Ricorso della regione Toscana, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore Gianfranco Bartolini, autorizzato con delibera di urgenza della giunta regionale n. 572 del 23 gennaio 1989 immediatamente esecutiva, rappresentato e difeso dall'avv. Calogero Narese ed elettivamente domiciliato in Roma, viale Mazzini, 142, presso lo studio del dott. Maurizio Marucchi, come per procura in calce al presente ricorso, per declaratoria di parziale incostituzionalita' ( ex art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87) della legge 29 dicembre 1988, n. 554 ("Disposizioni in materia di pubblico impiego") pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 1989. PREMESSE DI FATTO Nella Gazzetta Ufficiale del 2 gennaio 1989 e' stata pubblicata la legge 29 dicembre 1988, n. 554, intitolata "Disposizioni in materia di pubblico impiego". Oggetto della legge e' in primo luogo la disciplina delle assunzioni di personale pubblico con le limitazioni connesse all'esigenza di contenere la spesa pubblica; in secondo luogo l'introduzione, nelle amministrazioni dello Stato, di rapporti di lavoro a tempo parziale, nonche' la possibilita' di assumere personale "a tempo determinato" per la durata di un anno, prorogabile a due, per la realizzazione di specifici progetti-obiettivi. Rilevante ai fini del presente giudizio risulta l'assetto delle assunzioni nel comparto del pubblico impiego. La legge, infatti, dispone all'art. 1 - per le amministrazioni statali aanche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici, le unita' sanitarie locali limitatamente al personale non sanitario, le aziende pubbliche in gestione commissariale governativa, le province, i comuni, le comunita' montane ed i loro consorzi (non anche per le regioni, dunque) - il generale divieto di assunzioni fino a che non siano esperite le procedure per la mobilita' previste dal d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325. Attuata la mobilita', la stessa norma prevede un limite percentuale alle assunzioni (25% ovvero 50%) relativo ai posti resisi vacanti per cessazioni dal servizio comunque verificatesi dal 1 gennaio 1988. A tale limite e' possibile derogare per "effettive, motivate e documentate esigenze" con autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri. A norma del primo comma dell'art. 5 della legge, per le uu.ss.ll. e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni, tale deroga e' disposta con provvedimento della giunta regionale. Lo stesso art. 5, al secondo ed al terzo comma, dispone l'obbligo per le regioni di attivare "i processi di mobilita' in ambito regionale tra il personale delle regioni, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti e delle unita' sanitarie locali". Il quarto e quinto comma del citato art. 5 prevedono, poi, che, esaurita la procedura di mobilita' in ambito regionale, gli esuberi e le carenze di personale eventualmente risultati debbano essere comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che provvedera', rispettivamente, alla "collocazione" ovvero alla "copertura" con le modalita' di cui al citato d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325. E' avviso della regione Toscana, ricorrente, che le ricordate disposizioni contenute dall'art. 5 della legge in esame violino sotto vari profili la Carta costituzionale, costituendo altrettante invasioni della sfera di competenze proprie della regione medesima. MOTIVI DI IMPUGNAZIONE 1 - Violazione dell'art. 123 della Costituzione anche in relazione alla legge 22 maggio 1971, n. 343, recante approvazione dello statuto della regione Toscana. Il primo comma dell'art. 5 della legge n. 554/1988 individua nella giunta regionale l'organo competente ad emettere i provvedimenti che dispongono le assunzioni in deroga, di cui al precedente art. 1. E' di ogni evidenza che la individuazione, da parte della legge statale, dell'organo regionale competente ad emettere determinati provvedimenti, viola l'art. 123 della Costituzione, in base al quale e' viceversa lo statuto regionale quello che contiene le disposizioni inerenti alla organizzazione interna della regione, e percio' individua la competenza all'emanazione di determinati provvedimenti e/o allo svolgimento di determinate funzioni. In particolare, e' da rilevare che lo statuto della regione Toscana attribuisce piuttosto al consiglio che non alla giunta tutti i provvedimenti per i quali la legislazione regionale non individui nella giunta l'organo competente a deliberare. Ma, a prescindere da quest'ultimo rilievo, che e' particolare e specifico nello statuto della regione Toscana, la competenza prevista nel primo comma dell'art. 5 della legge n. 554/1988 si pone chiaramente in contrasto con l'art. 123 della Costituzione, nonche' col rinvio, che questa norma costituzionale dispone, alla potesta' statutaria regionale quanto alla ripartizione delle competenze proprie degli organi di ciascuna regione. 