ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge regionale approvata il 28 marzo 1988 e riapprovata l'11 maggio 1988 dal Consiglio Regionale del Lazio avente per oggetto: "Prestazioni di lavoro straordinario del personale del Consiglio Regionale e della Giunta Regionale per il funzionamento degli organi istituzionali", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 1 giugno 1988, depositato in cancelleria l'11 giugno 1988 ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 1988; Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio; Udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Uditi l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta, per il ricorrente, e l'avv. Achille Chiappetti per la Regione; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 1 giugno 1988, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art. 1 della legge della Regione Lazio, approvata il 28 marzo 1988 e riapprovata l'11 maggio 1988 recante norme su "Prestazioni di lavoro straordinario del personale del Consiglio regionale e della Giunta regionale per il funzionamento degli organi istituzionali", in relazione all'art. 117 Cost. Il ricorrente, premesso che, a suo parere, la legge-quadro sul pubblico impiego - le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali ai sensi della menzionata norma costituzionale - demanda la materia del lavoro straordinario del personale (art. 3, n. 6) alla regolamentazione mediante gli accordi che la Regione deve approvare con proprio provvedimento (salva la possibilita' di adeguamento alle peculiarita' del proprio ordinamento nel limite delle disponibilita' finanziarie stanziate all'uopo nel proprio bilancio: art. 10, terzo comma), rammenta che la Regione Lazio, con legge 11 gennaio 1985, n. 6 ha approvato l'accordo relativo ai dipendenti regionali, nella quale, tra l'altro, si fissa il monte ore annuo complessivo e il limite massimo individuale delle prestazioni straordinarie e si prevede che per esigenze eccezionali, connesse al funzionamento degli organi istituzionali, il limite individuale - per un numero di dipendenti non superiore al 2% dell'organico e previo confronto con le organizzazioni sindacali - possa essere superato, nel rispetto comunque del monte ore complessivo. Secondo il ricorrente, la legge impugnata violerebbe i citati principi della legge-quadro e la disciplina posta dalla ricordata legge regionale di recezione dell'accordo, e cio' sia per l'aspetto procedimentale, avendo del tutto omessa la previsione di qualsiasi forma d'intesa con le organizzazioni sindacali, sia sotto il profilo sostanziale, per l'eccessiva indeterminatezza del potere autorizzatorio attribuito all'ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e alla Giunta in ordine al numero delle ore di straordinario pro-capite eccezionalmente consentite, nonche' a quello dei dipendenti interessati, specie, quanto a quest'ultimo, per la prevista estensione dell'autorizzazione a categorie di personale ausiliario le cui prestazioni ben avrebbero potuto formare oggetto di preventiva quantificazione e determinazione, invece di essere rimessa ad un apprezzamento discrezionale e sostanzialmente insindacabile, in contrasto anche con l'art. 97 Cost. richiamato dall'art. 3, primo comma della legge quadro. La violazione degli illustrati principi della legge-quadro recepiti e rispettati dalla legge regionale n. 6 del 1985, si tradurrebbe in una violazione dell'art. 117 Cost. 2. - La Regione Lazio si e' costituita in giudizio chiedendo che il ricorso sia rigettato. A suo avviso infatti la legge impugnata si limiterebbe a ripetere quasi identicamente la precedente l. n. 10 del 1988, promulgata dopo aver superato il vaglio di costituzionalita' di questa Corte espresso nella ord. n. 15 del 1988. Il ricorso pertanto rappresenterebbe un tentativo di disattendere tale sentenza e sarebbe comunque radicalmente privo di fondamento perche' la stessa Corte avrebbe riconosciuto che le Regioni, in sede di recepimento degli accordi nazionali, possono adeguarli ai propri uffici e alla disponibilita' del proprio bilancio (sent. n. 219 del 1984). Tale argomentazione sarebbe stata ribadita dalla menzionata ordinanza n. 15 del 1988, la quale - nel decidere una questione, secondo la Regione, praticamente identica alla presente - avrebbe inoltre sottolineato l'intima connessione intercorrente tra la disciplina del lavoro straordinario e la materia dell'organizzazione degli uffici elencata nell'art. 117 Cost., tanto piu' trattandosi, come nella specie, di dipendenti che operano in stretto collegamento con gli organi istituzionali della Regione. 