parlamentare risultano piu' che fondati e  giustificano  il  presente
 ricorso,  volto  ad  ottenere la dichiarazione d'illegittimita' delle
 norme impugnate, in virtu' delle seguenti considerazioni in
                             D I R I T T O
                                   I
    Quanto  all'art.  5, primo comma: violazione degli artt. 117 e 123
 della Costituzione.
    Il primo comma dell'art. 5 della legge n. 554/1988, attribuendo la
 competenza a disporre  le  assunzioni  in  deroga  nell'ambito  delle
 unita'  sanitarie  locali  e  degli  enti  pubblici  dipendenti dalle
 regioni a "provvedimenti della giunta regionale", esorbita dai limiti
 propri  della  legislazione  di  principio, sola spettante allo Stato
 nelle  materie  assoggettate  a  potesta'   legislativa   concorrente
 dall'art.  117  della  Costituzione,  ed  invade  la  stessa  materia
 statutaria (art. 123  della  Costituzione).  Ed  infatti  non  spetta
 certamente  al  legislatore statale ripartire le attribuzioni tra gli
 organi regionali.
    In  realta'  sembra  di  comprendere  che il legislatore ordinario
 abbia colto  nell'insegnamento  di  codesta  Corte,  che  ha  risolto
 questioni  analoghe con sentenze interpretative, non gia' l'invito ad
 adottare   in   futuro   formulazioni    rispettose    del    dettato
 costituzionale,  ma  anzi una sorta di autorizzazione a trascurare la
 precisione  lessicale,  generalizzando  una  prassi  suscettibile  di
 condurre a gravi problemi applicativi.
    Cio'   premesso,   poiche'  oltre  tutto  appare  discutibile  che
 l'interpretazione conformatrice possa spingersi sino a  postulare  la
 soppressione  di componenti inequivoche della proposizione normativa,
 sarebbe auspicabile che, onde dissuadere  dalla  perpetuazione  della
 prassi  instaurata,  le  precisazioni in merito agli organi regionali
 competenti, contenute in disposizioni  legislative  statali,  fossero
 colpite con la piu' adeguata sanzione d'incostituzionalita'.
                                  I I
    Quanto all'art. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma:
      1) violazione degli artt. 115, 117, 118 della Costituzione:
        a)    illegittimita'    dell'assoggettamento   delle   regioni
 all'obbligo di attivare le procedure di mobilita'.
    L'art.  5 della legge n. 554/1988, ai commi secondo, terzo, quarto
 e quinto, stabilisce l'obbligo delle regioni di attivare procedure di
 mobilita'  tra  il  proprio  personale,  quello  degli  enti  da esse
 dipendenti e quello delle unita' sanitarie locali, dapprima in ambito
 regionale  (comma  terzo)  e successivamente in ambito interregionale
 (quarto e quinto comma).  Tali  prescrizioni  si  pongono  in  palese
 contrasto  con  l'autonomia  spettante  alle  regioni  in  materia di
 organizzazione dei propri uffici e di quelli degli enti dipendenti.
    Gia'  in  passato  codesta Corte ha avuto occasione di affermare e
 ribadire la competenza  regionale  a  valutare,  nel  contesto  della
 funzione  di programmazione ed organizzazione dei rispettivi servizi,
 le esigenze di dotazione di personale delle unita'  sanitarie  locali
 (sentenza  11  ottobre  1983,  n.  307) e degli enti dipendenti dalle
 regioni (sentenza 5 novembre 1985, n. 245), pervenendo  a  dichiarare
 la  conseguente  illegittimita'  di  norme che riservavano allo Stato
 l'adozione di provvedimenti derogatori del blocco degli organici.
    L'art. 5 della legge n. 554/1988 formalmente ostenta di rispettare
 l'insegnamento giurisprudenziale, con il comma  introduttivo  che  (a
 prescindere dalla precisazione censurata nel precedente paragrafo del
 presente atto)  riconosce  la  competenza  regionale  a  disporre  le
 assunzioni  in  deroga negli enti dipendenti e nelle unita' sanitarie
 locali. Tuttavia, nelle successive proposizioni, l'apparente ossequio
 viene annichilito con l'imposizione dei processi di mobilita' persino
 al personale regionale.
    Ne'  ad  attenuare  la gravita' della lesione dell'autonomia cosi'
 prodotta vale il fatto che, per quanto concerne  il  personale  delle
 regioni,  sono  queste  ultime  a  determinare,  con  il riscontro di
 situazioni di esubero o  di  carenza,  la  premessa  dell'attivazione
 delle  procedure. Anche la decisione di far luogo ad un'assunzione in
 deroga e' infatti necessariamente preceduta dal riconoscimento di una
 condizione  di  carenza; ma tale riconoscimento e' solo l'antecedente
 logico di quel giudizio di comparazione con altre  esigenze  (da  cui
 scaturisce  la  decisione  in  merito  all'assunzione)  che,  secondo
 l'insegnamento di codesta  Corte,  non  puo'  essere  sottratto  alla
 regione.