2 - Violazione dell'art. 117 della Costituzione relativamente alla materia "Ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalle regioni". Se si esaminano poi, anche congiuntamente, il secondo ed il terzo comma del medesimo art. 5 della legge n. 554/1988, si constata che essi prevedono, a carico delle regioni, l'obbligo di attivare la mobilita' del personale in ambito regionale, fra la regione, le uu.ss.ll. esistenti nell'ambito territoriale della regione stessa, nonche' gli enti pubblici non economici dipendenti da essa regione: secondo la norma in esame, l'obbligo regionale va adempiuto con le modalita' di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325. E' avviso della regione Toscana, ricorrente, che la normativa ora riassunta si ponga in violazione dell'art. 117 della Costituzione, incidendo su materia costituzionalmente attribuita alla legge regionale: infatti l'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti delle regioni e' la prima delle materie elencate nell'art. 117 della Costituzione, ed in ordine alle quali la regione emana norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Il carattere esclusivo della competenza legislativa regionale, in materia, non puo' sopportare che sia viceversa la legge (ordinaria) dello Stato, ad operare non gia' nell'ambito della fissazione dei principi fondamentali ovvero nell'ambito dell'esercizio della funzione generale di indirizzo e coordinamento, bensi' a porre norme cogenti, tali per cui la competenza regionale si risolve e si esaurisce, al massimo, nello svolgimento di attivita' amministrative, meramente attuative della legge dello Stato. La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha emesso innumerevoli sentenze chiarificatrici della portata del principio costituzionale: da ultimo, con sentenza 18 febbraio 1988, n. 167, e' stato chiarito che lo Stato puo' emanare nella materia di competenza regionale anche norme di dettaglio (oltre alle norme di principio che l'art. 117 espressamente prevede), peraltro solo ove ricorrano motivi di interesse nazionale rigorosamente controllabili dal giudice costituzionale. Nel caso di specie, sembra di ogni evidenza l'assenza di un interesse nazionale talmente pressante, da imporre - quanto alla mobilita' del personale proprio delle regioni, o dipendente da enti amministrativi regionali, o dipendente dalle uu.ss.ll. in ambito regionale - la eliminazione di ogni possibilita' autoorganizzatoria regionale, e da impedire percio' alle regioni di emanare norme legislative in materia. In assenza di una ragione giustificativa cosi' pressante da giustificare la sottrazione alle regioni di una competenza legislativa costituente il connotato essenziale della loro autonomia, non sembra dubbia la violazione dell'art. 117. La decisione di codesta suprema Corte n. 245 del 5 aprile 1984, (cfr. punto 5 delle considerazioni in diritto) sembra chiaramente convalidare la censura di incostituzionalita' qui svolta avverso i ricordati secondo e terzo comma dell'art. 5, della legge n. 554/1988. 3 - Ulteriore violazione dell'art. 117 della Costituzione. Il quarto ed il quinto comma dell'art. 5 della legge n. 554/1988 dispongono, come gia' accennato nelle premesse di fatto, l'applicazione del d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325, sia agli esuberi (quarto comma) che alle carenze (quinto comma) del personale delle regioni, ovvero degli enti da queste dipendenti, ovvero delle uu.ss.ll. nell'ambito regionale: cio', attribuendo direttamente alla competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri la funzione di operare con provvedimenti attuativi del ricordato d.P.C.M. Tanto la collocazione del personale in esubero quanto la copertura di posti non coperti con i processi di mobilita' attuati dalle regioni, in base alla normativa ora in esame debbono essere disposte direttamente con atti