IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 142 del ruolo generale degli affari da trattarsi in camera di consiglio dell'anno 1988, vertente tra Lagana' Olindo, elettivamente domiciliato in Catanzaro alla via A. De Gasperi n. 11, presso lo studio dell'avv. Emanuele Servino, nonche', giusta procura, redatta in margine al ricorso, in Reggio Calabria alla via Friuli n. 8/B, presso lo studio dell'avv. Francesco Comi, che, in virtu' di detta procura, lo rappresenta e difende, ricorrente, e il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti in persona del presidente in carica pro-tempore con sede in Roma in Lungotevere de' Cenci n. 8, controinteressato, e consiglio regionale della Calabria dell'ordine dei giornalisti, in persona del presidente in carica pro-tempore, elettivamente domiciliato in Catanzaro, alla via Duomo n. 24, presso lo studio dell'avv. Alfredo Consarino, il quale lo rappresenta e difende in virtu' di procura redatta a margine della comparsa di Costituzione, resistente, e pubblico ministero, in persona del dott. Nicola Proto, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, intervenuto. PREMESSO IN FATTO Con ricorso depositato il 2 marzo 1988 il signor Olindo Lagana' adiva questo tribunale deducendo: a) che in data 28 aprile 1986 aveva presentato domanda di iscrizione all'ordine dei giornalisti della Calabria - Elenco pubblicisti, corredandola con i documenti di rito e le pubblicazioni eseguite; b) che il Consiglio regionale della Calabria dell'ordine dei giornalisti aveva rigettato la domanda sul duplice ed errato presupposto che l'istante non avesse documentato "alcun versamento di ritenuta di acconto per il biennio 1985-86" e che "la prestazione di collaborazione" dedotta fosse "inidonea"; c) che esso ricorrente aveva impugnato detta deliberazione di rigetto davanti al Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti con atto del 20 dicembre 1986; d) che il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, pur avendo dato atto che erano state documentate le ritenute di acconto e pur avendo riconosciuto che la produzione giornalistica era "accettabile sia per dimensioni che per la qualita'", aveva, tuttavia, rigettato il ricorso per la ritenuta carenza del requisito della regolare retribuzione, assumendo, in proposito, che i compensi percepiti dall'istante (L. 180.000 nel 1984 e L. 300.000 nel 1985) sarebbero stati irrisori. Tanto premesso, il ricorrente, argomentando che "la legge non fissa la misura del compenso per la collaborazione del pubblicista o aspirante tale" e che l'esercizio della professione di commercialista, da esso Lagana' esercitata, gli assicurava, comunque, "indipendenza economica" "e decoro", rendendo, cosi' ininfluente, ogni considerazione sulla entita' dei compensi percepiti per la attivita' di pubblicista, concludeva postulando "l'annullamento della decisione del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (...) con conseguenziale (...) iscrizione all'albo". Espletati gli incombenti di rito e instaurato il contraddittorio, il consiglio regionale dell'ordine dei giornalisti della Calabria, in personale del presidente in carica pro-tempore, si costituiva con comparsa del 9 maggio 1988 e resisteva al ricorso, argomentando: a) che il compenso medio per articolo percepito dal ricorrente (sulla base dei dati dal medesimo indicati) era, al netto della ritenuta di acconto e al lordo delle spese, di appena cinquemilasettecentotre lire; b) che si trattava di una retribuzione fittizia, simbolica, richiesta non a titolo di corrispettivo, ma sempre e unicamente preordinata al mero fine dell'iscrizione; c) che difettava, pertanto, il requisito, stabilito dall'art. 35 della legge professionale, della regolare retribuzione per la attivita' espletata. Alla udienza del 25 maggio 1988 il presidente, nell'ammettere le parte e il pubblico ministero alla discussione, li invitava a trattare la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 63, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e dell'art. 2 della legge 10 giugno 1969, n. 308, con riferimento agli artt. 102, secondo comma, e 103, primo comma, della Costituzione. Il ricorrente concludeva per la irrilevanza e per la infondatezza della questione de qua e insisteva per l'accoglimento del ricorso. Il resistente per la irrilevanza e per la manifesta infondatezza della questione e per il rigetto del ricorso. Il pubblico ministero concludeva