    Per contro le norme impugnate pretendono di sottrarre alle regioni
 il dominio dell'organizzazione del  proprio  personale,  ricollegando
 alla  semplice  ricognizione  di situazioni obiettive di carenza o di
 esubero l'avvio di movimenti di  personale  svincolati  da  ulteriori
 valutazioni   regionali.   Del  resto  l'elusione  del  principio  di
 autonomia concretata dalle suddette norme si rivela con chiarezza nel
 caso  del  personale  degli  enti dipendenti e delle unita' sanitarie
 locali, per il quale l'attivazione dei processi  di  mobilita'  viene
 fatta dipendere unicamente da un accertamento degli enti interessati,
 soltanto "comunicato" alle  regioni  (secondo  comma).  In  tal  modo
 diviene  evidente  ed  innegabile che le regioni, a dispetto del loro
 irrisorio potere di sindacare le assunzioni in deroga, sono destinate
 a  perdere  il controllo degli organici degli enti dipendenti e delle
 unita' sanitarie locali.
    In  altri  termini, poiche' ai fini dell'alterazione degli assetti
 interni degli enti nessuna differenza sussiste  tra  l'assunzione  di
 personale in deroga al blocco e l'immissione di personale proveniente
 da altri enti, occorre concludere che tali assetti,  in  forza  delle
 norme  impugnate, sfuggono a qualunque programmazione regionale della
 ripartizione  delle  risorse  disponibili;  ma  non   solo,   poiche'
 l'apertura dei processi di mobilita' ad ambiti ultraregionali (quarto
 e  quinto  comma)  impedisce  alle  regioni  persino   il   controllo
 dell'importo globale della spesa per il personale: enti dipendenti ed
 unita'  sanitarie  locali  potranno   liberamente   incrementare   le
 rispettive    dotazioni    di    personale    attingendo   ad   altre
 amministrazioni, senza che le regioni siano in grado di opporvisi.
    Le  considerazioni  sin  qui  svolte  sono  sufficienti a porre in
 risalto l'illegittimita'  delle  norme  impugnate.  Il  ricorso  alla
 mobilita'  e'  un  criterio di condotta che potrebbe essere suggerito
 alle regioni, ma che  non  puo'  validamente  tradursi  in  procedure
 imposte.  Le  decisioni in merito all'assunzione o all'allontanamento
 di personale delle regioni o delle strutture dalle stesse  dipendenti
 non  spettano  allo Stato, come mostrano invece di intendere le norme
 in esame;
        b)   illegittimita'   dell'assoggettamento   delle  regioni  a
 procedure  disciplinate  per  intero  dallo  Stato  e  dallo   stesso
 governate.
    Come  ha  sottolineato  anche  codesta  Corte  nelle sentenze gia'
 ricordate, e' indubbio che le norme impugnate abbiano ad oggetto  una
 materia  di  competenza  "propria" delle regioni. Conseguentemente al
 legislatore statale non sono riconoscibili margini esorbitanti  dalla
 prefissione  di  norme  di  principio. Viceversa nella fattispecie e'
 accaduto che le norme  impugnate  abbiano  disciplinato,  soprattutto
 mediante  il  rinvio  al  d.P.C.M.  5  agosto  1988, n. 325, l'intera
 materia  dei  processi  di  mobilita',  senza  lasciare  spazi   alla
 normazione regionale.
    Il  risultato  cui  le  norme  impugnate  approdano non differisce
 pertanto  sostanzialmente  da  quello   prefigurato   dall'originaria
 formulazione  dell'art.  10, ultimo comma, della legge 29 marzo 1983,
 n. 93, norma dichiarata notoriamente illegittima  dalla  sentenza  25
 luglio  1984,  n.  219:  in quel caso l'illegittimita' derivava dalla
 pretesa  di  escludere  qualunque  ambito  di  autonomia  legislativa
 regionale  in  sede  di  approvazione  degli accordi sindacali; nella
 fattispecie in esame, la medesima esclusione viene realizzata per  il
 tramite   dell'interposizione  di  atti  normativi  statali  tali  da
 esaurire  la  disciplina  attuativa  di  un  accordo  sindacale   nei
 confronti  della quale avrebbe dovuto essere salvaguardato il margine
 di autonoma valutazione delle regioni.