3. - In prossimita' della trattazione della causa la Regione ha depositato una memoria illustrativa con la quale chiede che siano dichiarati inammissibili i motivi del ricorso concernenti la violazione dell'art. 97 Cost. nonche' il limite dei "principi fondamentali", perche' non enunciati nell'atto di rinvio, che lamenta il solo contrasto della legge impugnata con il precedente accordo nazionale. Nel merito, nega che la legge medesima violi i principi fondamentali desunti dagli artt. 3, n. 6 e 10 della l. n. 93 del 1983, i quali, lungi dal precludere discipline regionali derogatorie degli accordi, ne imporrebbero, al contrario, l'adozione per far fronte alle particolari esigenze dell'ordinamento dei relativi uffici, esigenze che, nella specie, sarebbero connesse al funzionamento degli organi istituzionali. D'altra parte la legge in questione riguarderebbe pur sempre un numero limitato di dipendenti regionali, e cioe' solo quelli delle strutture serventi gli organi "costituzionali" regionali. Pertanto sussisterebbero entrambi i presupposti - limitatezza della deroga e sua giustificazione socio-economica di pregio costituzionale - che abilitano le Regioni a derogare a principi fondamentali (sent. n. 238 del 1988). Manifestamente infondata inoltre sarebbe la censura di violazione dell'art. 6 della precedente legge regionale (n. 6 del 1985) di recezione dell'accordo nazionale, in quanto le leggi regionali non potrebbero dar luogo a principi fondamentali ne' fungere da parametro di costituzionalita', mentre, in ogni caso, il secondo comma di questo articolo avrebbe gia' previsto un procedimento per derogare al limite consentito delle prestazioni di lavoro straordinario. Infine, infondata sarebbe la censura relativa all'art. 97 Cost., basata sulla mancata predeterminazione quantitativa delle prestazioni di straordinario autorizzabili in deroga. Infatti tale predeterminazione risulterebbe dall'enunciazione del tetto massimo della spesa per l'attuazione della legge (art. 2). Inoltre, l'art. 1, secondo comma della medesima, imponendo che l'autorizzazione debba essere adeguatamente motivata, ne escluderebbe l'insindacabilita', con cio' garantendo il pieno rispetto dell'invocato art. 97 Cost. Considerato in diritto 1. - L'art. 1 della legge della Regione Lazio approvata il 28 marzo 1988 e riapprovata l'11 maggio 1988 - impugnato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - prevede che, al fine di assicurare la funzionalita' del Consiglio Regionale e di alcuni settori della Giunta Regionale, l'Ufficio di Presidenza e la Giunta, in caso di esigenze particolari, sono autorizzati a disporre che un numero limitato di dipendenti indispensabile a garantire lo svolgimento delle sedute del Consiglio e degli altri organismi consiliari ed istituzionali e gli adempimenti conseguenti, nonche' gli autisti, centralinisti, ausiliari addetti al servizio di custodia ed attesa ed altro personale addetto a servizi tecnici, puo' effettuare prestazioni di lavoro straordinario oltre i limiti fissati dalle leggi generali. Aggiunge la norma, al secondo comma, che nei provvedimenti di autorizzazione debbono essere indicati i motivi per i quali le prestazioni sono rese, l'entita' del personale impiegato, il periodo di tempo per il quale e' richiesto il lavoro straordinario, nonche' il numero di ore riconosciuto indispensabile per corrispondere alle straordinarie ed indilazionabili esigenze di lavoro. La Presidenza del Consiglio ritiene la norma cosi' riportata lesiva dell'art. 117 della Costituzione in quanto, discostandosi dall'accordo nazionale per i dipendenti regionali - recepito integralmente dalla legge della Regione Lazio n. 6 del 1985 - violerebbe i "principi fondamentali" posti dalla legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983. Nel ricorso e' pure menzionato l'art. 97 della Costituzione, anche se non e' poi ripreso nelle conclusioni. 