postulando che venisse sollevata la questione di legittimita' costituzionale e, subordinatamente, nel merito, che venisse accolto il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. - La questione e' rilevante. Il collegio, integrato con l'intervento di un giornalista professionista e di un pubblicista, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 63, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e dell'art. 2 della legge 10 giugno 1969, n. 308, che ha sostituito il terzo comma del precitato art. 63 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (gia', peraltro, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 23 marzo 1968, n. 11, della Corte costituzionale). La prima norma attribuisce al tribunale del capoluogo del distretto, in cui ha sede il consiglio regionale interessato, la cognizione delle impugnazioni avverso le deliberazioni del Consiglio nazionale dell'ordine pronunziate nei ricorsi in materia di iscrizione e di cancellazione nonche' in materia elettorale e disciplinare. La seconda norma stabilisce l'integrazione del collegio giudicante con un giornalista professionista e un pubblicista e disciplina le modalita' di costituzione dell'ufficio. E' incontestabile che nel presente procedimento si verte in tema di impugnazione di delibera del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti che concerne un ricorso in materia di iscrizione. E', altrettanto, evidente che, laddove sono dette norme, che correlate tra loro, attribuiscono - nel concorso delle condizioni di fatto - a questo collegio integrato, la cognizione del presente procedimento di legittimita' (costituzionale) delle norme de quibus costituisce l'indifettibile presupposto e fondamento di ogni decisione da parte di questo organo giudiziario (e, addirittura, della sua stessa esistenza). Non puo', pertanto, essere ragionevolmente contestata la rilevanza della questione, in quanto le norme sospettate sono condicio sine qua non della stessa cognizione del procedimento da parte del giudice a quo. 2. - Secondo il primo comma dell'art. 103 della Costituzione il Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa hanno la giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. Consegue da cio' che la discrezionalita' del legislatore puo' esercitarsi soltanto nel senso della estensione, in particolari materie, della giurisdizione del giudice amministrativo anche alla tutela dei diritti soggettivi, nei confronti della pubblica amministrazione; laddove, sul piano della tutela degli interessi legittimi, non e' prevista la possibilita' che il legislatore, possa sottrarre, la giurisdizione di particolari materie al giudice amministrativo per attribuirla al giudice ordinario. Tanto premesso, rileva il collegio che, nel caso di impugnazione avverso la deliberazione del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti concernente un ricorso in materia di iscrizione, di altro non si tratta che della tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, dell'interesse legittimo dell'aspirante pubblicista. Gli e' che viene in discussione la violazione di una norma non di relazione, bensi' di azione; il ricorrente denunzia, infatti, la violazione e la falsa interpretazione dell'art. 35 della legge professionale e, cioe', della norma di azione che disciplina l'ammissione nell'ordine professionale con la conseguente iscrizione nell'ambo (nel caso di specie: nell'elenco pubblicisti). E la posizione dell'aspirante pubblicista rispetto alla ammissione-iscrizione e' di mero interesse legittimo. Non e' in discussione l'esercizio del diritto costituzionale di manifestazione del pensiero (mediante "lo svolgimento di un attivita' giornalistica che non abbia la rigorosa caratteristica della professionalita'" v. in proposito Corte costituzionale 23 marzo 1968, n. 11, (Paragrafo) 4); ne' si fa questione di autorizzazione o di abilitazione per l'esercizio di alcun altro diritto soggettivo. Si tratta invece, dell'ammissione all'ordine professionale cui la legge ha riservato l'esercizio delle professioni di giornalista e di pubblicista. E, poiche' il provvedimento di ammissione e' costitutivo del nuovo status e di tutti i diritti inerenti (di cui, ovviamente, il soggetto non era anteriormente titolare), non e' possibile configurare in capo all'aspirante - sul piano delle norme di relazione - alcun diritto soggettivo all'attribuzione di detto status, che preesista all'ammissione