del Presidente del Consiglio dei Ministri. E' di ogni evidenza che questa normativa viola l'autonomia organizzativa delle regioni invadendo l'ambito costituzionalmente riservato a scelte proprie di esse. La questione risulta gia' risolta da codesta suprema Corte, fra l'altro, nelle sentenze 11 ottobre 1983, n. 307 e 25 luglio 1984, n. 219. In particolare, con la prima delle due sentenze fu gia' ritenuto costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, l'art. 9, quarto comma, della legge 26 novembre 1973, n. 130, nella parte in cui tale norma non prevedeva che fossero le regioni, anziche' il Presidente del Consiglio dei Ministri, a determinare e valutare i casi in cui fosse necessario procedere ad assunzioni di personale nelle uu.ss.ll. esistenti nell'ambito territoriale di rispettiva competenza, ferme restando allo Stato soltanto le funzioni di indirizzo e di coordinamento previste in via generale dall'art. 5 della legge di riforma sanitaria, n. 833/1978. La seconda delle due sentenze sopracitate puntualizza ancora la violazione dell'art. 117 della Costituzione in tutti i casi in cui si sottragga alla competenza legislativa regionale la funzione di individuare le esigenze organizzatorie - in punto di provvista del personale - delle stesse regioni, ovvero degli enti da queste dipendenti, ovvero delle uu.ss.ll. E non sembra davvero che la legge n. 554/1988 si sottragga ai vizi di illegittimita' costituzionale che codesta suprema Corte ha univocamente ritenuto esistenti in normative analoghe. Del resto, a supporto di quanto or ora denunciato, va sottolineato che nella seduta del 13 dicembre 1988 la stessa commissione parlamentare per gli affari regionali del Senato ebbe ad esprimere perplessita' riguardo al terzo, quarto e quinto comma dell'art. 5, chiedendo di escludere che per la copertura dei posti resisi disponibili nell'ambito del personale regionale, o del personale di enti dipendenti dalle regioni, si dovesse procedere, mediante atti del Presidente del Consiglio dei Ministri, all'assorbimento del personale in esubero proveniente da altre amministrazioni, secondo il disposto dell'art. 4 del d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325. Nella medesima seduta venne evidenziato il rischio che l'approvazione dell'art. 5 nel testo gia' formulato dalla Camera, e che oggi - essendo divenuto definitivo - si censura dinanzi a codesta ecc.ma Corte, potesse determinare una lesione dell'autonomia organizzativa delle regioni, con conseguente inevitabile insorgere di un grave contenzioso costituzionale. Le preoccupazioni della commissione parlamentare apparivano tutt'altro che ingiustificate, cosi' come il presente ricorso, del resto, documenta. 4 - Violazione dell'art. 3 e dell'art. 97 della Costituzione. Il presente motivo si pone come domanda di ipotesi, rispetto alla tesi costituita dal sovraesposto terzo motivo di ricorso. Qualora avesse legittimita' costituzionale l'attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di adottare i provvedimenti previsti dal quarto e dal quinto comma dell'art. 5, quest'ultima normativa sarebbe da censurare sotto i profili dedotti (ed in particolare sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza) per il contrasto in cui essa si porrebbe rispetto al quarto comma dell'art. 1 della legge stessa. Quest'ultima norma, per l'ipotesi che il Presidente del Consiglio dei Ministri trasferisca ad enti locali personale ivi collocabile, prevede altresi' che la stessa autorita' amministrativa debba, con proprio decreto di concerto col Ministro del tesoro, trasferire agli enti locali - presso i quali il personale suddetto sia destinato -, i fondi relativi agli oneri concernenti il trattamento economico in godimento. Nulla di tutto questo e' previsto, nell'art. 5, quanto al personale che eventualmente sia destinato al trasferimento alle regioni (o agli enti da queste dipendenti): gli oneri relativi al trattamento economico di quest'ultimo personale restano invero - a quanto sembra di comprendere - a carico degli enti di destinazione. A questo risultato si perviene constatando la inesistenza, nel quarto e nel quinto comma dell'art. 5, di una norma analoga a quello - circa il trasferimento dei fondi - contenuta nel quarto comma dell'art. 1 della legge: il che, come gia' accennato, giustifica la censura di violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buon andamento.