2. - La Regione Lazio ha eccepito l'inammissibilita' dell'impugnativa, per pretesa difformita' tra motivi del rinvio e i motivi di ricorso, e cio' perche' nel telegramma di rinvio non sarebbe stata contestata ne' la violazione dell'art. 97 Cost., ne' quella dei "principi fondamentali" vigenti in materia. L'eccezione va rigettata. Infatti per cio' che riguarda l'art. 97 Cost., effettivamente non menzionato neppure per implicito nell'atto di rinvio, deve osservarsi che il ricorso, pur richiamandolo incidentalmente in motivazione, non formula alcuna specifica censura nei suoi confronti. Quanto alla seconda ragione di asserita inammissibilita', va detto che, poiche' le disposizioni della legge quadro sul pubblico impiego costituiscono "principi fondamentali" della materia ai sensi dell'art. 117 Cost. (art. 1), il rilievo sinteticamente formulato nell'atto di rinvio circa la difformita' su punti specifici della normativa impugnata rispetto ad un contratto collettivo concluso sulla base di tale legge, non poteva che tradursi in una censura di mancato rispetto di quei "principi" e, in particolare, del principio della "disciplina legislativa in base ad accordi", desumibile - secondo quanto risulta anche dalla giurisprudenza di questa Corte (v. spec. sentt. nn. 219/1984, 217/1987) - dagli artt. 3 e 10 della legge medesima, principio il quale impone una corrispondenza di massima del contenuto della legge regionale alla regolamentazione pattizia. Pertanto, poiche' nell'atto di rinvio non mancava, sia pure in forma implicita e concisa, l'enunciazione di elementi atti a prefigurare quella denunzia di violazione dell'art. 117 Cost. poi svolta ampiamente nel ricorso, deve concludersi, anche per tale profilo, in applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte (v. per es. sent. n. 726/1988), per l'ammissibilita' del ricorso medesimo. 3. - Passando alla valutazione del merito dell'impugnativa, va innanzi tutto messa in rilievo l'inesattezza dell'assunto della Regione secondo il quale questa Corte con l'ordinanza n. 15 del 1988 avrebbe deciso nel senso della manifesta infondatezza una questione praticamente identica a quella oggetto dell'attuale impugnazione, attesa l'asserita sostanziale corrispondenza del contenuto della legge precedentemente impugnata a quello della legge attualmente all'esame della Corte. Infatti, va detto in contrario che - a parte il fatto che diversi sono sia i parametri e i profili rispettivamente dedotti sia i testi delle due leggi, dettando la prima, a differenza della seconda, una disciplina transitoria "in attesa della copertura dei posti previsti in organico per il personale addetto ai servizi tecnici" (art. 1, primo comma) - le due questioni presentano una profonda e decisiva differenza, concernendo, quella precedente, il contrasto della legge regionale con un accordo nazionale stipulato prima della legge quadro sul pubblico impiego, quella presente invece il mancato rispetto, da parte del legislatore regionale, di un accordo concluso - e poi regolarmente recepito dalla Regione con la legge n. 6 del 1985 - in applicazione dei principi e delle procedure posti dalla legge quadro medesima. Cio' rende palese l'impossibilita' di una meccanica trasposizione della ratio decidendi dell'ordinanza n. 15 del 1988 al caso attuale, attesa soprattutto la diversita' del vincolo gravante nelle due ipotesi sul legislatore regionale: mentre gli accordi precedenti alla ripetuta legge quadro non costituiscono che un mero fatto politico che lascia integro il potere di quest'ultimo, viceversa quelli adottati secondo detta legge determinano a suo carico un "vincolo direttivo di massima", consistente nell'obbligatorio rispetto della disciplina pattizia, salvi ove occorra, i necessari adeguamenti alle peculiarita' dell'ordinamento degli uffici regionali entro il limite delle disponibilita' finanziarie all'uopo stanziate nel bilancio regionale (v. spec. sentt. nn. 219 e 290/1984, 72/1985, 217/1987; cfr. pure art. 10 l. n. 93 del 1983, come mod. dalla l. n. 426 del 1985). 