e che possa essere fatto valere nei confronti della pubblica amministrazione. Cio' che l'aspirante puo' invocare e' solo - come per l'appunto nel caso di specie - l'osservanza delle norme di azione che regolano l'attivita' della pubblica amministrazione nel procedimento di ammissione. E', in concreto, l'accertamento del requisito della regolare retribuzione stabilito dall'art. 35 della legge professionale (come l'accertamento della idoneita' della produzione gionalistica nel biennio), e' tutt'altro che meramente ricognitivo di un dato di fatto, connotato a priori per ogni profilo di rilevanza, bensi', involge un apprezzamento squisitamente discrezionale sia in ordine alla regolarita' che in ordine al quantum dei compensi percepiti dall'aspirante, in relazione a standard che non possono essere - ne' sono - prefissati dalla legge, bensi' vengono, determinati in concreto, nei diversi contesti, dalla autonomia dell'ordine professionale. Appare, dunque, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, con riferimento all'art. 103, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui attribuisce al giudice ordinario - sottraendola al giudice amministrativo - la giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi, in materia di impugnazione delle deliberazioni pronunziate dal Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti sui ricorsi in materia di iscrizione. 3. - L'art. 102, secondo comma, della Costituzione, stabilito il divieto della istituzione dei giudici straordinari o speciali, prevede, nel rispetto del principio fissato dal primo comma, "la partecipazione di cittadini estranei alla magistratura" con esclusivo riferimento alle sezioni specializzate da istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari. Tanto premesso, rileva il collegio che la propria composizione integrata, risultante della partecipazione di un giornalista professionista e di un pubblicista, ai sensi dell'art. 2 della legge 10 giugno 1969, n. 308, che ha sostituito il terzo comma dell'art. 63 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, non trova riscontro nella previsione costituzionale. Ne' l'ordinamento professionale, ne' la precitata novella del 1969, ne' alcuna altra legge hanno, infatti, mai istituito presso il tribunale alcuna sezione specializzata cioe', un ufficio giudiziario, stabilmente e tabellarmente precostituito secondo le norme dell'ordinamento giudiziario (come, per esempio, la sezione specializzata agraria), con magistrati ordinari e con la partecipazione di cittadini idonei, estranei alla magistratura, al quale ufficio fosse devoluta la cognizione del contenzioso giornalistico di cui all'art. 63 in relazione all'art. 62 dell'ordinamento professionale. La novella in questione prevede, invece, la mera integrazione del collegio giudicante di una qualsiasi sezione del tribunale, con la partecipazione di estranei alla magistratura; eppero' pare debordare dall'ambito della previsione costituzionale, la quale - come si e' rilevato - contempla la partecipazione degli estranei alla magistratura nell'esercizio della funzione giurisdizionale soltanto in seno alle sezioni specializzate. E' poi appena il caso di aggiungere che l'integrazione del collegio, stabilita dall'art. 2 della legge 10 giugno 1969, n. 308, non sembra possa trovare fondamento in nessuna altra disposizione della Costituzione: a) ne' nell'ultimo comma dell'art. 102 della Costituzione, in quanto la presenza degli estranei non integra alcuna ipotesi di partecipazione diretta del popolo nell'amministrazione della giustizia, atteso che i componenti non togati non sono scelti, ne' sono eletti, ne' intervengono uti cives; b) ne' nel secondo comma dell'art. 106 della Costituzione, in quanto, trattandosi di organo collegiale, resta preclusa la possibilita' di configurare l'intervento di magistrati onorari. Consegue alle considerazioni che precedono che l'istituzione dello speciale collegio integrato, introdotta dall'art. 63, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, nel testo modificato dall'art. 2 della legge 10 giugno 1969, n. 308, laddove non trova riscontro e fondamento in alcuna specifica disposizione costituzionale derogatrice, sembra incorrere nel divieto del primo inciso del secondo comma dell'art. 102, della Costituzione. Non e', pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma in parola con riferimento all'art. 102, secondo comma, della Costituzione.