    Ma v'e' di piu'; poiche' il richiamo al d.P.C.M. n. 325/1988 viene
 costantemente completato con  il  richiamo  a  "successive  eventuali
 modificazioni  dello  stesso",  cosi' concretando un autentico rinvio
 formale il cui effetto consiste nella permanente sottoposizione delle
 regioni  ad  un potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei
 Ministri tanto privo di limiti quanto  sfornito  del  benche'  minimo
 fondamento giuridico.
    D'altro canto le norme di cui si tratta non si limitano neanche ad
 esautorare   il   legislatore   regionale,   ma   anzi,    attraverso
 l'attribuzione  di  significativi  poteri  amministrativi  ad  organi
 statali (cfr. il potere di collocare il personale  non  sistemato  in
 ambito  regionale con processi di mobilita' infraregionali, assegnato
 dal quarto e dal quinto  comma  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri;   cfr.   altresi'   il   potere   di  determinazione  della
 corrispondenza dei profili professionali, conferito dal  terzo  comma
 al   Dipartimento  della  funzione  pubblica,  mediante  il  richiamo
 all'art. 4, terzo comma, del d.P.C.M. n. 325/1988).
    Tali  previsioni  determinano  dunque  anche  una  sottrazione  di
 competenze amministrative  regionali  incompatibile  con  l'art.  118
 della Costituzione;
      2) violazione degli artt. 81, 117 e 119 della Costituzione.
    Gia'   si   e'   osservato  come  le  norme  impugnate  perseguano
 l'obiettivo di imporre alle  regioni  movimenti  di  personale  nelle
 strutture dalle stesse dipendenti e si e' denunciata la lesione delle
 competenze normative ed amministrative insita in simile  imposizione.
 Ora e' necessario rilevare la violazione dell'autonomia regionale che
 le stesse norme producono  sotto  l'ulteriore  profilo  delle  scelte
 nell'allocazione delle risorse finanziarie.
    In  realta'  disporre  in  merito  all'entita'  delle dotazioni di
 personale di strutture pubbliche equivale  ad  operare  scelte  nella
 destinazione  di  mezzi  finanziari: tanto manifesto ed indiscutibile
 appare tale assunto, che la stessa legge n. 554 del 1988 ha avvertito
 l'esigenza  di  assicurare  agli enti locali destinatari di personale
 sottoposto a mobilita' i fondi relativi al corrispondente trattamento
 economico (art. 2, quarto comma).
    Ma,  come  si e' del pari sottolineato, nella fattispecie le norme
 impugnate non si sono neppure limitate ad ingerirsi  nelle  decisioni
 sulla  distribuzione  delle  disponibilita' finanziarie delle regioni
 (risultato di per se' precluso al  legislatore  statale,  secondo  il
 consolidato insegnamento di codesta Corte: cfr. sentenze nn. 307/1983
 e 245/1984), ma si sono spinte sino a predisporre le condizioni di un
 incremento  dell'importo  globale  delle spese per personale a carico
 delle regioni, senza dotare le stesse  regioni  di  mezzi  finanziari
 conseguentemente necessari.
    Ed  invero  e'  indubitabile che i processi di mobilita' delineati
 dal legislatore statale rechino insita la possibilita' di un bilancio
 finanziario   negativo   per  le  regioni,  che  possono  ben  vedere
 accresciuto l'onere per spese relative a personale pubblico  sia  per
 effetto di flussi di personale provenienti da comparti extraregionali
 sia per l'obbligo di assicurare  ai  singoli  dipendenti  l'eventuale
 trattamento  di  maggior  favore  da ciascuno conseguito nell'ente di
 provenienza.
    In   conclusione   le  norme  impugnate  costituiscono  l'ennesima
 dimostrazione della difficolta' del legislatore statale di  resistere
 alla  tentazione  di  trasferire  sulle  regioni porzioni piu' o meno
 consistenti  del  deficit  nazionale,  vincolando  quote   dei   gia'
 insufficienti cespiti regionali. Piu' precisamente, nella fattispecie
 l'intento perseguito  e'  manifestamente  quello  di  costringere  le
 regioni,  indipendentemente  da  qualunque  valutazione  di priorita'
 dalle stesse formulata, ad impegnare mezzi finanziari propri al  fine
 di ridurre l'onere per spese di personale gravante sul bilancio dello
 Stato. In altri termini, l'obiettivo di un apparente risparmio  viene
 coltivato   con   l'artificio  di  distogliere  parti  delle  risorse
 regionali da  differenti  destinazioni  giudicate  prioritarie  dalle
 competenti  regioni  (e'  ovvio infatti che condizione d'operativita'
 della norma impositiva di un  obbligo  e'  che,  senza  di  esse,  le
 regioni    preferiscano    utilizzare    diversamente    le   proprie
 disponibilita').
    L'illegittimita'  delle  norme  che  tale  scopo  si prefiggono si
 rivela pertanto nella sua reale dimensione.