4. - Cio' premesso, deve tuttavia rilevarsi che, cosi' caratterizzandosi il vincolo della legge regionale nei confronti del nuovo tipo di accordo sindacale, non ogni ipotesi di difformita' di contenuto tra le rispettive discipline si traduce di per se' nella violazione del principio fondamentale della legislazione in base ad accordi e, dunque, dell'art. 117 Cost., ma soltanto quelle in cui si tratti di modifiche o integrazioni che esulano dall'ambito del necessario adeguamento del contenuto dell'accordo ad esigenze peculiari della Regione interessata. Nel caso di specie, non e' contestata neppure dalla Regione resistente la sussistenza di un contrasto della legge impugnata con le norme pattizie in ordine agli specifici punti segnalati nel ricorso. Invero il contratto collettivo nazionale per il personale regionale relativo al triennio 1983-1985 - sul punto recepito in toto dalla piu' volte ricordata legge del Lazio n. 6 del 1985 - nel disciplinare il lavoro straordinario reso necessario da esigenze eccezionali relative all'attivita' di diretta assistenza agli organi istituzionali, prevedeva che potesse essere superato il limite massimo individuale stabilito in via generale, fissando pero', al contempo, un tetto al numero dei dipendenti a tal fine utilizzabili, imponendo comunque il rispetto del monte ore complessivo definito anch'esso in via generale, e richiedendo il previo confronto con le organizzazioni sindacali. Una previsione analoga e' dettata anche dal successivo contratto collettivo nazionale per il triennio 1985-1987, relativo ai dipendenti (anche) regionali e recepito con d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268 (peraltro annullato, quest'ultimo, nella parte in cui ha esteso la propria efficacia al personale delle Regioni e degli enti da esse dipendenti, perche' contrario alla procedura di recepimento sancita nell'art. 10 della legge quadro, v. sent. n. 1003/1988). Le disposizioni in esame dunque stabilivano una disciplina del lavoro straordinario, connesso all'attivita' degli organi istituzionali regionali, diversa e piu' flessibile rispetto a quella vigente in generale per il personale degli altri uffici ma, ad un tempo, imponevano limiti sostanziali e procedurali alla discrezionalita' del relativo potere autorizzatorio riconosciuto a tali organi, con cio' contemperando le particolari esigenze di questi con i principi della contrattazione e del rigore ed efficienza amministrativi, posti dalla Costituzione (risp. artt. 39 e 97) e ribaditi dalla legge quadro. La legge impugnata invece detta, per la medesima ipotesi, una regolamentazione priva non solo della previsione del previo confronto con gli organismi sindacali del personale, ma anche di qualsiasi predeterminazione di limiti in ordine al numero dei dipendenti utilizzabili e delle ore di lavoro straordinario necessarie, non potendo certo ritenersi a questi equivalente la mera previsione della relativa spesa, dettata al fine del soddisfacimento dell'obbligo di copertura. Cosi' facendo, il legislatore regionale ha esorbitato dai confini di quel potere di "adeguamento" della normativa collettiva che gli e' riconosciuto, il quale, mentre richiede che siano rispettati i criteri di massima che informano tale normativa, deve essere altresi' finalizzato alla soddisfazione di necessita' particolari della Regione. Simile adeguamento dunque, nel caso di specie, avrebbe comportato, da un lato, che, sia pure con riferimento ad indici diversi e superiori, una prefissione di limiti fosse comunque effettuata; dall'altro, che un qualche meccanismo di partecipazione delle associazioni sindacali nello stabilire i criteri della nuova regolamentazione non fosse del tutto pretermesso. Per altro verso non e' dato rinvenire alcun elemento idoneo a far ritenere la sussistenza nella Regione Lazio di una situazione particolare e diversa, che richieda una disciplina radicalmente differenziata, nei sensi sopra illustrati, rispetto a quella dettata per le altre Regioni. Non esiste, in tal senso, alcun cenno nel testo della legge impugnata, ne' soccorrono i lavori preparatori della medesima, i quali non fanno alcuna menzione, neppure in occasione del riesame seguito al rinvio governativo, delle ragioni giustificative delle deroghe apportate alla precedente disciplina dell'argomento culminata nella ricordata legge regionale n. 6 del 1985. Ne' rileva in contrario che la legge ora impugnata abbia parzialmente riprodotto la disciplina risultante dalla di poco anteriore legge n. 10 del 1988 (gia' approvata nel 1980 e cosi' promulgata a seguito dell'ordinanza n. 15 del 1988 di questa Corte): cio' non puo' certo costituire idonea ragione giustificativa - sotto il profilo che qui interessa - della legge attuale, che, in un diverso quadro normativo, si e' limitata a porre come definitiva una disciplina originariamente transitoria e motivata dalla necessita' di sopperire alla (in allora) mancata copertura dei posti in organico.